Aniconica, Arte
La definizione di arte a. va riferita alle opere che si servono esclusivamente o prevalentemente di mezzi rappresentativi di tipo non figurato, rinunciando a raffigurazioni oggettuali, in particolare di carattere antropomorfo. Non esiste epoca artistica in cui manchino esempi di arte a., ma senza dubbio nell'Alto Medioevo essi ricorrono con particolare frequenza e in molteplici varianti.
Di fatto in vari modi e nei più diversi campi e settori artistici nell'età compresa tra il declino del Tardo Antico e l'inizio del Romanico si preferì conferire senso figurativo a rappresentazioni artistiche aniconiche, prevalentemente in opere pertinenti alle c.d. arti minori, quali per es. l'oreficeria o la miniatura. Va tenuto presente peraltro che nel periodo indicato la creazione artistica di carattere monumentale venne ad assumere indubbiamente una posizione nettamente secondaria, per cui le c.d. arti minori o 'decorative' sembrano aver offerto di necessità spazio preferenziale alla produzione più propriamente artistica. Occorre inoltre aggiungere che la maggior parte delle opere di questo periodo e di questo tipo, avendo una destinazione ecclesiastico-liturgica o gentilizia, presenta un sostrato religioso o magico e rimanda quindi a un livello semantico più profondo, sotteso alla configurazione rappresentativa in quanto tale. Fra i problemi formali che ne derivano all'analisi storiografica emerge innanzitutto la necessità di dimostrare come gli schemi decorativi dell'arte tardoantica, originariamente ricchi di valenze figurative, arrivano al valore astratto di meri segni, trasformati dunque in portatori di significati più o meno oggi comprensibili da un punto di vista più propriamente iconografico. Un'ulteriore caratteristica è da riconoscere nel passaggio da concezioni figurative in origine monumentali a opere di piccolo formato, secondo una evoluzione constatabile fin dall'età paleocristiana. Una più profonda comprensione del fenomeno risulta possibile solo se si riescono a ricostruire, caso per caso, attraverso analisi e sintesi storiche, formali e semantiche, gli originari nessi di collegamento per lo più perduti. Non può quindi meravigliare che le interpretazioni moderne riescano, non di rado, più aderenti e approfondite di quelle degli stessi contemporanei.Il tentativo di definire su base sistematica una 'iconografia' delle forme ornamentali-aniconiche trova perciò significativamente la sua prima applicazione in un'opera di oreficeria altomedievale di piccole dimensioni, destinata all'uso liturgico. L'altare portatile di Adelhausen (Friburgo in Brisgovia, Augustinermus.) è ornato da due figurazioni di croce tra loro identiche, composte da un insieme di figure geometriche che ricorre sovente in forma simile e può quindi rivendicare carattere esemplare: si tratta dell'associazione di croci, cerchi o archi di cerchio, quadrati o rombi, losanghe e spirali o gruppi di spirali, motivi vegetali, nastri intrecciati.
Lo studio iconografico dell'arte a. di ambito medievale si basa principalmente sull'analisi delle singole forme, ma anche sullo studio del rapporto che di volta in volta intercorre tra di esse. Nel complesso si tratta di una iconografia dominata con particolare frequenza dalla figura di una croce, che si presenta peraltro in molteplici varianti, come forma di compenetrazione tra elementi aniconici-segnici e storico-allegorici, in funzione unificante e armonizzante. È inoltre interessante vedere quali forme e associazioni di forme sia possibile mettere ulteriormente in rapporto con altri generi artistici, in parte anche monumentali. I due riquadri contenenti la croce dell'altare portatile di Adelhausen possono essere confrontati con plutei altomedievali (per es. Venezia, Mus. Archeologico). La loro 'disposizione' è presente in strutture a volta di età paleocristiana che, rifacendosi evidentemente a originari prototipi architettonici, li riducono peraltro a tracciati puramente lineari. Dvořák (1923) aveva già a suo tempo riconosciuto che una tale "svolta verso l'incorporeo" pone in primo piano il contenuto spirituale rispetto ai valori formali. La 'riduzione' e, in seguito, anche una sorta di vera e propria 'miniaturizzazione' di tali strutture attestano, nel coordinamento di tutte le parti, un nuovo ideale artistico, evidente in primo luogo nell'isolamento frontale di un motivo base. In tal senso è stata proposta, come esempio di partenza, la volta delle cripte di Lucina a Roma, il cui disegno antico, inteso in senso spaziale, si richiama ancora a un'immagine figurativo-cristiana (Roma, catacombe di Callisto).
