ANDE (A. T., 149-150)
Nome e limiti. - Col nome di Ande - in spagnuolo Cordillera (cioè "catena") de los Andes - si designa il grande sistema montuoso che percorre in tutta la sua lunghezza la parte occidentale dell'America del Sud, formando lo spartiacque principale fra il Pacifico e l'Atlantico. Il nome si trova usato per la prima volta, a quanto pare, negli scritti di Garcilaso de la Vega el Inca (nato a Cuzco nel 1540, morto nel 1620), e deriverebbe da quello della popolazione degli Anti, abitante allora la zona ad oriente di Cuzco; ma altre etimologie furono proposte, e in realtà, come già osservava il Humboldt, sull'origine del nome nulla si sa di sicuro. Certo esso si diffuse assai lentamente nell'uso dei geografi e dei cartografi, poiché la continuità del grande sistema montuoso non fu riconosciuta che tardivamente: le più autorevoli carte del sec. XVI forniscono ancora una rappresentazione orografica assai confusa e sommaria; ed anche in quelle del XVII (p. es. nelle carte del Sanson) soltanto nella parte meridionale, fra lo Stretto di Magellano e il Tropico del Capricorno, appare ben chiaramente una catena continua, detta di solito Sierra Nevada de los Andes o La Cordillera; mentre per la sezione fra il Tropico e l'Equatore, dove il rilievo è più complesso, non si hanno ancora idee chiare sulla connessione delle diverse catene, non indicate di solito con nomi speciali, neppure nel secolo seguente. In sostanza si può dire che solo dall'epoca di Humboldt in poi il nome viene esteso, nell'uso geografico, all'intero sistema. Questo è, nell'insieme, uno dei più lunghi, complessi, elevati e poderosi sistemi orografici del mondo: si allunga infatti per circa 7500 km., dall'estremità S. della Terra del Fuoco fino al Golfo di Paria, anzi fino all'isola Trinidad, con larghezza molto diversa nelle varie sezioni. Più stretto a S., dove la catena principale è unica, il sistema si allarga a partire dal 28° lat. S. e raggiunge la massima estensione (circa 800 km.) in corrispondenza al Golfo di Arica, là dove la costa pacifica dell'America Meridionale volge a NO.; a N. dell'Equatore poi si divide nettamente in tre rami (Cordigliera Occidentale, Centrale e Orientale); il ramo orientale ha, come vedremo, la sua continuazione nella Cordigliera di Mérida, nelle catene costiere del Venezuela e nei rilievi dell'isola Trinidad. I rapporti tettonici e strutturali con i rilievi costituenti l'arco delle Piccole Antille, e più a N. con le catene di Haiti e di Cuba, rapporti asseriti dal Suess, negati da altri, non possono dirsi ancora definitivamente chiariti; ancor più incerta è finora la connessione, pur ritenuta probabile dal Suess stesso e da altri, delle catene andine con i rilievi della Georgia Australe, delle Sandwich australi, e della Terra di Graham (v. antartide).
In tutto il loro percorso lungo l'Oceano Pacifico, le Ande si mantengono molto vicine al mare, anzi talora, specialmente a S., precipitano ripide sulla costa, determinandone la struttura e il carattere; invece verso oriente declinano di solito più dolcemente; anzi, fra le catene più elevate e la regione delle pianure, si interpongono spesso, specialmente a S. del 15° parallelo, serie di rilievi di diversa origine e di altezza molto variabile, i cui rapporti tettonici con le Ande non sono ancora ovunque ben chiariti. Nell'unità geologica e strutturale del sistema, che le esplorazioni degli ultimi decennî hanno sempre più rivelato, variano molto, da sezione a sezione, sia la natura e la composizione delle rocce, sia soprattutto le forme della montagna e in generale gli aspetti del paesaggio, anche in rapporto ai caratteri del clima, che differiscono profondamente da un estremo all'altro del sistema, esteso in latitudine per ben 65 gradi, attraverso tutte, si può dire, le zone climatiche dell'America Meridionale. (V. tavv. XXVII a XXX).
Storia dell'esplorazione. - La prima visione delle Ande ebbe il Balboa, che primo si addentrò nel Darien e attraversò le catene dell'istmo (1513); e maggiore notizia ne ebbero ben presto gli Spagnoli stabilitisi sulla costa meridionale del Panamá. Ma una diretta e approfondita conoscenza non si cominciò ad averne se non per merito delle spedizioni di conquista: quella iniziata nel 1532 dal Pizarro, che dopo lo sbarco a Tumbes si addentrò fra le cordiġliere del Perù fino a Cuzco, indi attraversò in vario senso le catene costiere; e quella dell'Almagro, che nel 1536, evitando il deserto di Atacama, percorse le valli peruviane meridionali sino a penetrare nel Chile. Le guerre che seguirono fra gli Spagnoli e gli Inca, e fra i conquistatori stessi, valsero ad accrescere sempre più questa conoscenza, specialmente nella zona peruviana propriamente detta; tra gli altri Gonzalo Pizarro risaliva al N. sino a Quito, e il Valdivia riprendeva e compiva la conquista del Chile sin oltre Santiago. Ai conquistatori si accompagnavano e facevano seguito i cercatori di miniere, ma soecialmente i missionarî, i quali non si arrestavano di fronte ad alcuno ostacolo, e per di più manifestavano un largo spirito di osservazione e raccoglievano con interesse le tradizioni e notizie locali. Le prime traversate da un versante all'altro delle Ande, furono compiute dal Benalcazar (1538), fra Colombia ed Ecuador, dall'Orellana (1541), fra Quito e il bacino delle Amazzoni. Nella seconda metà del sec. XVI le missioni dei Gesuiti del Paraguay erano già in contatto diretto con le altre della Bolivia lungo il Pilcomayo.
Nelle sezioni più meridionali si aveva notizia dei passi, usati dagl'indigeni, che ponevano in comunicazione il versante argentino con quello chileno; ma le difficoltà della montagna, qui veramente aspra muraglia divisoria, tenevano ancora lontani i colonizzatori bianchi. Prima traversata memorabile quella militare dell'argentino generale San Martin, che coi suoi armati passava fra l'Aconcagua e il Cerro Mercedario a sollevare il Chile (1818).
Di spedizioni scientifiche possiamo già parlare nel sec. XVIII, grazie alla famosa missione francese degli accademici Bouguer e La Condamine, convenuti dal 1736 al 1742 sull'altipiano di Quito per la nota misurazione del grado, donde le prime carte esattamente rilevate dell'alta regione. Una vera esplorazione scientifica delle zone più elevate si ebbe però solamente a cominciare dal sec. XIX, primo dovendosi registrare il grande viaggio di Alessandro di Humboldt (1799-1805), il quale poneva le basi di questa più completa conoscenza, minutamente percorrendo le vallate fra Bogotá e Quito, studiando i vulcani dell'Ecuador e tentando anche la scalata del Chimborazo. Seguirono il suo esempio molti Europei, fra i quali il Boussingault (1825-31) attraverso le Ande Settentrionali, J. B. Pentland nella Bolivia, della cui grandiosa Cordigliera Orientale dette egli per primo un adeguato concetto (1826-28), ancora il d'Orbigny nella Bolivia (1830-33); e nelle stesse Ande Centrali poco più tardi il Pöppig, lo Smith col Low, J. J. Tschudi (1838-42), il de Castelnau (1830-45); avanti a tutti, per la profonda conoscenza dei luoghi, due italiani, Agostino Codazzi nel Venezuela e nella Colombia, Antonio Raimondi nel Perù. I tedeschi W. Reiss e A. Stübel dedicarono circa un decennio (dal 1868 in poi) a uno studio prezioso delle Ande della Colombia e dell'Ecuador, che Th. Wolf completò per la parte geologica.
La cordigliera fra Chile ed Argentina fu esplorata, a tratti, dal Pöppig, ed ampiamente dal tedesco R. A. Philippi (1853-83), e negli anni dopo l'80 da ufficiali argentini, dall'ing. Avé Lallemant, da L. Brackebusch, dai professori dell'università argentina di Cordoba; Paul Güssfeldt percorse, negli anni 1882-83, i complessi andini fra 32° e 35° S., raccogliendo larga messe di osservazioni e, fra l'altro, scalando il vulcano Maipó e giungendo sino a 400 m. dalla vetta dell'Aconcagua. Negli anni fra il 1875 e il 1890, esploravano scientificamente il Chile settentrionale e la Bolivia John B. Minchin, A. Bertrand e poi sir Martin Conway (il quale nel 1898 scalò l'Illimani, m. 6550); le Ande del Perù il dott. Middendorf (1875-88), le colombiane A. Hettner, la Cordigliera di Mérida e la Sierra Nevada de Santa Marta W. Sievers; queste e vicine zone il naturalista John Ball e E. Whymper, il quale per primo raggiungeva con le guide italiane Carrel padre e figlio il 4 gennaio 1880 la vetia del Chimborazo, da lui valutata 6513 m., e il 18 febbraio dello stesso anno quella del Cotopaxi. L'Aconcagua era conquistata più tardi (14 gennaio 1897) dalla guida italiana Mattia Zurbriggen, che accompagnava l'inglese Fitzgerald.
Le Ande del Chile meridionale e della Patagonia, quasi sconosciute fino a mezzo il sec. XIX, sono ora tra le parti meglio note del continente, grazie alle spedizioni compiute, dal 1869 in poi, dall'inglese Musters, dagli argentini Moreno e Moyano, dal tedesco Steffen (al servizio del Chile), e grazie all'opera delle commissioni per la delimitazione dei confini fra Chile e Argentina, che rilevarono, sul finire del sec. XIX, il tratto fra il 38° e il 33° parallelo S., poi, nel 1902, i tratti a S. del 40°, sotto la presidenza dell'inglese sir T. Holdich. Anche la costruzione della ferrovia transandina (inaugurata nel 1910) rese necessarî assai utili studî nella zona dove si progettava il tracciato a oriente di Santiago.
Fra i viaggi più recenti d'esplorazione e studio, degni di particolare menzione quelli di R. Hauthal nella Bolivia e nel Perù (1907-8), di W. Sievers nel Perù e nell'Ecuador (1909), del botanico A. Weberbauer nel Perù, del quale egli fu tra i più profondi conoscitori (1901-13), del Reichert nella zona ricca di ghiacciai che si stende fra l'Aconcagua e il Tupungato (dove egli scalò il Cerro Juncal, 6300 m., nel 1914). Dal 1920 la Societa geografica di New York organizza missioni scientifiche nelle regioni meno conosciute delle Ande, per la preparazione della carta generale al milionesimo dell'America Latina; tra esse sono da annoverare quelle dell'antropogeografo nordamericano J. Bowman, nelle zone abitate più alte della terra (Cerro de Pasco, ecc., Ande Boliviane). Fra le cime scalate più recentemente, ricordiamo il Cerro la Paloma (Chile, m. 4930), raggiunto nel 1912 dall'italiano Mondini. Ad un italiano, Antonio Locatelli, si deve pure la prima trasvolata delle Ande, nel 1919, sul percorso Mendoza-Santiago.
Geologia. - La regione andina era occupata ancora, durante quasi tutta l'èra secondaria, da una geosinclinale, cioè da una zona depressa, interposta fra-due antiche masse continentali, delle quali l'una, quella pacifica, è ora sommersa, l'altra è rappresentata, in parte, dal massiccio del Brasile e dai rilievi tabulari della Guaiana (v. america: geologia). Tale zona depressa era coperta dal mare, e in fondo ad esso si sono deposte le formazioni secondarie (specialmente del Lias e del Cretacico) che hanno tanta importanza in alcune parti delle Ande. I piegamenti che hanno dato origine alle catene andine si iniziarono nel Cretacico superiore e continuarono durante una parte notevole dell'èra terziaria; essi dettero origine a fasci di pieghe abbastanza regolari e, per quanto risulta dalle conoscenze attuali, relativamente semplici, certo meno serrate e meno disturbate delle pieghe alpine, anche là dove esse sono più numerose, come ad es. in corrispondenza al 35° lat., ove il sistema è composto di dodici o quindici pieghe. Carreggiamenti estesi e complicati, come nelle Alpi, non sono stati finora segnalati, e neppure pieghe coricate di notevole estensione.
Le manifestazioni vulcaniche dovettero avere uno sviluppo imponente fin dalle fasi iniziali del ripiegamento, com'è attestato dalla ascensione, dal profondo alla superficie, di rocce intrusive di varie epoche, e da diffusi fenomeni di metamorfismo di contatto, quasi che con la formazione delle Ande si fosse determinata - secondo l'espressione dello Steinmann - una cicatrice della crosta terrestre non mai più richiusasi dalla fine dell'èra secondaria in poi. E il vulcanismo ha anche notevolmente contribuito a complicare la morfologia andina, perché i materiali eruttati hanno colmato intere sezioni di vallate, o le hanno sbarrate dando origine a bacini lacustri, o hanno invaso i letti dei corsi d'acqua con enormi accumuli, che questi non avevano poi la forza di trasportare in basso.
