Gregorio VIII, antipapa
Non si hanno notizie certe riguardo la data e il luogo di nascita di Maurizio Burdino, futuro antipapa Gregorio VIII. L'unica fonte di cui si dispone a questo proposito, Roderico di Toledo, racconta che l'arcivescovo Bernardo di Toledo, di ritorno dal concilio di Clermont (1095), avrebbe portato con sé Maurizio Burdino dal Limosino nel Regno di Castiglia-León, adoperandosi in seguito per farlo divenire prima vescovo di Coimbra e, successivamente, arcivescovo di Braga, due diocesi della Contea del Portogallo, allora dipendente dal Regno castigliano. Ciò farebbe supporre un'origine francese di G. e, spingendosi più in là, sembra verosimile ipotizzare che, al momento di partire al seguito di Bernardo, Maurizio fosse monaco presso un monastero cluniacense della regione lemovicense. A legittimare tale ipotesi concorrerebbe, da un lato, la considerazione del legame particolare che unì sempre G. al mondo cluniacense: basti pensare, quando era ancora vescovo di Coimbra, alla concessione all'abate Ugo di Cluny della chiesa di Justa; o al dono al monastero cluniacense di S. Marziale di Limoges di una preziosa teca per i vangeli, che si diceva appartenuta a s. Basilio, portata con sé da Maurizio di ritorno da un viaggio in Terra Santa; o ancora, una volta divenuto antipapa, al privilegio rilasciato, nel 1118, a favore del monastero di St-Pierre d'Uzerche, altra dipendenza cluniacense. D'altro canto, lo stesso Bernardo di Toledo era di origine francese e apparteneva all'Ordine di Cluny e, sempre secondo la testimonianza di Roderico di Toledo, Maurizio non sarebbe stato l'unico uomo del suo stesso Ordine e della sua stessa terra che egli condusse con sé nel Regno di Castiglia-León.
Anche sulla famiglia di Maurizio Burdino nulla è noto. Alcuni studiosi, come S. Baluze (Vita Mauritii Burdini), ritengono che Burdino fosse il cognome e Maurizio il nome. In realtà, le fonti riportano, in alcuni casi, semplicemente Maurizio, in altri solo Burdino, in altri ancora Maurizio Burdino; a volte specificano Burdino ribattezzato Maurizio, o Maurizio con il soprannome di Burdino. È legittimo ritenere, tuttavia, che Maurizio rappresentasse il nome proprio, mentre Burdino un appellativo che fu dato a G. una volta divenuto antipapa. Sembra confermarlo il fatto che nella documentazione relativa alla diocesi di Coimbra e a quella di Braga, così come, del resto, nelle fonti narrative locali dell'epoca, il futuro G. è sempre citato esclusivamente come Maurizio, e, nelle sue lettere, papa Gelasio II gli si rivolge semplicemente come Maurizio o arcivescovo di Braga, fino al marzo del 1118; nella documentazione gelasiana successiva a questa data, invece, quando ormai Maurizio era stato consacrato antipapa, compare anche l'appellativo di Burdino: "qui Burdinus a Normannis dicitur". Che il soprannome di Burdino gli fosse stato dato dai Normanni o, secondo la testimonianza del Liber pontificalis e degli Annales Romani, dal popolo romano, poco importa; quel che conta rilevare è che si trattava di un appellativo con valore di scherno, la cui origine è da ravvisare, probabilmente, nel vocabolo spagnolo "burdo", vale a dire asino. Altrettanto interessante è osservare la rapidità con cui questo soprannome si diffuse, arrivando a soppiantare il vero nome di G. persino nella documentazione ufficiale: Callisto II, per esempio, nelle sue lettere al legato Bosone, utilizzerà esclusivamente il termine Burdino per designare l'antipapa.