Non si può negare una tendenza alla semplificazione nei processi di creazione artistica dall'età tardoantica e paleocristiana fino all'Alto Medioevo. Ciò nonostante nell'arte a., in particolare di quest'ultimo periodo, appare anche una notevolissima varietà. La combinazione di forme, ognuna delle quali può rivendicare un particolare rango 'iconografico', e il potere trasfigurante su di esse esercitato dalla croce sono già stati sopra evidenziati nel caso dell'altare di Adelhausen; sempre in quest'ultimo la stessa cosa si può notare a proposito dei medaglioni della croce, ove sussistono triadi e una tetrade di doppie spirali, nonché accenni di elementi vegetali, alle estremità e negli angoli. Per ognuno di questi elementi è possibile delineare, attraverso serie di confronti e di rimandi concettuali, una tradizione iconografico-ornamentale; inoltre, la resa 'planimetrica' delle configurazioni rivela spesso l'originaria matrice spaziale, quale appariva essenziale per le menzionate strutture a volta. Soprattutto nel motivo della losanga con lati concavi, forma che ricorre di frequente, si può ravvisare una traccia della raffigurazione del cielo quale si ritrova consueta, in genere, nell'arte antica; così anche nella generica forma della croce, spesso in rapporto con un elemento base quadrato o rettangolare, è possibile riconoscere lo schema cosmico: "ipsa species crucis, quid est nisi forma quadrata mundi?" (Commentarius in Evangelium secundum Marcum, XV; PL, XXX, col. 638A).
Conclusioni iconografiche di questo tipo sembrano in contraddizione con il fatto che, già sull'altare portatile di Adelhausen, il motivo della croce, esaltato in senso cosmologico, compare due volte. Il raddoppiamento o la moltiplicazione, tuttavia, come rafforzamento tautologico, costituiscono un'altra caratteristica dell'arte aniconica. Il pericolo, già colto da Frey (1946; 1976), di una perdita di significato connesso a tale procedimento, non è affatto inevitabile, come risulta chiaramente dal confronto con i due riquadri contenenti al centro la croce dell'altare d'oro carolingio della basilica di S. Ambrogio a Milano. Nelle due opere le configurazioni cosmologiche sono quasi identiche, per quanto riguarda la complessiva struttura, ma nell'altare di Milano acquistano diverso significato grazie all'introduzione di elementi figurativi. Se il confronto fra queste due immagini della liturgia caelestis consente di leggere anche i riquadri con la croce, completamente aniconici, dell'altare di Adelhausen, potrebbe peraltro valere anche, nello stesso tempo, a indicare le differenze che li separano tra loro, pur nel ripetersi di schemi analoghi; va sottolineato inoltre, nell'ambito di questo confronto, che alla rappresentazione di figure dell'altare milanese, con la loro disposizione in senso verticale, si contrappongono nel piccolo altare di Adelhausen due motivi centralizzati, privi di indicazioni direzionali. Questa variante nell'impiego di strutture cosmologiche investe anche, come si è già accennato, il rigore del loro valore atemporale.
Il problema dell'applicabilità del principio di individuazione delle composizioni aniconiche implica la questione di come sia possibile determinare l'effettivo momento di passaggio da puro ornamento a simbolo. Così come le figurazioni simboliche possono ridursi a essere ornamentum, è possibile anche il percorso inverso, nel simbolo cosmico abbreviato e, in quanto tale, evocatore del numinoso. Ma la comprensione iconografica dell'ornamentazione con significato cosmologico o, più spesso, cristiano si giustifica in senso stretto solo attraverso l'inequivocabilità della verifica. La ripetibilità stereotipa di un segno significante, definita da Frey (1946) addirittura come un "postulato del pensiero medievale", contribuisce spesso a una certa perdita di significato, che si può osservare per epoche e generi artistici diversissimi. Rimane tuttavia indispensabile il confronto tra opere d'arte completamente aniconiche e opere legate anche a elementi figurativi, fondamentale per le possibilità, al tempo stesso esplicative e relativizzanti, che ne derivano, tali da consentire di recuperare l'attualità, spesso perduta, delle premesse storiche e spirituali che stanno all'origine delle rappresentazioni aniconiche in questione.
