D'ALESSANDRO (Alessandri), Antonio
Nacque a Napoli da Paolillo probabilmente intorno al 1420. Compì studi giuridici prima a Napoli, poi a Ferrara ed a Siena. Si sarebbe addottorato a Ferrara, secondo il Giustiniani, a Bologna, secondo il Volpicella. Insegnò quindi presso l'università di Napoli esercitando nel medesimo periodo con successo l'avvocatura.
Benché si sia congetturato che egli fosse stato creato regio consigliere da Alfonso d'Aragona già dal 1447, sembra tuttavia accertato che egli fu elevato a tale incarico, che gli comportò una pensione annua di 500 ducati, da Ferdinando I, il 13 genn. 1459. Già l'anno precedente il re lo aveva inviato presso Pio II, dopo l'elevazione di questo al soglio pontificio, per portargli le sue congratulazioni ed omaggi e, soprattutto, per esercitare pressioni su di lui che doveva pronunciarsi in merito alla successione nel Regno. Come si sa, il pontefice concesse l'investitura all'Aragonese: sembra che sia stato lo stesso D. a preparare il testo della bolla relativa. Evidentemente il re fu soddisfatto delle doti di diplomatico dimostrate dal D. in questa prima missione, perché nel 1459 lo inviò in Spagna presso Giovanni II d'Aragona insieme con Turco Cicinello. Avevano due scopi: quello di convincere il sovrano aragonese che sue eventuali pretese sul Regno di Napoli non avevano ragione d'essere e quello di accordarsi con lui sul pagamento della dote della vedova di Alfonso d'Aragona, che aveva testato in favore dello stesso re. Nel medesimo anno il D. assolse anche ad un altro incarico, recandosi in Calabria nel tentativo di mantenere i Calabresi nella fedeltà all'Aragonese.
Il D. aveva probabilmente abbandonato l'insegnamento e, accanto ad una saltuaria attività di diplomatico, si era messo al servizio del re, compiendo una rapida e brillante carriera. Il 25 apr. 1471 divenne ufficiale della Sommaria, di cui poi fu fatto presidente; quindi fu giudice della Gran Corte della vicaria, luogotenente del logoteta, protonotario del Regno, fino a divenire, nel 1480, presidente del Sacro Regio Consiglio.
Il 26 sett. 1472, come "consigliere e collaterale del re" il D. che nel documento è detto "Antonio Alessandri", fu presente alla solenne cerimonia, nel corso della quale venne rogato l'atto relativo a due fatti di notevole importanza per i loro riflessi politici: la stipula del fidanzamento fra Gian Galeazzo Sforza, primogenito del duca di Milano Galeazzo Maria, ed Isabella d'Aragona, figlia di Alfonso duca di Calabria e nipote del re Ferdinando; e l'annullamento dei fidanzamento, concluso nel 1455, di Sforza Maria Sforza, poi duca di Bari, figlio di Francesco I, con Eleonora d'Aragona, figlia del re Ferdinando andata in seguito sposa al marchese di Ferrara Ercole I. Il 30 apr. 1480 il D. compare fra i testimoni dell'atto con cui il re di Napoli e il duca di Milano confermavano e ratificavano gli impegni del 1472 relativi al matrimonio fra Isabella d'Aragona e Gian Galeazzo Sforza, che era succeduto nel frattempo al padre, tragicamente scomparso il 26 dic. 1476. Nel documento il D. è definito "signor dottor Antonio de Alessandro, milite e consigliere".
Nel 1475 il D. tornò in Spagna; doveva interporsi per appianare i contrasti fra il regno del Portogallo e quello di Castiglia; doveva soprattutto portare a termine le trattative per il matrimonio di Ferdinando re di Napoli con l'infanta Giovanna. Conclusesi queste positivamente, nel giugno-luglio 1477 il D. fece parte del seguito del duca di Calabria, quando questi si recò a Barcellona per ricevere ed accompagnare nel Regno la futura regina di Napoli. Nel 1478 egli fu inviato presso Luigi XI di Francia per trattare il matrimonio tra Federico d'Aragona e una nipote del re, figlia del duca di Savoia. Questa missione non ebbe esito positivo. Nel marzo dell'anno seguente il re donò al D. il casale di Crispano e quello di Cardito, vicino Napoli. e nel medesimo 1480 lo nominò portolano e custode del porto del Fortore. Nel 1481 fu creato cavaliere e aiutante di camera del sovrano. Dopo l'occupazione di Gallipoli da parte dei Veneziani, i quali anche dopo la pace e il trattato del 1482 non avevano cessato le ostilità contro il Napoletano, fu deputato, insieme con Nicola Barone, al sequestro ed alla vendita dei beni dei Veneziani nel Regno.
