Letterato (Civitanova Marche 1507 - Roma 1566). Dapprima precettore a Firenze (1525-29), dove frequentò B. Varchi, fu poi (1529-43) segretario di monsignor Giovanni Gaddi a Roma, dove ebbe priorato, badia, benefici e prebende. Alla morte del Gaddi divenne primo segretario di Pier Luigi Farnese, e quando questi ricevette il ducato di Parma e Piacenza, fu messo a capo dell'amministrazione della giustizia; si salvò a stento quando il duca fu ucciso (1547). Fu poi a Roma alla corte del cardinale Alessandro Farnese (1548-63). Una canzone in lode della casa reale di Francia, da lui scritta per incarico del cardinale, Venite all'ombra dei gran gigli d'oro, censurata da L. Castelvetro, diede luogo a una famosissima polemica: il C. vi partecipò con un'Apologia (1558), violento sfogo di collera accompagnato da maligne insinuazioni, sebbene in fatto di lingua e di arte non vi manchino idee buone e arguzia. Alla prosa aggiunse rime ingiuriose, i Mattaccini, dal nome di certi giocolieri, e una Corona di nove sonetti, nei quali ripeteva contro il suo censore l'accusa di eresia e di aver fatto uccidere a tradimento un giovane letterato, Alberico Longo, suo partigiano: il Castelvetro fu condannato a morte in contumacia. Ritiratosi nel '63 in una sua terra presso Frascati, il C. cominciò la traduzione in sciolti dell'Eneide, il suo capolavoro. Pregevolissime anche le numerose Lettere e notevole, per la novità dell'invenzione, la commedia in prosa Gli straccioni (1544). Lasciò anche Rime petrarcheggianti e la traduzione della Retorica di Aristotele e degli Amori pastorali di Dafni e Cloe di Longo Sofista.