Argentina
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Geografia umana ed economica
di Piergiorgio Landini
Stato dell'America Meridionale. Al censimento del 2001 la popolazione risultava pari a 36.260.130 ab., e a 39.538.000 secondo stime del 2005. Il tasso di accrescimento naturale, che restava fra i più bassi dell'America Latina, si aggira intorno al 1,0% annuo, per valori di natalità e di mortalità, rispettivamente, del 16,9‰ e del 7,5‰ (2000-2005). In progressiva diminuzione la mortalità infantile (15‰ nel 2000-2005), nonostante il grave impoverimento legato alla drammatica crisi economica dei primi anni del 21° sec. (v. oltre). A quest'ultima erano dovuti i flussi migratori che, almeno temporaneamente, invertivano il tradizionale carattere di Paese di immigrazione detenuto dall'A.: tali flussi si dirigevano principalmente verso Israele, per la componente ebraica della popolazione, e verso Spagna e Italia, nella forma dell'emigrazione di ritorno, coinvolgendo soprattutto le classi medie, in più grave difficoltà di fronte alla perdita dei posti di lavoro, e quelle dotate di migliore livello di istruzione e preparazione professionale (ricercatori, docenti, artisti).
Ancora, la crisi arrestava quel processo di decentramento, sia pure embrionale, che aveva interessato il core metropolitano di Buenos Aires e che avrebbe potuto preludere a un rafforzamento dell'armatura urbana periferica: le conseguenze del tracollo finanziario, pur avendo scatenato nella capitale le manifestazioni più violente e visibili attraverso i mass media, si ripercuotevano infatti con maggiore durezza sulle province periferiche, specie del Nord, ma anche del Centro, dove la quota di popolazione scesa al di sotto della soglia di povertà superava ovunque il 50%, e in alcune zone raggiungeva l'80%. Di fronte a tale drammatica congiuntura, momentaneamente perdevano rilevanza le questioni socio-ambientali ed etniche che, da sempre, avevano segnato lo sviluppo del Paese; ciò, proprio nel momento in cui andava emergendo, specie tra le giovani generazioni, la presa di coscienza della dignità dei gruppi indigeni - cui venivano finalmente riconosciuti i diritti alla terra, alla sanità e all'educazione - insieme a una rinnovata consapevolezza del difficile rapporto tra ambiente e sviluppo.
Per quest'ultimo aspetto, la costruzione di grandi centrali idroelettriche, l'eccessivo sfruttamento delle riserve ittiche e l'inquinamento urbano hanno fortemente impoverito la qualità ambientale. Le biodiversità sono ormai concentrate a Nord-Ovest, nella regione andina, tra i parchi nazionali di Calilegua ed El Rey, dove si trovano cinquecento specie tra piante e animali fra cui il 60% degli uccelli, ma la caccia illegale rimane difficile da controllare, mentre la programmata costruzione di un gasdotto minaccia il peculiare ecosistema delle yungas (le valli tropicali andine); e nella Patagonia (v.) dove una trentina di aree protette alimentano crescenti flussi di turismo naturalistico.
Condizioni economiche
La crisi avviava una pesantissima fase di recessione (v. anche oltre: politica economica e finanziaria), che, invero, affondava le sue radici nelle complesse vicende politiche e sociali della seconda metà del secolo precedente, a scala sia mondiale sia nazionale. Tuttavia, dopo un periodo di depressione di quattro anni e malgrado rimanesse un Paese molto fragile, in termini sia economici sia politici, nel 2003 cominciarono ad apparire segnali promettenti, l'economia argentina si rimetteva in moto e il PIL faceva registrare un tasso di crescita pari all'8,8%, fra i più elevati al mondo. Va ricordato, peraltro, che questo incremento è calcolato in rapporto al risultato del 2002, anno in cui il decremento aveva toccato il livello più basso (−10,9%). Nel 2003 il PIL, in termini reali, corrispondeva a quello del 1996 ed era inferiore dell'11,2% rispetto a quello del 1998, anno in cui erano stati raggiunti i risultati economici migliori. La tendenza positiva proseguiva nel 2004, a ritmi di poco inferiori. La chiusura di un gran numero di piccole e medie aziende, soprattutto nell'area della capitale, non impediva che un forte sostegno alla ripresa venisse dal settore industriale (+16% nel 2003), i cui comparti principali rimanevano l'alimentare, il metalmeccanico e il petrolchimico; mentre, come spesso accade dopo una crisi finanziaria, tornava fortemente dinamico il settore delle costruzioni (+38%). Il tasso di disoccupazione scendeva al 15%, pur dovendosi considerare che larghi strati della popolazione attiva, specie delle classi medie, dovevano ripiegare su lavori a tempo parziale.
