ROSMINI SERBATI, Antonio.
– Nacque il 24 marzo 1797 a Rovereto, secondogenito di Pier Modesto (1745-1820), patrizio tirolese e nobile del Sacro Romano Impero, e di Giovanna dei conti Formenti (1754-1842) di Biacesa (Riva del Garda).
Ebbe una sorella maggiore, Gioseffa Margherita (1794-1833) e un fratello minore, Giuseppe Maria (1798-1863), che si sarebbe sposato ma non avrebbe avuto figli; un terzo fratello, Felice, morì a un anno.
I Rosmini discendevano da Aresmino, di origini bergamasche, e si erano stabiliti a Rovereto nel Quattrocento, divenendo una delle famiglie più importanti della cittadina, con un discreto asse proprietario. L’atmosfera culturale di casa Rosmini fu particolarmente viva nel XVIII secolo, quando Rovereto – che era nella diocesi di Trento, ma non faceva parte del suo Principato vescovile, dipendendo direttamente dall’imperatore – vide con gli Asburgo un momento di grande fioritura intellettuale e fu uno dei ‘nodi’ della muratoriana ‘repubblica delle lettere’. Roveretano era l’abate Girolamo Tartarotti Serbati (imparentato con i Rosmini, che ne ereditarono il fidecommesso Serbati, diventando Rosmini-Serbati con Giannantonio, il nonno di Antonio), il quale era in relazione con Ludovico Antonio Muratori e scrisse una nota opera per criticare la credenza nella stregoneria. In quel contesto si ebbe la fondazione dell’Accademia degli Agiati da parte di Giuseppe Valeriano Vannetti (1719-1764), il cui figlio, Clementino (1754-1795), fu tra i frequentatori di casa Rosmini, insieme al sacerdote filippino veronese Antonio Cesari (1760-1828). Entrambi, ma soprattutto il secondo che lo conobbe personalmente, lasciarono un’impronta significativa sul giovane Antonio, legandolo al gusto classicista e cruscante, nel segno della lingua di Dante e soprattutto di Petrarca e di Bembo. Cesari fu pure importante sia nel momento del discernimento vocazionale di Antonio sia nel rafforzarne l’indirizzo spirituale nel segno di S. Filippo Neri. Ma chi soprattutto esercitò una forte influenza intellettuale sul giovane Rosmini fu lo zio Ambrogio (1741-1818), fratello maggiore del padre, celibe e convivente con loro: artista e architetto di discreto valore, allievo di Pompeo Batoni, egli educò il nipote al gusto estetico e all’arte, con un’intonazione ‘raffaellesca’.
Durante l’infanzia di Rosmini, Rovereto conobbe continui cambiamenti di regime politico, fino a tornare agli Asburgo con la Restaurazione. Dopo l’istruzione elementare, impartitagli da don Giovanni Marchetti, frequentò il ginnasio cittadino, dal 1808 al 1814. In quel periodo fu soprattutto attratto da studi letterari (con la ricerca di aggiunte al Vocabolario della Crusca), ma ebbe anche interessi scientifici e soprattutto spirituali e teologici. Importante fu allora il rapporto con i giovani condiscepoli. Con essi diede vita alla ‘Accademia Vannetti’, dove già manifestò la sua predilezione per l’amicizia spirituale: a tale ideale egli dedicò pure l’operetta apologetica Il giorno di solitudine rimasta allora inedita. Ancor giovane, dunque, si segnalava come una delle menti roveretane più promettenti, tanto da essere accolto fin dal 1814 nell’Accademia degli Agiati (che poi nel 1879 lo avrebbe dichiarato suo presidente onorario perpetuo). Dopo aver già deciso, sicuramente dal 1814, di diventare sacerdote, Rosmini compì privatamente gli studi liceali, nel 1815-16, sotto la guida di don Pietro Orsi e cominciò a spostare la sua attenzione dalle lettere alla filosofia, studiata sul manuale di Franz Samuel Karpe. Scrisse diversi abbozzi di carattere filosofico: secondo una sua più tarda testimonianza a Francesco Paoli, proprio nel 1815 ebbe l’intuizione «dell’idea universalissima dell’essere» come oggetto necessario del pensiero. Superò infine brillantemente gli esami finali presso il liceo imperiale.
