Vedi Albania dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
L’Albania, unico paese europeo allineato alla dottrina comunista cinese durante il periodo della Guerra fredda, ha adottato una politica isolazionista fino alla caduta del sistema bipolare. Il paese ha mantenuto la sua costituzione di ispirazione marxista fino al 1991, per poi adottarne una liberale soltanto nel 1998, dopo un lungo periodo di transizione durante il quale restò in vigore una legislazione d’emergenza, che aveva comunque già reintrodotto la democrazia repubblicana. Con la fine dell’era bipolare Tirana ha orientato la propria politica estera verso l’Occidente e in particolar modo verso i paesi dell’Europa occidentale e gli Stati Uniti. Per la sua posizione geografica, il paese ha rapporti privilegiati soprattutto con l’Italia, vista come il naturale sbocco per gli interscambi commerciali da un lato e, dall’altro, come una rampa di lancio per costruire relazioni amichevoli con il resto dell’Europa. Attualmente l’Albania fa parte delle più importanti organizzazioni internazionali, come la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale e, dal 2009, la Nato. È altresì membro di importanti organizzazioni regionali, come l’Organizzazione della cooperazione economica del Mar Nero (Bsec).
I rapporti con gli Stati Uniti sono stati improntati su un reciproco interesse strategico. Se Washington necessitava di un alleato stabile in un’area travagliata quale quella balcanica, per Tirana il rapporto con gli Stati Uniti era funzionale al tentativo di uscire dall’isolamento dei decenni precedenti. Accanto all’Unione Europea (Eu), cui ambisce a far parte, e agli Stati Uniti, una terza direttrice della politica estera albanese è quella che guarda proprio all’area balcanica. L’Albania mira infatti a intrattenere buoni rapporti con i suoi vicini. Tuttavia il tradizionale sostegno assicurato all’istanza indipendentista del Kosovo – paese in cui vive una popolazione a maggioranza albanese – ha creato attriti con la Serbia e, al contempo, la questione del trattamento delle minoranze albanesi genera tensioni anche con la Grecia e la Macedonia. I rapporti con la Turchia, erede dell’Impero Ottomano (di cui l’Albania ha fatto parte fino al 1912), sono attualmente buoni, anche in virtù della comune appartenenza alla religione musulmana: l’Albania è l’unico paese europeo, insieme alla Turchia, a far parte dell’Organizzazione della conferenza islamica (Oic).
Il sistema istituzionale albanese è caratterizzato dalla presenza di un parlamento unicamerale, con 140 seggi. Il presidente della repubblica, eletto dal parlamento con unamaggioranza dei tre quinti dei presenti, resta in carica cinque anni ed ha compiti cerimoniali, mentre il potere esecutivo è affidato al primo ministro, nominato dal presidente e confermato dalla maggioranza del parlamento. L’attuale maggioranza di governo, guidata dal primo ministro Sali Berisha, può contare su soli quattro parlamentari in più rispetto all’opposizione, rendendo l’esecutivo più instabile rispetto ai precedenti mandati. Tale instabilità si è manifestata nel gennaio 2011, quando scontri di piazza tra manifestanti e forze di polizia hanno provocato tre morti.
Tra gli obiettivi principali della politica albanese c’è quello di avvicinarsi all’Unione Europea, allo scopo di diventarne membro. Fin dal 1992, subito dopo la fine del regime comunista, Tirana ha stretto contatti con l’Eu firmando un primo accordo sul commercio e la cooperazione. Nel 2001 Bruxelles ha avviato il negoziato per la possibile firma con Tirana di un ‘Accordo di stabilizzazione e associazione’ (Saa), a culmine del Processo di stabilizzazione e associazione (Sap) previsto per cinque paesi dell’Europa sud-orientale, tra cui la stessa Albania. L’accordo è stato firmato nel 2006 ed è entrato in vigore il 1° aprile del 2009, mentre nel novembre del 2010 l’Eu ha approvato il sistema di abolizione dei visti per i cittadini albanesi, così come per quelli bosniaci. Tuttavia una forte delusione per le speranze di rapida adesione del paese all’Eu è occorsa a pochi giorni dall’abolizione dei visti, allorché il Consiglio europeo ha deciso di non concedere lo status di candidato a Tirana, condizione preliminare all’inizio dei negoziati d’accesso, citando la mancanza di dialogo tra il governo e l’opposizione.
Il 95% della popolazione è albanese, il 3% greco e il 2% è composto da minoranze etniche eterogenee tra cui Valacchi, Rom, Serbi, Macedoni, Montenegrini e Bulgari. Quanto alle appartenenze religiose, il 70% circa della popolazione è musulmano, il 20% albanese ortodosso, il 10% cristiano cattolico e vi sono piccole comunità ebraiche. Mentre i Rom sono piuttosto emarginati a livello sociale ed economico, le altre minoranze sono generalmente ben integrate. Notevole, inoltre, la presenza di minoranze albanesi nell’intera regione balcanica.