Come si è detto in precedenza, dunque, nel 1095 Maurizio giungeva nel Regno di Castiglia-León al seguito di Bernardo di Toledo e, nel 1099, veniva consacrato vescovo di Coimbra. Negli anni in cui rivestì tale carica, Maurizio si distinse per l'impegno riformatore profuso nell'amministrazione della sua diocesi. Combatté, per esempio, le ordinazioni non canoniche e, in generale, si adoperò perché la circoscrizione ecclesiastica di Coimbra diventasse uno dei capisaldi dell'organizzazione della Chiesa romana nella Contea del Portogallo. Nel dicembre del 1108 moriva Geraldo, arcivescovo di Braga, e Maurizio fu chiamato a succedergli. Nella primavera-estate del 1109 egli si recava, pertanto, a Roma dove ricevette per mano del cancelliere Giovanni di Gaeta, futuro papa Gelasio II, il pallio e prestò giuramento di fedeltà all'allora pontefice Pasquale II. La nuova posizione di arcivescovo di Braga portò presto Maurizio in conflitto con il suo antico protettore Bernardo, arcivescovo di Toledo, nonché legato papale. Motivo del contendere erano i confini della provincia ecclesiastica di Braga e, in particolare, l'appartenenza o meno a essa delle diocesi di Coimbra, Zamora e León. Gli eventi precipitarono nel 1113, allorché Maurizio fu convocato da Bernardo al concilio di Palencia per rispondere dell'accusa di essere penetrato illegalmente nella diocesi di León. L'arcivescovo di Braga non si presentò; Bernardo allora lo sospese dal suo incarico e ottenne dal pontefice Pasquale II, nell'aprile del 1114, conferma della sua decisione. A Maurizio non restava che recarsi a Roma per trattare direttamente la questione in Curia. Qui, secondo il fantasioso racconto di Romualdo Salernitano, il futuro G., approfittando della sopravvenuta morte di Bernardo, avrebbe acquistato dal papa, dietro esborso di denaro, il diritto a succedergli alla guida dell'arcivescovato di Toledo. Pasquale II avrebbe accettato il denaro, senza, tuttavia, dar seguito alle sue promesse. La testimonianza di Romualdo è destituita di ogni fondamento, in quanto Bernardo morì nel 1124 e non nel 1114, come presuppone il racconto del cronista salernitano.
In realtà, il vero obiettivo del viaggio di Maurizio fu il desiderio di giustificare la propria posizione e il proprio operato di fronte al pontefice, e due brevi emessi da Pasquale II nel novembre del 1114 sembrano confermare che egli riuscì nel suo intento. Nel primo dei due documenti, il papa biasimava Bernardo per il comportamento scorretto tenuto nei riguardi di Maurizio e lo privava della giurisdizione da lui esercitata, in qualità di legato, sull'arcivescovato di Braga; nell'altro, ordinava al vescovo di Coimbra, Gonzalo, di fare riferimento, d'ora in avanti, per tutto ciò che concerneva l'amministrazione della sua diocesi, non più al metropolita di Toledo, ma a quello di Braga. A coronamento della sua missione romana, Maurizio ottenne dal pontefice, nel dicembre 1114, un privilegio che sanciva la revoca ufficiale della sospensione dell'aprile 1114, e che confermava i confini dell'arcidiocesi di Braga. Maurizio sarebbe potuto tornare, dunque, in Portogallo forte della sua nuova posizione e, invece, sembra che egli non abbia fatto mai più rientro nella sua sede.
Dove sia stato tra la fine del 1114 e il marzo del 1117, quando torniamo a disporre a suo riguardo di notizie certe, resta ancora oggi un mistero. Secondo la ricostruzione proposta da S. Baluze, il futuro G. si sarebbe conquistato a tal punto il favore e la stima di Pasquale II da indurre quest'ultimo a trattenerlo in Curia, per impiegarlo come legato in importanti ambascerie. Se tale ricostruzione può gettare luce sui modi in cui Maurizio entrò in contatto con la corte di Enrico V, al cui seguito lo vediamo giungere a Roma nel marzo del 1117, non rende ragione del cambiamento di fronte operato da Maurizio che, da legato papale, sarebbe passato repentinamente dalla parte del sovrano di Germania, arrivando ad accettare, addirittura, come vedremo, di incoronarlo contro il volere di Pasquale II. In realtà, è legittimo ipotizzare che, dopo la fine del 1114, Maurizio abbia lasciato Roma, come sembrano confermare le lettere di Pasquale II a lui indirizzate, da cui emerge come in Curia si ritenesse che egli avesse fatto ritorno nella sua diocesi. Inoltre, la notizia secondo cui Maurizio avrebbe svolto funzioni di legato per conto di Pasquale II, fu desunta da S. Baluze sulla base di un breve del suo successore Gelasio II, da cui si evincerebbe, se l'emendazione al testo proposta da C. Erdmann è corretta, che non Pasquale II, bensì Gelasio si sarebbe servito del futuro G. come ambasciatore presso Enrico V. Dunque Maurizio non rimase a Roma, ma, stando alla testimonianza del Liber pontificalis, per due anni andò vagando al di fuori della sua diocesi, conducendo una vita dedita ai piaceri presso la corte dell'imperatore. C. Erdmann ha cercato di far luce sulle ragioni che avrebbero spinto Maurizio alla corte di EnricoV. Il sovrano tedesco era allora in aperto dissidio con il pontefice Pasquale II, dopo che questi, nel concilio Lateranense del marzo 1112 e, ancora più fermamente nel concilio Lateranense del marzo 1116, aveva invalidato le concessioni, prima fra tutte il diritto di conferire l'investitura con il pastorale e con l'anello, estortegli con la forza da Enrico in occasione dell'accordo di ponte Mammolo (o Sette Fratte) del 1111. A ciò si aggiunga anche la questione apertasi alla morte di Matilde di Canossa (1115), allorché l'imperatore aveva dichiarato nullo il testamento con cui la contessa aveva disposto il passaggio dei suoi beni alla Chiesa. Perché dunque, Maurizio che, come si è visto era stato beneficiato da Pasquale II, avrebbe poi compiuto un repentino cambiamento di fronte?
