Amarcord
(Italia/Francia 1973, colore, 127m); regia: Federico Fellini; produzione: Franco Cristaldi per FC/PECF; sceneggiatura: Federico Fellini, Tonino Guerra; fotografia: Giuseppe Rotunno; montaggio: Ruggero Mastroianni; scenografia e costumi: Danilo Donati; musica: Nino Rota.
Provincia romagnola, Rimini, anni Trenta, un anno di passaggio. L'adolescenza di Titta, ragazzino come tanti altri. Professori improbabili e caricaturali, genitori burberi e affettuosi, che si barcamenano fra le difficoltà della vita in un'Italia entusiasticamente fascista. La perdita delle persone care, la saggezza di uno zio matto, reso mansueto da una suora nana, lo smarrirsi d'un vecchio nonno nella nebbia, le scorribande dei più giovani, alla scoperta del cinema e del sesso, con un occhio alle tabaccaie maggiorate e l'altro all'irraggiungibile Gradisca (detta così per la sua disponibilità nei confronti di un Principe di passaggio…). Situazioni piccole e grandi: un pavone che apre la coda sulla piazza, una nevicata come non s'era mai vista, il passaggio del transatlantico Rex e della Mille Miglia, le adunate del Regime con annessi saggi ginnici, le mille leggende di paese e la galleria dei suoi abitanti, fra malinconie invernali e rinascite estive. Alla fine, perfino la Gradisca si sposa, e con un carabiniere. Prima che abbandoni Rimini per sempre, tutti si ritrovano nel solito, immenso e onirico, girotondo felliniano.
Amarcord è il film con cui Federico Fellini giunge a una sintesi fra le istanze di autobiografismo onirico presenti in opere come I vitelloni, La dolce vita o 8 1/2 e le pulsioni verso una poesia cinematografica fra sublime e grottesco di La strada (1954), Le notti di Cabiria (1957), Fellini Satyricon (1969), Roma (1972). Il titolo fa immediatamente pensare a un film sulla memoria, ipotesi avvalorata dall'aneddotica che vuole il personaggio di Titta modellato sull'amico d'infanzia Luigi Benzi e dal riscontro nella realtà che la maggior parte dei personaggi ha trovato. Naturalmente, quando si parla di Fellini, l'aspetto autobiografico dev'essere sempre preso col beneficio d'inventario. I professori, lo zio matto, la Gradisca, i gerarchi, tutta la galleria di figure bizzarre che vengono tratteggiate col gusto caricaturale del vignettista è ispirata ‒ ma molto liberamente ‒ alla popolazione del 'borgo' riminese dove Fellini ebbe modo di trascorrere l'infanzia. Ma la cosa più importante è il modo in cui Fellini e il poeta dialettale Tonino Guerra hanno saputo costruire l'atmosfera di questa evocazione di un fantasmatico passato.
In realtà, il regista ha sempre cercato di minimizzare questo lato del film. Nelle sue dichiarazioni Amarcord non è tanto l'espressione romagnola di 'mi ricordo', quanto un segno cabalistico, una parola scelta per il suo suono curioso fra altre ipotesi altrettanto plausibili come Il borgo o, addirittura, Viva l'Italia. Per lui il film è innanzitutto una sorta di analisi psicosociologica, condotta con i mezzi che più gli sono congeniali, sulle ragioni profonde del fascismo, inteso più come categoria dello spirito che come preciso e delimitato periodo storico. Amarcord sarebbe allora una pellicola sull'innato provincialismo del popolo italiano, sulla sua irrisolvibile immaturità e sul suo bisogno di deresponsabilizzarsi affidandosi a figure forti di riferimento, idoli di cartapesta, per poter continuare a vivere in una patologica sospensione fra le meschinità di una vita reale angusta e gli illimitati orizzonti del sogno.