Con la fine del regime comunista, dall’inizio degli anni Novanta circa un quarto della popolazione albanese (il 27,5% nel 2005) è emigrato all’estero. La maggior parte degli emigrati si sono diretti verso Italia e Grecia, culturalmente e geograficamente più vicine, ma anche verso Regno Unito e Stati Uniti.
L’Albania è uno dei paesi dai quali partono e transitano numerosi uomini, donne e bambini vittime della tratta di esseri umani a fini di sfruttamento sessuale e lavoro forzato. Tra il 2000 e il 2004 sono state identificate 1750 vittime di origine albanese. Queste sono dirette prevalentemente verso la Grecia, ma paesi di destinazione sono anche l’Italia, la Macedonia, il Kosovo, la Spagna, la Francia e il Regno Unito. Gli uomini sono in genere destinati al lavoro forzato nel settore agricolo in Grecia e altri paesi confinanti. Si stima inoltre che la metà delle vittime abbia meno di 18 anni e sia per lo più costretta a elemosinare. Il governo sta compiendo numerosi sforzi per raggiungere gli standard minimi nell’eliminazione del traffico di esseri umani e combattere questo fenomeno.
Per quanto riguarda i livelli di benessere sociale, l’indice di sviluppo umano pone l’Albania al 64° posto nella classifica mondiale del 2010. Il tasso di alfabetizzazione è del 99%, ma il lavoro minorile è significativo (l’Unicef calcola che tra il 1999 e il 2007 circa il 12% dei bambini tra i 4 e i 15 anni lavorasse). Più del 90% della popolazione ha accesso ad acqua potabile e a strutture sanitarie adeguate. Quanto alla parità di genere, nelle istituzioni le donne sono sottorappresentate: nel 2009 solo 23 seggi parlamentari sono stati assegnati a donne. L’accesso a internet è piuttosto basso (23,9 abitanti su 100 nel 2009), soprattutto nelle aree rurali, ma è in aumento.
Con riferimento ai diritti civili e politici, informazione e corruzione rappresentano aspetti particolarmente critici. Durante la campagna elettorale del 2009 la maggior parte dei media ha favorito i due partiti principali, il Partito socialista d’Albania (Pss) e il Partito democratico d’Albania (Dpa), mentre ai partiti minori non è stata concessa una congrua quota di copertura. In generale, l’informazione è influenzata dagli interessi politici ed economici dei proprietari dei media, e i giornalisti sono spesso vittime di intimidazioni e attacchi. Il primo ministro Sali Berisha si è spesso servito di pretesti amministrativi per interrompere l’attività dei media critici verso il governo. La corruzione è molto diffusa: in un sondaggio del 2009 il 52% degli intervistati ha ammesso di aver dovuto pagare una tangente nell’anno precedente e l’Albania è all’87° posto della classifica mondiale di Transparency International sulla corruzione percepita.
La popolazione di etnia albanese non vive soltanto all’interno del territorio della Repubblica di Albania. Il Kosovo rappresenta il caso più emblematico: la regione, già appartenente alla Serbia, è abitata per più del 90% da Albanesi e quando, nel 2008, Pristina ha autoproclamato la propria indipendenza è stata subito riconosciuta da Tirana. Anche in Macedonia, Montenegro e Grecia sono presenti minoranze albanesi, così come nella parte meridionale della Serbia che confina con il Kosovo. In Grecia queste si concentrano nella regione costiera dell’Epiro, chiamata dagli Albanesi Ciamuria per via della popolazione che vi abita (gli Albanesi Cham) e, sebbene non esistano dati certi, si stima che contino per circa 40.000 abitanti. In Macedonia gli Albanesi, circa 500.000 (quasi il 25% della popolazione), lamentano condizioni discriminatorie. Sulla base della presenza di minoranze di etnia albanese su questi territori, nel 20° secolo si era aperta la questione della cosiddetta ‘Grande Albania’, un’ideologia che mirava a riportare sotto il controllo della Repubblica di Albania tutte le terre a maggioranza albanese e che rischiava di destabilizzare ulteriormente la regione. Ad oggi, sia all’interno della classe politica che nell’opinione pubblica, sembra comunque prevalere la volontà di concentrarsi maggiormente sui rapporti europei e trans-atlantici, mentre il nuovo assetto regionale sembra scongiurare il pericolo di nuovi conflitti nell’area che possano risvegliare sopiti istinti nazionalistici.
L’economia albanese è prevalentemente basata sui servizi, ma il settore agricolo ricopre ancora un ruolo di rilievo (generando il 21% del pil); tuttavia, l’agricoltura è caratterizzata da imprese di piccole dimensioni, infrastrutture insufficienti e bassa produttività. Quanto all’industria, essa conta per circa il 20% del pil e i principali prodotti esportati sono tessili e calzature, che generano circa il 43% dei proventi totali delle esportazioni. Maggiori partner commerciali sono l’Italia (che conta per il 61% delle esportazioni) e la Grecia. Ciò comporta una parziale dipendenza dell’economia albanese dall’export verso questi paesi, dipendenza che si è manifestata con la drastica ri-duzione delle merci esportate nel 2009 a causa degli effetti della crisi economica globale in Italia e in Grecia.