Si iscrisse alla facoltà di teologia dell’Università di Padova, dopo aver escluso di studiare a Vienna o a Roma. Durante gli studi universitari, che andarono dal 1816 al 1819 (con la laurea il 23 giugno 1822), conobbe illustri docenti, come Simone Assemani, Tommaso Tommasoni, Cesare Baldinotti (già a riposo, ma che lo introdusse all’approfondimento di Kant e di Giacinto Sigismondo Gerdil), Giovanni Prosdocimo Zabeo, docente di teologia pastorale, con il quale si laureò con una tesi sulle Sibille. Ma conobbe anche compagni di studio molto vivaci come Niccolò Tommaseo, Sebastiano De Apollonia, Pier Alessandro Paravia, con i quali diede vita a un altro sodalizio comunitario: la Società degli Amici. Coltivò il disegno di una Enciclopedia cristiana, quasi come risposta alla Encyclopédie illuministica, ma per mostrare l’accordo della ragione con la fede, e approfondì la ricerca sulla «coscienza pura».
Tornato a Rovereto nel 1819, si compì intanto il suo iter ecclesiastico. Aveva indossato la veste talare nel 1817, ricevuto la tonsura e gli ordini minori nel 1818; fu infine ordinato sacerdote il 21 aprile 1821 a Chioggia nella chiesa della Ss. Trinità. Ebbe, dunque, l’incarico di vicario parrocchiale a Lizzana.
In quegli anni roveretani, Rosmini approfondì i suoi studi filosofici, ma avviò anche – dopo i moti rivoluzionari del 1820-21 – un’impegnativa opera sulla politica (poi chiamata Politica prima o roveretana), rimasta allora inedita. In quel periodo, peraltro, giunse alla formulazione del «principio di passività» (pensare a emendare se stessi e in tale stato di autopurificazione permanere, senza ricercare impegni di apostolato, ma non rifiutare il servizio di carità verso il prossimo se a questo si fosse stati chiamati dalla divina provvidenza) che fu sempre l’architrave della sua spiritualità. Scrisse anche una notevole operetta (pubblicata nel 1823 dall’editore Battaggia di Venezia), Dell’educazione cristiana, dedicata alla sorella per darle consigli in ambito educativo.
Nel 1823 il patriarca di Venezia Ladislao Pyrcher gli chiese di accompagnarlo a Roma. Questo primo soggiorno romano fu importante nella definizione degli indirizzi ecclesiali di Rosmini. Entrò infatti in relazione amicale con i circoli dello zelantismo a tendenza riformatrice e, in particolare, con il camaldolese Mauro Cappellari. Fu l’influenza di quegli ambienti che lo portò a staccarsi dagli indirizzi dei ‘politici’, ai quali era stato fino ad allora più vicino, e ad avvicinarsi invece allo zelantismo riformatore, condividendone gli ideali di rinnovamento spirituale (e di minore attenzione verso il potere temporale del papa). Ebbe pure modo di incontrare l’anziano Pio VII. Poco più tardi, alla morte del pontefice, tenne nel 1823 a Rovereto un Panegirico di Pio VII, che fu pubblicato solo molto più tardi (Modena 1831), per le difficoltà opposte dalla censura asburgica: oltre agli indirizzi dello zelantismo, vi appariva un amore per l’Italia che sembrerebbe quasi un precorrimento del neoguelfismo e in cui il mito di Pio VII e della libertas Ecclesiae si congiungevano e immedesimavano con la libertà italiana. Per proseguire gli studi politici (la cosiddetta Politica milanese), nel febbraio del 1826 Rosmini si trasferì a Milano, dove rimase, tranne per qualche intervallo, fino al 1828, vivendo in comunità con il suo segretario Maurizio Moschini e con Tommaseo, che però lo avrebbe lasciato presto, preso dalle forti passioni letterarie. Il cugino Carlo Rosmini, che viveva a Milano da tempo ed era ben noto per i suoi lavori storici, introdusse Antonio negli ambienti intellettuali della città. Egli conobbe così il conte Giacomo Mellerio, che avrebbe poi sempre sostenuto le sue iniziative caritative, e soprattutto Alessandro Manzoni, con il quale si sviluppò un sodalizio amicale intenso e affettuoso, durato fino alla morte: nel confronto con il grande scrittore, Rosmini affinò i suoi gusti letterari e artistici, abbandonando il rigido classicismo per aprirsi a un temperato romanticismo; nel contempo Manzoni diventò progressivamente, sul piano filosofico, un rosminiano. Tra le altre amicizie milanesi di Rosmini vi furono l’abate Luigi Polidori, il matematico Gabrio Piola, oltre a numerose famiglie patrizie. A Milano Rosmini pubblicò gli Opuscoli filosofici (1827-1828) che lo imposero all’attenzione dei cultori di filosofia: vi presentava un ideale antisensista (in polemica con posizioni come quelle, per esempio, di Melchiorre Gioia e Gian Domenico Romagnosi) e antimaterialista. Ciò propiziò un incontro con il francese Félicité-Robert de La Mennais.
