Volta, Alessandro
Una vita per l’elettricità
Alessandro Volta inventò la pila, l’antenata delle moderne batterie che servono per far funzionare i dispositivi portatili. La pila è stata il primo generatore in grado di produrre una corrente costante, una innovazione rivoluzionaria che ha reso famoso in tutta Europa il suo ideatore. Ancora oggi, in onore dello scienziato italiano, l’unità di misura della differenza di potenziale elettrico prende il nome di volt e il fenomeno che consente il funzionamento delle pile si chiama effetto Volta
Nobile per discendenza familiare, conte per meriti scientifici, il fisico e chimico italiano Alessandro Volta ha segnato la storia dell’elettricità con l’invenzione della pila.
La propensione di Volta per gli studi scientifici si rivelò presto, quando abbandonò il collegio dei gesuiti di Como – la città dove era nato nel 1745 e dove morì nel 1827 – per proseguire da solo le sue ricerche scientifiche. Nel 1774 fu nominato professore di fisica alla Scuola reale di Como, mentre nel 1778 ottenne la cattedra di fisica sperimentale all’Università di Pavia, dove insegnò per alcuni decenni.
Molto apprezzato in Europa per le sue ricerche, Volta fu invitato dalle istituzioni più famose del tempo a illustrare le sue invenzioni: così accadde anche per la pila, presentata a Napoleone durante una seduta dell’Académie française. L’invenzione della pila fu rivoluzionaria per l’epoca: si trattava del primo metodo pratico per mantenere una corrente elettrica costante – requisito fondamentale per il funzionamento delle macchine – e Napoleone stesso ne riconobbe l’importanza nominando Alessandro Volta conte in onore delle sue ricerche.
Ma la pila ha rappresentato una tappa fondamentale anche nel cambiamento del nostro modo di vivere, perché la maggior parte dei dispositivi portatili oggi in uso funziona proprio a batteria. Tanta notorietà ha tuttavia finito per mettere in secondo piano gli altri strumenti che lo scienziato ha realizzato, come l’elettroforo – un dispositivo utilizzato per accumulare cariche elettriche – e le ricerche che ha condotto sui gas.
Nel 1791 Luigi Galvani, professore di anatomia a Bologna, annunciò l’esistenza di una elettricità animale. Durante gli esperimenti da lui condotti su rane scorticate, lo studioso aveva osservato che un contatto metallico stabilito tra i nervi lombari e i muscoli degli arti inferiori faceva contrarre le zampe degli animali. Galvani spiegava il fenomeno pensando che il muscolo dell’animale e l’arco metallico formassero un vero e proprio circuito elettrico in cui poteva scorrere la presunta elettricità animale.
Volta appoggiò inizialmente questa tesi, salvo poi convincersi del fatto che la rana era solo un indicatore del passaggio di corrente, ma non ne era la causa. A fargli cambiare idea fu un particolare, già notato da Galvani ma da questi sottovalutato: le contrazioni delle rane erano molto più evidenti quando l’arco era formato da metalli diversi. Secondo Volta le cause del fenomeno andavano cercate proprio nell’arco metallico e non nelle rane, attraverso cui passava solo comune corrente elettrica. La disputa che nacque a proposito di queste due interpretazioni coinvolse, oltre ai suoi iniziatori, anche i loro studenti presso le rispettive università e indusse Volta a proseguire le ricerche da cui poi sarebbe nata la pila.
Per far passare corrente in un circuito qualsiasi – e non solo nelle zampe della povera rana! – serve un generatore, cioè un dispositivo in grado di mantenere ai suoi capi una differenza di potenziale costante.
Come abbiamo detto, la pila di Volta è stata il primo generatore di elettricità in grado di produrre una corrente costante nel tempo. Il suo nome dipende dalla disposizione ‘a pila’, cioè l’uno sopra l’altro, degli elementi voltaici, le coppie di dischi – l’uno di rame e l’altro di zinco – che la formano. I metalli non sono messi a contatto diretto, ma sono intervallati da un panno inumidito con acqua acidulata.
