AGRICOLTURA (I, p. 955; App. II, 1, p. 95)
L'agricoltura italiana. - Le variazioni della superficie e delle produzioni totali e unitarie (per ha) delle principali colture agrarie, del patrimonio zootecnico e delle produzioni zootecniche nazionali nel decennio 1948-57 sono indicate nelle seguenti tabelle tratte dall'Annuario dell'agricoltura italiana.
Frumento. - Benché sia quasi sempre evidente l'alternanza delle produzioni globali elevate con quelle meno elevate, la resa per ettaro, come la produzione nazionale, hanno rivelato continua e costante ascesa (da 61 milioni di q nel 1948 a oltre 84 milioni di q nel 1957), pur essendo rimasta pressoché invariata l'area sottoposta a coltura. Ciò vale particolarmente per il grano tenero (da pane), il quale risulta prodotto in misura di poco superiore ai 61 milioni di q su un'area di circa 4,6 milioni di ha con una resa unitaria di q 13,2 nel 1948 e di oltre 84 milioni di q, su una superficie di circa 4,9 milioni di ha con una resa per ettaro di q 18,9 nel 1957. Il fatto trova la ragion d'essere sia nell'impiego, più esteso, di razze di frumento geneticamente sempre più affinate, sorrette, a loro volta, da adeguata tecnica colturale, sia ancora dal prezzo di vendita del prodotto artificiosamente sostenuto dallo Stato.
Segale, avena e orzo. - Nessun cenno degno di rilievo emerge nei rapporti delle coltivazioni dei cereali minori (per l'Italia) del gruppo del frumento, le quali, se denunciano nel 1957 contrazioni delle aree occupate, hanno manifestato, per un certo periodo, incrementi delle produzioni totali con tendenza, nell'ultimo quadriennio (dal 1953), a un declino delle stesse pur non incrinandosi le rese unitarie.
Riso e mais. - Raggiunte le aree coltivate e le produzioni massime (fin oltre 9,5 milioni di q di risone) nel biennio 1952-53 con un crescendo vertiginoso dopo il 1949, la nostra coltivazione del riso segna un netto costante declino dal 1954 sorpassando, in meno, i limiti del 1948. Ciò risulta evidente nei rapporti della superficie e della produzione nazionali pari a ha 143.000 e a oltre 6,2 milioni di q di risone nel 1948 contro ha 126.000 e q 5,9 milioni nel 1957. Variata leggermente in più appare la resa unitaria: da q 43,4 in un caso a q 47,4 nell'altro. Codesta manifestazione della coltura del riso in Italia è da imputarsi in primo luogo all'efficientissima concorrenza estera (dell'Egitto, principalmente) sui mercati internazionali del risone e del riso, la quale ha contribuito a deprimere le nostre esportazioni. La riduzione della superficie destinata al cereale in oggetto, giustificata anche da un minor consumo annuo individuale del prodotto lavorato (kg 8 nel 1900 e kg 6 al dì d'oggi), è stata accompagnata dalla tendenza, forse eccessiva, alla coltivazione di varietà di riso più pregiate non tanto dal lato bromatologico quanto da quello commerciale.
Nei rapporti del mais da granelli, i rilievi statistici rivelano un continuo incremento delle produzioni nazionali nel decennio considerato, pur essendo pressoché immutata l'area di coltivazione (ha 1.250.000 circa). Da poco più di 22 milioni di q di granone con una resa unitaria di q 18,1 nel 1948 si è giunti a quasi 35 milioni di q col concorso di una resa di circa 28 q l'ha nel 1957. Il che devesi al sempre più largo impiego dei mais ibridi (v. mais) in coltura e dei prodotti di questo cereale nell'alimentazione degli animali, essendo assai diminuito il consumo annuo individuale nell'alimentazione umana (sotto forma di polenta).
Fave e fagioli. - Alla ripresa della coltura, più sentita per le fave che per i fagioli secchi, dopo il 1948, si determina una successiva contrazione della produzione nazionale delle predette civaie, la quale tuttavia si mantiene sempre al disopra del livello registrato all'esordio del decennio considerato. Ciò è particolarmente assodato per le fave secche, anche nei rapporti della resa unitaria, mentre per i fagioli le differenze non sono sensibili. Invece, assai notevole appare la produzione dei fagiolini (legumi freschi) che da circa q 900.000 ottenuti in Italia nel 1948 passa a quasi 1,4 milioni di q nel 1957. L'esportazione e il maggior consumo interno, conseguenti a un migliorato tenore di vita, ne sono i fattori determinanti. Rilievi analoghi a quelli fatti per i legumi freschi valgono per le colture del cavolo, del cavolfiore e di altre ortensi d'importanza minore.