Preso contatto con Maddalena di Canossa, a motivo dell’entrata della sorella Margherita nelle canossiane Figlie della Carità, gli fu proposto, dalla stessa Canossa, di dar vita al ramo maschile della congregazione. Il progetto non si sviluppò, per la diversità dei disegni. Ma Rosmini si avviò verso la fondazione di un suo Istituto, inizialmente affiancato dal sacerdote lorenese Jean-Baptiste Loewenbruck. Raccolse riferimenti spirituali ed elaborò un corposo manoscritto in tre volumi di appunti, il Directorium Spiritus, da cui avrebbe tratto i ‘materiali’ fondativi e che, pur rimasto inedito, costituisce il testo più importante della spiritualità rosminiana (e per lo studio delle sue fonti). Trasferitosi, dunque, al S. Monte Calvario di Domodossola (dove Mellerio aveva alcune proprietà), nella Quaresima del 1828 Rosmini scrisse la prima versione delle Costituzioni (che avrebbe poi a lungo rivisto e perfezionato), fondando l’Istituto della Carità, che proprio a Domodossola ebbe la sua prima casa. Una seconda fu poi aperta a Trento nel 1831. Successivamente ci sarebbe stata pure la fondazione del ramo femminile, le Suore della provvidenza. Nelle Costituzioni, tra l’altro, ma anche nel successivo Manuale dell’Esercitatore (1840), Rosmini esprimeva un’originale distinzione triniforme della Carità, parlando di carità corporale, carità morale o spirituale e carità intellettuale (che si esprimeva nell’educare).
Intanto però, sperando di avere l’approvazione dell’Istituto e delle Costituzioni da Leone XII, che era vicino agli zelanti, Rosmini si recò a Roma nel novembre del 1828. Il papa però morì di lì a poco, senza che egli potesse vederlo. Fu dunque elevato al soglio pontificio, nel 1829, Francesco Saverio Castiglioni, più vicino ai ‘politici’, che prese il nome di Pio VIII. In ogni caso, il cardinale Cappellari, sempre stretto amico di Rosmini, gli procurò un’udienza papale il 15 maggio 1829. Pio VIII assunse un atteggiamento piuttosto dilatorio sul progetto fondativo rosminiano (non parlò delle Costituzioni, consigliò di cominciare in piccolo e di lasciar fare alla divina provvidenza): in effetti le Costituzioni sarebbero state approvate, in via definitiva, solo da papa Gregorio XVI (ovvero proprio da Cappellari) nel 1839 con il breve In sublimi. In compenso, Pio VIII incoraggiò molto Rosmini alla ricerca intellettuale e lo spinse a continuare con decisione lo studio della filosofia, investendolo quasi di un mandato.
Rosmini, dunque, scrisse criticando Benjamin Constant e il sansimonismo (1828-29) ma, sviluppando il suo disegno sempre proteso verso un’enciclopedia del sapere non pregiudizialmente anticristiana, si convinse che, prima di una Filosofia pura, fosse necessario indagare la questione gnoseologica sull’origine delle idee e del principio di verità, rispetto alla quale gli pareva che nella filosofia moderna europea si fossero delineate due tradizioni di pensiero entrambe insoddisfacenti: chi concedeva troppo alla ragione e chi le concedeva troppo poco. Così, proprio a Roma, tra il 1829 e il 1830, Rosmini pubblicò (in una edizione in quattro volumi, cui seguì una seconda già nel 1836) la sua prima importante opera filosofica (e, probabilmente, il libro di filosofia più originale nell’Italia della prima metà del XIX secolo), il Nuovo saggio sull’origine delle idee, in cui assunse la prospettiva critica moderna, sviluppandola rigorosamente e quindi criticando lo stesso criticismo kantiano, inteso comunque come imprescindibile riferimento, e riconducendo le categorie di Kant a una sola: l’idea dell’essere. Decisiva era pure la teorizzazione di un ‘sentimento fondamentale corporeo’. Rosmini si attestava così su una posizione nuova e originale, certo in sintonia con le grandi tradizioni platonico-agostiniana e aristotelico-tomista, ma chiaramente moderna, ancorché critica sia verso il sensismo, il materialismo, l’empirismo e lo scetticismo, sia verso il razionalismo e l’idealismo. Dopo avere, dunque, proposto questa innovativa gnoseologia (e ontologia), egli pubblicò, nel 1831, una seconda opera fondamentale, nella costruzione del suo sistema, dedicata alla filosofia morale: i Principi della scienza morale, in cui il criterio della moralità era fondato nel riconoscimento dell’ordine dell’essere.
