Ancona
Nelle vicende storiche che contrassegnarono la politica degli Svevi in Italia, la città di Ancona ha sempre occupato una posizione di rilievo. Essa, grazie ai suoi antichi rapporti con Bisanzio, nella prima metà del sec. XII raggiunse uno sviluppo notevole nei commerci, nella navigazione e nell'organizzazione amministrativa comunale. Nell'età di Federico II di Svevia, Ancona con il suo porto continuò ad essere al centro delle vicende politiche del tempo. Fondamentale nei collegamenti nord-sud per l'imperatore, interessato ai suoi domini meridionali, ma non meno essenziale al papa, per lo scorrimento est-ovest dei traffici e per il fronte antimusulmano. Per non dire della rivalità della città dorica con Venezia nel medio Adriatico.
Dopo la fine dei Comneni cessò la protezione di Ancona da parte di Bisanzio. La città, sempre più insidiata da Venezia, che cercava di paralizzarne le attività commerciali e marittime, si affidò alla protezione della Chiesa appoggiando la politica dei papi nell'Italia centrale. La Santa Sede, a sua volta, per assicurarsi la fedeltà di Ancona fu larga di protezione e privilegi. Il 31 agosto del 1198, dopo aver apertamente aderito alla politica di papa Innocenzo III, si pose a capo di una confederazione di città marchigiane e romagnole per combattere la tirannia di Marcovaldo di Annweiler (v.), a cui l'imperatore Enrico VI aveva concesso in feudo la Marca d'Ancona e il ducato di Ravenna. Alla lega, capeggiata da Ancona, avevano aderito anche Osimo, Senigallia e Fermo con il coinvolgimento di Ravenna e Rimini. La lotta fu durissima ma alla fine Marcovaldo, odiato dalle popolazioni per il suo esoso fiscalismo, dovette cedere e fuggire in Sicilia. Nello stesso anno Ancona concluse un accordo bilaterale con Osimo, valido per dieci anni, in cui gli osimani promettevano di non utilizzare altro scalo commerciale al di fuori del porto dorico, garantendosi la "potestatem honerandi et exonerandi in portu Ancone civitatis et eundi per mare".
Le città e i comuni della Marca, ostacolati da reciproci sospetti e gelosie e lacerati da lotte interne di fazione, non riuscirono mai a raggiungere quell'intesa che avrebbe consentito una fattiva collaborazione per un interesse generale e un ideale comune.
Nel 1201 Ancona, che era uscita dalla precedente lega, combatté una guerra contro le città di Osimo, Iesi, Fermo e Fano, ma l'anno successivo papa Innocenzo III riuscì a indurre la città dorica e i suoi alleati a concludere un patto di concordia con le città nemiche. La stipula di questo patto ebbe luogo solennemente il 18 gennaio nella località di Polverigi.
Gli antagonismi tra le città marchigiane erano alimentati anche dalle vicende riguardanti la lotta per la successione all'Impero. Morto Enrico VI, si disputarono a lungo la corona imperiale Filippo di Svevia, fratello del defunto imperatore, e Ottone di Bruns-wick. Con il primo si schierarono le forze ghibelline ostili al Papato e con il secondo quelle guelfe sostenute da Innocenzo III. Quest'ultimo, all'inizio del 1205, incitava i cittadini di Ancona ad opporsi con forza all'arcivescovo di Worms, Lupoldo, che Filippo aveva inviato in Italia come suo rappresentante. Non fidandosi delle promesse del pontefice, Ancona accolse Lupoldo e con essa anche altre città che appena cinque anni prima si erano collegate contro Marcovaldo di Annweiler. Il papa ne fu amareggiato e deluso, tanto che in una lettera alla città di Ancona espresse tutto il suo rammarico e la sua indignazione. Stanco degli atteggiamenti anarchici delle città marchigiane, Innocenzo III decise di infeudare la Marca ad Azzo d'Este. Fu un tentativo di salvare la situazione ormai irreparabilmente compromessa.
In realtà la Marca era in uno stato di totale disordine, frastornata da un guazzabuglio di poteri, a cui l'autorità di Azzo, e più tardi di suo figlio Aldobrandino, poteva porre ben poco rimedio. Nel mese di maggio del 1214 Aldobrandino scrisse anche al comune di Ancona invitandolo all'obbedienza e alla collaborazione.
Pochi anni dopo la morte di Innocenzo III la situazione della Marca appariva relativamente tranquilla, grazie anche agli accordi generali tra il nuovo papa Onorio III e Federico II, che nel frattempo era tornato dalla Germania. Quegli accordi prevedevano l'affidamento della Marca anconetana al pontefice, che nel 1217 usò il pugno di ferro per far rispettare ad Ancona, Recanati, Numana, Cingoli, Treia e Castelfidardo l'infeudamento al marchese d'Este.
Uno degli eventi salienti della storia del sec. XIII fu sicuramente il grave contrasto degli anni 1228-1229 tra l'imperatore Federico II e il nuovo papa Gregorio IX. La lotta tra i due scoppiò perché l'imperatore rinviava e disattendeva l'impegno preso con il papa di partire per una crociata per liberare Gerusalemme. Ma in realtà il vero contrasto risiedeva nel fatto che l'idea della universalis potestas del papa, intesa come potere giuridico su tutti i Regni, era del tutto inconciliabile con quella dell'imperialis potestas, intesa da Federico II come diritto ad esercitare autocraticamente il potere.