Le concezioni sviluppate fin qui possono essere ulteriormente approfondite. La figurazione principale sul reliquiario a borsa di Enger (Berlino, Kunstgewerbemus.) è costituita da una doppia croce, ortogonale e diagonale, in pietre preziose, secondo una struttura òrnamentale' caratteristica di numerose altre opere di età altomedievale. Benché si presenti come struttura chiusa, in realtà a un più approfondito esame emerge il suo carattere sostanzialmente composito; così pure può dirsi di un reliquiario precarolingio di Saint-Bonnet d'Avalouze (Corrèze), dove il motivo della doppia croce si trova diviso tra lato anteriore e posteriore, mentre su numerose fibule o fibbie precarolinge le due forme di croce appaiono disposte una accanto all'altra. Una delle testimonianze più rappresentative è costituita dalla grande stele di Moselkern, opera del sec. 7° (Bonn, Rheinisches Landesmus.), particolarmente interessante perché include come elemento caratteristico peculiare anche una figura umana: il quadrato in cui la croce ortogonale è abbracciata dalla figura di Cristo va inteso come mundus tetragonus (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 14000, c. 5), mentre è inoltre significativo l'accostamento delle due forme di croce, attraverso il quale viene espresso il concetto della exaltatio crucis; ma è soprattutto la croce diagonale della parte inferiore della stele a essere concepita come segno cosmologico di alto significato e di antichissima tradizione, evocando addirittura il χ cosmico di Platone (Timeo, 36) come intersecazione cruciforme dell'equatore e dell'eclittica. Ricorre qui di nuovo il fenomeno in base a cui una concezione della croce, in origine spaziale, subisce un processo di astrazione, fino a divenire segno bidimensionale ed essere identificata con la proiezione dell'orizzonte. Nello sviluppo della croce, a destra e a sinistra, in alto e in basso, davanti e dietro, attestato dagli esempi riportati, si conserva chiaramente il nucleo primario spaziale, in una interpretazione paleocristiana della figura crucis che ha stretta attinenza con Ef. 3, 18ss., "ut possitis comprehendere cum omnibus sanctis quae sit longitudo et latitudo et sublimitas et profundum".
Attualmente è possibile illustrare solo per accenni quanto il carattere speculativo dell'arte a. dell'Alto Medioevo dipenda dai corrispondenti testi, primari o secondari. All'osservatore moderno quest'arte appare troppo lontana dalle premesse spirituali e religiose che la originarono e che, peraltro, si possono delineare solo con grande cautela. Ciò riguarda non solo - come si è dimostrato mediante la stele di Moselkern e altri esempi analoghi - il rapporto di integrazione e di rafforzamento reciproco che intercorre tra due forme di croce; si collegano a queste immagini-base, come si è già accennato per i riquadri con la croce di Adelhausen, altre serie di rimandi concettuali legati alla simbologia dei numeri, connesse innanzi tutto al quattro: i quattro capi del mondo, i quattro venti, i quattro elementi, i quattri fiumi del paradiso e, in rapporto allegorico con essi, i quattro vangeli. In sostanza si tratta proprio di quelle figure geometriche in cui si concretizzano le disposizioni simboliche dei numeri e si rispecchia al tempo stesso l'ordine della creazione e della salvezza. Durante il Medioevo queste concezioni vennero sistematizzate, non solo nel campo delle arti figurative, ma anche in quello letterario: i gruppi tetradici sono riferiti all'ambito terreno-cosmico, i triadici alla divinità, i pentadici, di frequente, alla Passione, gli eptadici allo Spirito Santo (Ohly, 1977): la simbologia numerica riveste senz'altro un ruolo importante nell'arte aniconica.
Le molteplici possibilità aniconiche e, al tempo stesso, figurative che l'Alto Medioevo desunse dalla forma, apparentemente univoca, della croce, si possono rilevare con chiarezza attraverso esempi tratti dall'arte libraria insulare. La struttura d'insieme della miniatura del χ nel Libro di Kells (Dublino, Trinity College, 58, c. 34r) acquisisce individualità iconografica grazie a ulteriori elementi, ugualmente aniconici: l'iniziale a piena pagina del nome di Cristo, nell'incipit del testo del Vangelo di Matteo, è identificata con la croce cosmica nella forma quadrata mundi; nella stessa miniatura le quarantasei rosette incluse in una losanga centrale, simboleggianti il nome di Adamo, alludono al tempo stesso alla creazione del mondo e all'incarnazione. Che le opere di arte a. non costituiscano invenzioni figurative create ad hoc, ma si fondino su tradizioni molto antiche, è bene evidenziato dall'esempio della miniatura iniziale del Vangelo di Giovanni nel Libro di Durrow (Dublino, Trinity College, 57, c. 192v). Un quadrato non colorato, circondato da fregi animalistici, racchiude un cerchio con motivi a nastri intrecciati, i cui viluppi in tre distinti colori si dispongono a gruppi di tre; fra questi sono inseriti tre minuscoli cerchietti, anch'essi non colorati, con rappresentazioni di croci, che costituiscono a loro volta un triangolo. La loro disposizione centrica rispetto al rapporto cerchio-croce rende evidente come la simbologia triadica, più volte ripetuta, stia a indicare una 'immagine' della Trinità divina. Il messaggio aniconico di valore figurativo proprio ad alcune delle miniature ora esaminate può andare molto al di là del valore (già altra volta constatato; Jantzen, 1940) dell'iniziale come immagine di compenetrazione speculativa.