Peraltro, ancora a Roma nel 1830, diede pure alle stampe le Massime di perfezione cristiana, ritenute il testo fondamentale della sua spiritualità. Tali massime erano sei (tre sui fini dell’agire e tre sui mezzi per conseguire tale fine) e sviluppavano il già formulato principio di passività: desiderare unicamente e infinitamente di piacere a Dio, ovvero di essere giusto; orientare tutti i propri pensieri e le azioni all’incremento e alla gloria della Chiesa di Cristo; rimanere in perfetta tranquillità circa tutto ciò che avviene per disposizione di Dio riguardo alla Chiesa di Cristo, lavorando per essa secondo la chiamata di Dio; abbandonare se stessi nella Provvidenza di Dio; riconoscere intimamente il proprio nulla; disporre tutte le occupazioni della propria vita con uno spirito di intelligenza. Si veniva così a configurare un indirizzo rosminiano dell’ascetica (completato con altre opere, come Delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa, scritta tra il 1832 e il 1833, ma allora non pubblicata, e come la Storia dell’amore cavata dalle Divine Scritture, del 1834), che si può storicamente considerare l’asse portante di una scuola italiana di spiritualità, caratterizzata da ideali di ‘riforma cattolica’.
Nel maggio 1830 Rosmini era tornato al Calvario di Domodossola, nel Piemonte sabaudo, ed era stato eletto superiore dai suoi confratelli. Peraltro, nel contesto internazionale europeo dei primi anni Trenta, con l’attenuarsi della Restaurazione e le rivoluzioni in Francia e in Belgio, il 27 aprile 1831 salì al trono del Regno di Sardegna Carlo Alberto, il quale avrebbe presto sviluppato un suo indirizzo riformistico, con riflessi anche sull’opera del roveretano. Dal 2 febbraio dello stesso anno era poi asceso al soglio pontificio, assumendo il nome di Gregorio XVI, proprio quel cardinale Cappellari, al quale Rosmini era legatissimo. Il 27 marzo 1832, il papa gli scrisse una calda lettera di encomio e di incoraggiamento.
In seguito alla richiesta del suo vescovo di Trento, nel settembre 1834 Rosmini divenne parroco di S. Marco a Rovereto. Tuttavia per le difficoltà, di segno diverso, che gli si presentarono, sia da parte dell’amministrazione austriaca sia nello stesso ambiente ecclesiale trentino, si dimise e lasciò la parrocchia nell’ottobre del 1835. Testimonianza di quella attività pastorale furono i Discorsi parrocchiali (Milano 1837) e il Catechismo disposto secondo l’ordine delle idee (Milano 1838).
Tornato in Piemonte nella seconda metà degli anni Trenta, e stabilitosi a Stresa sul Lago Maggiore, Rosmini si dedicò agli studi, con la stesura di altre impegnative opere, nel campo della filosofia morale (Storia comparativa e critica de’ sistemi intorno al principio della morale, Milano 1837; Antropologia in servigio della scienza morale, Milano 1838; Trattato della coscienza morale, Milano 1839) e della filosofia politica (Filosofia della politica, Milano 1837-1839), mentre rimase incompiuta l’Antropologia soprannaturale (pubblicata postuma a Casale, in tre volumi, nel 1884). Sviluppò pure discussioni critiche con Terenzio Mamiani della Rovere, pubblicando Il rinnovamento della filosofia in Italia (Milano 1836), e con de La Mennais, al quale si indirizzò con una Lettera di A. R. S. sacerdote al signor abbate F. de La Mennais a Parigi (Ancona 1837), e ribadì le sue critiche a Gioia e a Romagnosi, polemizzando anche con Carlo Cattaneo. Questo intenso lavoro di originale elaborazione filosofica continuò nella prima metà degli anni Quaranta e portò alla pubblicazione delle grandi opere Filosofia del diritto (Milano 1841-1843), Teodicea (Milano 1845) e Psicologia (Novara 1846). Ma Rosmini raccolse anche suoi precedenti scritti, con nuove e impegnative introduzioni, nei due volumi del 1840 Ascetica e Apologetica.