Se la data iniziale dei piegamenti andini è sicura, poiché i depositi cretacei sono stati ovunque ripiegati, sollevati ed anche in parte metamorfosati al contatto di rocce intrusive, non può dirsi invece precisamente in che periodo dell'èra cenozoica il fenomeno orogenetico abbia avuto fine, poiché le formazioni terziarie marine mancano in tutte le parti interne del sistema; quasi ovunque il Terziario è rappresentato da depositi continentali grossolani, privi di fossili, che non permettono sicure induzioni cronologiche.
Secondo le vedute del Suess, il corrugamento orogenico, propagandosi da O. verso E., interessò non solo la fascia più vicina al Pacifico, ma, almeno nella regione centrale (Perù meridionale, Bolivia, Argentina settentrionale), anche una parte delle zolle orientali preesistenti, che furono pur esse ripiegate: in corrispondenza a tale zona, la più larga del sistema, esso consiste dunque di due fasci, uno occidentale (o pacifico) e uno orientale; mentre, dove il processo orogenico è stato meno intenso, si ha il solo fascio pacifico.
Questo fascio pacifico è rappresentato anzitutto verso O. da una serie di rilievi costituiti da graniti, micascisti antichi e rocce eruttive, che, più volte interrotti, corrono lungo l'oceano, attraverso il Chile, il Perù e l'Ecuador: sono le cosiddette Ande Marittime. Ad esso segue, verso E., la Cordigliera Occidentale propriamente detta, che si può seguire dalla Patagonia alla Colombia, e consta prevalentemente di rocce secondarie - calcari grigi e scuri, arenarie, conglomerati, marne - con enormi masse di porfidi e porfiriti, passanti gradualmente ad andesiti, che attestano L'intensità delle manifestazioni vulcaniche, perduranti in parte fino al presente. Una zona più orientale presenta sedimenti del Cretacico, specialmente quarziti, scisti e calcari, traversati e in parte metamorfosati da poderose intrusioni di granodioriti: batoliti e laccoliti si incontrano dovunque dal Perù al Venezuela.
Il fascio orientale è costituito prevalentemente da terreni arcaici, e soprattutto paleozoici, in moltissimi orizzonti, dal Cambrico al Carbonico: sono quarziti cambriche, scisti silurici, arenarie devoniche, calcari duri del Carbonico; le manifestazioni vulcaniche attuali mancano, tranne nella sezione settentrionale. Molto elevato nella parte centrale, questo fascio, a S. del 23° lat., si prolunga in varî rami nella Pampa e scompare a S. del 32°. I due fasci, orientale e occidentale, sono frequentemente collegati fra loro da vasti altipiani, che debbono la loro origine a depositi eolici, fluviali, glaciali e talora anche ad accumuli di materiali vulcanici (Ecuador) e conservano ancora residui di vaste distese di acque interne, come il lago Titicaca; altri bacini sono scomparsi, lasciando al loro posto depositi lacustri.
L'altezza delle catene andine è molto notevole: tranne nella sezione meridionale, le linee di cresta si mantengono di solito sopra i 3000 m., talora sopra i 4000, e localmente superano i 5000 m. Anche l'altezza delle vette è imponente. L'Aconcagua, che, avvicinandosi a 7000 m., è considerata come la cima più alta, è accompagnato, a S. e a N., da altre vette superanti i 6500 m.; cime sopra i 6000 m. s'incontrano frequenti - come le più recenti esplorazioni hanno dimostrato - in tutta la Cordigliera Occidentale, fra 30° e 14° S. e poi ancora più a N., nel Perù e nell'Ecuador, mentre nella Cordigliera Reale della Bolivia una serie imponente di cime, comprese fra 6000 e 6500 m., si leva ad oriente del lago Titicaca.
Questa straordinaria altezza delle creste e delle vette è, in parte almeno, collegata col fatto che, contemporaneamente e posteriormente al ripiegamento, le cordigliere hanno subito dei sollevamenti in blocco, che in talune zone, come nelle Ande della Bolivia, hanno portato gli strati 1000 o 2000 m. sopra il livello primitivo. Steinmann, che ha esplorato proprio questa zona boliviana, ritiene che tali movimenti siano avvenuti in età postmiocenica. In rapporto con questi sollevamenti in blocco sarebbe da porsi, secondo studiosi recenti, la successione di diversi cicli di erosione; ma le osservazioni fatte al riguardo qua e là sparsamente nell'ultimo ventennio sono ben lontane dal permettere un coordinamento d'insieme. Certamente il contrasto, da molti viaggiatori segnalato, fra l'aspetto monotono delle superficie poco accidentate, di tipo senile, delle alte regioni dell'interno, e le gole profonde, incassate, spesso inaccessibili, che s'incontrano alla periferia, si può indicare come una caratteristica morfologica tra le più cospicue della regione andina; e si deve aggiungere che tali superficie, orizzontali o quasi, molto inclinati, rivelando così l'origine per spianamento. Le aree a clima arido (Ande Boliviane) ci offrono gli esempî meglio conservati e finora più conosciuti di tale fenomeno, ma esso è stato riscontrato anche in regioni umide, dove l'erosione attuale è assai attiva, come nelle Ande della Patagonia (Gröber). In ogni caso, nulla dimostra che l'evoluzione del rilievo sia stata la stessa in tutta l'enorme estensione del sistema.
Oltre che sollevamenti più o meno estesi, si sono verificati nelle Ande anche sprofondamenti di grande entità, che hanno dato origine a fosse, limitate da fratture e faglie, e a pilastri di resistenza rimasti rigidi. L'esempio più cospicuo di tali fosse è forse la. cosiddetta piana centrale chilena, che corre lungo il margine occidentale della zona di corrugamento vera e propria, fra questa e i rilievi costieri; i caratteri della rete idrografica starebbero a dimostrare, anzi, che qui lo sprofondamento è di data recente e forse continua tuttora. All'estremo opposto del sistema andino l'alta valle del Río Magdalena è un'altra lunga fossa depressa, limitata fra due serie di faglie all'incirca parallele.
Su altre caratteristiche tettoniche, d'ordine locale, non possiamo naturalmente trattenerci in questo sguardo generale.
Vulcanismo. - Come si è già accennato, nella costituzione delle Ande hanno parte cospicua le rocce eruttive, in parte molto antiche, in parte secondarie (come in genere le porfiriti), in parte più recenti, come le andesiti terziarie, e le granodioriti, che hanno dato origine a batoliti e laccoliti colossali, e finalmente le lave andesitiche e i materiali vulcanici attuali. Questa successione dimostra, anzi, che il fenomeno, anche se diversamente localizzato nelle sue più intense manifestazioni, a seconda delle varie epoche, non ha, in sostanza, subito interruzioni. Le conoscenze sui vulcani attivi delle Ande sono tuttora assai deficienti, per quanto alcune notizie risalgano già al sec. XVI. La più recente statistica (Sapper, Vulkankunde, 1927) ne annovera una cinquantina, distribuiti in quattro serie, ciascuna delle quali comprende poi un numero molto maggiore di vulcani spenti. La serie colombiana comprende, su una lunghezza di 600 km., soltanto sei vulcani sicuramente attivi, tra i quali il più alto è il vulcano di Tolima (5525 m.; lo Huila e l'Herveo, più alti, hanno solo fumarole); essa si continua peraltro nella serie ecuadoriana, che conta almeno altrettanti apparati attivi, noti per la loro grande altezza e l'imponenza degli edifici: il più noto, il Cotopaxi, è alto 5943 m., ma gli stanno dappresso l'Antisana (5756 m.) e il Sangay (5325 m.); numerosissimi sono i vulcani inattivi. Dopo un'interruzione di circa 1600 km., incontriamo la serie peruano-boliviana, che comprende otto vulcani attivi, tra i quali il gigantesco Huallatiri (6693 m.), una delle più alte cime di tutta la catena andina, e il Cerro Licancáur o vulcano di Atacama (5930 metri). Ma il maggior numero di apparati attivi si trova nella serie chileno-argentina, che ne comprende almeno 25, dal Llullaillaco, il più settentrionale, alto ben 6750 m., al M. Burney, il più meridionale, a 52° 30' lat. S. (1770 m.); essi sono in generale meno elevati di quelli delle altre serie, per quanto almeno sei o sette superino i 4800 m. (il Tupangatito raggiunge i 5640 m.). Del resto, anche i colossi maggiori, l'Aconcagua (6960 m.; vedi più sotto), il Tupungato (6550 m.) e il Cerro Mercedario (6670 m.), sono di formazione vulcanica, per quanto non abbiano eruttato mai in età storica; e lo stesso si deve ripetere per il Sahama nel Perù (6520 m.) e per altri. Gigantesche laccoliti granitodioritiche, emergenti a grandi altezze, perché l'erosione non ha avuto ragione della roccia, durissima, sono poi l'Huascarán (6783 m.) e l'Illimani (6450 m.). A proposito dell'altezza assoluta, così notevole, di moltissimi dei vulcani delle Ande, è tuttavia da rilevare che essi posano quasi sempre sopra un imbasamento di rocce antiche o paleozoiche, sicché il vero e proprio apparato di creazione recente ha un'altezza assai minore. È superfluo avvertire che tutti i più elevati vulcani sono ammantati, in alto, da nevi perenni; le eruzioni sono perciò spesso accompagnate da copioso e rovinoso scioglimento di nevi.
Ghiacciai attuali e quaternarî. - Il glacialismo attuale e quaternario interviene pure, in assai larga misura, come elemento determinante degli aspetti del paesaggio montano, per quanto non abbia affatto nelle Ande l'importanza che, dal punto di vista morfologico, ha avuto ed ha tuttora nelle Alpi.
L'altezza del limite attuale delle nevi perenni varia naturalmente moltissimo nelle varie parti del sistema, che ha un così grande sviluppo in latitudine e attraversa, volta a volta, regioni umidissime e regioni estremamente secche; là dove il sistema è più largo e complesso, notevoli sono anche, a pari latitudine, le differenze fra le catene occidentali e le orientali.
Nella Cordigliera Orientale della Colombia, nell'Ecuador e nel Perù settentrionale, il limite è compreso fra 4600 e 4800 m. Più a S., allontanandosi dall'Equatore, si entra in una regione sempre più secca, cosicché il limite sale verso i 5200-5300 m. nella Cordigliera Occidentale, sopra Lima, e press'a poco alla stessa altezza nella Cordigliera Orientale, sopra La Paz. Ancor più alto è il limite nella cosiddetta Puna de Atacama, secchissima, tra 22° e 26° lat. N.: qui esso sale sopra i 6000 m., per raggiungere i 6300 nel Nevado Tres Cruces; è senza dubbio il più alto limite delle nevi perenni in tutto il mondo. In tutta questa zona centrale arida, le cordigliere orientali sono, se mai, quelle più beneficiate dalle piogge, e perciò ad es. il limite si trova verso i 4500 m. a N. di Cuzco (Cordigliera di Salcantay). A S. del 27° lat. il limite si deprime dapprima lentamente (Nevado de Famatina, 5500 m.; Cerro de la Ramada, 4800 m.; versante S. del Cerro Mercedario, 4800 m.; versante S. dell'Aconcagua, 4800, versante N., 6000; Tupungato, 4400; regione sorgentifera del Rio Grande, a circa 35° lat., 4000 m.; il versante sud è in questa zona di solito il meglio inaffiato); poi, intorno al 37°-38° lat. con un brusco salto si abbassa fin verso i 2000 m. (Volcán Antuco 2100 m., Lanin 1800-2000 m.); nel Tronador, a 41° lat. è a 1500 m., nella Patagonia meridionale a 1200-1300 m., nello stretto di Magellano a 1100 m. e nella Terra del Fuoco scende talora sotto i 1000. Nella zona tropicale e subtropicale i ghiacciai, scarsamente alimentati, scendono poche centinaia di metri al di sotto del limite delle nevi, con lingue di modesta estensione; anche nell'Aconcagua, non si protendono al di sotto di 3500 m.; nel gruppo del Cerro Juncal fino a 3100. Il Tupungato ha solo modesti ghiacciai di second'ordine. Invece, a S. del 40° lat., dove i ghiacciai cominciano ad avere bacini di alimentazione assai estesi, essi invadono le valli, scendendo con lingue potenti molto al di sotto del limite delle nevi, anzi, a partire dal 46° 30′ lat., si affacciano fino al mare lungo i fiordi della costa occidentale. Ad es. dal Tronador (41° lat. S.) scendono imponenti correnti di ghiaccio, fin sotto i 400 m.; a S. del 48° lat., poi, le Ande della Patagonia albergano ancora due calotte di ghiaccia continentale, delle quali la più estesa si allunga per circa 400 km. fra i fiordi del Can. Baker e il fiordo Ultima Speranza, con una larghezza di 30-60 km., espandendosi con lunghe lingue ghiacciate tanto ad O., ove i ghiacciai giungono fino al livello del mare, quanto ad E., dove essi si affacciano sui laghi S. Martin, Viedma e Argentino, fino a soli 200 m. s. m. Sono questi i modesti residui della grande ghiaccia che occupava, a queste latitudini, la regione andina durante l'epoca glaciale.
