Abruzzo
La regione che oggi porta questo nome era divisa in diversi ambiti giurisdizionali fin dall'epoca longobarda: la provincia valeria, che includeva i sabini, i vestini, i marsi ed i peligni, venne inglobata nel ducato di Spoleto; la provincia del Sannio, che includeva i marrucini, i frentani, i sanniti, venne inglobata nel ducato di Benevento; la provincia picena, che includeva la contea aprutina e che si spingeva fino a Penne, solo nell'VIII sec. sarebbe stata invece inglobata nel ducato di Spoleto, rimanendo per quasi tutto il periodo della dominazione longobarda nell'ambito giurisdizionale della marca firmana e, quindi, sotto l'esarcato di Ravenna.
Almeno tre ambiti giurisdizionali si delinearono per l'Abruzzo, e all'interno di questi si svilupparono contee più o meno autonome, dominando su tutti la giurisdizione, sia pure a macchia di leopardo, delle grandi abbazie, alle quali si unì l'abbazia di S. Clemente a Casauria. La situazione di frammentazione giurisdizionale si accentuò con la dominazione carolingia che, fermandosi al fiume Pescara, creò una vera e propria frontiera fra il vecchio ducato di Spoleto, entrato a far parte dell'area franca, e il sopravvissuto ducato di Benevento, con gravissime conseguenze economiche. L'unificazione della regione, così come è oggi, si sarebbe avuta con la dominazione normanna che, giungendo con Anfuso ‒ figlio di Ruggero II ‒ fino al Tronto, ricompattò i grandi altipiani con il Tavoliere delle Puglie.
Come è noto, i normanni, con il potenziamento delle autonomie nell'ambito di un sostanziale accentramento, crearono una fitta rete di subgiurisdizioni molto attive ed efficienti. A questa realtà pose fine il centralismo federiciano che tentò di eliminare ogni forma di autonomia locale cercando di burocratizzare la giurisdizione. Ma fortissime resistenze si determinarono da parte della nobiltà locale, che aveva invece accettato la più elastica organizzazione normanna.
I punti nevralgici della resistenza furono costituiti dai conti di Celano e dai signori di Poppleto. I conti di Celano dominavano un vasto territorio che andava dal Molise alla Marsica, all'Amiternino e, lungo la Via Tiburtina Valeria, giungeva fino all'Adriatico. Era una contea che costituiva uno snodo essenziale per ogni azione difensiva ed offensiva da parte del Regno e con essa Federico II dovette misurarsi. Ne uscì vittorioso e le durissime condizioni della resa furono dettate dall'imperatore il 15 aprile 1223 (Friderici II concordia facta cum Comite Celani).
La clausola finale del documento prevedeva che, a garanzia del rispetto del patto, il conte di Celano, ovvero Tommaso conte di Celano e del Molise, consegnasse in ostaggio il figlio nelle mani del Maestro dei Cavalieri teutonici, con una clausola secondo cui, se il conte non fosse stato ai patti, il Maestro lo avrebbe consegnato all'imperatore. Ma la clausola più significativa della concordia era la seguente: l'imperatore concedeva al conte ed ai suoi eredi il giustizierato del comitato con tutte le giustizie e ragioni pertinenti al giustiziere, tranne quelle che erano di pertinenza dei baroni e dei militi. Inoltre, pur volendo che coloro che erano soggetti al giustizierato rispondessero al conte, tuttavia, affinché quanti avessero osservato o osservavano fede e devozione nei suoi confronti opponendosi con costanza e fermezza al conte di Celano ricevessero un adeguato riconoscimento, l'imperatore medesimo stabiliva che, quando qualcuno di essi si fosse appellato nel corso di qualche procedimento giudiziario che avrebbe potuto concludersi con la perdita della vita o della terra, e il procedimento fosse di competenza del conte o del suo sostituto, il conte stesso o il suo vice avrebbe dovuto far mettere per iscritto quanto dalle parti fosse stato prodotto o allegato, per presentarlo all'imperatore o alla sua Curia, che avrebbe emanato sentenza. Dalla concordia si evince che una larga fetta della regione (la contea dei Marsi dal punto di vista territoriale coincideva con l'intera regione) venne posta sotto la diretta giurisdizione dell'imperatore.