Tale serrata attività di elaborazione teorica non lo distolse dai suoi impegni come preposito dell’Istituto della Carità: ne furono testimonianza anche i quattro volumi delle Prose ecclesiastiche (Milano 1838-1850). Egli, dunque, consolidò la presenza dei suoi religiosi a Torino e in Piemonte (prendendo anche la rettoria della Sacra di S. Michele in Val Susa nel 1836), aprì una casa a Verona (1833), inviò missionari in Inghilterra (1835). Tuttavia, dal 1841, si scatenò una polemica, via via sempre più violenta, da parte di alcuni gesuiti contro il rosminianesimo, a partire dalla sua impostazione dei principi morali. Fu soprattutto sotto il generalato di Jean-Philippe Roothaan, che – con il suo consenso (dovuto forse anche alla paura di una certa ‘concorrenza’ da parte dell’Istituto della Carità) – alcuni membri della Compagnia di Gesù, in genere coperti da pseudonimi, condussero un attacco virulento. Si apriva così quella che fu detta questione rosminiana, che avrebbe conosciuto varie stagioni. Intanto, il 7 marzo 1843 fu imposto il silenzio alle due parti, per decisione di Gregorio XVI, il quale, nonostante le posizioni pastorali sempre più chiuse assunte via via, rimaneva un sincero ammiratore e un protettore di Rosmini. A motivo di tale ordine di silenzio, Rosmini non pubblicò Il Razionalismo che tenta insinuarsi nelle scuole teologiche, che aveva nel frattempo scritto.
Sopitisi momentaneamente gli attacchi censori dei gesuiti contro di lui, si aprì un altro fronte polemico, altrettanto radicale, ma meno aspro nei toni e meno ostile, quello con Gioberti. Nel 1847 Rosmini pubblicò sia a Milano sia a Napoli Vincenzo Gioberti e il panteismo. Lezioni filosofiche, senza però che si incrinasse la stima reciproca fra i due abati filosofi e fosse impedita una certa convergenza negli ideali confederali e nazionali.
In effetti, se gli eventi rivoluzionari del 1848-49, da una parte, videro Rosmini assumere ruoli non di secondo piano, dall’altro rappresentarono il punto culminante della sua influenza, seguito però da una sconfitta così radicale da segnare non solo la sua sorte personale, ma anche e lungamente le fortune della sua filosofia e della sua spiritualità.
Nel 1846 era stato eletto Pio IX e le sue prime misure, cautamente riformatrici, produssero un crescente entusiasmo neoguelfo e liberale verso il pontefice, sostenuto da collaboratori favorevoli al nuovo corso, come Giacomo Antonelli (1806-1876), subito creato cardinale. In vista della concessione della costituzione nello Stato pontificio (che avvenne il 14 marzo 1848 con il determinante appoggio di Antonelli, personaggio tendente al compromesso e al doppio gioco), Rosmini si impegnò in questo senso, elaborando alcuni progetti. Il costituzionalismo rosminiano, originalmente differente da quello liberale classico (soprattutto nella versione delle costituzioni francesi), ritrovava nel concetto di persona la «modalità» di tutti i diritti, non era confessionale, immaginava organi supremi di garanzia (come il Tribunale politico).
Nel marzo del 1848 Rosmini raggiunse Milano, dov’era scoppiata l’insurrezione delle Cinque giornate. Qui pubblicò, nel maggio, La Costituzione secondo la giustizia sociale (con un Saggio sull’Unità d’Italia) che lo fece conoscere come un cattolico ‘costituzionale’ (più che come cattolico liberale in senso stretto), e La Costituente dell’Alta Italia in cui si mostrò vicino agli ideali neoguelfi giobertiani e favorevole all’unificazione italiana, in senso confederale. Poco dopo pubblicò pure, con l’editore Veladini di Lugano, l’opera che aveva tenuto fino ad allora nel cassetto: Delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa.
Questo libro, destinato a essere il più noto dei lavori di Rosmini, fu certo il più importante ed emblematico del suo indirizzo spirituale e della scuola italiana di spiritualità, con il suo profilo di riforma cattolica. Sulla base del parallelo tra la Chiesa e Gesù crocifisso, egli indicava cinque ‘piaghe’ sanguinanti, ovvero cinque principali problemi storici della Chiesa cattolica, bisognosi di cura e dunque di riforma: la divisione del popolo dal clero nel pubblico culto; l’insufficiente educazione del clero; la disunione dei vescovi; la nomina dei vescovi abbandonata al potere laicale; la servitù dei beni ecclesiastici. Emergeva una visione dinamica della storia della Chiesa, l’attenzione a una vera e partecipata liturgia, il rilievo accordato alla Sacra Scrittura, una ecclesiologia di comunione, un’ipotesi di ripristino dell’elezione dei vescovi affidata a clero e popolo, l’ideale di una Chiesa povera.