Le ragioni del suo comportamento vanno ricercate, molto probabilmente, nella condotta tenuta da Pasquale II in occasione della controversia che da diverso tempo opponeva il vescovo di Santiago de Compostela all'arcivescovo di Braga. Il primo, promossa una lega con gli altri vescovi galiziani di Porto, Lugo, Mondofiedo, Tuy, Orense, aspirava a ottenere l'esenzione dalla giurisdizione del metropolita di Braga e a far assurgere la Galizia alla dignità di provincia ecclesiastica. Pasquale II, ben consapevole del crescente prestigio di Santiago quale meta di pellegrinaggi da tutto il mondo cristiano, e, dunque, anche dell'immensa fonte di proventi che il tesoro di S. Giacomo rappresentava per la Curia, si era mostrato ben disposto verso le richieste dell'episcopato galiziano, arrivando a rilasciare privilegi, come per esempio quello concesso alla diocesi di Porto nell'agosto del 1115, che si traducevano in significative diminuzioni delle prerogative territoriali e giurisdizionali del primate di Braga. Tali retroscena potrebbero forse giustificare perché Maurizio abbia deciso di non fare più ritorno nella sua diocesi e di passare dalla parte di Enrico V, al cui seguito giungeva a Roma nel marzo del 1117.
Pasquale II, avuta notizia dell'approssimarsi dell'imperatore, memore delle brucianti umiliazioni subite in passato, abbandonò la città, cercando rifugio in Italia meridionale. Enrico V, pur dichiarando di essere disposto a intavolare trattative di pace con il pontefice, indispettito dalla fuga di Pasquale II, non volle rinunciare a farsi incoronare nuovamente imperatore. Poiché, tuttavia, i cardinali rimasti a Roma si opposero alla sua richiesta, fu Maurizio, il più alto dignitario ecclesiastico della corte di Enrico, a provvedere (25 marzo). Pasquale II reagì immediatamente convocando, in aprile, a Benevento, un concilio in cui, tra l'altro, scomunicava Maurizio e lo privava della carica di arcivescovo di Braga. Allontanatosi Enrico da Roma, il pontefice si incamminò sulla via del ritorno, ma soltanto all'inizio dell'anno successivo riuscì a entrare in città, dove il 21 gennaio 1118 moriva.
I cardinali, riuniti in conclave, si affrettarono a eleggere nuovo papa, con il nome di Gelasio II, Giovanni di Gaeta, monaco cassinese e cancelliere papale. Alla notizia della sopravvenuta elezione, Enrico V si affrettò a tornare a Roma: la morte di Pasquale II aveva, infatti, lasciato aperte molte questioni di vitale importanza, a cominciare da quelle legate al cosiddetto "pravilegium" del 1111. Nel timore di dover far fronte alle violenze un tempo subite dal suo predecessore, Gelasio II abbandonò immediatamente Roma per Gaeta. La sua fuga non voleva rappresentare, comunque, la rinuncia a un tentativo di conciliazione con l'imperatore. Anzi, sembra proprio che in questa circostanza, come testimonia una lettera indirizzata dal papa al popolo romano, Gelasio abbia fatto ricorso a Maurizio come legato presso Enrico: una scelta significativa, considerando che Maurizio contro la volontà di Pasquale II aveva a suo tempo incoronato il sovrano tedesco, che era stato per questo da lui scomunicato ma che doveva pur essere stato riaccolto nelle grazie del neoeletto papa, dal momento che, sempre nella lettera sopra citata, Gelasio gli si rivolgeva chiamandolo "familiaris noster". La legazione di Maurizio non sortì gli effetti desiderati: per Enrico era inaccettabile la fuga del pontefice, così come la sua proposta di rinviare qualsiasi soluzione della crisi alle deliberazioni di un sinodo che si sarebbe dovuto tenere in ottobre a Milano o a Cremona, due città, tra l'altro, di provata fede antimperiale. Del resto, l'imperatore doveva fronteggiare anche le pressioni esercitate dalle famiglie romane, in particolare i Frangipane, acerrimi nemici del neoletto pontefice, sul cui aiuto egli contava per controllare la città. Pertanto, Enrico, confortato dal consiglio del giurista bolognese Irnerio, decise ancora di ricorrere al vecchio strumento dello scisma.