Pomodoro, patate, bietole da zucchero e tabacco. - Nei riguardi del 1948, la coltivazione del pomodoro registra incrementi di superficie, di produzione e di resa unitaria. Infatti, da 68.000 ha con produzione di circa 9,6 milioni di q di frutti e una resa di q 142 l'ha all'esordio del decennio, tale solanacea passa a 109.000 ha di superficie e a 19 milioni e mezzo di bacche con una resa unitaria di q 179 nel 1957. Codesta ascesa, dovuta anche a un largo consumo del pomodoro da tavola, non ha mancato di far sentire effetti negativi nei rapporti dei prezzi di mercato del prodotto fresco e in conserva. Decrementi dell'area sottoposta a coltivazione si danno per patate (pur essendone aumentati i consumi annui individuali) e tabacco: la seconda specie anche nelle produzioni globali e unitarie. Andamento opposto si ha per le bietole da zucchero, le quali nel decennio 1948-57 quasi raddoppiano l'area di coltivazione (da ha 113.000 a ha 210.000) e la produzione totale (da 34 milioni a 62 milioni di q), mentre la resa unitaria in radici accusa una leggera contrazione dovuta, forse, all'impiego di varietà a modesto peso individuale e a un relativo più elevato contenuto in zucchero. Comunque, all'aumento del consumo annuo in saccarosio pro capite nei periodi che seguono la prima e, soprattutto, la seconda guerra mondiale spetta indubbiamente una delle principali cause di tale fenomeno. Si avverta che il nostro consumo individuale annuo di zucchero fu di kg 2,6 nel 1900, di kg 8 nel 1924-39 ed è stato di kg 18 nel 1958.
Canapa (tiglio) e cotone (bambagia). - I prodotti di surrogazione nel campo delle fibre tessili, i costi relativamente elevati di produzione, le vicissitudini dei prezzi di mercato ed altre cause hanno determinato il pressoché totale annullamento della coltura del lino in Italia. Anche quella della canapa, per ragioni analoghe, s'è dimezzata rispetto all'area e alla produzione totale del 1948, già assai contratta riguardo ai valori che precedono la seconda guerra mondiale. E ciò indipendentemente dalle rese unitarie di questa specie tigliosa. Andamento alquanto diverso emerge a favore del cotone: da 15.000 ha con una produzione nazionale di q 2600 di bambagia nel 1948 si passa rispettivamente a ha 40.000 e a q 83.000 nel 1957. Significativamente maggiorata risulta altresì la resa per ha.
Vite (uva) e olivi (olive). - Dalla fine della seconda guerra mondiale le produzioni nazionali viticole sotto forma di uva seguono un progressivo costante aumento, il quale è particolarmente significativo per le uve da tavola. Infatti, la viticoltura specializzata nel campo di queste uve risulta su ha 986.000 con una produzione di q 1.721.000 nel 1948, mentre nel 1957 l'area tocca quasi 1.100.000 ha e la massa di uve prodotta rasenta i q 2.900.000. Tale fenomeno devesi alle sempre crescenti richieste dei mercati nazionale ed estero. Una leggera contrazione della superficie s'ha invece per la coltura promiscua della vite, ma la produzione in vino è in aumento e fa fronte ad usura ai maggiori consumi annui pro capite, i quali risultano di l 110,5 nel 1958, di l 99,4 nel periodo 1924-39 e di l 95,8 all'esordio del nostro secolo.
Quanto alla produzione olearia, possiamo affermare che le punte nazionali intorno ai 20 milioni di q di olive degli anni 1951 e 1953 si ripetono nel 1957 pur essendo praticamente costante l'area coltivata (ha 2.200.000 circa). Il che denota una considerevole ripresa della nostra olivicoltura dopo i gravi danni riportati ad opera delle inclemenze meteoriche alla fine dell'inverno del 1956. Aumentati appaiono i consumi annui di olio alimentare per persona: da kg 5,8 nel 1924-39 a kg 7,1 nel 1958.
Agrumi (aranci, mandarini e limoni). - La produzione nazionale in limoni è in lieve ascesa nel periodo 1948-57, ma accusa una leggera contrazione di superficie. Considerevole, invece, l'incremento relativo della produzione in aranci e mandarini. Infatti, nell'un caso e nell'altro ad un aumento, pari al 30%, dell'area coltivata nel 1948 corrisponde, nel 1957, una produzione in aranci e mandarini doppia o quasi di quella assodata all'inizio del decennio considerato. Le maggiori richieste interne e dei mercati esteri, nonostante la concorrenza esercitata da analoghe colture del Nordafrica e d'Israele, giustificano tale aspetto dell'agrumicoltura italiana.