Inoltre dava ossigeno al Paese, forte esportatore di prodotti agricoli, anche il generale rialzo dei prezzi sui mercati internazionali di alcune colture, valorizzando produzioni emergenti come, per es., la soia (32 milioni di t nel 2004), oltre a quelle tradizionali, cerealicole e dell'allevamento. Da rilevare una quota significativa (8%) di esportazioni ad alto contenuto tecnologico. Anche altri indicatori macroeconomici potevano essere considerati positivi: un surplus del bilancio pari al 2,5% del PIL e un'eccedenza della bilancia dei pagamenti correnti equivalente al 7,6% del PIL, mentre l'inflazione scendeva e nel 2004 diveniva inferiore al 5%. Nel mese di marzo di quello stesso anno, il Paese fu così in grado di restituire il debito in scadenza con il Fondo monetario internazionale (v.), anche se il governo prometteva la restituzione di solamente una quota pari al 25% del totale dei debiti accumulati (pari a circa 95 miliardi di dollari).
Al fine di assicurare al Paese una ripresa definitiva e duratura, al governo rimanevano ancora numerosi problemi da risolvere, e in particolare quello energetico. Infatti una produzione petrolifera pur di rilievo (oltre 40 milioni di t annue) non garantiva la piena autosufficienza energetica; anzi, il nuovo aumento dei consumi, legato alla ripresa delle attività produttive, tendeva ad accrescere il deficit. Le aziende produttrici lamentavano prezzi dell'energia troppo bassi per sostenere gli investimenti; d'altro canto, la limitazione dei consumi interni avrebbe rischiato di compromettere la ripresa economica generale. Per questo motivo si faceva ricorso a importazioni di gas naturale dalla Bolivia e si riduceva l'esportazione verso il Cile, mentre venivano avviati ulteriori progetti di sfruttamento del grande potenziale idroelettrico, tuttavia di notevole impatto ambientale (v. sopra). Fra questi, la centrale di Yacyretá, sul fiume Paraná, progettata insieme al Paraguay circa trent'anni prima e considerata emblema della corruzione e della incapacità gestionale che aveva portato il Paese alla deriva: il suo completamento, per il quale si rendono ancora necessari grossi investimenti, porterebbe la produzione energetica argentina vicina al raddoppio. La rete fluviale è coinvolta anche nello sviluppo del sistema infrastrutturale: si segnala il progetto di idrovia Paraná-Paraguay-Plata, peraltro contrastato dalla preoccupazione di offrire vantaggi soprattutto alle esportazioni del Brasile e del Paraguay.
Prima della crisi, notevoli flussi turistici si dirigevano dall'A. verso i Paesi vicini (in particolare Brasile, Paraguay e Cile), favoriti dal differenziale valutario; successivamente il movimento si è invertito, essendo divenuti largamente concorrenziali i prezzi delle strutture ricettive argentine. Per il turismo proveniente dall'area del MERCOSUR (Mercado Común del Sur) si trattava soprattutto di soggiorni brevi, mentre l'A. restava meta di un turismo intercontinentale richiamato dai valori naturalistici e culturali, oltre che dalle lontane origini di gran parte della popolazione: esso rappresenta una risorsa da sviluppare anche nei confronti del continente europeo, mentre finora i flussi più consistenti sono risultati quelli provenienti dal Nordamerica.
