onore
onóre s. m. [lat. honos (o honor) -ōris]. – 1. a. In senso ampio, la dignità personale in quanto si riflette nella considerazione altrui (con sign. che coincide con quello di reputazione) e, in senso più positivo, il valore morale, il merito di una persona, non considerato in sé ma in quanto conferisce alla persona stessa il diritto alla stima e al rispetto altrui (con sign. equivalente a quello di onorabilità): la tutela dell’o. del cittadino, da parte della legge; parole, atti lesivi dell’o. di qualcuno; accuse, calunnie che non intaccano il suo o.; delitti contro l’o.; ferire qualcuno nell’o. (con atti che sono un’offesa alla sua dignità o un attentato alla sua reputazione); essere geloso del proprio o.; difendere l’o. proprio, l’o. altrui; per motivi d’o., per una questione d’o., per motivi che impegnano l’onorabilità di una persona; conservare intatto, serbare inviolato il proprio o.; C’è più onore in tradire che in esser fedeli a metà (Giovanni Giudici); è un’azione, una colpa che macchia il suo o., che scema il suo diritto alla stima e al rispetto altrui; perdere l’o., compiere un’azione moralmente indegna, macchiarsi d’infamia (anche, nell’ambito di mentalità e concezioni tradizionali, con riferimento a ragazza, perdere la verginità); tutto è perduto, fuorché l’onore (v. tutto è perduto ecc.). Espressioni più proprie del linguaggio giur.: diritto all’o., diritto della personalità che ha per oggetto la onorabilità della persona (nel diritto internazionale, il diritto soggettivo attribuito a ogni stato, e in genere a ogni soggetto di diritto internazionale, di pretendere che gli altri stati si astengano verso di esso dal compiere azioni o dichiarazioni significanti oltraggio o insulto); offese all’o. e al pudore, delitti contro la moralità pubblica e il buon costume; causa d’o., circostanza attenuante di determinati reati, talvolta elemento costitutivo di autonome figure criminose (in partic., omicidio a causa d’o., ipotesi specifica di delitto, prevista per punire molto lievemente chi cagionasse la morte di moglie, figlia, sorella o del loro partner nell’atto in cui ne scoprisse l’illegittima relazione sessuale: è stata completamente abrogata, dopo molte discussioni, nel 1981); giurì d’o., v. giurì. In frasi di uso com.: affermo, dichiaro, giuro, mi impegno sul mio o.; dare la parola d’o., far fede sulla propria onoratezza circa quanto si afferma o si promette (ma parola d’o.!, in parola d’o.!, sono spesso semplici formule asseverative: parola d’o., se ne pentirà; c’è da perdere la testa, in parola d’o.); il mio o. mi preme, ci tengo al mio o., ne va del mio o., ne va di mezzo il mio o., si tratta del mio o., è in gioco il mio o., frasi in cui onore ha spesso valore più generico (cioè prestigio, buon nome); e valore generico può avere anche nelle seguenti: non poteva ormai ritirarsi dall’impresa, senza danno al suo o.; uscirne con o. (da una situazione grave o difficile, da una prova ardua e sim.), onorevolmente, oppure con lode, in modo da procurarsi il plauso e l’ammirazione. Nel sign. proprio, il termine si riferisce non solo a persone singole, ma anche a collettività, organi, istituzioni, ecc.: l’o. della famiglia, del nome, della ditta, dell’istituto; l’o. militare; tenere alto l’o. della patria, dell’esercito, della bandiera. b. Spesso, nell’uso com. o nel linguaggio letter., assume un’accezione più ampia (cioè gloria, fama): E me che i tempi ed il desio d’onore Fan per diversa gente ir fuggitivo (Foscolo); o, al contrario, più ristretta (vanto, merito): l’o. della riuscita spetta a te; l’o. della vittoria è tutto suo, e sim. c. Valore per lo più attenuato, ma con accezioni particolarissime, acquista in unione con il verbo fare. Con soggetto di persona (più raram. di cosa), fare onore a qualcuno, essere tale o comportarsi in modo che egli possa essere orgoglioso di noi perché l’onore, la gloria, i riconoscimenti che noi otteniamo si riflettono anche su lui (per i rapporti che ci uniscono o per la parte di merito che egli ne ha): è un figlio