Meli, peri e peschi. - Addirittura imponenti sono le superfici e le produzioni dei tre indicati fruttiferi in Italia. Infatti, da ha 36.000 per i meli, ha 10.000 per i peri, ha 30.000 per i peschi nel 1948 si passa rispettivamente ad ha 62.000, ha 19.000 ed ha 50.000 nel 1957, onde le superfici a meli, peri e peschi quasi raddoppiano nel decennio 1948-57. Le corrispondenti produzioni nazionali sono di q 3.784.000 di mele, q 2.113.000 di pere e q 1.910.000 di pesche nel 1948; q 9.716.000 di mele, q 3.606.000 di pere e q 5.405.000 di pesche nel 1957. Il che ci fa pensare, tra l'altro, che la frutta fresca non costituisca più per la tavola del nostro popolo un piatto eccezionale, il consumo annuo pro capite, di soli kg 22 nel 1900, essendo salito a kg 31 nel 1924-39 e a kg 49 nel 1958. Anche per queste derrate le esportazioni risultano considerevoli ad onta della concorrenza straniera.
Patrimonio zootecnico e relative produzioni. - Nei rapporti del patrimonio zootecnico il decennio 1948-57 rivela:
1) un deciso incremento numerico dei bovini (e del pollame);
2) un decremento numerico degli equini (causato dalla più intensa meccanizzazione), ovini e, soprattutto, caprini che però non controbilancia l'ascesa di cui in 1); per cui la consistenza globale in capi grossi alla fine del 1957 risulta più elevata (11.543.000) che nel 1948 (10.480.000). Sorte variabile, nel corso del periodo di tempo considerato, è riservata all'allevamento suino. Ascesa su tutti i fronti delle produzioni zootecniche: debole assai nel caso di carni ovine e caprine; cospicua per tutte le altre carni, particolarmente per quelle bovine e suine, del pollame, delle uova, del latte, del burro e del formaggio. Vi hanno concorso, tra l'altro, i considerevoli incrementi dei consumi annui pro capite, specie nel settore delle carni bovine e suine, dovuti alle migliorate condizioni economiche del popolo italiano nei periodi che seguono la prima e la seconda conflagrazione mondiale. Si pensi, a tal proposito, che il consumo annuo a persona delle carni è passato da kg 5,5 nel 1900 a kg 9,5 nel 1924-39 e a kg 12 nel 1957 con previsione di ulteriori, rapidi aumenti. Naturalmente appaiono in correlativa diminuzione i consumi annui individuali in pane e paste alimentari. Purtroppo, la nostra produzione agricola accusa deficienza in carni bovine (oltre che in pollame e uova) e ciò è assai grave non solo per ragioni di bilancia commerciale (dei pagamenti) ma ancora per essere l'Italia uno dei sei Paesi (Italia, Francia, Germania Occidentale, Belgio-Lussemburgo e Paesi Bassi) che hanno aderito al Mercato comune europeo (MEC).
Tra le nazioni della indicata Comunità, la Francia e l'Olanda concorrono nell'esportazione del bestiame bovino e carni bovine in Italia in misura considerevole (quasi 100.000 capi grossi e 10.000 q di carne nel 1955). Con l'entrata in vigore ai primi di gennaio del 1958 dei trattati relativi al MEC, ratificati nel dicembre del 1957, si è dato avvio alla attuazione di norme fondamentali e principalmente ad una prima riduzione del 10% delle tariffe doganali protettive, le quali dovrebbero estinguersi in 12 anni prorogabili fino a 18.
Poiché la Comunità è nata col fine di ridare forza e lavoro a salvaguardia della libertà del Continente europeo, l'Italia si trova impegnata nel campo della produzione delle carni bovine a basso costo non potendo, in proseguo di tempo, farvi fronte col favore di dazî protettivi. Il fine non può essere raggiunto che aumentando la produzione foraggera nazionale, la quale ha sempre costituito il fattore limitante della nostra impresa zootecnica. Pertanto, è necessario riformare, in parte, gli ordinamenti colturali contraendo, fino a un certo punto, le aree a cereali (frumento tenero e riso) e di alcune specie industriali a favore delle piante da foraggio, modificando altresì le utilizzazioni del latte prodotto dall'impresa agraria. Da notare che nel decennio preso in considerazione l'area a colture foraggere, specialmente a erbai annuali e intercalari, a prati alterni di erba medica e trifoglio ladino, si è accresciuta (come s'è accresciuto il patrimonio zootecnico nazionale), ma in misura insufficiente a incrementare gli allevamenti destinati a colmare il nostro fabbisogno in carni bovine, soddisfatto, finora, anche da massicce importazioni da paesi diversi da quelli aderenti alla Comunità europea. A tal fine sembrano necessarî altri 100 milioni di quintali di fieno (da aggiungere ai 350 milioni di quintali prodotti in Italia), i quali potranno ottenersi innalzando ancora le rese unitarie delle colture foraggere coi mezzi suggeriti dalla tecnica agronomica e dalla genetica vegetale.
Bibl.: Annuario dell'agricoltura italiana, III (1949); VI (1952); XI (1957); Annuario di statistica agraria, 1954, 1957, 1958; L'Italia agricola, XCV (1958); Giornale di agricoltura, LXIX (1959).