In effetto, su tutta l'estensione delle cordigliere si sono riconosciute, tanto sul versante occidentale che sull'orientale, le tracce della glaciazione quaternaria: in basso, apparati morenici, a un livello inferiore naturalmente a quello delle morene attuali; più in alto, valli sovraescavate, sbarre glaciali con bacini lacustri a monte, rocce montonate, circhi sovrapposti a gradinata. Dai dati finora raccolti sembra dedursi un manifesto parallelismo fra il limite attuale delle nevi e quello quaternario: quest'ultimo era in genere di 800-1000 m. più basso. Tracce glaciali si sono riscontrate fino a 3900 m. sotto l'Equatore, fino a 3600 m. nel Perù settentrionale, fino a 3500 m. nella Cordigliera di Salcantay. Nella Puna, secchissima, anche i ghiacciai antichi erano poco sviluppati: il limite delle nevi era appena 500-600 m. sotto l'attuale. Più a S il Nevado de Famatina e l'Aconquija, che oggi, nonostante la loro grande altezza, hanno pochi e limitati campi di neve, avevano alcuni ghiacciai, come è dimostrato dall'esistenza cosi di circhi come di morene. Nel Nevado di Chañi si hanno morene quaternarie fino a 4000 m.; nel gruppo dell'Aconcagua fino a 2200 m., sul versante chileno, fino a 2500, sull'argentino.
Ma in conclusione, a N. del 36°-37° lat. N., il modellamento glaciale sembra aver interessato aree ristrette; e perciò le creste acute e sottili, incavate da circhi, s'incontrano solo a coronare le zone più elevate che dominano i pianalti ondulati, e le dorsali dalle forme monotone. Poi, con un brusco salto, corrispondente a quello già sopra segnalato nel livello della glaciazione attuale, si passa nella zona dove i ghiacci si allargavano ad aree vastissime, rivestendo tutte le zone più alte di un mantello continuo, fuori del quale emergevano rare creste acute o picchi aguzzi e sottili. Già verso il 39°-40° lat. S. le morene quaternarie si incontrano sul versante argentino a sbarrare i numerosi bacini lacustri fra 800 e 900 m.; sul versante chileno anche più in basso (400-500 m.). Più a S. i depositi glaciali acquistano grande estensione anche fuori della montagna vera e propria, allargandosi a E. nella cosiddetta Meseta patagonica; verso l'estremità meridionale del sistema andino, poi, una vera e propria ghiaccia continentale ricopriva tutte le aree più elevate; ad oriente, verso l'Atlantico, si aveva anche uno sviluppo di ghiacciai pedemontani, che a S. del Río Gallegos sembra raggiungessero l'oceano. Come si dirà anche in seguito, col glacialismo quinternario delle Ande Patagoniche, sono in rapporto. sia la ricchezza di bacini lacustri, sia le irregolarità della linea spartiacque, spostata in genere verso E. rispetto alla linea di cresta.
Sulla distinzione, in seno all'epoca glaciale andina, di diversi periodi glaciali e interglaciali, non è possibile ancora formulare conclusioni sicure. Ma, nelle Ande della Patagonia, l'esistenza di almeno due serie di apparati morenici di età differente si può considerare come definitivamente accertata, e anche altrove si hanno indizî di due diverse fasi glaciali. Esse sembrano confermate anche dai risultati finora noti delle esplorazioni di K. Troll nelle Ande Centrali (1926 e segg.); questi ha altresì constatato, in modo definitivo, che l'altipiano centrale boliviano era occupato, almeno nel più antico periodo glaciale, da grandi bacini lacustri, di cui uno (lago Ballivian) ha il suo più ristretto continuatore nell'attuale Titicaca, un altro, molto più esteso (lago Minchin) occupava tutto il bacino inferiore del Desaguadero, l'area dell'attuale Poopó, quella del Salar de Uyuni e dei minori salares circostanti (lunghezza circa 450 km., larghezza fino a 200 km.).
Suddivisione delle Ande. - Le incomplete conoscenze sul sistema andino non permettono ancora di addivenire ad una suddivisione razionale di esso. Il Suess distingue un arco settentrionale e un arco meridionale, che si accostano e si saldano in corrispondenza al G. di Arica (Arica Scharung di Suess), ma, dal punto di vista geografico, è forse preferibile di mantenere la triplice partizione proposta dal Sievers, considerando come nucleo del sistema la zona subtropicale, dove le alteterre raggiungono la massima estensione in latitudine, e riattaccando ad esso le sezioni settentrionale e meridionale, di minore ampiezza, in entrambe le quali le catene, allontanandosi dal nucleo, diminuiscono in genere di altezza e tendono a frammentarsi o a suddividersi. Si ha in tal modo il seguente schema di partizione: a) le Ande Meridionali, dall'estremità meridionale del continente fino alle sorgenti del Desaguadero (Río Salado) o meglio al Paso las Cuevas (3220 m.); in esse si ha un'unica catena principale continua, mentre un'altra più occidentale è oggi ridotta in frammenti; il vulcanismo ha grande sviluppo; il versante occidentale è molto più umido dell'orientale; la montagna è pochissimo abitata; b) le Ande Centrali, dal Paso las Cuevas fino alle sorgenti dell'Apurimac (Ucayali). La montagna, dapprima alquanto frammentata, con pendii nudi e aridi da ambo i versanti, cresce a poco a poco di ampiezza e di altezza: si sviluppano serie di catene che racchiudono nel loro seno altipiani interni, ad oriente si affianca alle catene principali il cosiddetto fascio subandino. La zona occidentale e centrale è arida, talora con carattere prettamente desertico; la zona orientale, a N. del 25°, è meglio inaffiata e coperta di boschi; c) le Ande Settentrionali., dove il sistema si restringe e tende a ramificarsi. Nelle Ande del Perù, fino a 4° lat. S. circa, i grandi altipiani interni sono già molto meno estesi; s'inizia la formazione di tre catene principali; scompaiono i bacini senza scolo; s'interrompe la serie dei vulcani; i pendii orientali sono in genere più umidi degli occidentali. Nelle Ande dell'Ecuador (da 40 lat. S. a 1° lat. N.) si hanno due catene, con grandi manifestazioni del vulcanismo; esse racchiudono altipiani molto elevati e assai segregati; l'abbondanza delle precipitazioni dà luogo a grande sviluppo del bosco. Questo continua a coprire le Ande Colombiane e Venezolane, nelle quali si ha una ramificazione in tre catene divergenti, separate da valli profonde, talora corrispondenti a fratture; il vulcanismo è sviluppato solo nella parte meridionale.
Ciascuna di queste tre grandi sezioni può suddividersi poi in sottosezioni.
Poiché dei rilievi della parte O. della Terra del Fuoco, culminanti nei monti Darwin (2150 m.) e Samiiento (2300 m.), ricchi di ghiacciai, intersecati da fiordi profondi, si parla sotto la voce Terra del Fuoco, la nostra descrizione comincerà dalle Ande della Patagonia, prima sottosezione delle Ande Meridionali.
Ande meridionali. - Le Ande della Patagonia, che dalla Penisola di Brunswick, sullo Stretto di Magellano, giungono fino circa al 41° lat. S., dove, in un distretto ricchissimo di laghi, si apre il passo Pérez Rosales (980 m.), sono caratterizzate dalla presenza di due serie di rilievi, di cui peraltro l'occidentale è rimasta solo in frammenti, nella lunga corona di isole che si snoda dallo Stretto di Magellano all'isola Chiloé; esse sono separate dal continente da un solco longitudinale, invaso dal mare in seguito a un movimento di sommersione recente, anzi - secondo alcuni - perdurante ancora ai nostri giorni. I rilievi insulari non raggiungono mai, a quanto pare, i 1000 m. La Cordigliera Patagonica vera e propria si eleva invece ad altezze molto maggiori, ma è anch'essa tutta spezzettata da profonde valli trasversali; vi manca una vera e propria linea di cresta, e la linea spartiacque è del tutto indipendente dalla posizione dei rilevi più alti. Da ciò la lunga contesa fra l'Argentina ed il Chile per il confine, che gli antichi trattati avevano indicato in modo sommario, nella presunzione dell'esistenza di un crinale ininterrotto, coincidente con lo spartiacque principale atlantico-pacifico; quando le progredite conoscenze dimostrarono errata questa idea, si dovette accordarsi sulla base di un compromesso, raggiunto solo nel 1902, in seguito all'arbitrato della Gran Bretagna. Le lunghe esplorazioni e le ricognizioni eseguite in occasione di questo conflitto, furono feconde di risultati geograficamente importanti.
Nella costituzione geologica della catena prevalgono i graniti e le dioriti con intrusioni diabasiche: sono le rocce che costituiscono il nucleo profondo del sistema andino, nucleo che altrove è ricoperto spesso da altre formazioni e viene a giorno solo qua e là in finestre e in solchi di erosione. Queste rocce formano in Patagonia una zona centrale che cresce in ampiezza procedendo verso N.; ad oriente è spesso accompagnata da una fascia di scisti argillosi, arenarie e calcari cretacei di recente corrugamento; ad occidente sono frequenti gli apparati vulcanici. La coperta di nevi e ghiacci, come pure le tracce della glaciazione quaternaria, si fanno più imponenti da S. a N., per effetto delle condizioni climatiche; con queste sono in rapporto anche la ricchezza dei laghi e la coperta di boschi folta e continua. Il tronco più meridionale della cordigliera raggiunge già i 2800 m. nel bicuspide Cerro Paine, una laccolite tipica, supera poi i 3000 m. nell'imponente Cerro Murallón (3600 m.), dal quale un enorme ghiacciaio (ghiacciaio Bismarck) scende ad E. terminando con una muraglia di ghiaccio sulle acque del lago Argentino, nel Cerro Fitz Roy (3400 m.), imponente torrione privo di neve, uno dei picchi più arditi della terra, nel Cerro Arenales (3440 m.), nel Cerro S. Lorenzo (3700 m.), e culmina infine a 4058 m. nel S. Valentín (Cerro S. Clemente dei missionarî), il più alto monte della Patagonia, cupola interamente coperta di ghiacci, discendenti in lingue potenti ad O. fino all'istmo di Ofqui. Questa sezione australe è poi caratterizzata, come si è già accennato, dalla presenza di due lunghe calotte di ghiaccio, resti della ghiaccia quaternaria, dalle quali si dipartono potenti lingue ghiacciate; queste verso oriente si spingono fino al distretto dei laghi, che comprende i maggiori bacini lacustri ai piedi delle Ande, il lago Argentino, il lago Viedma, il S. Martín, il Buenos Aires. Ciascuno di essi è formato da due parti completamente diverse: l'occidentale, caratterizzata da fiordi ramificati insinuati nella montagna, con coste a picco precipitanti a grandi profondità, l'orientale, piatta e unita, compresa invece nel tavolato patagonico.
A N. del Cerro S. Lorenzo, l'altezza della cordigliera diminuisce per 600 e più chilometri nessuna vetta raggiunge - a quanto pare - i 3000 m.; si fanno frequenti i vulcani, tra i quali attivi il Volcán Corcovado (2330 m.), il Volcán Minchinmávida (2470 m.), e, all'estremo N. della sezione, l'Osorno (2250 m.), più volte in eruzione nel sec. XIX, la cui cupola regolare si leva fra due laghi, al margine occidentale della cordigliera. Questa culmina, più ad oriente, nel Tronador (3400 m.), gigantesco cono andesitico a tre cime, che riposa su una base di scisti metamorfizzati. Questa sezione settentrionale delle Ande Patagoniche, è ancora straordinariamente incisa da valli trasversali, facenti capo a passi elevati appena 1100-1300 m. e perciò liberi dalle nevi nel periodo estivo; quasi ogni valle alberga bacini lacustri, che avvivano il paesaggio; il maggiore è il lago Nahuel Huapí (profondo 320 m.) che s'insinua nella montagna con fiordi precipiti. È questa una delle zone più pittoresche dell'Argentina, oggi costituita a Parco nazionale. Sul versante chileno alcuni bacini lacustri, di tutt'altro tipo, occupano la parte del grande solco longitudinale chileno.
Le Ande Chileno-argentine, che si estendono dal 41° lat. S. al Paso las Cuevas, sono formate anch'esse da due serie di rilievi, separati da un solco longitudinale: ma questo non è invaso dalle acque, bensì emerge formando la valle longitudinale del medio Chile, principale arteria delle comunicazioni e del traffico di questo paese, percorsa oggi in tutta la sua estensione da una lunghissima ferrovia da Santiago a Porto Montt; a N. di Santiago, verso 33° lat., questo solco termina con una sbarra trasversale nota col nome di Cuesta de Chacabuco. Esso è largo da 10 a 40 km. e coperto di depositi fluviali (sabbie, argille) e di alluvioni.
I rilievi fra esso e il Pacifico (Cordigliera della Costa o Ande Marittime) costituiscono veramente sotto il riguardo geologico un sistema distinto dalle Ande vere e proprie; sono formati da rocce antiche granito-dioritiche, e da scisti, a cui si accompagnano verso N. sedimenti mesozoici fortemente ripiegati, con masse di porfiriti. Sovrapposti ad essi sono strati del Cretacico superiore o del Terziario (con depositi carbonici dell'Oligocene e Miocene) orizzontali o scarsamente ripiegati. Ad O. di Santiago la Cordigliera della Costa raggiunge la sua massima altezza (2230 m.); essa peraltro non è una catena continua, ma frequentemente intagliata in valli trasversali dai tributarî del Pacifico, che, nati nella cordigliera principale, dopo un corso più o meno lungo in valle longitudinale entro il solco sovra descritto, si aprono il varco all'oceano.