Il 10 marzo 1118 Maurizio veniva consacrato con il nome di Gregorio VIII. Se sulle ragioni del comportamento di Maurizio, passato da legato papale ad antipapa, allo stato attuale delle conoscenze, sembra impossibile far luce, si può, invece, dire che la scelta di Burdino da parte dell'imperatore non fu casuale: G., né italiano, né tedesco, era sostanzialmente un senza patria di cui ci si sarebbe potuti sbarazzare al momento opportuno senza grandi clamori. Dopo essersi fatto incoronare ancora una volta imperatore dalla sua creatura, il 2 giugno del 1118, Enrico, alla notizia che Gelasio II stava puntando verso Roma scortato da contingenti normanni, disponendo di forze militari insufficienti, si allontanò dalla città, lasciando solo Gregorio VIII. Tuttavia, abbandonato dai Normanni lungo il cammino, Gelasio riuscì a raggiungere Roma tra molte difficoltà e vi si trattenne solo pochi giorni. L'antipapa, infatti, forte del sostegno dei Frangipane, aveva il controllo di quasi tutta la città, tra cui alcuni punti chiave come S. Pietro, e poteva contare sulla fedeltà di diversi ex wibertini, come Romano cardinale di S. Marcello, Cencio cardinale di S. Crisogono, Teuzo cardinale dei SS. Giovanni e Paolo. Gelasio II decise allora di partire per la Francia, dove a Cluny moriva il 29 gennaio 1119. Il 9 febbraio dello stesso anno veniva consacrato a Vienne Callisto II. Il nuovo pontefice agì subito con la massima energia. Dopo aver tenuto in ottobre a Reims un grande concilio in cui ribadiva la condanna del "pravilegium" del 1111 e comminava la scomunica a Enrico V e al suo antipapa, si decise a far ritorno in Italia. I tempi erano maturi per un'azione di forza. In Germania, i principi e il clero, con alla testa l'arcivescovo di Magonza, Federico di Colonia e Corrado di Salisburgo, si erano ribellati a Enrico. Una Dieta di principi aveva riconosciuto il neoletto Callisto II. Inoltre, al di fuori di Roma, non sembra si possa parlare dell'esistenza di un'obbedienza burdiniana, se non a proposito di singoli personaggi cui G. era legato da rapporti personali, come, per esempio, il vescovo Ermanno di Augusta, riguardo al quale è noto che impose venisse recitato nella benedizione del cero pasquale il nome di G. e non quello del legittimo papa. Callisto mosse, dunque, alla volta di Roma, dove entrò solennemente il 3 giugno 1120, dopo aver avuto facile gioco delle resistenze opposte dalla fazione imperiale capeggiata dai Frangipane. Abbandonato da Enrico, ormai consapevole che l'unica via per uscire dalla crisi era cercare una conciliazione con il papa legittimo, G. lasciò Roma, rifugiandosi a Sutri. Qui, accerchiato dalle milizie capeggiate dal cardinale Giovanni di Crema, dopo un assedio di breve durata, il 22 aprile 1121, fu consegnato dagli abitanti di Sutri al papa, sopraggiunto nel frattempo. Il prigioniero fu condotto a Roma, dove sottostò a una tremenda umiliazione. Rivestito della pelle di un caprone, fu costretto a cavalcare al contrario un cammello e a girare per le vie della città sotto una tempesta d'insulti, di pietre e di frustate. Venne quindi incarcerato nel "Septizonium" e poi nella fortezza di Passerano. Successivamente, dopo aver indossato l'abito monastico, fu relegato presso la Ss. Trinità di Cava. Da qui fu trasferito nella rocca Ianula presso San Germano e, nel 1125, per volere di Onorio II, papa dal dicembre del 1124, passò nella rocca di Fumone. Secondo la testimonianza degli Annales Palidenses, nell'agosto del 1137, G., ancora in vita, era di nuovo a Cava. Si ignora la data della sua morte.
fonti e bibliografia
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