Nel settore terziario, il Paese era alla ricerca di nuova credibilità, mentre restava il problema dei divari economici regionali nella fruizione dei servizi: tali divari, ancor più dopo la crisi, tendono a oltrepassare la classica contrapposizione centro-periferia, già particolarmente accentuata dal peso della metropoli di Buenos Aires, per tradursi in una frammentazione socio-spaziale assai più complessa. Il diffuso impoverimento generava una sorta di economia parallela, fondata essenzialmente sul baratto, che si esercitava attraverso alcune migliaia di centri commerciali alternativi distribuiti irregolarmente sul territorio nazionale e che, se sottraeva risorse alla fiscalità generale, consentiva tuttavia l'approvvigionamento dei beni essenziali alle classi più deboli sotto il profilo reddituale.
bibliografia
D.C. Sanchez, M. Astinza, El crescimiento demográfico argentino en el último período intercensal (1991-2001), in Contribuciones científicas del congreso nacional de geografía 'Las grandes ciudades y sus contradicciones', a cura della Sociedad Argentina de Estudios Geográficos, Buenos Aires 2002, pp. 377-86; S. Velut, L'Argentine, des provinces à la nation, Paris 2002; J.M. Coccaro, R.-P. Desse, M.I. Robiani, Les territoires de la crise argentine: lecture de géographes, in Information géographique, 2003, 4, pp. 30-47.
Politica economica e finanziaria
di Giulia Nunziante
Dopo la crescita sostenuta che aveva caratterizzato la maggior parte degli anni Novanta del 20° sec., l'A. attraversava nel periodo 1999-2002 una profonda crisi finanziaria e valutaria. Tra le sue cause si annoveravano il collasso dei mercati asiatici e russo del 1997-98, la perdita di competitività dei prodotti argentini in seguito al deprezzamento del real brasiliano e all'apprezzamento del dollaro nei confronti dell'euro, una domanda interna contenuta e il peggioramento dei conti pubblici. Le autorità di governo si trovavano costrette a far fronte alla recessione e alla disoccupazione con interventi di politica economica vincolati dalle stringenti condizioni dettate dal Fondo monetario internazionale contestualmente alla rinegoziazione del debito. Nel 1999 veniva pertanto attuata una stretta fiscale, realizzata mediante la riduzione dei contributi sociali e l'innalzamento della pressione tributaria nei confronti sia delle famiglie, sia delle imprese. Grazie a entrate straordinarie derivanti dalla privatizzazione di imprese pubbliche, l'A. riuscì ad arginare il deficit dello Stato. La nuova amministrazione che si insediò alla fine dell'anno realizzò tra l'altro il taglio dei salari pubblici, la ristrutturazione e la riorganizzazione dell'apparato statale, le riforme del sistema sanitario e previdenziale. Le autorità inoltre avviarono un lento processo di decentramento fiscale al fine di incoraggiare una maggiore responsabilità gestionale degli enti locali. La delicata situazione che si registrava nel mercato del lavoro spingeva il governo a varare una riforma che faceva leva sugli accordi negoziali raggiunti a livello di singole imprese, onde favorire il decentramento delle trattative sindacali. Nel 2000 proseguiva la recessione. Il generalizzato pessimismo che si diffondeva tra le famiglie e le imprese, consapevoli della riduzione in termini reali dei redditi percepiti, così come tra gli investitori esteri e la stessa classe politica argentina, incideva negativamente sull'andamento dei mercati. La politica economica perseguita nel corso dell'anno poneva fra le priorità l'aggiustamento dei conti pubblici e la promozione dell'attività imprenditoriale tramite misure fiscali. Le autorità si adoperavano inoltre al perseguimento di una maggiore stabilità