La. Cordigliera principale delle Ande vere e proprie, ci si presenta invece, in questa sezione (eccettuata l'estremità meridionale), come una catena unica, elevata, con rari passi, che forma in genere spartiacque e costituisce anche, con le sue zone culminali disabitate ed impervie, una netta area di separazione fra i due opposti versanti, ove sono i nuclei politici dell'Argentina e del Chile. Essa consta di un imbasamento di rocce paleozoiche e mesozoiche - arenarie, calcari, conglomerati porfirici, gessi, argilloscisti - traversate da masse intrusive di graniti, diabasi, dioriti, e coronate talora da potenti masse andesitiche. A S. conserva ancora i caratteri delle Ande Patagoniche: ha poche cime superiori a 4000 m., è incisa da parecchi passi che facilitano le comunicazioni fra i due versanti (Paso de Pichachén, Paso del Arco, 1370 m., Pino Hachado, Paso de Villarica, prossimamente superato dalla ferrovia transandina Bahía Blanca-Valdivia) ed alberga ai piedi della montagna e nelle valli numerosi laghi glaciali. Nella parte centrale imponenti edifici di lave e tufi, costruiti da vulcani recenti, e in parte, anzi, ancora attivi in età storica, formano le più alte cime: il Peteroa (4100 m.), il Tinguiririca (4800 m.), il Sosneado (5200 m.), il gigantesco S. José (5900 m.), uno dei più alti vulcani attivi del mondo, il Tupungatito (5640 m.). Il vicino Tupungato (6560 m.), enorme cupola costituita pure da materiali vulcanici (magma basaltici, porfiriti, ecc.), non è invece attivo, anzi non sembra aver traccia di crateri (cfr. H: Steffens, Tupungato und Tupungatito, in Zeitschr. Gesellsch. Erdkunde, Berlino 1927, pagg. 509-516); esso inizia la serie dei giganti che troneggiano nella sezione più settentrionale di questa parte delle Ande. Qui due catene principali si allineano, l'una accanto all'altra, divise dalle alte valli longitudinali di corsi d'acqua (Río Tupungato, Río del Volcán, Río Mercedario) che vanno all'Atlantico; lo spartiacque, coincidente col confine politico. non corre sulle vette principali. Queste sono, a S., il Nevado del Plomo (6000 m.), il Navarro (6300 m.), il Cerro Juncal (6110 m.), l'Aconcagua (6960 m. secondo il dato oggi ritenuto più attendibile; secondo altri oltre 7000 m.), la più alta cima delle Ande, formato da una potente massa di andesiti, terminante con due vette riunite da una breve cresta (v. aconcagua). La Cordigliera detta del Tigre (Cupula 5700 m.), collega il gruppo dell'Aconcagua con un altro, non meno imponente, posto più a N., che ha almeno sei cime superiori a 6000 m. e culmina nel Cerro Mercedario, che con la sua cresta straordinariamente acuta e ripida si aderge a 6670 m. Nonostante la grande elevazione, questa parte della cordigliera, per l'estrema secchezza del clima su ambo i versanti, per la potenza dell'insolazione ed anche per la ripidezza dei pendii, è scarsa di nevai e di ghiacciai; essi sono sviluppati soprattutto sui fianchi meridionali del Cerro Juncal. Sul versante argentino, i campi di neve appaiono non di rado incisi da solchi profondi, come campi carsici, anzi talora addirittura suddivisi in serie di piccoli rilievi a forma di cono, alti fino a 6-7 m. e coperti in cima da ghiaccio pietrificato: il fenomeno è noto col nome di nieve penitente (v.). L'altezza dei valichi cresce da S. a N.: fra 37° e 40° lat. si trovano in generale a 1400-2000 m., fra 34° 30' e 37 a 1800-2500 m.; a N. del 35° superano tutti i 3500 m., ad eccezione del Paso de Las Damas (a 34° 50' lat.), ma tuttavia restan sempre al di sotto del limite delle nevi permanenti, e sono perciò accessibili d'estate. D'inverno naturalmente ogni traffico è interrotto. Del resto essi sono tutti mulattieri ad eccezione del così detto Passo della Cumbre, di gran lunga il più noto, che è carrozzabile e consta in realtà di due selle successive (Paso Iglesia, a nord, 3843 m., e Paso Bermejo, a S., 3885 m.); la ferrovia transandina supera lo spartiacque ad altezza poco inferiore (3700 m.) con una galleria lunga tre chilometri e mezzo. Più a N. sono alcuni passi un po' meno elevati; tra essi il più frequentato è il Paso las Cuevas (3222 m.), che conduce dall'alto bacino del Río Grande, affluente del Río Limari (Pacifico), in quello di un corso d'acqua (Río Colorado) appartenente al bacino del Desaguadero.
Le Ande Centrali. - Le Ande Centrali, che comprendono le catene del Chile settentrionale, della Bolivia e del Perù meridionale, sono caratterizzate, sotto il punto di vista morfologico, dal prevalere delle forme proprie del clima arido (in profondo contrasto con le Ande Patagoniche) e, sotto il punto di vista orografico, dalla divisione in due fasci di catene, che circondano altipiani molto elevati, occupati da bacini senza scolo, spesso, ma a torto, paragonati con quelli del Tibet in Asia. Questa divisione, per la quale si distinguono una Cordigliera Occidentale ed una Orientale, si comincia per vero ad avvertire nel tronco più settentrionale della sezione precedentemente considerata, dove, alla catena principale, si affiancano verso E. delle Precordigliere, che, per quanto di costituzione geologica assai differente da quella delle cordigliere vere e proprie, non possono tenersi separate orograficamente da quelle. Per contro, sono da tenersi interamente distinte - e perciò non vengono considerate qui - le cosiddette Sierre Pampeane, residui di sollevamenti della prima età paleozoica, anteriori perciò ai sollevamenti andini (v. argentina).
Manca in questa parte centrale delle Ande una catena costiera vera e propria; quella che si designa con tal nome nel Chile settentrionale, consta in realtà di una serie di rilievi interrotti, di modesta altezza (1200-2000 m.), costituiti da potenti depositi del Giurassico e del Cretacico, molto ripiegati, rilievi sul cui versante orientale, all'incirca fra 19° e 26° S., ad altezze fra 600 e 1200 m., si trovano i ricchissimi giacimenti di nitrato, che rendono famosa questa zona del resto assolutamente desertica (Deserto di Atacama; piogge in media ogni 5-7 anni!).
La Cordigliera Occidentale, a N. del Paso las Cuevas, pochissimo conosciuta fino a pochi anni fa, continua molto elevata, con cime superiori o prossime ai 6000 m., di solito grandi edifici vulcanici, quali il Cerro de Olivares (6260 m.), il Cerro del Toro l 6360 m.), il Cerro del Potro (5830 m.), fino ai Nevados Tres Cruces, nei quali una vetta, il Cerro Incahuasi, raggiunge i 6620 m., e un'altra alquanto più a N. (27° 7′ lat.), l'Ojos del Salado, supera i 6800 m.: è perciò, forse, la seconda vetta di tutte le Ande. Sulla cresta principale corrono lo spartiacque e il confine politico, ma anche fuori di essa si trovano cime molto elevate, sia ad O., nel Chile (Cerro Doña Ana 5650 m.), sia ad E. in territorio argentino (Cerro Bonete 6200 m. circa). I passi (il più noto è il cosiddetto Paso del Inca, 4800 m., a N. del Cerro del Toro), sono rari e difficili, sicché le comunicazioni fra Chile e Argentina sono in questa regione assai scarse, tanto più che, varcata la catena principale, si trovano verso oriente le già ricordate Precordigliere, che si affiancano ad essa per circa 500 km., con altezze fino a 4000-4200 m. Il passaggio più facile attraverso di esse è costituito dall'angusta valle del Río San Juan.
La zona nella quale si elevano i Nevados Tres Cruces (circa 27°4' lat. S.), costituisce una specie di complesso nodo o di bastione - contenente altre cime superiori ai 6000 m. (Nevado S. Francisco 6000 m., Cerro Ermitaño 6140 m.) - che segna la biforcazione delle due grandi catene; qui è il Passo di S. Francesco (4720 m.), noto perché per esso entrò per la prima volta nel Chile l'Almagro (v.) nel 1526. La Cordigliera Occidentale continua a N., sempre costituita dalla solita impalcatura di rocce secondarie (scisti, calcari, arenarie), sulla quale si levano potenti apparati vulcanici, con lave recenti e tufi riolitici e andesitici: l'Antofalla, vulcano a più cime (6100 m.), il Cerro Azufre (5860 m.), il colossale Llullaillaco (6750 m.), forse il più alto vulcano attivo del mondo (si ricorda un'eruzione nel 1854), il Volcán Socompa (5900 m.), il Cerro Licancaur o Vulcano di Atacama (5930 m.), il S. Pedro (5920 m.), più volte attivo in tempi recenti (1891; 1901; 1911), l'Isluga (5530 m.), del pari in frequente attività (ultimamente nel 1913), lo Huallatiri (6693 m.), poi la piramide nevosa del Saiama, vulcano spento emergente da una larga base fino a 6520 m., il Tacora (5950 m.) e finalmente il Misti, o vulcano di Arequipa (5850 m.), di cui si menzionano quattro o cinque eruzioni negli ultimi cento anni. Questo è il vulcano attivo più settentrionale della serie peruano-boliviana; esso domina ad E. il bacino di Arequipa, chiuso a N. dall'imponente Cordillera Sierra de Ampato (Coro Puna 6615 m.), una delle più alte di questa sezione di cui segna l'estremità settentrionale.
A N. del Paso del Inca, la Cordigliera Occidentale è malamente accessibile; le comunicazioni fra Argentina e Chile sono estremamente difficili, anche perché un'altra catena, la cosiddetta Cordillera Domeyko, si affianca ad O. alla principale; tra le due è interposta una lunga sezione di altipiano, aridissima, sparsa di lagune salate (salares). Sotto il 21° lat. circa, la ferrovia Antofagasta-Oruro supera la Cordigliera Occidentale, senza galìerie né opere d'arte di grande importanza, al Passo di Askotan (3960 m.); più in alto s'inerpica la ferrovia Arica-La Paz (4257 m.), superata a sua volta dalla ferrovia Porto Mollendo-Arequipa-Puno, che sui fianchi della Sierra de Ampato giunge a 4470 m. Queste tre ferrovie facilitano l'accesso dal mare agli altipiani interni, che, in questa sezione settentrionale, sono sede di antico e intenso popolamento.
La Cordigliera Orientale, che si prolunga a N. dei Nevados Tres Cruces è, nella sua struttura orografica, assai più complessa, per la presenza di lunghe valli longitudinali, raccordate da brevi tronchi trasversali, le quali dividono la massa montuosa in tronchi succedentisi a gradinata. Dal punto di vista geolitologico, si differenzia profondamente dall'Occidentale, perché costituita prevalentemente da scisti arcaici o paleozoici ripiegati in età antica, dai quali emergono intrusioni granitiche, che formano spesso le più alte cime. Con esse sono in rapporto i ricchi giacimenti d'argento e di stagno, che danno vita alle città minerarie di Oruro, Potosí, Huanchaca, Portugalete, e determinano, come più avanti si dirà, l'esistenza di sedi abitate permanentemente che sono certo fra le più alte del mondo. A S. i tronchi più elevati sono i Nevados de la Laguna Blanca (5600 m.), il Cerro León Muerto, la serie imponente dei Nevados de Cachí (6000-6100 m.), il Nevado Acay (6000 m.), i Nevados de Chañi (6100 m.), la Sierra de Aguilar (5300 m.). Ad oriente, verso il Chaco, nettamente separate dalla cordigliera per un lungo solco indicato dal Río Santa Maria e dal Río San Francisco, si levano le Sierre Subandine, delle quali la più elevata è l'Aconquija (5100 m.) che si aderge come una muraglia ad O. di Tucumán. Le valli, che, in complicata rete, incidono questa serie di potenti rilievi, larga non meno di 180 km. sotto il 25° lat. (all'incirca il parallelo di Salta), riunendosi in basso nel Río Salado e nel R. Bermejo, fanno capo invece, in alto, a passi (abras) che conducono nella Puna: essi scendono di rado sotto i 4000 m. (Abra del León Muerto, 3950 m., Abra del Palomar, 3800 m.; il più basso, l'Abra de Tres Cruces, 3700 m., è utilizzato dalla ferrovia che da Tucumán sale a La Paz in Bolivia).
