antropologia culturale
Lo studio delle culture e delle società umane
L'antropologia culturale studia gli uomini nelle differenti società e nasce per l'innata curiosità umana nei riguardi dei popoli che hanno usi e costumi diversi dai nostri. Furono i Greci i primi a manifestare questa curiosità; essi cercarono di investigare come pensavano, come vivevano, come agivano e in cosa credevano quelli che loro chiamavano barbari. Oggigiorno l'antropologia ha anche un altro compito, molto importante: difendere i popoli primitivi che sono a rischio di estinzione
Lo storico greco Erodoto, vissuto nel 5° secolo a.C., parla per primo nelle sue Storie degli usi, costumi, religioni, abitudini di moltissimi popoli dell'antichità, con i quali in parte era venuto direttamente in contatto, senza disprezzo e senza arroganza, ma con un atteggiamento di pura curiosità scientifica. Erodoto descrive i funerali dei lontani Callati, dicendo che piangono il morto, lo depongono sopra un tavolo su un bianco sudario tra canti e lamenti e poi si cibano del corpo per conservare la sua forza e la sua anima. Se questa usanza fa orrore a un greco, il quale per un funerale brucia il corpo su una catasta di legna e organizza giochi ginnici intorno alla pira per onorare lo spirito del defunto ‒ come fece Achille per Patroclo ‒, Erotodo commenta che anche ai Callati farebbero orrore gli usi funerari dei Greci, che bruciano e disperdono il corpo del defunto. Ogni società quindi venera e onora i defunti, ma ciascuna lo fa in modo diverso.
In epoca romana l'esigenza di conoscere gli altri popoli fu necessaria per organizzare l'amministrazione delle terre conquistate. Dopo la caduta di Cartagine (146 a.C.), infatti, Roma si trovò alla testa di un territorio immenso di cui ignorava quasi tutto. Rapidamente la sua metodica amministrazione permise di raccogliere informazioni sui vari paesi soggetti e su quelli che intendeva assoggettare. Il De bello gallico di Giulio Cesare, tanto per citare un esempio, è denso di considerazioni sulla cultura, la religione, gli usi e i costumi dei Galli. Successivamente anche autori bizantini e arabi raccontarono di culture diverse e di popoli misteriosi, mostrandosi validi antropologi. Il veneziano Marco Polo, infine, visitò la Cina, l'India e il Giappone e visse a lungo al servizio di Cubilai, khān dei Mongoli tra il 1270 e il 1290, lasciandoci un'opera preziosa, Milione. Possiamo dire dunque che furono costoro i pionieri della tecnica antropologica.
Con la scoperta dell'America, i conquistatori distrussero intere culture, mentre gli studiosi si affannavano a raccogliere preziose informazioni su popoli e civiltà, spesso difendendo i diritti dei nativi. Opere d'arte dei Maya, degli Aztechi e degli Inca entrarono nei musei d'Europa e si tentò di elaborate un diritto delle nazioni. Nel Settecento nacque il mito del 'buon selvaggio', del primitivo nobile e coraggioso, mito che è vivo ancora oggi nella ricerca di mondi esotici e lontani.
La curiosità scientifica è però spesso affiancata da un sentimento di superiorità e di disprezzo degli altri. Da tale sentimento negativo nessuna cultura è immune. Perlopiù, infatti, i popoli identificano sé stessi con l'intera umanità, escludendone gli altri gruppi. Così i pellirosse Cheyenne si autodefinivano "gli uomini", e chiamavano, per esempio, i Dakota Sioux, "serpenti". I Bantu sono "uomini", Masai vuol dire "uomini guerrieri", gli Inuit sono "uomini cacciatori", e gli Yanomamo venezuelani sono "gli uomini" per antonomasia. L'idea della centralità assoluta della propria cultura è radicata anche in Cina: il Celeste Impero, Chin, è "il centro" dell'Universo.