Non si può certo dire che questo aspetto, in Amarcord (che, almeno in parte, è anche un film sul 'fellinismo'), non sia presente. D'altra parte, come sempre, Fellini non si tira fuori dal gioco: è parte in causa, e il suo moralismo è sempre filtrato da un umanesimo fatto di nostalgica empatia. La sua, dunque, è una delle pochissime opere che raccontano il fascismo dall'interno, che arrivano a penetrarne criticamente le ragioni ma al di qua di ogni giudizio storico. Peraltro, il film chiama continuamente in causa anche lo spettatore, sia direttamente, attraverso le numerose interpellazioni, sia in senso più generale, costringendolo a fare i conti con la propria memoria e la sua rappresentazione. In definitiva, Fellini parte da un dato politico e ideologico, poi lo abbandona progressivamente. Il suo talento cinematografico prende il sopravvento e, complice la disciplina poetica impostagli da Guerra, il film impone le proprie ragioni. Amarcord finisce così per essere fedele al suo destino di affresco corale (tecnicamente, per la molteplicità dei punti di vista, e in senso più ampio, per la sua universalità sancita da un successo senza confini) sul paese incantato dei ricordi e sulla commovente dolcezza del passato. Oscar per il miglior film straniero nel 1974.
Interpreti e personaggi: Bruno Zanin (Titta Biondi), Pupella Maggio (Miranda, madre di Titta), Armando Brancia (Aurelio, padre di Titta), Stefano Proietti (Oliva, fratello di Titta), Giuseppe Ianigro (nonno di Titta), Nandino Orfei (il Pataca, zio di Titta), Ciccio Ingrassia (Teo, lo zio matto), Carla Mora (Gina, la cameriera), Magali Noël (Gradisca), Luigi Rossi (avvocato), Maria Antonietta Beluzzi (tabaccaia), Josiane Tanzilli (Volpina), Domenico Pertica (cieco di Cantarel), Antonino Faà Di Bruno (conte di Lovignano), Carmela Eusepi (figlia del conte), Gennaro Ombra (Biscein), Gianfilippo Carcano (don Balosa), Francesco Maselli (Bongioanni, professore di scienze), Dina Adorni (De Leonardis, professoressa di matematica), Francesco Vona (Candela), Bruno Lenzi (Gigliozzi), Lino Patruno (Bobo), Armando Villella (Fighetta, professore di greco), Francesco Magno (preside Zeus), Gianfranco Marrocco (conte Poltavo), Fausto Signorotti (Madonna, il vetturino), Donatella Gambini (Aldina Cordini), Fides Stagni (professoressa di Belle Arti), Fredo Pistoni (Colonia), Ferruccio Brembilla (gerarca), Mauro Misul (professore di filosofia), Antonio Spaccatini (federale), Aristide Caporale (Giudizio), Marcello Di Folco (Principe), Bruno Scagnetti (Ovo), Alvaro Vitali (Naso), Ferdinando De Felice (Ciccio), Mario Silvestri (professore di italiano), Dante Cleri (professore di storia), Mario Liberati (proprietario del Fulgor), Marina Trovalusci, Fiorella Magalotti (sorelle della Gradisca), Vincenzo Caldarola (mendicante), Mario Milo (fotografo), Cesare Martignoni (barbiere), Mario Jovinelli (altro barbiere), Costantino Serraino (Gigino Penna Bianca), Amerigo Castrichella, Dario Giacomelli (amici del Pataca), Giuseppe Papaleo (gagà), Mario Nebolini (segretario comunale), Bruno Bartocci (marito della Gradisca), Clemente Baccherini (proprietario del Caffè Commercio), Torindo Bernardo (prete), Marcello Borini Olas (professore di educazione fisica), Marco Laurentino (mutilato della Grande Guerra), Riccardo Satta (sensale).
F. Fellini, T. Guerra, Amarcord, Milano 1973.
O. Del Buono, L. Betti, Federcord: disegni per 'Amarcord' di Federico Fellini, Milano 1974.
C. Maccari, Caro Fellini a m'arcord, Parma 1974.
N. Taddei, Federico Fellini: 'Amarcord', Roma 1974.
A. Tassone, From Romagna to Rome: The Voyage of a Visionary Chronicler ('Roma' and 'Amarcord'), in Federico Fellini: Essays in Criticism a cura di P. Bondanella, New York 1978.
Sceneggiatura: Il film 'Amarcord' di Federico Fellini, a cura di G. Angelucci, L. Betti, Bologna 1974.