per il sistema monetario. Al fine di promuovere la competitività, il ministro dell'economia D. Cavallo, insediatosi nel 2001, varava mirati interventi settoriali; promuoveva inoltre misure fiscali di aggiustamento delle distorsioni e di aumento delle imposte sui redditi più alti, proponeva un piano per lo sviluppo e la realizzazione delle infrastrutture, decretava misure per incentivare i consumi e, in accordo con i principali organismi internazionali, le banche private nazionali e i gestori dei fondi pensione, metteva mano alla riforma del sistema di sicurezza sociale. L'intervento più significativo riguardava tuttavia il regime dei tassi di cambio, che in sintesi veniva ancorato a un tasso fisso rispetto al dollaro per le operazioni relative al commercio con l'estero (escluse quelle concernenti il petrolio) e a un cambio fisso nei confronti di un paniere costituito da dollaro ed euro per tutte le altre operazioni. Ciononostante gli effetti della crisi persistevano. Si giungeva infine al presentarsi di problemi di solvibilità causati dalla protratta recessione: l'esposizione crescente delle istituzioni finanziarie causava una corsa agli sportelli che provocava una crisi di liquidità. Alla fine del 2001 le autorità si trovavano quindi costrette ad annunciare una moratoria sul debito estero. Nel 2002, in un clima di assoluta incertezza economica e politica, il regime dei tassi di cambi collassò. Il neo-presidente E.A. Duhalde sospese la convertibilità in dollari e la valuta nazionale si deprezzò rapidamente di oltre il 70%. Con l'intento di fermare il crollo della moneta, il governo impose la conversione in pesos dei depositi bancari in dollari (pesificación) e congelò numerose operazioni finanziarie, provocando una generalizzata protesta della popolazione. La situazione critica sul mercato monetario e finanziario interno e l'eccesso di offerta di titoli di Stato in dollari, emessi per far fronte all'ingente debito pubblico, contribuirono alla diminuzione delle scorte in moneta estera. Tuttavia la drastica riduzione delle importazioni assicurava all'A. l'avanzo nel saldo corrente della bilancia dei pagamenti. Il livello dei prezzi e dei salari tendeva ad aumentare, ma la recessione, la forte disoccupazione e la politica economica restrittiva adottata dal governo limitavano le pressioni inflazionistiche. Per far fronte alla stagnazione delle operazioni bancarie, nella seconda metà dell'anno il governo rimuoveva le restrizioni sui depositi e i controlli sui mercati dei cambi, imposti appena qualche mese prima. Gli operatori economici nazionali e internazionali riacquistavano gradualmente fiducia nel peso, e negli ultimi mesi dell'anno si registrava un contenuto incremento dei depositi bancari a tasso fisso. Nel 2003 l'economia uscì dalla crisi. Il governo, ancora fortemente gravato dall'ingente debito pubblico e dal persistere di inefficienze economiche di natura strutturale, poteva cominciare finalmente a contare su maggiori disponibilità fiscali, che venivano in parte trasferite alle province. Il dibattito sull'attribuzione agli enti locali di una maggiore autonomia gestionale rimase comunque acceso, e nel 2004 il governo nazionale presentò una legge per incentivare un maggiore controllo della spesa da parte dei governi provinciali. Per quanto concerne la politica monetaria, il 2003 fu caratterizzato da una fase di espansione monetaria. La fiducia degli operatori argentini e internazionali facilitava per il mondo imprenditoriale l'accesso al credito bancario. Infine, le autorità ribadirono il loro interesse strategico di perseguire il processo di integrazione economica all'interno del MERCOSUR (Mercado Común del Sur). (v. .).