Oggi gli antropologi per studiare i popoli diversi da noi trascorrono lunghi periodi a stretto contatto con essi, con la loro cultura e i loro modi di vita. Usanze che a prima vista sembrano strane e bizzarre diventano comprensibili se si studiano da vicino e si confrontano con usanze analoghe della nostra cultura. Per esempio, la pratica assai diffusa di segnare il corpo con tatuaggi, cicatrici, orecchini di notevole peso, perforazioni del setto nasale e delle labbra, ferite rituali di vario tipo si spiega con il bisogno di differenziarsi dalla natura, di mostrare tangibilmente di essere dalla parte della cultura: è un modo per sottomettere la carne e 'scrivere' su di essa la legge della tribù.
Molto importante è lo studio dei miti, i racconti sacri sull'origine del mondo, degli dei e degli eroi che servono per capire ciò che ci circonda, ispirano i rituali, insegnano le regole morali e spiegano il destino dopo la morte.
La cultura greca ha creato miti immortali ancora utilizzati per esprimere stati d'animo o vicende sociali. Così Ettore, il difensore di Troia, è l'eroe umano per eccellenza che combatte i nemici con le sue sole forze e il suo grande valore, mentre Ulisse è divenuto il simbolo dell'avventura, dell'uomo irrequieto che solca i mari: è l'eroe che vince la paura, combatte con il ciclope, recupera il regno quando ritorna in patria. Per i Greci, gli Argonauti alla ricerca del vello d'oro rappresentano i coloni ellenici che in epoca arcaica si spinsero ai confini del mondo allora conosciuto per trovare nuove terre e nuove avventure. Gli eroi dei miti sono spesso fondatori di città, come Enea, la cui progenie darà origine a Roma.
Nel mondo dei primitivi abbiamo molti miti simili a quelli classici, come il mito di Orfeo, il cantore che cerca nell'aldilà la sua sposa scomparsa. I miti sono cantati e recitati e costituiscono la base dell'arte primitiva. E proprio l'arte è vista come una realtà spirituale e, al tempo stesso, come una realtà energetica in grado di favorire la fecondità e di assicurare benessere all'intero gruppo e all'intera comunità. Gli artisti danno vita all'invisibile, in quanto vi è la convinzione che un'opera bella richiami sulla Terra le potenze misteriose che regolano il cosmo. Ogni opera d'arte è un incantesimo o una preghiera.
Oggi l'antropologia si trova a dover difendere i popoli primitivi che sono minacciati da mille pericoli e rischiano l'estinzione: i Pigmei e i Boscimani in Africa, per esempio, e molte tribù di indigeni dell'America Latina, dell'Indonesia, della Malesia e dell'Asia meridionale. I popoli a rischio sono in genere cacciatori-raccoglitori (caccia) e rappresentano l'aurora della civiltà umana. I Boscimani cacciatori del deserto del Kalahari in Africa, nobili rappresentanti della cultura della caccia, rischiano il genocidio. Il governo utilizza come scusa la sopravvivenza della riserva di animali del Kalahari per condannare a morte i Boscimani: soldati armati hanno il compito di sfrattarli dalla loro 'patria', per condannarli a morte. Il razzismo non è prerogativa dell'uomo bianco, ma è un atteggiamento costante dei gruppi 'forti' nei riguardi di chi è diverso e vive in altro modo. Il mondo occidentale non si cura delle tribù primitive che ancora sono a contatto con le forze incontrollate della natura e in esse trovano le forme più originali e creative di sopravvivenza.
I popoli di cacciatori rappresentano il nostro glorioso passato e nascondono, nelle loro perenni migrazioni alla ricerca della preda, il mistero mai sondato delle nostre origini. Vedere le figure esili dei cacciatori-raccoglitori che si stagliano al tramonto contro il cielo purpureo con l'arco, le frecce e la sacca, è come vedere l'umanità all'alba del suo percorso, è come tuffarsi nelle profondità del tempo e catturare l'immagine delle origini del mondo.