Nel frattempo, nel marzo del 1848, era scoppiata la prima guerra d’indipendenza, che inizialmente assunse i caratteri, peraltro incerti e confusi, di guerra federale, con l’invio anche di un contingente di truppe pontificie. Ma con l’allocuzione Non semel del 29 aprile, Pio IX, su consiglio di Antonelli, che stava modificando le proprie posizioni da filoliberali a filoaustriache, si ritirò dalla guerra contro un Paese cattolico come l’Austria. In maggio si chiamò fuori anche Ferdinando II. In giugno vi furono le vittorie austriache di Vicenza, Padova, Treviso, Palmanova; il 20 luglio gli austriaci occuparono Ferrara, che era possedimento pontificio. Rosmini, in Svizzera per motivi di salute, fu allora chiamato, il 31 luglio, da Gabrio Casati, presidente del Consiglio subalpino, su indicazione di Gioberti. Il 3 agosto, dopo la sconfitta di Custoza e alla vigilia della resa di Milano (e dell’armistizio Salasco, il 9 agosto), egli incontrò il governo: gli venne affidata una missione a Roma, a nome di Carlo Alberto, per convincere il papa a una rinnovata alleanza in funzione antiaustriaca: in realtà, i termini del mandato non furono chiarissimi (Rosmini pensava alla possibilità di un Concordato, che conducesse poi a una Confederazione italiana presieduta dal papa). A seguito di questo incarico, comunque, egli si trovò coinvolto in prima persona negli avvenimenti romani del 1848-49 (conclusisi i quali, rielaborando appunti e documenti conservati, egli compose un memoriale storico, pubblicato postumo nel 1881 e poi in edizione critica, a cura di Luciano Malusa, Della missione a Roma di Antonio Rosmini-Serbati negli anni 1848-49. Commentario, Stresa 1998).
A Roma, a metà agosto, Pio IX lo accolse molto favorevolmente e il 21 gli comunicò, tramite il cardinale Castruccio Castracane, di volerlo nominare cardinale. Qualche settimana dopo, lo stesso segretario di Stato, Giovanni Soglia Ceroni, gli esplicitò che ciò preludeva a un passaggio proprio nelle sue mani della segreteria di Stato. Rosmini sviluppò la sua ipotesi confederale, che sembrò potersi realizzare. Pio IX si mostrò interessato, ma non a un coinvolgimento militare nella guerra contro l’Austria, che era probabilmente il principale obiettivo sabaudo. In effetti, il governo piemontese non accolse il progetto di Rosmini, temendo una diminuzione dei propri poteri. Inoltre, il nuovo capo dell’esecutivo subalpino, Ettore Perrone di San Martino, non sembrava in sintonia con il roveretano. A Roma c’era poi l’opposizione di Pellegrino Rossi, sempre più autorevole, tanto da avere in mano, da settembre, le redini del governo pontificio. Così Rosmini rimise il mandato ricevuto dal Regno di Sardegna. Rimase però a Roma, su richiesta di Pio IX che lo stimava. Cominciava, tuttavia, una sorda opposizione nei suoi confronti dagli ambienti curiali più chiusi e filoaustriaci, soprattutto da parte del personaggio più importante, il cardinale Antonelli, che vedeva in Rosmini un possibile concorrente, nonché l’esponente più lucido e preparato dell’indirizzo che sempre più, ormai, egli avversava. Peraltro, gelosie, conformismi e meschinerie personali, così comuni negli ambienti di Curia, colsero il roveretano totalmente impreparato. Pio IX aveva riservatamente chiesto un parere sulle ultime operette rosminiane: il 4 novembre il domenicano Giacinto de Ferrari, di modesto livello, fu assai duro sulle Cinque Piaghe, meno severo, ancorché sostanzialmente contrario, sulla Costituzione secondo la giustizia sociale fu invece monsignor Giovanni Corboli Bussi, diplomatico di fiducia del papa, ma non ostile a Rosmini.
Il fallimento della missione rosminiana segnò, in realtà, la sconfitta generale del sogno confederale neoguelfo, spingendo i democratici all’azione. A metà novembre la rivoluzione romana, avviata dall’assassinio di Rossi, portò a un nuovo governo, in cui Rosmini, nonostante l’indicazione di Pio IX, rifiutò di entrare, ritenendolo illegittimo. Il 24 novembre Pio IX fuggì a Gaeta e Rosmini lo seguì, stabilendosi a Napoli all’inizio del 1849. Pio IX si era tuttavia spostato su posizioni decisamente anticostituzionali e intransigenti. Rosmini non ricevette più la porpora. Il potere fu nelle mani di Antonelli e dei prelati intransigenti e filoaustriaci (e ormai antirosminiani). Percependo una crescente ostilità nei suoi confronti da parte dei membri della corte pontificia, e constatando le difficoltà che gli venivano anche dal governo borbonico, Rosmini decise, nel giugno 1849, di tornare in Piemonte. Sulla via del ritorno, il 15 agosto, gli giunse la notizia della condanna all’Indice delle sue due operette: Delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa e La Costituzione secondo la giustizia sociale. Si sottomise subito «puramente, semplicemente ed in ogni miglior modo possibile» (Marcocchi - De Giorgi, 1999, p. 164). Peraltro, pur in quel turbine di difficili e amari avvenimenti, trovò il modo di stendere un’opera teologica complessa, L’Introduzione al Vangelo secondo S. Giovanni commentata, rimasta allora inedita. Nel novembre del 1849 era di ritorno a Stresa.