La sezione settentrionale della Cordigliera Orientale, dalla quale invece le acque scendono al Rio Beni (Rio Madeira, Amazzoni), si chiama Cordillera Real; essa forma il margine orientale della grande zona dei bacini interni (Titicaca, Poopó), culminando nell'Illimani (6450 m.), nell'Huaina Potosí (6270 m.), nell'Illampu o Nevado de Sorata (6615 m.) e più a N. nel Nudo de Apolobamba (5900 m.). Un'altra catena, la Cordillera de Cochabamba (Cerro Tonari 5200 m.), dapprima parallela alla Cordillera Real, volge poi ad E. e forma il margine settentrionale della zona montagnosa, scendendo rapidamente sul Río Mamoré; il Río Grande, che la circonda con un ampio gomito, costituisce una via naturale per discendere dagli altipiani interni al bassopiano amazzonico; del resto, l'orlo montuoso presenta poche intaccature e le comunicazioni sono difficili. Assai netto è, in tutta la Cordigliera Orientale, il contrasto fra il versante esterno (orientale) relativamente umido, e l'interno molto secco.
L'altipiano interposto fra le cordigliere occidentali e le orientali è detto Puna. La sezione meridionale (Puna de Atacama) ha un'altezza di 3300-4000 m. nelle parti più basse, occupate da acquitrini salati (salares); ad essi si alternano aree coperte di sabbie e di ghiaie, mentre le zone più alte sono costituite da un dedalo di rilievi, formati da colate di lave trachitiche, ovvero da coni vulcanici. A causa dell'elevata altitudine, della grande aridità e dei terribili venti che vi dominano, la regione è in gran parte un crudo deserto, interrotto solo da macchie di arbusti nani sempreverdi (la cosiddetta tola è una steppa con arbusti), di cactus giganti e di piante erbacee, tra le quali molte alofite. La sezione settentrionale (Puna Boliviana) è un po' meno elevata (3700-3800 m.) e riceve una certa quantità di piogge portate dai venti di E. Essa alberga nella parte settentrionale il lago Titicaca, all'altezza di 3810 m. (ampio 8200 chilometri quadrati, profondo 272 m.; v. titicaca), intorno al quale la monotonia dell'altipiano è rotta da brevi aree a coltura, sovrapposte a terrazzi. Il lago ha per emissario il Desaguadero, che, superata presso Oruro una soglia che unisce la Cordigliera Occidentale all'Orientale, si versa nel lago Poopó o Pampas Aullagas (alt. 3680 m.), veramente uno stagno di acque salmastre, profondo appena 4 m.; esso, in circostanze eccezionali, alimenta il Salar de Coipasa, alquanto più depresso (3675 m.). Più a S. è il vasto Salar de Uyuni. Come si è già detto, questi salares sono i residui di un vasto bacino lacustre pleistocenico, e formano tuttora, nell'insieme, un sistema idrografico interamente chiuso, separato anche a S. da quelli della Puna di Atacama, per mezzo della elevata Cordillera de Lipez (5500-6000 m.). A N., invece, il bacino del Titicaca è recinto dalla catena impervia detta Ande de Carabaya (Vilcanota-6300 m.); la ferrovia che unisce il lago Titicaca a Cuzco la supera nel Paso de la Raya (4310 m.).
Ande settentrionali. - Le Ande Settentrionali sono caratterizzate dalla graduale scomparsa delle forme caratteristiche del clima arido, come pure dei bacini senza scolo, dalla saltuarietà delle manifestazioni vulcaniche, e dal fatto che gli altipiani si restringono e spesso s'incavano, formano bacini solcati da fiumi, i quali, aprendosi talora il passaggio in strette gole, si avviano ad alimentare la grande arteria fluviale dell'oriente, il Rio delle Amazzoni. I fasci principali di catene sono ora due, ora tre, paralleli o divergenti.
Le Ande del Perù constano di due fasci di catene: l'occidentale, più complesso, preceduto spesso, verso il mare, da una serie di rilievi costieri (Ande Marittime), e l'orientale, molto meno continuo e sviluppato. Stridente è anche qui il contrasto tra il versante pacifico, sempre piuttosto secco, e quello amazzonico che è ormai nel dominio delle piogge equatoriali.
La massiccia e ripida Cordigliera Occidentale è costituita ancora prevalentemente da rocce secondarie, come scisti, calcari, arenarie, quarziti, con sovrapposizione di rocce eruttive recenti; i vulcani attivi mancano tuttavia interamente. Fra 15° e 11° lat. S. consta essenzialmente di una catena unica, non molto elevata, ma compatta come un baluardo, attraverso il quale i passaggi sono estremamente ardui: la ferrovia Lima-Oroya la supera in galleria, raggiungendo presso la stazione di Ticlio i 4775 m. (un tronco secondario che unisce Ticlio alla località mineraria di Morococha sale ancora un po' più su, fino a 4835 m., 25 metri più alta del M. Bianco; è la ferrovia più elevata del mondo). A N. dell'11° lat. la Cordigliera si apre in tre catene, la Cordillera Negra (4300-4800 m.), la Cordillera Blanca, culminante a circa 10°16′ lat. nel Cerro Carnicero (6632 m.) e più a N. nel maestoso Huascarán (6783 m.), forse la terza cima dell'America Meridionale, ricco di nevai, circondato da altre vette imponenti (Huandoy 6354 m., Huaylas 6280 m., ecc.), e la Cordillera de Huayhuach, coperta pur essa in alto da nevi perenni e ghiacciai e recante larghe tracce dell'èra glaciale; sul fianco NO. di essa, una corona di piccoli laghi glaciali dà origine al Marañón, che s'inoltra rapidamente in una valle profonda e incassata. Il versante occidentale delle catene è coperto di vegetazione xerofita; l'aridità diminuisce tuttavia procedendo verso N., onde appare il bosco a foglie caduche, mescolato alla steppa erbosa.
Le Cordigliere Orientali, ancora pochissimo conosciute, ma costituitei a quanto pare, di scisti e grovacche paleozoiche, hanno ancora, a SE. e a E. di Cuzco, vette prossime a 5000 m., poi diminuiscono di altezza e perdono la loro unità orografica; a 8°30′ lat. si leva il Nevado de Acrotambo (5100 m.), a circa 7° lat. il Nevado de Caiamarquilla, forse il più importante massiccio di questa sezione. Sul versante orientale, umidissimo, la foresta pluviale riveste le pendici fino a 1200-1500 m.; segue l'aspra e intricata foresta alpina (Ceja de la Montaña) fino a 3200-3400 m.; più in alto è la prateria sempreverde ricca di fiori.
Tra le due cordigliere si distende, monotono e uniforme, l'altipiano peruviano, indicato anche qui col nome di Puna, molto più ristretto che nella Bolivia, suddiviso, per mezzo di sbarre trasversali riunenti le due cordigliere, in tanti bacini elevati, quali quello di Ayacucho (2700 m.), quello di Huancavelica (3780 m.), quello di Oroya (3740 m.), e quello di Cerro de Pasco, il più elevato di tutti (4300 m.). In contrasto con la Puna Boliviana, quella Peruviana, beneficiata da piogge estive, non ha bacini chiusi, ma è invece incisa da valli profonde e incassate; il cui fondo è in genere molto caldo e contrasta, per i caratteri del paesaggio, con le parti più alte della Puna (Puna brava), battute dai venti freddi di O. e SO., e, nella stagione piovosa, tormentate da violenti temporali di grandine e di neve. La parte meridionale della Puna Peruviana è la sede dell'antico regno inca, la cui capitale, Cuzco, a 3400 m. di altezza, è tuttora il centro della zona più intensamente abitata. Meno popolato è il prolungamento settentrionale della Puna, che le profondi valli del Marañón, dello Huallaga e dei loro affluenti, hanno diviso in dorsi allungati, formanti nell'insieme un paesaggio montagnoso assai aspro, detto La Sierra.
Le Ande dell'Ecuador, all'incirca dal 4° S. al 1° 30′ N., formano un sistema di larghezza complessiva assai minore, non superiore, in media, a 200 km.; dànno luogo tuttavia anch'esse a una netta distinzione fra una Cordigliera Occidentale, una Cordigliera Orientale e uno stretto altipiano interposto. La Cordigliera Occidentale consta al solito di uno zoccolo di terreni secondarî (prevalentemente cretacei: conglomerati, scisti, arenarie, con dioriti e porfiriti), la Orientale di terreni più antichi (paleozoicì e arcaici: scisti argillosi, micascisti, graniti, gneiss); i suoi rapporti tettonici con la Cordigliera peruviana sono peraltro incerti. Come si è già accennato, a N. del 2° lat. S. entrambe le cordigliere si presentano rivestite di tufi vulcanici e di lave recenti (soprattutto andesitiche), che mascherano l'architettura primitiva del rilievo; di questi materiali sono composti i giganteschi, isolati apparati vulcanici della serie ecuadoriana, dei quali una quindicina e più sono così elevati da superare il limite delle nevi, che qui oscilla fra ì 4700 e i 5000 m. La Cordigliera Occidentale - che scende ripida a O. verso una ampia fascia di pianure e basse colline, ancora piuttosto arida a S., sempre più umida a N. dove entra nel dominio delle piogge equatoriali - è dominata dall'imponente cupola del Chimborazo (6310 m.), dalla cui zona culminale, coperta di nevai, scendono alcune lingue ghiacciate, lunghe oltre 4 km.; contiene due vulcani attivi, il Quilatoa (4010 m.), il cui cratere è oggi occupato da un lago, e il Pichincha (4787 m.), del quale si ricordano parecchie eruzioni dal sec. XVI in poi; tra i più elevati picchi non vulcanici lo Illiniza supera i 5300 m. La Cordigliera Orientale, che si presenta dapprima, verso S., come un bastione compatto, per quanto non molto elevato, sotto il 2° lat. N. si aderge a 5335 m. nel Sangay, vulcano che dà manifestazioni grandiose di attività stromboliana, quasi continue da due secoli (si iniziarono nel 1728) e consistenti nella emissione di nuvole di vapori fino a 10-14 km. di altezza, onde tutta la regione circostante rimane perpetuamente avvolta come in un'atmosfera nebbiosa; e continua con altri grandiosi colossi, come il Cerro Altar (5400 m.), inattivo, con una grande caldera occupata da un ghiacciaio, il Tungurahua (5087 m.), grande cono da cui fuoriescono, a lunghi intervalli, potenti colate laviche; poi, più a N., il gigantesco regolare cono del Cotopaxi (5943 m.), uno dei più alti vulcani andini, di cui si ricordano una ventina di eruzioni, a cominciare dalla prima menzionata, del 1534; il bianco Antisana (5756 m.), altro vulcano attivo a caldera; il Cayambé (5840 m.), vulcano spento; poi, più a N., il Vulcano di Pasto (4264 m.), che fu in continua attività stromboliana all'incirca fino all'epoca (1717) in cui si iniziò quella del Sangay, e che poi diede solo manifestazioni esplosive a lunghi intervalli; infine il Galeras (4260 m.), poco più a N., in attività solo dal 1924 (eruzioni esplosive nel 1925 e il 21 settembre 1926). L'altipiano interandino consta anche qui di una serie dì bacini (di Riobamba, di Ambato, di Quito, ecc.) coperti di alluvioni, di sabbie o di materiali tufacei, alti nel fondo 2200-3000 m., separati da sbarre trasversali formate da colate laviche o da serie di piccoli vulcani spenti; il suolo, mediocremente innaffiato da piogge stagionali (due stagioni umide e due secche più lunghe) e molto permeabile, è asciutto e fa un'impressione di nudità, poiché è costituito dì steppe, con agavi, cactee, euforbiacee, opunzie e gruppi di eucalipti; le colture sono scarse; prevale l'allevamento.
A circa 1°30′ lat. N. si manifesta una decisa ramificazione delle cordigliere. Delle due catene ecuadoriane, l'occidentale continua nella Colombia come una catena, costituita forse in gran parte da rocce cretaciche, relativamente poco elevata (Cerro Munchique 3012 m., Paramillo 3390 m.), ma nettamente delimitata a E. dalla profonda valle del Cauca; a N., questa catena si ramifica formando il paese montagnoso di Antioquia, ricco di miniere (oro, argento, platino). Tra la Cordigliera Occidentale e il mare si interpone, a S., una vasta cimosa pianeggiante, a N., un solco segnato dal Río S. Juan e dall'Atrato; tra questo solco e il Pacifico vi è poi la Cordigliera Costiera, modesta serie di rilievi terziarî (scisti marnosi, arenarie, conglomerati). La Cordigliera Orientale ecuadoriana continua invece nella Colombia come un'imponente catena centrale, elevata e scarsa di valichi, costituita prevalentemente da rocce cristalline, sopra le quali si elevano tuttavia ancora, nella parte meridionale, dei potenti vulcani: il vulcano Doña Juana (4250 m.), il Volcán de Puracé (4700 m.), l'Huila (5750 m.), il Tolima (5620 m.), il Paramo de Ruiz (5700 m.), l'Herveo (5600 m.); più a N. la catena si dirama, collegandosi, con le sue propaggini, a quelle della catena occidentale.