L’Albania attrae scarsi investimenti diretti esteri (ide): ciò è dovuto a numerosi fattori, quali le carenze nel settore della pubblica amministrazione e nel sistema giuridico, la corruzione diffusa e le insufficienti infrastrutture e forniture di elettricità. Inoltre il paese non ha ancora portato a termine quelle riforme strutturali che dovrebbero far ritenere compiuta la transizione verso l’economia di mercato. Numerose imprese italiane investono comunque nel settore tessile e cal-zaturiero, attirate dai bassi costi della manodopera.
Tra il 2004 e il 2008 il pil è cresciuto del 6% all’anno, ma l’Albania rimane uno dei paesi più poveri in Europa, con un pil pro capite di soli 8245 dollari nel 2009. L’economia albanese ha inoltre subito i contraccolpi della crisi: nel 2009 il pil è cresciuto soltanto del 3%, e la disoccupazione ha raggiunto il 14% della popolazione attiva.
Le rimesse dei numerosi emigrati rivestono notevole importanza (nel 2008 costituivano il 12,2% del pil). Il 70% circa degli emigrati albanesi invia denaro alle proprie famiglie in patria: dalla Grecia giunge circa il 50% delle rimesse, mentre un ulteriore 40% giunge dall’Italia. Inoltre, a partire dal 2007 l’Albania ha ricevuto aiuti dall’Unione Europea (circa 80 milioni di euro nel 2009) nel quadro dei meccanismi di assistenza preadesione, volti in particolare a migliorare la competitività del settore privato, la capacità di attrazione di ide, le infrastrutture idriche e le condizioni delle forze di polizia.
L’Albania possiede alcuni giacimenti petroliferi ma è dipendente dalle importazioni per il 50% del proprio fabbisogno. Si registrano inoltre periodi di scarsità di energia dovuti alla mancanza di investimenti in nuova capacità di generazione e al rapido aumento della domanda. Di qui l’importanza della promozione di politiche di efficienza energetica. Di rilievo anche lo sviluppo dell’energia idroelettrica, che oggi genera il 98% dell’elettricità consumata dal paese e che ha contribuito alla riduzione delle emissioni di CO2 (nel 2005 scese del 26% rispetto al 1990).
L’Albania è stata testimone di un proliferare di organizzazioni criminali, soprattutto in virtù della concomitanza di due fattori: una posizione geografica strategica e il carente controllo sul proprio territorio. In quanto situato sulla direttrice che dall’Est porta verso l’Europa occidentale, il paese è infatti una sorta di hub per i flussi di migrazione clandestina, droga e armi verso l’Italia e, da lì, verso il resto d’Europa; inoltre, a causa di un sistema statale uscito debole dalla transizione dei primi anni Novanta, la mafia albanese è riuscita con più facilità a controllare ampie parti di territorio, adattandole ai suoi traffici clandestini. Si stima che quasi l’80% dell’eroina che entra in Europa transiti per i Balcani; anche il traffico di cocaina, proveniente dall’America Latina, troverebbe nell’Albania (e nel Kosovo) uno sbocco verso il continente europeo. La mafia albanese è molto radicata sui territori confinanti, anche grazie ai contatti con le altre organizzazioni criminali come la mafia turca, la Nuova sacra corona unita in Italia e le mafie russa e montenegrina. Per l’efferatezza dei comportamenti, soprattutto nei riguardi delle donne costrette a prostituirsi (lo sfruttamento della prostituzione è oggi l’attività cui è maggiormente dedita la mafia albanese), l’Italia ha deciso di applicare un reato che non aveva quasi mai trovato attuazione, quello della ‘riduzione in schiavitù’ (art. 600 del Codice penale italiano).
L’ingresso dell’Albania nella Nato nel 2009 (insieme alla Croazia) rappresenta l’evoluzione più importante degli ultimi anni per ciò che concerne la posizione strategica e i rapporti dell’Albania con i paesi occidentali. Dalla caduta del regime comunista, il paese ha contribuito alla missione della Nato per la stabilizzazione della Bosnia Erzegovina (Sfor) e fornisce assistenza logistica alla missione in Kosovo (Kfor), oltre ad aver fornito protezione e rifugio a migliaia di kosovari durante il conflitto di fine anni Novanta. L’alleanza strategica con gli Stati Uniti è stata consolidata dalla partecipazione albanese alle operazioni a guida statunitense in Afghanistan (dal 2001) e in Iraq (2003). In Afghanistan l’Albania ha partecipato come alleato nell’operazione a guida Usa Enduring Freedom prima e, attualmente, è presente con 250 unità nell’ambito della missione Isaf della Nato.
Elemento di crescente rilevanza per la cooperazione regionale alla sicurezza nell’area dei Balcani e con l’Italia è infine la lotta alle reti transfrontaliere della criminalità organizzata.