Umanista e riformatore (Veroli 1503 - Roma 1570), uno dei più noti rappresentanti dell'evangelismo italiano. In rapporto con numerosi umanisti italiani dell'epoca e con molti scrittori già impegnati nella polemica religiosa, vagheggiando un concilio che rinnovasse la Chiesa, durante un soggiorno a Siena (1530-46) scrisse l'Actio in pontifices romanos et eorum asseclas in cui confluirono operette composte in precedenza (terminata nel 1545 ma tenuta nascosta dallo stesso P.; ed. post., 1600). Accusato di eresia e assolto, insegnò poi eloquenza a Lucca (dal 1546), retorica e letteratura greca e latina a Milano (dal 1555). Processato una seconda volta (1559-60), P. riuscì a scagionarsi; finché dopo l'edizione delle sue opere a Basilea (1566), fu nuovamente accusato (1567) dinanzi all'Inquisizione, trasferito a Roma e condannato per aver sostenuto la giustificazione sola fide, per il disprezzo verso la vita monastica e per la negazione dell'autorità del pontefice di fronte a cui rivendicava il primato del concilio; fu impiccato e poi arso. È anche autore di opere pedagogiche, orazioni e del poema in esametri De animorum immortalitate (1532-35); di P. resta anche un ricco epistolario.