La virgazione delle Ande Settentrionali è resa evidente soprattutto ad E., dalla lunga e profonda valle della Magdalena, di origine tettonica, la quale già a Neiva, a 3° lat., ha il fondo a soli 475 m., cioè oltre 5000 m. più in basso dell'Huila che si leva ripidissimo a O.; essa si allarga sempre più verso N., fino a sboccare in una vasta pianura, cosparsa di laghi e di acquitrini, in parte riempita di alluvioni, che hanno colmato un'insenatura del Mar Caraibico. A N la continuazione della grande Cordigliera Centrale può forse riconoscersi nella elevata Sierra Nevada de Santa Marta (5880 m.), anch'essa prevalentemente costituita da rocce cristalline (graniti, gneiss, scisti cristallini, con porfiriti, dioriti e altre rocce eruttive antiche). Coronata in alto da nevi permanenti, incisa da circhi glaciali che isolano una serie di cime ardite presenta fianchi aspri, profondamente incisi da brevi e precipiti corsi d'acqua, coperti, specie sul versante settentrionale, da folti boschi.
La valle della Magdalena isola a oriente una terza catena, la Cordillera oriental de Colombia, formante spartiacque con l'Amazzoni e l'Orinoco, costituita da un imbasamento di strati precretacei intensamente ripiegati, sui quali poggiano zolle cretaciche non presentanti tracce di corrugamento, ma invece sollevate in blocco a formare le aree culminali, o sprofondate a costituire vasti bacini o altipiani interni, che sono una caratteristica morfologica cospicua di questa massa montuosa. I più importanti tra essi si trovano a 2500-2600 m. (altip. di Somagoso, di Bogotá, di Ubaté, ecc.). Le vette più elevate a S. superano raramente i 4000 m. (Páramo de la Suma Paz, 4310 m.), mentre a N. si fanno più alte culminando nel Nevado de Cocúi (5360 m.). Ma in questa zona la Cordigliera Orientale si divide a sua volta in due rami, i quali circondano la vasta conca di sprofondamento occupata dalla laguna di Maracáibo. Il ramo occidentale è conosciuto col nome di Cordillera de Ocaña, poi, a N. della profonda valle del Río Catatumbo, sì denomina Sierra de Perijd, ed è una delle parti, meno conosciute delle Ande; costituita di un imbasamento di melafiri e porfiriti quarzitiche, cui sovrastano potenti banchi di arenarie e calcari, culmina verso i 3000 m. nel pittoresco Cerro Pintado, cima imponente formata in basso da arenarie rosse, in alto da calcari bianchissimi; boschi fittissimi, impenetrabili, la rendono poco accessibile. Il ramo orientale è la Cordillera de Merida, costituita da una zona centrale cristallina (graniti, scisti cristallini) avviluppata da arenarie, calcari e scisti cretacei o terziarî; essa si eleva nel centro con vette prossime a 5000 m. (La Columna, 5002 m., Pico Concha, 4700 m.), delle quali cinque hanno nevi permanenti, mentre a NE. digrada con propaggini alte appena 2500-3000 m.; è incisa da numerose vallate, con fondi ben coltivati e assai fittamente ahitati. Dal 1925, la Cordigliera è peicorsa interamente da una strada camionabile, la Gran Carretera Transandina, che inerpicandosi sui suoi fianchi, da Barquisimeto, a Trujillo, a Mérida, a S. Cristóbal e, di qui, oltre il Río Cachira, confine con la Colombia, fino Cúcuta, è forse la strada carrozzabile più alta del mondo, raggiungendo in un punto la quota di 4118 m.
La bassa Sella di Jantagua - attraverso la quale, con un'elevazione non superiore ai 300 m., si passa dal bacino dell'Orinoco al versante del Mar Caraibico - isola i rilievi costieri del Venezuela (Montagne Caraibiche del Sievers), che gli abitanti stessi distinguono, col nome di Cordillera Costanera, dalle Ande vere e proprie. Queste montagne sono divise a loro volta in due sezioni dal Golfo di Barcellona. La sezione occidentale, la più elevata, consta di una catena litoranea, che culmina nel Pico de Naiguatá (2782 m.) e nella Silla de Caracas (2665 m.), e di una catena più interna (Serrania del Interior) e píù bassa (Cerro Azúl, 1600 m.), ma molto serrata e impervia; tra le due vi è una lunga depressione indicata dal lago di Valencia e dalla valle del Tay e percorsa in parte dalla ferrovia Valencia-Los Teques. La sezione orientale è pure costituita da due catene, ma nel solco interposto fra di esse è penetrato il mare, sicché la dorsale litoranea, più bassa (1200 m.) e più antica, si riduce alle due strette penisolette di Paria e di Araya, mentre la catena interna, più recente e più elevata (fino a 2600 m.), costituita in gran parte da calcari, forma un aspro paese montagnoso (Mont. di Sucre), poco accessibile, ricco di fenomeni carsici. Una continuazione della catena litoranea è, di là dalla Bocas de Dragos, la dorsale che percorre la costa settentrionale dell'isola Trinidad (M. Tucuche, 995 m.; v. trinidad).
Clima. - Già nelle pagine precedenti si è avuto frequentemente occasione di rilevare le profonde differenze che esistono fra le varie parti del sistema andino, per quanto riguarda le condizioni climatiche; né potrebbe essere altrimenti, dato che il sistema si allunga per circa 65 gradi in latitudine e si eleva, in certi punti, dal livello del mare fin verso i 7000 m. di altezza; cosicché, non solo s'incontrano tutte le zone climatiche, dalla polare alla tropicale, nel senso della latitudine, ma, nel senso dell'altezza, tutti i varî tipi di climi, da quello pluviale delle regioni equatoriali a quello alpino più accentuato. Profondo è inoltre quasi sempre, nelle Ande Meridionali e Centrali, il contrasto fra il versante pacifico e quello atlantico, a pari latitudine, soprattutto per quanto riguarda la distribuzione delle piogge: nel S. il primo è molto più piovoso: nel centro è tale, per contro, il secondo. Dove poi il sistema si divide, gli altipiani interposti fra i due fasci montuosi principali hanno un tipo di clima loro proprio, caratterizzato dalla siccità e dall'uniformità delle temperature; clima che a sua volta differisce spiccatamente da quello dei fondi delle vallate, che talora s'incassano profondamente negli altipiani stessi. E a N. è ancora stridente il contrasto fra il clima alpino delle elevate catene colombiane e quello delle valli della Magdalena e del Cauca, che corrono ai loro piedi.
Del resto siamo ben lontani dal poter fare un quadro completo del clima andino, per il difetto di osservazioni meteorologiche sistematiche, soprattutto nelle zone più elevate e in molte regioni del versante orientale.
Come esempio delle condizioni climatiche dell'estremità meridionale della regione andina, possono valere i dati sul clima di Punta Arenas, sullo Stretto di Magellano, a circa 53°10′ lat. S.; esso è caratterizzato da inverni non eccessivamente rigidi (luglio media −0° 2), da estati relativamente calde (gennaio 10° 9), da piovosità scarsa (400 mm.) distribuita un po' in tutti i mesi. Ma soprattutto caratteristica è la grande frequenza delle tempeste di O., provocate dai cicloni provenienti dal Pacifico, che si abbattono sulle coste o ne fanno il giro verso sud. Man mano che si procede verso N., aumenta rapidamente la piovosità, ancora distribuita in tutte le stagioni, ma con tendenza verso un massimo invernale: ad Ancud si superano già i due metri, a Evangelistas si raggiungono 2880 mm. annui: il cielo è quasi sempre nuvoloso, l'atmosfera ricca di vapori. Gl'inverni si mantengono miti, mentre le estati sono molto fresche (Ancud, gennaio 14° 7; luglio 7° 6). Tutte queste caratteristiche del clima si associano a favorire l'abbondanza dell'innevamento sui monti, a determinare perciò il basso limite delle nevi permanenti e il grande sviluppo di ghiacciai cui si è già accennato; inoltre il grande sviluppo del bosco. La corrente fredda detta di Humboldt, che lambisce le coste chilene, fa sì che l'aumento della temperatura, procedendo verso N., sia assai lento; la piovosità, per contro, diminuisce, e tende sempre più a concentrarsi nell'inverno, cosicché si determina, per questo riguardo, un tipo di clima simile a quello mediterraneo, con estati secche, inverni a piogge ciclonali, ancora copiose a S., sempre più scarse a N. (Concezione, 36°50′ lat. S.: temperatura media annua 13°4; gennaio 17°3; agosto 10° 2; pioggia mm. 1307, dei quali 678 nel trimestre invernale, e soli 75 da novembre a tutto marzo; a circa 30° lat. S., la piovosità è già ridotta a 150-160 mm. annui, concentrati esclusivamente nel periodo maggio-agosto).
Il versante orientale delle Ande ha temperature estive ovunque più elevate, piogge in genere più scarse, in tutte le stagioni a S., con prevalenza estiva a N. La località 16 de Octubre, a 43° 5′ S. e a 570 m. di altezza, ha, con una media temperatura annua di 8°,9, un'escursione di 14° (gennaio 16°1, luglio 2°1) e 490 mm. di pioggia; S. Luis, a 33°20′ lat. e a 720 m. di altezza, ha la media temperatura annua di 16° 9, con escursione di circa 150 (gennaio 24° 3, giugno 9°4) e solo 537 mm. di piōggia, di cui 340 nel quadrimestre novembre-febbraio e soli 36 da giugno a settembre; a Mendoza, ancor più vicina alle Ande, a 800 m. s. m., la piovosità annua è inferiore a 200 mm. Anche a grandi altezze la pioggia è scarsa, come dimostrano i dati della stazione di Uspallata, a 2845 m., dove non si avrebbero più di 175 mm. annui; le Ande sono dunque fasciate sul versante orientale da una zona secca che arriva fino ai piedi delle creste principali. A N. del 30° lat., sul versante occidentale delle Ande, si entra nel dominio dei venti alisei di S. e SO., freschi e secchi, e comincia perciò la zona priva di piogge, che si stende fino a 4° lat. S., e raggiunge talora la larghezza di 250-300 km. (sotto 5° lat.), risalendo i fianchi dei monti fino a 350-400 m. Quivi passano talora 5-6 anni senza piogge; quando queste si verificano, di solito in forma di acquazzoni violenti, i letti dei precipiti torrenti, normalmente a secco, convogliano al basso per breve tempo viscide colate argillose che rapidamente poi si riseccano. Soltanto sotto la cima delle cordigliere occidentali si hanno precipitazioni più frequenti, in forma di spruzzi di piogge estive, che permettono agl'indigeni di praticare sparse colture in talune alte conche vallive: Arequipa, a circa 2450 m. di altezza, ha circa 150 mm. annui di pioggia, dei quali 90 in febbraio. Le temperature sono anche sulla costa assai fresche tutto l'anno, per l'influenza della corrente di Humboldt; esse diminuiscono regolarmente col crescere dell'altezza (Porto Mollendo, a 17° 5' lat., media annua 18°3; febbraio 21° 5; agosto 1502; Arequipa, a 16° 22' lat., media annua 13° 5; ottobre 14°; giugno 13° 2, escursione 0° 8).
La siccità è, come si è detto, il carattere dominante anche negli altipiani interandini del S. - la Puna Argentina e Boliviana meridionale, - veri deserti, nei quali anche i processi della degradazione subaerea sono tipicamente quelli delle regioni spiccatamente aride. Sul versante orientale delle Ande le oscillazioni termiche sono molto più cospicue e la pioggia non manca nel semestre estivo, come ci mostrano i dati di Salta, posta a 24°45' lat. e a 1210 metri di altezza (temperatura media annua 17° 3; massima in dicembre 22°, minima in giugno 10° 4; escursione 11° 6; pioggia annua 560 mm., di cui 445 da dicembre a marzo). Nella Puna Boliviana settentrionale e negli altipiani peruviani, ad altezze di 3000-3500 m., dove si trovano le zone piìi abitate, si hanno, accanto a temperature costantemente miti (La Paz, media annua 9°4; escursione 4° 8; Cuzco, media annua 10°, escursione 3° 6) piogge sufficienti, sempre estive (La Paz, 540 mm. annui); esse aumentano sul versante orientale delle Ande (Sucre, circa 700 mm.), ma aumentano soprattutto procedendo verso N., per il prolungarsi della stagione piovosa (invierno) o per il comparire, accanto al periodo principale, di un periodo annuo secondario di piogge, come nell'Ecuador centrale.
A N. del 4° lat. S., nella regione andina settentrionale, il passaggio dal clima arido della costa peruviana al clima equatoriale costantemente umido si compie con rapido salto, entro breve intervallo: la corrente di Humboldt lascia la costa, e i venti alisei di S., freddi e secchi, vengono a mancare. Dapprima si ha sulla costa una stagione piovosa di un paio di mesi (febbraio-marzo), onde lo sviluppo del paesaggio steppico; poi, procedendo verso N., come pure elevandosi in altezza, il periodo delle piogge si prolunga; la provincia di Esmeraldas è già nel dominio delle piogge in ogni stagione. Le temperature sono estremamente uniformi, attraverso tutto l'anno, con medie di 23°-25° sulla costa, di 13°-14° negli altipiani interni. Il clima di questi è noto attraverso i dati di Quito (2850 m. s. m.), di cui riportiamo alcuni capisaldi: temperatura media annua 12° 6; escursione 0° 4; pioggia annua 1120 mm. (massimo aprile, 185; minimo luglio, 22; da ottobre a maggio più di 90 mm. al mese). Bogotá, a 2660 m., è in condizioni poco diverse per il regime termico (media annua 14° 4, escursione 0° 9), ma la piovosità è maggiore (1625 mm.); nessun mese ne scarseggia; le stagioni piovose sono peraltro due (ottobre-dicembre e marzo-maggio). Il versante orientale delle cordigliere equatoriali e boliviane rientra nel tipico dominio del clima equatoriale a piogge molto copiose in tutti i mesi, con conseguente sviluppo della foresta vergine.