Storia
di Emma Ansovini
Al passaggio del secolo l'A. attraversava una profonda crisi, che mandava in frantumi il modello politico ed economico che, varato nel 1989 dal presidente della Repubblica, il peronista C.S. Menem, aveva connotato il Paese per circa un decennio. Si trattava di un modello neo-liberista appoggiato dai grandi potentati economici e finanziari all'interno e all'estero, in particolare negli Stati Uniti, e subito passivamente dai sindacati, legati al presidente da vincoli di subordinazione politica e da rapporti clientelari. Questo modello, se attraverso la parità del peso con il dollaro statunitense aveva sconfitto l'endemica inflazione e portato un netto miglioramento nelle condizioni di vita dei ceti medi, aveva però il suo punto di forza nelle privatizzazioni e soprattutto nel costante flusso di capitali esteri e non nello sviluppo di risorse interne (il Paese subì un vero processo di deindustrializzazione, e le maggiori banche passarono in mani straniere). Proprio la crisi di fiducia dei capitali finanziari verso i Paesi emergenti rivelava la drammatica fragilità di tutto il sistema e avviava l'A., a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, verso la recessione economica. Gli anni tra il 1999 e il 2003 rappresentarono la fase più delicata: fu un periodo di grave instabilità politica, in cui la crisi economica e sociale rischiò di trasformarsi in un tracollo dello Stato e dei suoi apparati. Il Paese subì una drastica riduzione del PIL, si dichiarò insolvente rispetto ai creditori internazionali, assistette al susseguirsi nell'arco di un anno, tra il 2001 e il 2002, di cinque presidenti della Repubblica e sei ministri dell'economia, fu attraversato da violente manifestazioni di piazza, vide ridurre in povertà larga parte dei ceti medi (secondo stime internazionali il 50% della popolazione era sotto la soglia di povertà). Solo a partire dal 2004, per quanto con molte incertezze e problemi irrisolti, l'A. sembrò ritrovare un assetto istituzionale stabile e una rinnovata fiducia nelle sue possibilità. La crisi argentina, se aveva avuto la sua vera origine nelle politiche del governo Menem, si manifestò però durante la presidenza di F. de la Rúa, candidato dell'Alleanza di centro-sinistra, eletto il 24 ottobre 1999. La vittoria della coalizione si confermava, seppure con minore nettezza, anche nelle elezioni per il rinnovo parziale della Camera dei deputati, in cui all'Alleanza andarono 130 dei 257 seggi. Leader moderato dell'Unión Cívica Radical (UCR), de la Rúa si era presentato con un programma incentrato sulla lotta alla corruzione e alla disoccupazione, sul contenimento dei profitti dei grandi monopoli privati, sul rilancio dell'economia in un quadro che manteneva comunque ferme alcune delle linee portanti, di impronta liberista, della politica economica del suo predecessore. Di segno liberista furono infatti le prime misure di rilancio dell'economia (maggio 2000), che si fondavano sulla regolamentazione del mercato del lavoro e su ulteriori tagli dello Stato sociale, e contro le quali fu proclamato nel giugno uno sciopero generale (seguito da altri due nel 2001). Tali scelte, che furono la condizione imposta dal Fondo monetario internazionale (FMI) per la concessione di un nuovo prestito, incrinarono la solidità della coalizione, determinando, nell'ottobre 2000, le dimissioni del vicepresidente C. Alvarez, leader del Frente del País Solidario (FREPASO). Nonostante i contrasti, acuitisi con la nomina nel marzo 2001 a ministro dell'economia di D. Cavallo, principale artefice della politica neo-liberista dei governi Menem, l'Alleanza si presentò alle elezioni legislative dell'ottobre ancora unita, subendo però una pesante sconfitta. La situazione economica peggiorò drammaticamente nella parte finale dell'anno: nel dicembre le nuove misure varate per evitare l'insolvenza nel pagamento del debito estero, che prevedevano tra l'altro il taglio delle pensioni e degli stipendi del pubblico impiego e il blocco dei depositi bancari, provocarono una vera e propria rivolta sociale. A manifestare, accanto ai settori più poveri della popolazione, che saccheggiarono negozi e supermercati e incendiarono sedi bancarie e uffici pubblici, furono i cittadini appartenenti a vasti settori della classe media, i caceroleros, detti così dalle casseruole che percuotevano in strada a testimoniare che non c'era più cibo. La