La clamorosa condanna doveva, tuttavia, riaccendere la ‘questione rosminiana’: ripresero gli attacchi di parte gesuitica o comunque intransigente, ormai tesi all’accusa di eterodossia e panteismo. In quel clima, Rosmini stampò due volumi di Risposta ad Agostino Theiner contro il suo scritto intitolato lettere-storico-critiche intorno alle cinque piaghe della Santa Chiesa (Casale 1850), che però ritirò quasi immediatamente dalla pubblica circolazione. Pio IX aveva infatti rinnovato l’ordine del silenzio (13 marzo 1851). Il papa fu indotto a sottoporre a esame, da parte della Congregazione dell’Indice, tutte le opere di Rosmini fino ad allora pubblicate. Il 26 aprile 1854 la commissione di otto consultori, chiamati a esprimersi, giudicò tali testi privi di errori, ritenendo infondate le accuse di parte gesuitica, e proponendo che gli scritti di questi autori anonimi venissero invece condannati; la condanna non ci fu, ma il 3 luglio si ebbe il definitivo decreto assolutorio (Dimittantur opera, 1854) della Congregazione, che dimetteva dunque da ogni addebito l’intera produzione rosminiana.
Tornato agli studi, Rosmini si impegnò in una monumentale opera, che doveva mostrare la grande costruzione di una riflessione fondata sul sintesismo e sulla triniformità dell’essere (ideale, morale, reale): la Teosofia, cominciata nel 1846 e rimasta però incompiuta e inedita. In quegli ultimi anni, pubblicò, comunque, una Introduzione alla filosofia (Casale 1850), una nuova lunga introduzione all’ultima e definitiva edizione del Nuovo saggio sull’origine delle idee (Torino 1851) e la Logica (Torino 1853): opere mature che davano il sigillo compiuto del suo pensiero, consacrandolo probabilmente come il più grande filosofo e teologo italiano dell’Ottocento preunitario. Proseguivano poi le sue relazioni di amicizia o tramite carteggi (lasciò un epistolario di circa undicimila lettere) o di persona: in particolare con Manzoni (che nel 1850 gli dedicò il Dialogo dell’invenzione) e con il giovane Ruggiero Bonghi, che ospitò più volte, tra il 1850 e il 1853, a Stresa. Bonghi stese più tardi, nelle Stresiane (Milano 1897), un resoconto abbastanza puntuale delle conversazioni che Rosmini aveva avuto con lui, con Manzoni e con Gustavo Benso di Cavour (fratello di Camillo).
Nell’autunno del 1854, in un suo soggiorno roveretano, Rosmini ebbe un grave malore dopo una cena in casa di conoscenti: si parlò di avvelenamento. Di fatto, da quel momento ebbe un crollo fisico. Rientrò a Stresa, ma la salute peggiorò costantemente e lo costrinse a letto. Messi in allarme, tutti gli amici più cari andarono a trovarlo: Paolo Orsi, il fedelissimo seguace Alessandro Pestalozza, che lo aveva difeso alcuni anni prima con opere di grande nerbo, dagli attacchi gesuitici, Gustavo di Cavour. Anche Tommaseo, ormai quasi cieco, lo incontrò. Manzoni gli fu molto vicino fino agli ultimi momenti, ricevendo da lui poche parole, ritenute quasi un testamento spirituale essenziale: «Adorare, tacere, godere».
Dopo un’agonia di otto ore, Rosmini morì a Stresa il 1° luglio 1855.
Rimanevano una serie di opere inedite, che erano incomplete o perché non finite o perché mancanti, in misura diversa, della revisione, di merito e di forma, definitiva. Tali opere, pubblicate postume, sono, oltre a quelle già segnalate: Del principio supremo della metodica (Torino 1857); Aristotele esposto ed esaminato (Torino 1857); Teosofia (I-V, Torino 1859-1874); Saggio storico-critico sulle categorie e la dialettica (Torino 1883).