Nel 1485 il D., che uno o due anni prima aveva sovvenuto il re con un prestito, ebbe l'incarico dal sovrano di presentare la chinea al papa. Innocenzo VIII però rifiutò di accettarla senza il versamento del censo dovuto dal re napoletano. Il contrasto'tra il pontefice e Ferdinando, trasformatosi successivamente in aperto conflitto con il sostegno papale ai baroni meridionali in rivolta, si concluse solo l'anno successivo. Il 31 ag. 1486 il D. tornò nell'Urbe con un nuovo incarico ufficiale. Fu ricevuto solennemente e prese alloggio nel palazzo dei Mellini, rimanendo nella città fino al 1490, come ambasciatore residente presso la S. Sede. Gli era stato effidato il compito di rassicurare il pontefice nei confronti della politica del sovrano aragonese, e di giustificare la sanguinosa repressione in atto nel Regno contro tutti coloro che, in un modo o nell'altro, erano rimasti coinvolti nella congiura dei baroni. Doveva altresì cercare di risolvere la spinosa questione del censo feudale e dei relativi arretrati, che nei patti di pace del 1486 il re Ferdinando si era impegnato a pagare.
Non era impresa facile. La diffidenza di Innocenzo VIII nei confronti del sovrano aragonese non era certo diminuita con la stipulazione della pace, ed il D. incontrò non poche difficoltà nel tentativo di tranquillizzare il pontefice illustrandogli le ragioni di politica interna, che erano alla base della durissima azione promossa dal re Ferdinando e dql duca di Calabria per eliminare ogni forza ed ogni spirito di opposizione. Non riuscì tuttavia ad impedire che il papa nell'estate del 1487, dopo una nuova ondata di arresti e di processi contro i baroni catturati - processi che si conclusero tutti con condanne a morte o a pesanti pene detentive -, inviasse a Napoli un suo nunziostraordinarioper chiedere conto al re del suo operato. Ad onta degli sforzi del D. dunque, i rapporti fra la monarchia aragonese e la S. Sede si guastarono nuovamente, sfociando nella grave crisi del 1489, quando Innocenzo VIII scomunicò e dichiarò decaduto il sovrano di Napoli, e questi si appellò al concilio contro il provvedimento papale. In un simile contesto si comprende bene come anche nel suo secondo obiettivo - quello del pagamento del censo feudale - la missione del D. a Roma fosse destinata a fallire. L'inviato partenopeo doveva consegnare ed illustrare al papa un memoriale, che reca la data del 15 ag. 1487, nel quale si tentava di dimostrare come ai sovrani di Napoli restasse l'obbligo della presentazione della chinea, essendo essi stati esentati dal pagamento del censo da Sisto IV, con bolla del 29 apr. 1472. Il papa si rifiutò di ricevere il D., che venne indirizzato alla Camera apostolica, la quale in un suo documento controbatté a tutte le argomentazioni del memoriale.
Nel 1490 il D. rappresentò il re Ferdinando nel concilio che il papa aveva indetto perché le potenze cattoliche si coalizzassero e si organizzassero contro i Turchi, concilio che si aprì il 25 marzo e durò fino al 30 luglio. L'anno successivo fu inviato dal sovrano in Spagna, presso la corte di Ferdinando il Cattolico dove rimase come ambasciatore residente fino al 1493. Durante questo periodo egli si occupò di tutte le questioni che intercorsero fra le due potenze; in particolare condusse per lungo tempo le trattative relative al matrimonio del principe di Capua e a quello della figlia del re di Napoli. Inoltre, dopo l'elevazione al soglio pontificio di Alessandro VI, l'oratore presentò più volte al sovrano spagnolo le rimostranze del re di Napoli contro il papa, del quale il re nelle lettere all'ambasciatore elencava i torti. Rientrato a Napoli, il D. nel marzo del 1494 fece parte dell'ambasceria che Alfonso II, salito al trono nel gennaio, inviò al pontefice perché lo investisse del Regno. Gli oratori, che dovevano anche trattare le condizioni per il matrimonio della figlia naturale del re, Sancia, con Jofré Borgia e che prestarono, in nome del loro sovrano, obbedienza al papa il 20 di marzo, ottennero due giorni dopo la richiesta bolla d'investitura. Poco meno di un anno più tardi il D. fu uno dei testimoni del testamento di Alfonso II. Da re Federico ottenne la conferma dei feudi.
