Argentina
– Al passaggio del secolo l’A. attraversava una profonda crisi: vedeva andare in frantumi il modello politico ed economico che, varato nel 1989 dal presidente della Repubblica, il peronista C. Menem, aveva connotato il Paese per circa un decennio. Si trattava di un modello neoliberista appoggiato dai grandi potentati economici e finanziari all’interno e all’estero, in particolare negli Stati Uniti. Questo modello se, attraverso la parità del peso con il dollaro statunitense, aveva sconfitto l’endemica inflazione e portato un netto miglioramento nelle condizioni di vita dei ceti medi, aveva però il suo punto di forza nelle privatizzazioni e soprattutto nel costante flusso di capitali esteri e non nello sviluppo di risorse interne (il Paese subì un vero processo di deindustrializzazione, e le maggiori banche passarono in mani straniere). Gli anni tra il 1999 e il 2003 rappresentarono la fase più delicata: il Paese subì una drastica riduzione del prodotto interno lordo (PIL), si dichiarò insolvente rispetto ai creditori internazionali, assistette al susseguirsi nell’arco di un anno, tra il 2001 e il 2002, di cinque presidenti della Repubblica e sei ministri dell’economia, fu attraversato da violente manifestazioni di piazza, vide ridurre in povertà larga parte dei ceti medi (secondo stime internazionali il 50% della popolazione era sotto la soglia di povertà). Soltanto a partire dal 2004, per quanto con molte incertezze e problemi irrisolti, l’A. sembrò ritrovare un assetto istituzionale stabile e una rinnovata fiducia nelle sue possibilità. La crisi argentina, se aveva avuto la sua vera origine nelle politiche del governo Menem, si manifestò tuttavia durante la presidenza di F. de la Rúa, candidato dell’Alleanza di centro-sinistra, eletto nel 1999. De la Rúa si era presentato con un programma incentrato sulla lotta alla corruzione e alla disoccupazione, sul contenimento dei profitti dei grandi monopoli privati, sul rilancio dell’economia in un quadro che manteneva comunque ferme alcune delle linee portanti, d’impronta liberista, della politica economica del suo predecessore. Di segno liberista furono infatti le prime misure di rilancio dell’economia (maggio 2000). Tali scelte, imposte in modo condizionale dal Fondo monetario internazionale (FMI) per la concessione di un nuovo prestito, incrinarono la solidità della coalizione e la portarono alla sconfitta elettorale. La situazione economica peggiorò drammaticamente nella parte finale dell’anno: nel dicembre 2000 le nuove misure varate per evitare l’insolvenza nel pagamento del debito estero, che prevedevano tra l’altro il taglio delle pensioni e degli stipendi del pubblico impiego e il blocco dei depositi bancari, provocarono una vera e propria rivolta sociale. A manifestare, accanto ai settori più poveri della popolazione, che saccheggiarono negozi e supermercati e incendiarono sedi bancarie e uffici pubblici, furono i cittadini appartenenti a vasti settori della classe media. La repressione della polizia (con decine di morti) e la proclamazione dello stato d’emergenza non fermarono le proteste, che costrinsero de la Rúa alle dimissioni (20 dicembre), aprendo una gravissima crisi politica. Seguì una fase di profonda incertezza, in cui si susseguirono tre presidenti fino alla nomina del senatore E.A. Duhalde (gennaio 2002). Tra i primi provvedimenti del nuovo presidente, che guidava un governo di unità nazionale, ci furono: l’abbandono dell’equivalenza peso-dollaro stabilita dalla legge sulla convertibilità del 1991, la svalutazione del 30% della moneta nel cambio controllato fissato dallo Stato per le importazioni dei beni essenziali, l’aumento del tetto massimo di prelievo dai conti bancari, la distribuzione alla popolazione di beni di prima necessità. Il governo riuscì anche a ottenere dal FMI una proroga fino all’agosto 2003 del pagamento degli interessi sul debito estero. La crisi argentina ebbe un esteso riscontro internazionale, che vide coinvolti grandi investitori stranieri ma anche molti piccoli risparmiatori acquirenti di obbligazioni emesse dallo Stato (bond). Nel tentativo di restituire legittimità all’istituzione presidenziale, Duhalde annunciò nel luglio del 2002 l’intenzione di dimettersi e di indire nuove elezioni. Queste, svoltesi nell’aprile 2003, videro al primo turno il ritorno sulla scena politica di Menem. Proprio quest’ultimo raccolse la maggioranza relativa, con il 24% circa dei voti, seguito N.C. Kirchner, con il 22%, ma il secondo turno non ebbe luogo a causa del ritiro di Menem, sfavorito nei sondaggi. Il nuovo presidente Kirchner avviò un organico programma di interventi. In primo luogo, dopo aver rifiutato di pagare la rata di interessi sul debito al FMI, rinegoziò il debito estero raggiungendo un accordo in successive tappe (2003-2005) con la maggioranza dei creditori internazionali. In secondo luogo riprese un moderato ma deciso intervento dello Stato nell’economia, sia con aiuti allo sviluppo imprenditoriale sia con investimenti nei settori dell’istruzione e della sanità. Alle misure di carattere economico si accompagnarono atti dal forte valore politico e simbolico, volti anche a costruire consenso intorno a un presidente eletto di fatto da una minoranza degli argentini. Tra i più significativi fu l’allontanamento dall’esercito di militari coinvolti con la passata dittatura. Nell’ottobre 2007 si tennero le elezioni presidenziali: Kirchner decise di non ricandidarsi e di appoggiare la candidatura di sua moglie Cristina Fernandez de Kirchner che fu eletta al primo turno con circa il 45% dei voti (la legge argentina prevede che il 40% dei voti, con un distacco di almeno dieci punti sul secondo candidato siano sufficienti per proclamare il vincitore). La nuova presidente, insediatasi in dicembre, si pose in dichiarata linea di continuità con la politica del suo predecessore, ma in un contesto economico che vedeva un allentamento della crescita e il riaffacciarsi di fenomeni inflattivi. Le imposte sulle esportazioni, decise in ragione degli straordinari profitti realizzati nel settore agricolo, suscitarono un deciso malcontento tra le associazioni dei produttori, che promossero una forte mobilitazione di piazza a partire dalla primavera 2008, cui la presidente rispose ribadendo le sue scelte (giugno) e trovando un largo appoggio popolare. Questa impostazione politica provocò un aspro scontro con il potente gruppo editoriale Clarín, possessore, tra l’altro, del quotidiano più diffuso in A., da sempre anti peronista e conservatore. Nell’ottobre 2010 moriva N. Kirchner, che era stato eletto nel 2009 deputato nella provincia di Buenos Aires; un anno dopo C. Fernandez de Kirchner veniva rieletta alla presidenza al primo turno con il 54% dei voti.