Il funzionamento di questo dispositivo è del tutto simile a quello delle comuni pile che incontriamo nei laboratori didattici. In questo caso i dischi sono sostituiti da due bacchette formate da metalli diversi (per esempio rame e zinco), chiamate elettrodi, immerse in una soluzione elettrolitica, cioè una soluzione acquosa di sali o di acidi che permettono il passaggio della corrente perché in essa sono presenti particelle cariche elettricamente, dette ioni (ionizzazione). Ogni elettrodo metallico, una volta immerso nella soluzione, si dissocia parzialmente e cede altri ioni: così si genera una differenza di potenziale tra il metallo e la soluzione. La differenza di potenziale dipende dal metallo considerato – nella coppia zinco-rame è lo zinco che assume il potenziale più negativo – e lo squilibrio permette il passaggio di una corrente elettrica dal rame allo zinco quando i due elettrodi sono collegati da un filo conduttore. Ma il fenomeno, di per sé, finirebbe subito se il circuito non fosse chiuso dalla soluzione elettrolitica: le reazioni chimiche che avvengono tra gli ioni e gli elettrodi mantengono lo squilibrio di carica indispensabile per il passaggio di corrente (elettrolisi).
La pila di Volta può funzionare perché esiste una differenza di potenziale fra due conduttori diversi messi a contatto tra loro e mantenuti alla stessa temperatura. Il fenomeno, noto come effetto Volta, permette di ordinare tutti i metalli in una serie voltaica: basta prendere come riferimento un qualsiasi metallo e valutare l’entità dell’effetto Volta che si registra quando è messo a contatto con gli altri della serie.
Se si mettono a contatto più conduttori metallici, la differenza di potenziale dipende solo dal primo e dall’ultimo elemento della catena, indipendentemente dagli altri elementi che vi sono inframmezzati, e quindi se lo stesso metallo si trova sia all’inizio sia alla fine di una catena la differenza di potenziale è nulla. Questa però non è una legge generale: la rispettano i metalli – chiamati dallo stesso Volta conduttori di prima specie – ma non i conduttori ionici, come le soluzioni elettrolitiche – chiamati per questo conduttori di seconda specie. In questi ultimi può scorrere corrente anche se la catena è chiusa, come accade in un pila. E infatti il dispositivo di Volta deve il suo funzionamento proprio al panno inumidito con acqua acidulata – un conduttore elettrolitico – che separa il rame dallo zinco.
La differenza di potenziale – spesso abbreviata in d. d. p e indicata anche come tensione o voltaggio – tra due punti misura il ‘dislivello’ elettrico che esiste tra essi. La d. d. p. si ottiene come quoziente fra il lavoro fatto dalle forze del campo elettrico per spostare una carica da un punto all’altro e il valore della carica stessa. Alessandro Volta ebbe molte occasioni per occuparsi della tensione durante le sue ricerche, e in suo onore oggi l’unità di misura di questa grandezza nel Sistema Internazionale prende il nome di volt (V). Le pile che abitualmente utilizziamo mantengono tra i loro poli, positivo e negativo, una differenza di potenziale di 1,5 V e in generale tutti i dispositivi elettrici devono riportare un’indicazione con la tensione elettrica di funzionamento.
Alessandro Volta manteneva contatti epistolari con i principali studiosi del tempo e proprio per lettera comunicò la scoperta della pila a Sir Joseph Banks, presidente della Royal society di Londra. Nella missiva datata 20 marzo 1800, così descrive il dispositivo realizzato: «L’apparecchio di cui vi parlo e che senza dubbio vi meraviglierà non è che l’insieme di un numero di buoni conduttori di differente specie, disposti in modo particolare, 30, 40, 60 pezzi o più di rame [...] applicati ciascuno a un pezzo di [...] zinco, e un numero uguale di strati d’acqua, o di qualche altro umore che sia migliore conduttore dell’acqua semplice, come l’acqua salata [...]: di tali strati interposti a ogni coppia o combinazione di due metalli differenti, una tale serie alternata, e sempre nel medesimo ordine, di questi tre pezzi conduttori, ecco tutto ciò che costituisce il mio nuovo strumento».