che ti fa o.; alunni che fanno o. al maestro; uomini che fanno o. al loro paese, alla nazione; soldati valorosi che fanno o. all’esercito (cfr. l’analogo uso del verbo onorare, in frasi simili). Con soggetto di cosa (per lo più astratta e allusiva a qualità o condizione non esterna ma che è dentro di noi o procede da noi), rendere onorato, oppure degno di onore, di stima, di lode, di ammirazione: Tu se’ solo colui da cu’ io tolsi Lo bello stilo che m’ha fatto o. (Dante); sono sentimenti nobili che ti fanno o.; sei stato leale e questo ti fa molto o. (anche, con lo stesso senso, torna tutto a tuo o.); aveva avuto un’idea da far o. a un avvocato, tale cioè che anche se fosse stata di un avvocato avrebbe destato ammirazione. Al contr., è un’azione che non gli fa o., che gli fa poco o., che lo disonora o che torna a suo biasimo; estens., questa risposta fa poco o. alla tua intelligenza, alla tua perspicacia, e sim., non è certo una prova d’intelligenza o di perspicacia da parte tua. Nel rifl., farsi o. (nella vita, nella professione, negli studî, nell’esercitare un ufficio, nel compiere un incarico, oppure in un’impresa, in una prova, in una gara sportiva, ecc.), riuscire bene, in modo da acquistare stima o da ottenere lode, ammirazione, riconoscimento dei proprî meriti o delle proprie capacità, e sim. Fig., fare o. al proprio nome, alla propria parola, mantenere puntualmente gli impegni assunti; in partic., fare o. alla propria firma, pagare puntualmente un’obbligazione (nel linguaggio comm., fare o. a una tratta, a una cambiale, lo stesso che onorarla, cioè accettarla o pagarla); con altro senso, fare o. al proprio nome, alla propria firma, detto spec. di scrittore o artista, creare un’opera non inferiore alla reputazione di cui già si gode. 2. In senso più soggettivo e unilaterale (con riferimento a ciò che sente e prova la persona stessa), il sentimento della propria dignità, la coscienza dell’alto valore morale che ha la buona reputazione, e di conseguenza il costante desiderio di non demeritarla, nel possesso di quelle qualità che procurano la stima altrui, come l’onestà, la lealtà, la rettitudine, la serietà e di quelle altre che a ciascuno impone il suo particolare stato: è un uomo d’o., una donna d’o. (al contr., un uomo, una donna senza o., che non ha sentimento di dignità né timore di abbassarla nella considerazione altrui); seguire la via dell’o.; ha servito con fedeltà e o., formula dei congedi militari. In partic., con riferimento a donna, il pudore, la castità e, con riferimento a ragazza, nell’ambito di mentalità e concezioni tradizionali, la verginità: insidiare l’o., attentare all’o. di una ragazza, di una donna; levare, togliere l’onore. Talvolta anche, con sign. più attenuato, orgoglio, amor proprio: il mio o. mi vieta di accettare le sue offerte; per punto d’o., espressione (derivata dal fr. point d’honneur) equivalente in genere a per puntiglio; e così, ritenere un punto d’o., e più com. farsi un punto d’o. (di ottenere uno scopo, di spuntarla, e sim.), considerare come fatto essenziale per il proprio orgoglio. Nel linguaggio della malavita (e di qui passato anche nell’uso com.), uomo d’o., l’affiliato alla camorra, alla mafia o ad altre associazioni a delinquere, cui esso è legato da un giuramento che lo impegna alla difesa dell’onore comune e alla osservanza di una stretta omertà. 3. a. In un senso ugualmente unilaterale, ma oggettivo (come sentimento cioè che muove da altri), stima, rispetto, riconoscimento del valore o del merito, soprattutto in quanto siano attestati e dimostrati: avere, tenere qualcuno o qualche cosa in o., in molto o., in grande o., farne grande stima, tenere in alta considerazione (per es., gli antichi avevano in o. la vecchiaia); essere in o., essere altamente considerato, e più spesso essere in pregio, in auge; mettere, mantenere, rimettere in o., tornare in o., detto più spesso di cose, istituzioni, usanze, ecc., che non di persone. Onore al merito!, esclam. con cui si accorda, o si invita altri ad accordare, il