Nelle Ande Settentrionali, a N. del 4° lat., manca dunque, in contrapposizione a quanto avviene in tutto il resto del sistema, un contrasto netto fra i due versanti principali riguardo alla distribuzione della piovosità; qui le piogge sono relativamente copiose, tanto sulle pendici orientali, come sulle occidentali. Anche per la distribuzione delle temperature, la diversa latitudine e la situazione rispetto al mare hanno scarsa influenza; il fattore decisivo è l'altezza. Ma, per il complicarsi del sistema orografico, e soprattutto per l'individuarsi di tre catene divise da profonde valli, si ha una molteplice successione di zone termiche disposte altimetrìcamente. Un carattere comune è quello delle piccole oscillazioni termiche stagionali. Per la distribuzione e la quantità di piogge, profondi contrasti si verificano localmente, fra le regioni esposte ai venti dominanti e quelle riparate. Nelle prime si hanno piogge copiose o in tutto l'anno o in due stagioni, e predomina perciò la foresta pluviale; solo a N. del 6°-8° lat. si passa al regime tropicale, con una sola stagione piovosa (piogge zenitali; estate settentrionale). Nelle regioni riparate si ha un lungo periodo secco, o anche due stagioni secche di minor durata, e si sviluppano la steppa, il cespuglieto o il bosco subtropicale. In conclusione, il quadro climatico si complica molto per differenze locali; per maggiori particolari e per i dati meteorologici v. colombia e venezuela.
Flora. - Uno schema generale della vegetazione della lunghissima e relativamente stretta catena montuosa, che, decorrendo lungo il margine occidentale del continente sudamericano, ne costituisce la spina dorsale, può servire di coordinazione alla trattazione più particolareggiata che del rivestimento vegetale dei singoli distretti è fatta alle voci relative.
Per quel che riguarda la distribuzione delle specie, bisogna anzitutto notare che, se la continuità della zona montuosa ha consentito a molti tipi boreali il passaggio nell'emisfero australe, attraverso la zona equatoriale, non si tratta tuttavia di un fatto generale. Secondo l'Engler, anzi, la maggior parte dei generi endemici delle Ande occupano zone molto ristrette, o possiedono aree frammentarie e talora molto dislocate; i due fenomeni quindi, comuni del resto a tutti i grandi distretti montuosi, della facilità di emigrazione, lungo l'asse longitudinale della catena, di specie che l'hanno percorsa nel senso della sua lunghezza, e di accantonamento invece di altre entità, che rappresentano i relitti di fenomeni di distribuzione indipendenti o la costituzione di endemismi neogenici, si presentano contemporaneamente.
Seguendo la suddivisione che abbiamo fatta più sopra, nella descrizione particolare delle Ande, possiamo distinguere anche per la flora tre sezioni: 1) Sezione settentrionale, dall'estremità nord-orientale del Venezuela sino a 4° lat. S., soggetta all'influenza della corrente fredda del Perù e variamente occupata da foreste pluviali e montane, formazioni forestali interlandine alte e basse e páramas. 2) Sezione centrale, dal 4° al 33° di lat. S., comprendente la regione dei deserti costieri, il distretto steppico della Puna, che fa seguito, a cominciare dal Perù settentrionale, a quello del Páramos, il seguito delle foreste montane tropicali e delle alte e basse foreste interandine, la foresta montana argentina e i relitti della flora orofila antartica, 3) sezione meridionale, dal 33° lat. S. all'estremità della catena andina, con la regione dei boschi chileni e il distretto principale di espansione delle orofite di origine antartica.
Le foreste pluviali e montane delle Ande Settentrionali sono molto rigogliose e possiedono una flora assai ricca. In questa estesissima formazione arborea si possono, procedendo dal basso verso l'alto, riconoscere parecchie zone successive: a) la zona superiore delle Palme (1200-1600 m. s. m.), accompagnata da una ricca vegetazione di Felci; b) la zona delle Cinchona e della Coca (Erythroxylon), normalmente estesa sino ai 2000 m. s. m., ma talora, in rapporto con la longitudine, raggiungente i 2500 m.; c) la zona delle Palme a cera (Ceroxylon sp. pl.), da 1800 a 3000 m., caratterizzata anche da Oreodoxa frigida e da un bambù (Chusnea cristata); d) la zona della rosa delle Ande (Bejaria), intimamente interferente con la precedente, da 2200 a 3000 m. s. m., e) la zona dei boschi alpini, da 2800 a 3400 m. s. m. (Podocarpus, Drymis, Escallonia, Baccharis, Buddleja, con ricco sottobosco erbaceo).
Le formazioni forestali interandine inferiori (Montes sub tropicos del Lorenz), le quali trapassano verso il basso con formazioni a savana o a parco, si spingono anche oltre i 1000 metri sul mare, e sono caratterizzate da specìe arboree di grandi dimensioni appartenentî a svariate famiglie (così Juglans australis, iuglandacea, Nectandra porphyria, lauracea, Cedrela brasiliensis, meliacea, Machaerium Tipa, leguminosa), e da abbondante sottobosco. Le formazioni interandine superiori, da 1000 a 2400 m. s. m., hanno naturalmente un carattere meno termofilo, quantunque ancora molto lussureggiante, con Podocarpus angustifolia, Alnus Aliso, Sambucus peruviana, Polylepis racemosa, ecc.
I Páramos sono vaste estensioni disalberate, situate al di sopra del limite della vegetazione arborea, e caratterizzate da grande sviluppo di una composita, il Frailejon (Espeletia varie specie), dall'aspetto di una palmetta, rivestita da un fitto tomento grigiastro e talmente impregnata di resina da incendiarsi facilmente anche nel tempo umido. Analoghi ai Paramos, sono i Páonales, steppe rivestite dai cespugli grigio giallastri della Stipa Ichu, che si estendono dal lembo superiore della vegetazione arborea al limite inferiore delle nevi permanenti (4600-4850 m. s. m.). In questa zona esistono, del resto, anche praterie alpine superanti un livello di m. s. m. e dotate di una ricca flora. La Puna è una steppa dominata dalla Stipa chu già citata, da cespugli di Tolu e da composite del genere Lepidophyllum; al di sopra di essa, come al di sopra dei Páramos, si incontra ancora una vegetazione alpina spingentesi sino al limite delle nevi, vale a dire fino a circa 5000 m., abbastanza varia, contenente una singolare mescolanza di piante suffrutescenti ed erbacee, boreali e australi (Baccharis, Senecio, Liabum, Chuquiraga, Saxifraga, Astragalus, Gentiana, Habenia, Valeriana, Bartzia, oltre a numerose graminacee, Poa, Festuca, Bromus, Descampsia, Agrostis). Nella zona costiera desertica del Perù, poi, al di sotto della Puna, invece che dalla foresta accennata precedentemente, i fianchi esterni della catena andina sono rivestiti da consorzî steppico-desertici, distinguibili, a loro volta, in almeno due zone principali. Una superiore - 2000-3900 m. - a clima temperato caldo, con numerose specie suffrutescenti del genere Calceolaria, grosse macchie di Lupinus paniculatus e frequente Heliotropium peruvianum; e una inferiore ai 2400 m., occupata essenzialmente da Xerofite tropicali (Cereus peruvianus, Colletia spinosa, Prosopis limensis, Capparis retusa, Acacia tortuosa, ecc.).
La foresta chilena, specialmente diffusa sul versante occidentale della catena, ma che trapassa però anche sull'orientale, ha già un carattere antartico, pure conservando una composizione floristica molto ricca. Ne sono caratteristici parecchi generi di conifere - Araucaria, Podocarpus, Libocedrus, Fitzroya, Dacridium, Saxegothaea; inoltre magnoliacee (Drymis), cupulifere (Fagus, subgen. Nothofagus), lauracee (Persea), monimiacee (Peumus), rosacee (Eucryphia), ecc. Parecchi di questi generi si ritrovano nella Nuova Zelanda, rappresentati da specie molto affini.
Finalmente il componente orofilo della flora antartica è risalito, come si è detto, assai al nord lungo la catena delle Ande, costituendovi dapprima una zona continua, poi isole sempre più disgiunte negli alti livelli andini. Localizzato nella Terra del Fuoco, fra i 550 e 1000 m., esso raggiunge sull'Aconcagua una zona compresa fra i 3000-4000 m., ed è caratterizzato da una Adesmia, suffruticosa, a corti rami spinosi, e da una mescolanza di graminacee (Poa flabellata, Hierochloa magellanica) e di altre specie appartenenti a generi tanto boreali (Ranunculus, Alsine) quanto australi. (Azorella, Acaena, Pernetya, ecc.).
Bibl.: J. Ball, Contributions of the Flora of the Peruvian Andes, in Journal Linn. Soc. Botany, XIII, Londra 1873, e altre pubblicazioni del medesimo autore; A. Grisebach e P. Tchihatcheff, La végétation du globe, Parigi 1878; A. Engler, Versuche über Entwickelungsgeschichte der Pflanzenwelt, ecc., II, cap. X, 1878; O. Drude e G. Poirault, Manuel de Géographie Botanique, Parigi 1897; K. Rühle, Die Vegetationsformen Südamerikas in ihrer klimatischen Bedingtheit, in Petermanns Mitteil., LXXIV, 1928.
Fauna. - La fauna delle Ande è molto caratteristica. Essa non soltanto possiede elementi proprî, ma mostra una grande somiglianza con la fauna patagonica, sì che molte famiglie spiccatamente meridionali si avanzano oltre il Tropico, e fin quasi all'Equatore, lungo la costa occidentale dell'America del Sud, contrastando vivamente com gli elementi faunistici che vivono a oriente delle Ande. A N. dell'equatore la fauna delle Ande è invece notevolmente simile a quella di tutta la porzione settentrionale dell'America del Sud. Gli orsi nell'America del Sud sono rappresentati dall'unica specie Tremarctos ornatus, propria delle Ande, ove si estende notevolmente; alcuni cani simili a volpi, come Canis amblyodon, C. trichodactylus, C. albigula, C. torquatus, sono proprî del Chile, mentre il Canis magellanicus abita anche la Terra del Fuoco. I Chinchillidae dei generi Chinchilla e Lagidium sono proprî della regione, e i Dinomyidae, col solo Dinomys Branickii, rarissimo, sono esclusivi delle Ande Peruviane. Assai interessanti sono i Llamas, camelidi particolari alle Ande, di cui una specie, Lama (Auchenia) vicugna, abita l'Ecuador meridionale, il Perù e la Bolivia occidentale, mentre l'altra, L. (A.) huanacus o guanaco, si estende dall'Ecuador alla Terra del Fuoco. Un ungulato caratteristico delle Ande Chilene è il Pudua humilis, sorta di cervo della mole di una lepre. Dell'Ecuador e della Colombia sono esclusivi i Caenolestidae, con due specie, ultimi rappresentanti di un gruppo di marsupiali estinti. Se non esclusive delle Ande, sono molto caratteristiche varie famiglie di uccelli, quali i Phytotomidae, tra cui Phytotoma rara propria del Chile: i Pteroptochidae; gli Steatornithidae, che vivono dal Perù al Venezuela; gli Anatidae della sottofamiglia dei Chenonettinae, di cui un genere è proprio delle Ande Peruviane e Chilene e della Patagonia, e di quella dei Merganettinae, delle cui otto specie sei sono confinate alle Ande e due rispettivamente nella Nuova Zelanda e nella Nuova Guinea; i Rhinocarythidae, esclusivi delle Ande e della Patagonia, fra cui il Thinocorys rumicivorus, esteso dal Perù alla Patagonia, il T. orbignianus del Perù, Chile e Bolivia, l'Attagis gavi dei medesimi luoghi, l'A. chimborazensis dell'Ecuador. I rettili delle Ande non hanno fisionomia particolare: notevole è peraltro la mancanza, sul versante occidentale a S. dell'Equatore, di coccodrilli e di testuggini. Nel Perù vive un'Ilysia, nell'Ecuador il caratteristico Lepidoblepharis e una Chelydra. A S. dell'Equatore mancano anfibî, urodeli ed apodi. Caratteristici delle Ande dell'Ecuador sono alcuni anuri, come l'Amphiquathodon Guentheri, solo rappresentante di uno dei due generi che costituiscono la famiglia degli Amphiquathodontidae, e le tre specie del genere Batrachophrynus, confinato alle Ande del Perù, che, col Dendrophryniscus di Rio de Janeiro, forma la famiglia dei Dendrophrynisaidae.
