Albania
Il cinema fece il suo ingresso in A. tra il 1911 e il 1912, grazie ad alcune proiezioni pubbliche avvenute a Skhodër (Scutari) e a Korçë (Corizza). Negli stessi anni alcuni cineasti stranieri giunsero nel Paese per girare dei documentari, ma il loro lavoro non lasciò traccia. L'industria del cinema stentò infatti a decollare, tanto che soltanto nel 1942 fu realizzato (ma con capitali italiani) il primo documentario, Takim në liqen (Incontro sul lago) di Mihallaq Mone. Risale al 1947 la nascita della prima azienda, la Ndërmarrja Kinematografike Shqiptare (Impresa cinematografica albanese), ente statale che si proponeva di nazionalizzare i vari settori dell'industria. Il periodo iniziale di attività non fu dei più brillanti e si limitò alla produzione di documentari, di valore testimoniale più che estetico. Si cominciarono a realizzare film a soggetto a partire dall'inizio degli anni Cinquanta, dopo l'apertura del primo stabilimento, il Kinostudio Shqipëria e Re (Studio cinematografico Nuova Albania, 1953), e precisamente nel 1954, quando la coproduzione sovietico-albanese Velikij voin Albanii Skanderberg (Scanderberg, l'eroe albanese), firmata però dal sovietico Sergej I. Jutkevič, vinse due premi a Cannes; le prime opere interamente albanesi furono il cortometraggio Fëmijët e saj (1957, I suoi propri figli) di Hysen Hakani, e il lungometraggio Tana (1958) diretto da Kristaq Dhamo, che insieme a Dhimitër Anagnosti e Viktor Gjika si sarebbe rivelato in seguito uno dei maggiori autori del Paese. I film realizzati in questi anni di fervore creativo, ispirati ai modelli del realismo socialista, esaltano la lotta di classe, l'ideologia proletaria, il benessere derivante dal socialismo, l'ottimismo delle masse rivoluzionarie.
Negli anni Sessanta a tali temi si affiancò quello della lotta contro il fascismo e il nazismo combattuta dal popolo durante la Seconda guerra mondiale, che venne sviluppato in opere come Komisari i dritës (1966, Il commissario della luce) di Anagnosti e Gjika, o Njësiti guerril (1969, Squadra di guerriglia) di Hakani. Un vero e proprio boom della produzione si registrò negli anni Settanta, durante i quali, a causa dell'isolamento politico che teneva fuori dal mercato interno i film dei Paesi cosiddetti occidentali, venne sollecitata la realizzazione di opere nazionali. Si passò così in breve tempo da una media annua di sei film a dieci, per arrivare a quattordici negli anni Ottanta, e nel 1976 fu inaugurato il Festival del film d'arte di Tirana. Salì enormemente anche il numero degli schermi fissi e mobili, che attiravano annualmente oltre venti milioni di spettatori su una popolazione di circa un milione e mezzo di abitanti. Grande successo ebbero i film drammatici, i preferiti dal pubblico, come Dimri i fundit (1976, L'ultimo inverno) di Ibrahim Muçaj e Kristaq Mitro o Ballë për ballë (1979, Faccia a faccia) di Piro Milkani e Kujtim Çashku; ma un notevole interesse destarono anche i film per bambini, soprattutto quelli della regista Xhanfize Keko, come Beni ecën vetë (1976, Beni cammina da solo), e le commedie, tra le quali spicca Kapedani (1972, Il capitano) di Femi Hoshafi e Muharrem Fejzo.
Purtroppo, però, all'espansione produttiva non fece riscontro un miglioramento delle tecnologie, che cominciarono a essere notevolmente datate; negli anni Ottanta, a causa di tale ritardo, si aprì nell'industria cinematografica una grave crisi finanziaria. Accentuò questo stato di cose la presenza massiccia della televisione, che attrasse la maggior parte dei capitali precedentemente destinati al cinema. Paradossalmente, questo fu però anche un periodo in cui scrittori, intellettuali e artisti in genere guardarono al cinema come a un mezzo di espressione privilegiato, e in cui furono girati film come Udha e shkronjave (1982, La strada verso le lettere) di Vladimir Prifti, o Të paftuarit (1985, Aprile spezzato) di Çashku, tratto da un racconto di I. Kadaré. Lo scenario è cambiato nuovamente, e non in meglio, dopo il 1991, con la caduta del sistema socialista. Nel 1992 il Kinostudio Shqipëria e Re è stato privatizzato con il nome di Albafilm; ma senza aiuti economici statali e senza finanziatori stranieri privati a causa dei conflitti che hanno investito i Paesi balcanici, il cinema albanese è entrato in un periodo di crisi. Tra il 1992 e il 1997 la produzione è precipitata a una media di un film all'anno, mentre quasi tutte le sale sono state chiuse o trasformate in case da gioco.
Negli ultimi anni del 20° sec. non sono mancati tuttavia i segnali positivi, che sono arrivati da più fronti: registi e autori di cinema hanno dato vita a La lumière, un'associazione che garantisce la libera circolazione delle idee; la cineteca di Stato è divenuta una istituzione indipendente ed è entrata a far parte della Fédération internationale des archives du film (FIAF); è ripresa la produzione, seppur esigua, di documentari, cartoni animati, film a soggetto. Nel 1997 è stata ricostituita un'istituzione statale per occuparsi del settore, il Qendra Kombetare e Kinematografise (Centro nazionale del cinema), che da quel momento ha finanziato tre lungometraggi a soggetto all'anno. Sono giunti i primi capitali stranieri, soprattutto francesi, che hanno permesso la circolazione di opere albanesi nei festival internazionali: nel 2001 sono stati così premiati a Cannes Slogans di Gjergj Xhuvani e a Salonicco Tirana, année zéro di Fatmir Koçi. Un impulso determinante al rinnovamento è venuto anche dal Festival di Tirana: durante la sua undicesima edizione (2000), per es., si sono incontrati per la prima volta autori provenienti dal Kosovo, dalla Macedonia e dal Montenegro; un'occasione di confronto importante per discutere dei problemi dell'arte in un delicato momento di transizione. Ulteriori segnali incoraggianti sono giunti dall'esercizio: è infatti iniziata la costruzione di una rete di sale moderne, il cui primo esempio è il Millennium di Tirana (1999).
Université de Vincennes, Le cinéma albanais, Paris 1975.
N. Lako, Cinema albanese, in Storia del cinema mondiale, a cura di G.P. Brunetta, 3° vol., L'Europa. Le cinematografie nazionali, t. 2, Torino 2001, pp. 1173-89.