dovuto riconoscimento a chi l’ha meritato. Fig., sia detto a onor del vero, in ossequio alla verità, per il rispetto che dobbiamo alla verità. b. Ogni atto d’omaggio o altra manifestazione esteriore con cui si vuole onorare, esaltare una persona, o testimoniarle il rispetto, la riverenza, in cui è tenuta per i suoi meriti, il suo stato, il suo grado, ecc. (in questo senso, è frequente il plur.): fare, rendere onore a qualcuno (al plur., rendere gli o., s’intende per lo più quelli militari); Tutti lo miran, tutti onor li fanno (Dante); E tu onore di pianti, Ettore, avrai Ove fia santo e lagrimato il sangue Per la patria versato (Foscolo); fu ricevuto, fu accolto con grande o., con grandi, con molti o., con tutti gli o. (con tutti quelli, s’intende, spettanti al suo grado, alla sua condizione); fare gli o. di casa, accogliere e intrattenere gli ospiti con quella cordialità, deferenza, premura che sono loro dovute. Sempre col verbo fare, in usi fig., fam.: fare o. a un pranzo, mostrare di gradirlo, mangiando e bevendo con gusto (e con tono più scherz., fare o. al dolce, allo sformato, ecc.). Con analogo traslato, fare o. al piatto, nel poker, partecipare a una mano del gioco, data l’entità della somma che si può vincere, anche se le carte che si hanno in mano non ne lasciano prevedere la possibilità. D’onore, come locuz. agg., che ha per fine di onorare, onorifico, o, in alcuni casi, che gode di particolare fama (con sign. sim. a di riguardo): posto d’o., quello che viene riservato a tavola alla persona di maggior rispetto (e cui è riservata, se si tratta di un ospite occasionale, la qualifica di ospite d’o.); posti d’o., tribuna d’o., in sale o altri luoghi di spettacolo e di riunione, i posti in cui siedono le autorità e altri personaggi eminenti; dama, damigella d’o., che segue in segno di onore un membro della famiglia reale o altra persona d’alto rango (damigella d’o. è anche quella che accompagna la sposa in cerimonie nuziali). Con più accezioni la locuz. in onore di qualcuno, col fine di onorarlo: è stato offerto un banchetto in o. dell’illustre uomo di stato; sarà organizzata una festa in o. degli ospiti; lo faccio in onor vostro; serata in o. della prima donna, o sim., nelle recite di una compagnia teatrale. V. anche honoris causa. c. In partic., o. funebri (letter. gli estremi o.), le esequie. O. militari, ogni manifestazione, atto o segno con cui le forze armate rendono ossequio ai simboli della religione, alle bandiere militari, nazionali, estere, alle autorità civili e militari (nel qual caso gli onori s’intendono sempre resi alla carica o al grado e non alla persona), nelle varie forme prescritte da precise norme di regolamento, e cioè: posizione di attenti, presentat’arm, picchetto d’o., compagnia d’o., guardia d’o., scorta d’o., parata d’o. (che consiste in esposizione delle bandiere, illuminazione di gala, salva d’artiglieria, o salva d’o.), ecc.; si distinguono inoltre: o. individuali, collettivi, di reparto, di presidio, ecc., e, in marina, gli o. navali (saluto alla voce, segnali di fischietto, ecc.). Inoltre, in tempo di guerra, possono essere resi onori militari anche all’avversario sconfitto che si è eroicamente battuto, riconoscimento detto o. delle armi (v. arma, n. 1 b). d. Atto di culto, di venerazione: a o. e gloria di Dio; rendere o. alla Vergine, ai santi; tempio eretto in o. di sant’Antonio (nel mondo pagano, in o. di Giove, di Vesta, ecc.); la festa in o. del santo patrono; gli imperatori romani e i sovrani orientali pretendevano o. divini; avere in o., venerare, fare oggetto di culto: Non è Costei che in onor tanto avemo, Di vostra fede uscita? (Manzoni); elevare, innalzare, salire all’o. degli altari (o agli o. dell’altare), santificare, essere santificato. 