repressione della polizia (con decine di morti) e la proclamazione dello stato d'emergenza non fermarono le proteste, che costrinsero de la Rúa alle dimissioni (20 dicembre), aprendo una gravissima crisi politica. Seguì una fase di profonda incertezza, in cui si susseguirono tre presidenti fino alla nomina del senatore E.A. Duhalde (gennaio 2002), imposto di fatto dai governatori delle province a ribadire la tradizionale importanza e il peso decisivo dei poteri locali nella politica nazionale. Tra i primi provvedimenti del nuovo presidente, che guidava un governo di unità nazionale, furono: l'abbandono dell'equivalenza peso-dollaro stabilita dalla legge sulla convertibilità del 1991, la svalutazione del 30% della moneta nel cambio controllato fissato dallo Stato per le importazioni dei beni essenziali, l'aumento del tetto massimo di prelievo dai conti bancari, la distribuzione alla popolazione di beni di prima necessità. Il governo riuscì anche a ottenere dal FMI una proroga fino all'agosto 2003 del pagamento degli interessi sul debito estero. La crisi argentina ebbe un esteso riscontro internazionale, che vide coinvolti grandi investitori stranieri ma anche molti piccoli risparmiatori acquirenti di obbligazioni emesse dallo Stato, i bond. Nel tentativo di restituire legittimità all'istituzione presidenziale, Duhalde annunciò, nel luglio 2002, l'intenzione di dimettersi e di indire nuove elezioni. Svoltesi nell'aprile 2003, esse registrarono al primo turno il confronto tra numerosi candidati, tre dei quali appartenenti al Partido Justicialista (PJ), a testimonianza della crisi interna al movimento peronista, nonché il ritorno sulla scena politica di Menem. Proprio quest'ultimo raccolse la maggioranza relativa, con il 24% circa dei voti, seguito dal governatore di Santa Cruz, N.C. Kirchner, con il 22%. Il secondo turno non ebbe luogo a causa del ritiro di Menem, sfavorito nei sondaggi. Il PJ si affermò nelle elezioni legislative del dicembre 2003, in cui ottenne 127 seggi su 257, mentre all'UCR ne andarono 46, a un nuovo movimento di sinistra (Alternativa por una República de Iguales) 10, e i rimanenti si distribuirono tra una miriade di partiti di piccole dimensioni. Il nuovo presidente avviò un organico programma di interventi. In primo luogo, dopo aver rifiutato di pagare la rata di interessi sul debito al FMI, Kirchner rinegoziò il debito estero raggiungendo un accordo in successive tappe (2003-2005) con la maggioranza dei creditori internazionali. In secondo luogo, riprese un moderato ma deciso intervento dello Stato nell'economia, sia con aiuti allo sviluppo imprenditoriale sia con investimenti nei settori dell'istruzione e della sanità. Alle misure di carattere economico si accompagnarono atti dal forte valore politico e simbolico, volti anche a costruire consenso intorno a un presidente eletto di fatto da una minoranza degli argentini. Tra i più significativi fu l'allontanamento dall'esercito di militari coinvolti con la passata dittatura. Tale misura si pose in sintonia con un'opinione pubblica che aveva maturato ormai un netto rifiuto verso qualsiasi atteggiamento conciliatorio e apprezzata all'estero da quei Paesi i cui cittadini erano rimasti vittime della dittatura e che avevano aperto procedimenti penali contro i responsabili di crimini commessi in quegli anni. Nel giugno 2005 la Corte suprema dichiarò incostituzionali le due leggi varate tra il 1986 e il 1987, che avevano garantito alla maggioranza dei militari di non finire sotto processo, mentre nell'aprile 2005 un tribunale spagnolo aveva condannato, per la prima volta non in contumacia, il capitano di corvetta J. Scilingo, colpevole di aver gettato dagli 'aerei della morte' centinaia di oppositori del regime, e numerosi altri Paesi, come l'Italia, la Germania, la Svezia, si apprestavano a istruire processi per la scomparsa di propri cittadini residenti in A. durante gli anni della dittatura. Nell'ottobre 2005, nelle elezioni per il rinnovo di metà dei deputati e di un terzo dei senatori, i candidati legati al presidente ottennero una schiacciante vittoria. Il complesso delle scelte di Kirchner avviava una ridefinizione anche della collocazione internazionale dell'A., meno vicina agli Stati Uniti e più attiva nel contesto sudamericano e nell'alleanza del MERCOSUR (Mercado Común del Sur).
bibliografia
M. Seoane, El saqueo de la Argentina, Buenos Aires 2003.