Le Ande sotto l'aspetto antropico ed economico. - L'influenza che le Ande hanno esercitato ed esercitano nella evoluzione culturale, economica e politica dell'America Meridionale deriva fondamentalmente dalla funzione di ostacolo o di barriera interposta fra il versante pacifico e quello atlantico, per tutta la lunghezza del continente, funzione cui il grande sistema montuoso non viene mai meno in tutta la sua enorme estensione, per quanto essa abbia diversa importanza nelle varie parti. Nessun'altra montagna del mondo può, per questo riguardo, essere paragonata alle Ande, nelle quali esistono - dallo Stretto di Magellano fino al Mare Caraibico - aree più o meno estese poste a così grande altezza da essere coperte di nevi per tutto l'anno o per la più parte, o comunque inabitabili e inaccessibili; zone deserte, insomma, che isolano i due opposti versanti. Questa funzione di ostacolo, che si può intravedere in tutta la storia della colonizzazione e della formazione statale dell'America del Sud, è massima là dove la grande zona di alteterre acquista la maggior larghezza, o là dove i fasci montuosi si moltiplicano. Si cita spesso come esempio tipico il fatto che i paesi situati sull'alto Mamoré in Bolivia, a soli 625-650 km. dalla costa pacifica, ma sul versante atlantico, sono quasi esclusivamente accessibili dal lato dell'Atlantico, cioè per la via delle Amazzoni, pur distando dalla foce di questo fiume oltre 4000 km.!
Parecchie caratteristiche essenziali della vita umana, nelle grandi aree montuose, si ritrovano del resto nelle Ande, come in tutti i più elevati sistemi di montagne del globo: la successione, in altezza, delle tre zone fondamentali delle colture, del bosco e del pascolo, la presenza nelle zone del pascolo - al di sopra del limite delle dimore permanenti - di abitazioni temporanee, soprattutto collegate con la pastorizia, e l'abitudine delle periodiche migrazioni stagionali dei pastori coi loro greggi, dai monti al piano e viceversa, che è comune p. es. fra gli Indiani montanari del Chile e dell'Argentina. Ma i limiti di quelle zone altimetriche variano moltissimo da una parte all'altra del sistema, soprattutto per influenza della latitudine; né si hanno finora su tali limiti se non dati sparsi e frammentarî. È noto peraltro che nella parte centrale delle Ande - quella che racchiude nel suo seno gli altipiani della Bolivia e del Perù meridionale - i limiti, così delle colture come delle abitazioni permanenti, ed anche forse delle temporanee, raggiungono probabilmente le massime altezze di tutto il globo. Ivi, su un territorio che è stato calcolato a circa 750.000 kmq., interamente racchiuso e isolato da barriere montuose e da zone di foreste e di deserti, almeno 3 milioni di individui vivono in aree prossime all'estremo limite altimetrico consentito alla specie umana. L'altipiano del Tibet, che è stato spesso paragonato a quelli andini, è molto più esteso, ma è ben lontano dall'ospitare, ad altezze paragonabili, una massa così cospicua di popolazione. Vi è forse nel Tibet qualche piccolo agglomerato umano ad altezza di qualche decina di metri superiore a quella dei più alti centri boliviani, ma in Bolivia la capitale stessa, La Paz, che ha circa 110.000 ab., è a 3700 m., e alcune cittadine vere e proprie sono sopra i 4000 m., come Potosí, Huanchaca, Cerro de Pasco; quest'ultima, che conta 13.000 ab., è a 4350 m.; in questa stessa zona vi sono villaggi e località minerarie a più di 4500 m. di altezza. Tutto ciò è dovuto al fatto che gli altipiani boliviano e peruviano meridionale, alle quote corrispondenti alla loro altezza media, presentano condizioni più favorevoli per l'insediamento umano che non le aree più basse a pari latitudine; anzi, come si sa, questi altipiani furono proprio il centro politico dello stato e la sede della civiltà degli Incas. Si è voluto riconoscere l'influenza dell'ambiente andino sulla cultura inca, nel grande sviluppo delle costruzioni e soprattutto delle colossali fortificazioni in pietra, nella consuetudine diffusa di terrazzare le pendici meno aspre per ridurle a coltura, e nelle progredite e sapienti pratiche per l'utilizzazione delle acque a scopo di irrigazione (cfr. R. H. Whitbeck, Adjustments to environment in South America, in Ann. of Assoc. of Americ. Geographers, 1926, pp. 1-11); in realtà queste ultime due caratteristiche sono proprie di molti popoli montanari viventi in regioni semiaride (anche nel dominio del Mediterraneo e in Asia). Anche nel Perù, nell'Ecuador e nella Colombia i centri importanti situati a grandi altezze sono frequenti (Puno è a 3860 m., Oroya a 3635, Quito, che ha quasi 100.000 ab., a 2850 m.; Bogotá, con circa 150.000, è a 2650 m.), cosicché questa può indicarsi come una peculiarità propria di tutte le Ande Centro-settentrionali, che non si ritrova, in misura paragonabile, in nessun altro paese del mondo. In parecchie zone lo sfruttamento minerario ha contribuito a fissare e mantenere l'uomo ad altezze cosi inconsuete.
Dal punto di vista economico, mentre le Ande Meridionali conservano quella grande ricchezza che è data dalle foreste, le Ande Centro-settentrionali ritraggono il loro massimo valore appunto dalle risorse del sottosuolo. Queste attirarono in alto grado l'attenzione degli Europei, appena essi posero piede fermo nel continente, anzi talune zone divennero - come è noto - proverbiali per la loro ricchezza. Ma l'utilizzazione mineraria attraversò, dal sec. XVI ai nostri giorni, varie vicende. Oggi le Ande della Bolivia e del Perù hanno ancora distretti argentiferi largamente sfruttati; quelle del Perù anche giacimenti auriferi; in entrambi i paesi si estrae il rame, in Bolivia lo stagno, nel Perù il vanadio; le Ande della Colombia danno oro e platino, in quantità sempre crescente (v. america e per maggiori particolari v. ai singoli stati).
Dal punto di vista politico, le Ande formano confine solo fra il Chile e l'Argentina, e si è visto che nella lunghissima zona la precisa delimitazione della frontiera ha dato luogo a complicate contese, ormai definitivamente risolute. Qui si trova anche l'unica comunicazione ferroviaria diretta finora esistente fra l'Oceano Pacifico e l'Atlantico (ferrovia Valparaiso-Mendoza-Buenos Aires), ma altre due se ne avranno prestissimo più a S., attraverso le Ande Patagoniche, la sezione più facilmente valicabile (Porto Montt-Viedma-Bahía Blanca e Valdivia-Neuquén-Bahía Blanca). Tutti gli altri stati andini si affacciano tanto al versante pacifico che all'atlantico, tranne la Bolivia, esclusa dalla costa pacifica dopo l'infelice guerra col Chile del 1881-82. Sette ferrovie salgono oggi dal Pacifico ai centri della regione andina, due chileno-boliviane (Antofagasta-Uyuni-Oruro-La Paz e Arica-La Paz), tre peruviane (Mollendo-Arequipa-Cuzco; Lima-Oroya-Cerro de Pasco; Pacasmayo-Cajamarca), una ecuadoriana (Guayaquil-Riobamba-Quito) e una colombiana (Buenaventura-Cali-Manizales); altre tre o quattro sono in costruzione. Inoltre una lunga e importantissima ferrovia, aperta solo da qualche anno, sale nel cuore della Bolivia dall'Oceano Atlantico, cioè da Buenos Aires, per Rosario, Tucumán, la Abra de Tres Cruces a Uyuni, e di là per Oruro a La Paz; essa è pertanto allacciata alle linee, testé ricordate, che partono dai porti chileni, cosicché si può andare oggi per ferrovia anche da Antofagasta o da Arica fino a Buenos Aires, per quanto il percorso sia assai lungo. Le ferrovie hanno, nella regione andina, proceduto talora più rapidamente delle strade carrozzabili; nondimeno il traffico automobilistico si va sviluppando, specie nella Venezuela ed in Colombia (la gran carretera transandina della Venezuela fu già ricordata sopra) e contribuisce a superare i formidabili ostacoli opposti dalle grandi barriere montuose. Tuttavia la conquista delle Ande da parte dell'uomo è ben lungi dall'essere terminata; essa ha enorme importanza anche dal punto di vista economico, perché regioni assai ricche, nel centro e nel nord, rimangono tuttora malamente accessibili e precluse ad una valorizzazione integrale; spetta ormai alle giovani nazioni sudamericane il compito di aprirle a una utilizzazione razionale, col concorso e a beneficio di tutti i paesi civili.
Bibl.: Per la storia dell'esplorazione, v. oltre le relazioni degli esploratori, per il periodo antecedente al sec. XX, lo studio di W. Sievers, Die geographische Erforschung Südamerikas im XIX Jahrhundert, in Peterm. Mitteil., XLVI (1900), p. 121. In generale, v. G. Steinmann, Die Cordilleren von Südamerika, Berlino 1886; W. Sievers, Die Kordillere von Merida, in Pencks Geogr. Abhandl., Vienna 1888; Schwarze, Die Firngrenze in Amerika, namentlich in Südamerika und Mexico, in Wiss. Veröffentl. d. Verein für Erdk., I (Lipsia 1891), pp. 3-92; A. Hettner, Regenverteilung, Pflanzendecke und Besiedlung in den tropischen Anden, in Richthofen Festschrift, Berlino 1892; A. Fitz Gerald, The Highest Andes, Londra 1899; R. Hauthal, Die Vulkangebiete in Chile und Argentinien, in Peterm. geogr. Mitteil., 1903, pp. 97-102; L. Riso Patrón, La Cordillera de los Andes, Trabajos i estudios de la 2ª Subcommissión chilena de límites con la Rep. Argentina, Santiago 1903; R. Hauthal, Gletscherbilder aus der agentinischen Kordillere, in Zeitschr. d. deutsch. österr. Alpenvereins, 1904, pp. 30-56; A. Keidel, Über den Bau der argentinischen Anden, in Sitzungsber. Akad. Wissensch., Vienna 1907, pp. 647-74; Meyer, In den Hochanden von Ecuador, Berlino 1907; R. Hennig, Ursachen und Wirkungen der klimat. Gegensätze zwischen der atlantischen und pazifischen Küste Südamerikas, Bonn 1910; R. Hauthal, Reisen in Bolivien und Peru, in Wiss. Veröffentl. d. Verein für Erdk., VII (Lipsia 1911); Quensel, Patagonische Kordillera, in Bul. Inst. Geol. Univ. Uppsala, 1912, pp. 1-114; Th. Herzog, Die ostbolivianischen Kordilleren, in Peterm. geogr. Mitteil., 1913; W. Sievers, Reisen in Peru und ECuador, in Wiss. Veröffentl. d. Verein für Erdk. VIII (Lipsia 1914); J. Bowman, Results of an Expedition to the Central Andes, in Bull. Amer. geogr. Society, 1914, pp. 161-83; W. S. Tower, The Andes as a factor in South American Geography, in Journ. of Geography, 1916, pp. 1-8; J. Bowmann, The Andes of Southern Peru, New York 1916; R. Helbling, Beiträge zur Topographie und Erschliessung der Cordilleren de los Andes zwischen Aconcagua und Tupungato, in Jahresber. Akad. Alpenclub, 1918, Beilage; G. Ogilvie Alan, Geography of the Central Andes, New York 1922; W. Penck, Der Südrand der Puna de Atacama, in Abhandl. Sächs. Akad. der Wissens., 1922; Th. Herzog, Vom Urwald zu den Gletschern der Kordillere, Stoccarda 1923; J. Bowmann, Desert Trails of Atacama, New York 1924; id., Iles humaines dans les Andes centrales, in Brunhes, Géographie humaine, 3ª ed., pp. 619-59; A. F. R. Wollaston, The Sierra Nevada of Santa Marta, in Geogr. Journal, 1925, pag. 97-111; M. Binghan, Le relief du Pérou, in Revue de Géogr. alpine, 1925, pp. 679-706; O. Schmieder, Das ostbolivianische Bergland, in Geogr. Zeitschrift, 1926, pp. 393-405; F. Kühn, Argentinien, Breslavia 1927; H. Schwalm, Klima, Besiedlung und Landwirtschaft in den peruanisch-nordbolivianischen Anden, Archivio spagnolo-americano 1927; W. D. V. O. King, The Uspallata Range and its related Scenery, in Geogr. Journ., LXX (1927), pp. 552-58; R. Stappenbeck, Éber Transgressionen und Regressionen des meers und Gebirgsbildung in Südamerika, in Neues Jahrb. für Mineral. und Paläontol. Abhandl., LVIII, Beilage, 1927, pp. 433-96; H. Keidel, Die geologischen beziehungen zwischen der Puna und der andinen Hauptkordillere, in Bolet. Acad. Nacion. de Ciencias, Córdoba, XXX (1927); K. Troll, Die Zentralen Anden, in Sonderband der Zeitschrift der Gesellsch. für Erdkunde, Berlino 1928, pp. 92-118; L. Riso Patrón, The Altitude of Aconcagua, in Geogr. Review, 1928, pp. 485-88; O. M. Miller, The 1927-28 Peruvian Expedition of the American Geographical Society, in Geograph. Review, 1929, pp. 1-37.