4. Con valore causativo: a. Merito, situazione, condizione che rende onorato, che procura cioè stima, acquista reputazione, o conferisce prestigio: L’essilio che m’è dato, onor mi tegno (Dante); non li fu onore [ad Amore] Ferir me de saetta in quello stato, A voi armata non mostrar pur l’arco (Petrarca); bandiera vecchia, onor di capitano, proverbio che ha anche un’altra variante (v. bandiera, n. 1 b); cadere sul campo dell’o., sul campo di battaglia, in combattimento (perché chi muore combattendo per la patria ha diritto al più alto rispetto); Legion d’o., ordine cavalleresco francese (propr., che rende onorato chi ne fa parte), v. legione, n. 4 a; piazza d’o., nelle competizioni sportive (con cattiva traduz. del fr. place «posto»), il secondo posto nell’ordine d’arrivo (al plur., piazze d’o., il secondo, terzo, quarto posto). In senso concr., persona, più raram. cosa, che costituisce motivo di vanto, elemento di gloria: non se’ tu Oderisi, L’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte Ch’alluminar chiamata è in Parisi? (Dante); essere l’o. della famiglia, della città, del proprio Paese. b. Privilegio che ci innalza nella considerazione altrui o di cui noi stessi riconosciamo l’alto significato ritraendone perciò motivo d’orgoglio: l’istituto che ho l’o. di presiedere; è toccato a me l’o. di terminare l’opera; è per me un grande o. avere la vostra fiducia; sarà un o. per noi avervi come socio. Frequente soprattutto in frasi di complimento e formule di cortesia che cominciano con l’espressione avere l’o. di ..., reputarsi onorato o lusingato: ho l’o. di invitare la S. V. alla cerimonia; ho l’o. di annunciarvi che ...; ho l’o. e il piacere di comunicarvi che ..., e sim. E con senso attivo, nell’espressione fare l’o. di, concedere la grazia, il favore, a proposito di atti che dimostrino particolare stima e benevolenza da parte di persona d’alta condizione: mi ha fatto l’o. di una sua visita, di rispondermi personalmente, d’invitarmi a casa sua. Cfr., per sign. analoghi, l’uso di onorare e, nel passivo, essere o sentirsi onorato. In forma ellittica, troppo o.! (cioè: mi fate troppo o.; è un o. troppo grande per me), frase con cui si dichiara di sentirsi indegni delle manifestazioni e attenzioni che ci vengono usate (ma è spesso detto con ironia). Nel golf, parte che ha l’o., quella cui compete il diritto di giocare per prima dalla piazzuola di partenza. 5. Sempre con valore causativo (con sign. già molto comune in latino), al plur., alte cariche, gradi accademici, titoli, onorificenze, decorazioni, ecc., che sono insieme fonte di prestigio e attestato della pubblica stima: innalzare, elevare ai massimi o.; raggiungere i più alti o.; salire la scala degli o.; ambire gli o.; essere avido, o schivo, di onori; visse carico, colmo di onori; ha sempre ricusato con modestia ogni o.; chi vuole avere gli o. della carica, se ne deve assumere anche gli oneri (per onori e oneri, v. anche onere, n. 2). Con allusione soprattutto a titoli e onorificenze: o in te del sangue Emendino il difetto i compri o. (Parini), i titoli non ereditati ma acquistati col denaro; Quando s’aprì rivendita d’onori (Giusti). In diritto, usurpazione di titoli o di onori, reato che consiste nell’attribuirsi indebitamente dignità o gradi accademici, titoli, decorazioni o altre pubbliche insegne onorifiche, ovvero qualità inerenti a un pubblico ufficio o impiego o professione per cui è richiesta l’abilitazione dello stato. 6. fig. a. letter. Ogni ornamento materiale che conferisca pregio, decoro o sia di abbellimento: Arbor vittorïosa, trïunfale, Onor d’imperadori e di poeti (Petrarca, dell’alloro); Questi è Mosè: ben mel dicea il folto Onor del mento e ’l doppio raggio in fronte (Zappi); Limpido rivo, onor del patrio colle (V. Monti); gli alberi, o i monti, spogli dell’o. del verde. Tale sign. metaforico è molto frequente nei secentisti, tanto che alcune locuz. sono poi diventate luoghi comuni, o addirittura (come l’onor del mento per indicare la barba), espressioni scherzose. b. In alcuni giochi, carta o pezzo privilegiato, oppure combinazione, risultato e sim. che dà diritto a un maggiore punteggio. 7. Vostro Onore, traduz. dell’ingl. your Honour (o Honor), titolo di rispetto attribuito nei paesi anglosassoni ad alti personaggi, e in partic. a giudici e magistrati.