Quando nel 1228 l'imperatore finalmente si decise a partire per la crociata, nominò suo luogotenente nel Regno di Sicilia, con poteri di legato anche nelle regioni sottoposte al dominio papale come la Marca, Rainaldo di Urslingen duca di Spoleto (v.). Costui aveva la facoltà di intervenire militarmente nella Marca in caso fossero sorte complicazioni. Queste non tardarono a verificarsi, tanto che nell'ottobre del 1228 Rainaldo decise di invadere i territori marchigiani. La sua avanzata iniziò ad Arquata del Tronto e si spinse fino a Macerata. Città e castelli di parte guelfa furono devastati. Ancona fu risparmiata, ma la città già si trovava in piena contesa con Venezia che, per isolare sempre più la sua rivale, nello stesso anno strinse un patto di alleanza con Osimo, Recanati, Castelfidardo, Cingoli, Numana e rese più solidi i suoi rapporti con Rimini, Fano, Senigallia e Fermo.
Interessi economici e politici si intrecciarono. Il papa non volle che i porti situati in zone di suo dominio, diretto o indiretto, si legassero ad altra potenza. Ancona, infastidita da Venezia, si appoggiava al papa, ma altri comuni non gradivano la crescente ingerenza del pontefice nella Marca e si unirono contro la città.
In queste alleanze si intravede la volontà delle località marchigiane di legarsi a Venezia per intensificare i propri commerci. La città lagunare infatti garantiva piena libertà di importazione ed esportazione nei loro territori, favorendole con l'esenzione dei dazi d'entrata e d'uscita. I comuni marchigiani promisero, inoltre, appoggio militare a Venezia in caso di un suo conflitto armato contro Ancona. Si creò una situazione tale che nel 1264 Ancona fu costretta a riconoscere la supremazia commerciale di Venezia.
La prima fase della lotta tra Papato e Impero si chiuse con un trattato di pace sottoscritto a San Germano il 23 luglio del 1230. Il 25 settembre dello stesso anno il papa nominò come rettore della Marca il vescovo francese Milone di Beauvais che, però, non raccolse grandi favori fra le città marchigiane, anche a causa di alcune drastiche prese di posizione contro i comuni. Ancona fece la sua parte nel contrastare la missione del vescovo Milone. L'atteggiamento del rettore contribuì non poco al formarsi di una forte opposizione antipapale che sfociò, il 15 maggio 1232, nella costituzione a Iesi di una lega tra Ancona, Fano, Camerino, Cagli, Sassoferrato, Arcevia e Treia. La lega ebbe successo perché nell'autunno dello stesso anno il rettore fu sostituito con il cardinale di S. Prassede Giovanni Colonna (v.). Gregorio IX accusò i rappresentanti del comune di Ancona di ingratitudine e li minacciò di gravi sanzioni se la città non fosse ritornata al più presto all'obbedienza della Santa Sede.
La pace di San Germano determinò solo un breve periodo di tregua e la lotta tra le due potenze riprese con violenza. Costretti a un difficile equilibrismo politico per non essere travolti, i comuni marchigiani non si facevano scrupolo di approfittare di ogni situazione, mentre papalini e imperiali facevano a gara in concessioni per procurarsi alleati. Ancona fu costretta ad abbandonare il suo atteggiamento incerto e si schierò dalla parte del pontefice.
Intanto Federico II l'aveva promessa a Raniero, conte di Cuneo. Ancona, più volte, dovette sostenere attacchi da parte di milizie ghibelline guidate dagli osimani, subendo pesanti perdite e gravi danni.
L'isolamento di Ancona, oltre che dalle armi imperiali, era determinato dalla politica di Venezia che, in contrasto con Gregorio IX, si era schierata dalla parte dell'imperatore e vigilava affinché le città marchigiane, ad essa alleate, ostacolassero con ogni mezzo la sua concorrenza commerciale nel medio Adriatico.
L'ascesa militare delle truppe imperiali nella regione proseguì con successo negli anni 1240-1245. Alla fine del quinquennio soltanto Ancona, respinto l'assedio del vicario imperiale Giacomo di Morra (v.) nel giugno del 1244, restava favorevole al papa.
Intanto il cardinale Giovanni Colonna fu sostituito nell'ufficio di rettore dal cardinale Sinibaldo Fieschi, futuro papa Innocenzo IV. Anch'egli, però, di lì a poco venne sostituito dal vescovo di Arezzo, Marcellino, che Federico II aveva espulso dalla sua sede.
Nel 1248 si svolse una grande battaglia, prima presso Osimo, poi nelle vicinanze di Civitanova. Scopo degli imperiali era quello di conquistare Ancona, principale sostegno dei guelfi e del legato papale. Alla testa dell'esercito antipapale c'era Osimo spalleggiata da milizie saracene e da soldati di Macerata, Iesi, Senigallia e Matelica. Nell'esercito papalino, oltre agli anconetani, c'erano soldati di Camerino e Recanati. Lo scontro fu violento e si risolse con una grave sconfitta per le truppe pontificie. Ancona ebbe perdite ingentissime. Il vescovo Marcellino fu catturato e consegnato a Roberto di Castiglione, vicario di Federico II.
Con la morte dell'imperatore Federico II, nel 1250, tutta la Marca tornò all'obbedienza del pontefice. Qualche anno dopo il re di Sicilia, Manfredi, figlio naturale dell'imperatore, riprese la lotta contro la Chiesa e inviò nella Marca i suoi vicari. Ancona, nel succedersi degli avvenimenti, non seguì sempre una linea coerente e si schierò a favore dell'una o dell'altra parte a seconda della convenienza del momento. Questo suo atteggiamento incerto le procurò i rimproveri di papa Clemente IV. Ma, quando nel 1265 Carlo d'Angiò scese in Italia, la città dorica non esitò a schierarsi subito dalla parte dei guelfi e della Chiesa.
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