Pseudonimo dello scrittore Aldo Giurlani (Firenze 1885 - Roma 1974). P. ha manifestato il suo estro funambolesco fin dall'esordio come poeta crepuscolare e nell'effimera adesione al futurismo. Ha attraversato l'esperienza dell'avanguardia di inizio secolo, quella del «ritorno all'ordine» degli anni Venti e in seguito la ripresa sperimentale delle avanguardie degli anni Sessanta con una sua inconfondibile giocondità, enigmatica e inafferabile, attraverso la quale ha tratto alla luce sproporzioni e incongruità, in un'irridente distruzione dei rapporti normali tra le cose.
Si dedicò alla letteratura dopo aver frequentato una scuola di recitazione inisieme a Moretti di cui divenne grande amico e assunse lo pseudonimo di Palazzeschi dal cognome della nonna. Dopo essere stato costretto, durante la guerra, all'esperienza militare, visse nel dopoguerra una vita appartata e solitaria, rimanendo estraneo al fascismo e impegnandosi soprattutto in un'attività di narratore, che gli guadagnò i favori del pubblico. Collaborò dal 1926 al Corriere della sera. Visse a Firenze fino al 1950, anno in cui si trasferì a Roma. Nel 1957 gli fu consegnato dall'Accademia dei Lincei il premio internazionale Feltrinelli per la letteraturra; nel 1960 gli venne conferita dall'università di Padova la laurea in lettere honoris causa.
Esordì come poeta crepuscolare (I cavalli bianchi, 1905; Lanterna, 1907; Poemi, 1909), di una malinconia venata non tanto di ironia quanto di un estro funambolesco. Effimera fu la sua adesione al futurismo (L'incendiario, 1910; 2a ed. ampliata 1913). Ma poiché l'intimo ritmo dei suoi versi (cfr. la raccolta completa delle Poesie, 1925; ed. definitiva 1930) era narrativo, P. ben presto trovò più adeguata espressione nella prosa di racconti e romanzi: la quale, d'altro canto, da quella ancor diafana di Riflessi (1908; poi raccolto, insieme ai successivi Il codice di Perelà e La piramide, con il tit. Allegoria di novembre, in Romanzi straordinari, 1943) e Il codice di Perelà (1911; nuova ed., col tit. Perelà uomo di fumo, 1954), a quella narrativamente più nutrita e complessa delle opere successive (Il re bello, 1921; La piramide, 1926; Stampe dell'800, 1932; Sorelle Materassi, il suo libro più famoso, 1934; Il palio dei buffi, 1936; I fratelli Cuccoli, 1948; Bestie del '900, 1951; Roma, 1953; Il buffo integrale, 1966; Il doge, 1967; Stefanino, 1969; Storia di un'amicizia, 1971), recherà sempre come la filigrana di quei versi, essendo similmente intessuta di dialoghi, filastrocche, cavatine, e attenta ai valori di suono, asintattica e anacolutica per «magia» di stile. La narrativa di P., movendo da un bozzettismo toscano e ottocentesco, di un realismo crudo e un po' becero, giunge - non senza, certo, virtuosismi e artifici - a una leggerezza verbale e musicale da opera buffa: dove quel realismo si contempera col surrealismo di uno spirito caricaturale che, anche quando sembra voler pungere, è pieno di pietà e cristiana carità per quei singolari personaggi, a mezzo fra la «pura follia» di una vita fantastica e la tristezza, e tristizia, della comune esistenza. Altre opere di P.: Due imperi... mancati (1920), ispirata da sue personali esperienze della prima guerra mondiale; Tre imperi... mancati (1945), relativa alla seconda guerra mondiale e al fascismo, di cui egli fu costante avversario; Scherzi di gioventù (1956), raccolta di pagine giovanili; Ieri, oggi e... non domani (1967), che riunisce i suoi elzeviri; e una serie di poesie «della vecchiaia» (Viaggio sentimentale, 1955; Cuor mio, 1968; Via delle cento stelle, 1972), vivide peraltro - come i racconti di questo stesso periodo - di un'inventiva e di una comunicativa in cui si è più che mai acuito quell'amoroso attaccamento del poeta alla vita, al flusso esistenziale pur così pieno di dolore. Rinvenuto tra le carte del Fondo P. (donate alla Facoltà di lettere dell'univ. di Firenze), è stato pubblicato nel 1988 il romanzo Interrogatorio della contessa Maria, vivace ritratto di un anticonformistico personaggio femminile, scritto forse prima del 1915.