Morì a Napoli il 26 ott. 1498 o, più probabilmente, del 1499. Il suo corpo fu solennemente tumulato nel monastero di S. Maria di Monte Oliveto, in una tomba che lo stesso D. si era fatto approntare, secondo l'ipotesi di L. Giustiniani, nel 1491. L'orazione funebre fu tenuta dall'accademico pontaniano Francesco Pucci.
Il D., di cui ci sono noti due fratelli, Giacomo e Pietrocola (morti rispettivamente nel 1492 e nel 1493), aveva sposato una Maddalena Ricci.
Delle numerose opere composte dal D., probabilmente soltanto una fu stampata vivente l'autore, Reportata... super II codicis..., [Napoli] 1474 (cfr. Indice gen. degli incunabili, n. 349), benché E. Besta (Fonti, in Storia del diritto ital., a cura di V. del Giudice I, 2, Milano 1925, p. 869) sembri affermare che un'altra opera del D., De haereditatibus quae ab intestato deferuntur, sia apparsa a Venezia nel 1499 e sia stata ristampata poi a Basilea nel 1556. A Napoli invece furono pubblicate nel 1546 le Consuetudines Neapolitanae cum glosis ... una cum decisionibus ... d. A. de A. ... et aliorum .... Un suo consilium è edito in S. Loffredi, Consilia sive responsa, Venetiis 1577, pp. 122-126, mentre rimasero manoscritte e andarono con ogni probabilità perdute Recollectae ... in tit. soluto matrimonio ... Collectae per Franc. Miroballum eius scholarem, dum idem Antonius in Neapolitano Gymnasio anno 1466 publico regio stipendio conductus legeret... (Giustiniani, p. 44).
Considerato dal Pontano un mediocre diplomatico, il D. non eccelse neanche come giurista, lasciando dietro di sé una fama vaga della sua dottrina e avendo quasi come unico merito quello di essere probabilmente parente del più famoso Alessandro D'Alessandro.
Fonti e Bibl.: F. Trinchera, Codice aragonese, II, 1, Napoli 1868, pp. 64, 102 s.; 131, 169, 173, 175 s.; 181, 209 s.; 253 s.; 270-73, 282, 296 ss.; 314 s.; II, 2, ibid. 1870, pp. 25-30, 41-48, 117, 145 ss.. 152 s. (ma non II, 1, pp. 102 s. e II, 2, pp. 57 s.); Dispacci e lettere di I. Gherardi, a cura di E. Carusi, Roma 1909, ad Indicem (con l'ind. di ulteriori fonti e bibl.); Regesti della Cancelleria aragonese di Napoli, a cura di I. Mazzoleni, Napoli 1951, ad Indicem; J. Burchard, Diarium..., a cura di L. Thuasne, I, Paris 1883, pp. 207 s.; II, ibid. 1884, pp. 82, 97; P. Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli, IV, Napoli 1770, pp. 420 ss.; L. Giustiniani, Memorie storiche degli scrittori legali del Regno di Napoli, I, Napoli 1787, pp. 38-44; Regis Ferdinandi primi instructionum liber, a cura di L. Volpicella, Napoli 1916, pp. 220 s.; C. Santoro, Un registro di doti sforzesche..., in Arch. stor. lomb., s. 8, VI (1953), pp. 140 ss.; L. von Pastor, Storia dei papi, III, Roma 1959, pp. 360, 371; D. Maffei, Alessandro D'Alessandro, Milano 1956, pp. 30 s.