La ‘questione rosminiana’ tuttavia non si chiuse, anzi raggiunse il suo acme quando Leone XIII rilanciò il neotomismo. La Congregazione del S. Uffizio condannò come erronee quaranta proposizioni estratte da opere rosminiane (in gran parte dai testi postumi) con il decreto Post obitum del 1887, ma pubblicato il 7 marzo 1888. Una sorta di pregiudizio di eterodossia gravò da allora sul rosminianesimo, anche se nessuno mise mai in dubbio la personale santità del roveretano: in ogni caso, da parte rosminista si sviluppò subito una minuta opera esegetica, che mirava a riportare le frasi condannate nel loro contesto, dimostrandone la piena ortodossia. Tuttavia, solo con il Concilio Vaticano II Rosmini venne pienamente riabilitato: fu visto anzi come un ‘precursore’ della riforma conciliare. Ma si dovette attendere ancora, fino al 1° luglio 2001, quando, con una Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede, allora guidata dal cardinale Joseph Ratzinger, si dichiararono «ormai superati i motivi di preoccupazione» che avevano condotto al decreto Post obitum. Successivamente, dopo le tappe canoniche (decreto sull’eroicità delle virtù nel 2006, decreto sull’attribuzione del miracolo nel giugno 2007), il 18 novembre 2007 Rosmini è stato dichiarato beato. È sepolto a Stresa, nel Santuario del Ss. Crocifisso dei Rosminiani.
Opere. Per le edizioni degli scritti di Rosmini (e dei relativi manoscritti) si rimanda a C. Bergamaschi, Bibliografia degli scritti editi di A. R. S., I-VI, Milano-Stresa 1970-2011. Nell’Edizione nazionale, rimasta incompiuta, diretta da E. Castelli, sono comparsi 49 volumi (1934-1977). Nel 1975 è stata avviata, da M.F. Sciacca, l’Edizione nazionale e critica, a cura del Centro internazionale di studi rosminiani di Stresa, che è in via di compimento: si prevedono circa 90 volumi. Si segnala poi l’Epistolario completo, I-XIII, Casale Monferrato 1887-1894, di cui è stata avviata una nuova edizione critica, su cui si veda: C. Bergamaschi, Catalogo del carteggio edito e inedito di A. R. S., I-V, Genova 1980-1992.
Fonti e Bibl.: L’Archivio che conserva le carte di Rosmini e dei rosminiani – l’Archivio storico dell’Istituto della Carità – è a Stresa. È stato riordinato e dotato di un preciso inventario da padre A. Ceschi. L’Archivio di famiglia di Rosmini è presso la casa natale a Rovereto. Uno strumento fondamentale per orientarsi nella vasta messe di studi è C. Bergamaschi, Bibliografia rosminiana, I-XI, Milano-Genova-Stresa 1967-2011; A. R. e la Congregazione del Santo Uffizio. Atti e documenti inediti della condanna del 1887, a cura di L. Malusa - P. De Lucia - E. Guglielmi, Milano 2008.
[G.B. Pagani], Vita di A. R. scritta da un sacerdote dell’Istituto della Carità [1897], a cura di G. Rossi, I-II, Rovereto 1959; G. Radice, Annali di A. R. S., I-VIII, Milano-Genova-Settimo Milanese 1967-1994; F. Traniello, Società religiosa e società civile in A. R., II ed. Brescia 1997; Il gran disegno di R. Origine, fortuna e profezia delle Cinque piaghe della Santa Chiesa, a cura di M. Marcocchi - F. De Giorgi, Milano 1999; A. R. e la Congregazione dell’Indice. Il decreto del 30 maggio 1849, la sua genesi ed i suoi echi, a cura di L. Malusa, Stresa 1999; P. Marangon, Il Risorgimento della Chiesa. Genesi e ricezione delle «Cinque piaghe» di A. R., Roma 2000; F. De Giorgi, R. e il suo tempo. L’educazione dell’uomo moderno tra riforma della filosofia e rinnovamento della Chiesa (1797-1833), Brescia 2003; M. Krienke, Wahrheit und Liebe bei A. R., Stuttgart 2004; G. Lorizio, A. R. S. Un profilo storico-teologico, Roma 2005; C.M. Papa, R.: conoscere e credere. Storia della Causa, Roma 2007; F. Traniello, Religione cattolica e Stato nazionale. Dal Risorgimento al secondo dopoguerra, Bologna 2007, pp. 113-155; U. Muratore, Conoscere R. Vita, pensiero, spiritualità, Stresa 2008; R. L’uomo e il santo, a cura di E. Menestrina, I-III, Verona 2009-2010; R. politico. Tra unità e federalismo, a cura di G. Picenardi, Stresa 2011; L. Malusa, A. R. per l’unità d’Italia. Tra aspirazione nazionale e fede cristiana, Milano 2011; Diritto e diritti nelle «tre società» di R., a cura di M. Dossi - F. Ghia, Brescia 2014; R. e l’economia, a cura di F. Ghia - P. Marangon, Trento 2015.