Più pesante ancora sarebbe stata la punizione dei ribelli signori di Poppleto che per essere meno potenti del conte di Celano subirono condizioni di resa molto più dure, come si rileva dalla Friderici II donatio Gaietae Conrado Filio facta, anche questa del 1223. Tra gli altri beni e giurisdizioni che Federico concesse al figlio Corrado, oltre alla città di Gaeta, si davano come vassalli, quindi come immediatamente soggetti con tutte le loro ville e castelli, i signori di Poppleto Rainone di Prata, Ruggero di Galluzzo, Todino di Amiterno e il traditore tedesco Corrado di Lucinardo, i quali al tempo del conflitto tra Federico e la Chiesa erano stati partigiani di questa. Si trattò di una liquidazione in piena regola della feudalità abruzzese. Una volta invassallati a Corrado, tuttavia, i signori di Poppleto, nel 1228, si ribellarono nuovamente. La repressione fu violentissima. Nel giugno dello stesso anno l'esercito imperiale si scatenò contro i signori di Poppleto togliendo loro Poppleto, e alcuni altri castelli, ragion per cui essi si rifugiarono a Capitignano, estremo loro dominio ai confini con lo Stato pontificio.
Federico esercitava, dunque, un sicuro controllo sull'Abruzzo, dove peraltro avevano luogo azioni di disturbo da parte della Chiesa. Tale controllo, anche dal punto di vista amministrativo, avveniva attraverso una curia regionale da tenersi due volte l'anno a Sulmona. In questa situazione di stretta e persecutoria vigilanza, le popolazioni guardavano al pontefice come ad un possibile alleato per un'auspicabile ribellione, in quanto egli solo era un aperto nemico dell'imperatore.
Papa Gregorio IX rispose alle attese degli abitanti dei contadi amiternino e forconese in termini molto precisi: "Vi lamentate esponendoci le innumerevoli tribolazioni e le infinite amarezze alle quali fino a questo momento vi ha sottoposti l'imperatore Federico, nemico di Dio e della Chiesa, attraverso i suoi ministri, i quali, oltre a rapinare i vostri beni dei quali fanno vergognoso uso, arrivano al punto di lasciarvi appena di che vivere e non hanno remore nel richiedervi prestazioni di angherie e per angherie, come se foste servi e non liberi, e inoltre infieriscono sulle vostre persone, tanto laiche quanto ecclesiastiche, alcune impiccandole, altre accecandole, altre uccidendole, altre mutilandole. Per queste ragioni voi ci chiedete di procurare la vostra liberazione, togliendo voi e le vostre terre dalla soggezione feudale a Federico, per l'indegnità del feudatario e ciò, voi dite, è possibile in quanto è cosa notoria che le vostre terre e voi stessi costituite un feudo di Romana Chiesa".
Non se ne fece nulla. Era nata tuttavia l'idea di fondare L'Aquila.
Ma la politica di Federico II nei confronti dell'Abruzzo non fu solo repressiva. Egli potenziò la rinata attività della transumanza favorendo i Cistercensi che la praticavano, confermando all'abbazia di S. Maria di Casanova molte grance e tra queste quella di S. Maria del Monte a Campo Imperatore sul Gran Sasso, imponente complesso pastorale che si inserisce in tutto un sistema che, partendo dalle abbazie dei grandi altipiani, giunge sino in Puglia a S. Maria dell'Incoronata, pur essa cistercense. Federico II provvide anche a regimare il lago Fucino che, essendo privo di emissario, rendeva le terre rivierasche soggette a inondazioni disastrose. Tale regimazione era stata operata a suo tempo dall'imperatore Claudio attraverso quella imponente opera che fu lo scavo dell'emissario in galleria. Pertanto Federico inviò nel 1240 un mandato a B. Pissone, giustiziere d'Abruzzo, affinché sorvegliasse i lavori, cui aveva sovrinteso Ettore Montefuscolo, già giustiziere, onde ripulire i canali che, in quanto mal costruiti o vetusti, erano in rovina, cosicché le acque superflue che alzavano il livello delle acque ne rifluissero come già era avvenuto nei tempi antichi.
Queste disposizioni si inquadravano in un'ampia prospettiva di aumento della produttività che rispettava la specificità della regione abruzzese. Riprova di questo interesse si ha nel fatto che, nell'anno 1242, Federico, tornando dalla Puglia, dimorò per tutto il mese di giugno in Abruzzo e precisamente in Avezzano, dove peraltro si era manifestata la resistenza del conte di Celano e del Molise, Tommaso.
Fonti e bibliografia
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