In merito alle tradizioni iconografiche menzionate, prescindendo dai rapporti fra la simbologia triadica presente nelle miniature insulari e il motivo celtico del triquetro, bisognerebbe fare anche riferimento alla simbologia paleocristiana del triangolo, riscontrabile in plutei con iscrizioni e soprattutto nel mosaico della Trinità del battistero di Albenga, con tre cristogrammi proiettati uno dentro l'altro. Appare infine interessante notare come il carattere spaziale, che contraddistingue questo mosaico, sia riscontrabile anche nei piccoli cerchi con la croce della miniatura del Libro di Durrow, i quali racchiudono un motivo cruciforme (ricorrente nell'arte a.) che è stato chiamato Zackenkranz 'corona dentata'. Sopravvive qui la struttura tardoantica del baldacchino o volta, in una versione cristiana miniaturizzata (Saxl, 1923), che rientra a sua volta nel Korbboden 'motivo a fondo di cesto' (Stückelberg, 1909). Quest'ultimo ricorre con particolare frequenza nella caratterizzazione sacrale e nella ripartizione dell'altare cristiano. Ad analoghi tipi di scansione òrnamentale' della superficie (per es. Roma, S. Sabina, lastra di transenna), presenti spesso anche in mosaici pavimentali antichi e tardoantichi e nell'arredo liturgico protobizantino in pietra, è stato attribuito a ragione un valore apotropaico, con una significativa trasposizione anche in altri generi artistici: tale funzione può essere attribuita anche alle miniature introduttive o divisorie dei libri sacri altomedievali, per es. le c.d. carpet pages dei manoscritti insulari, la cui configurazione aniconica presenta sorprendenti analogie con rilievi di plutei e con le decorazioni basate sulla scansione geometrica della superficie presenti su oggetti sacri in oro e avorio. Se nell'ambito dei mosaici di rivestimento si sono ravvisati, in motivi apotropaici di tipo analogo, "gli inizi di un sistema aniconico di decorazione ecclesiastica" (Kitzinger, 1970), ciò ha non da ultimo la sua motivazione nel legame tra la funzione esterna e il luogo specifico in cui il motivo viene inserito, come nel caso delle pagine decorative dei libri sacri. Piuttosto che di un sistema ideato appositamente, si può parlare in realtà di riflessi risalenti molto indietro nel tempo, di una tendenza sempre esistita e con radici antichissime alla caratterizzazione non figurativa e a sfondo magico-sacrale, alla quale solo l'Alto Medioevo conferì un certo ordine e una gerarchia, dunque una sistematicità. È infine interessante constatare come in molti dei più preziosi cimeli dell'arte sacra altomedievale il principale messaggio 'iconografico' sia riservato al lato visibile aniconico dell'oggetto in questione, su cui appare simbolicamente l'immagine di Dio.
Si è accennato ad alcune caratteristiche di topoi aniconici, come la ripetitività o l'associazione con elementi figurativi, in funzione reciprocamente chiarificante e di potenziamento. Anche in questo ambito è possibile identificare schemi ordinatori, che vanno dalla contrapposizione tra una 'faccia anteriore' aniconica e una 'posteriore' con composizione figurativa, caratterizzata dalla tradizionale disposizione verticale delle immagini (come nel reliquiario a borsa di Enger) fino a una struttura allegorica centrale, come nella più antica delle due parti della coperta di codice di Lindau (New York, Pierp. Morgan Lib.) o nell'altare portatile di San Pedro de Roda, che presenta il busto di Cristo ripetuto per quattro volte come motivo cosmologico base. Accanto all'introduzione di fattori figurativi antropomorfi, risultano importanti le raffigurazioni zoomorfe, risalenti anch'esse alla Tarda Antichità, che frequentemente fiancheggiano il simbolo cristiano della salvezza o lo circondano secondo una disposizione concentrica o eccentricamente bipolare, spesso ordinata in base a criteri numerologici: vari sono gli animali riferibili agli elementi fondamentali, ovvero acqua, terra e aria; in senso allegorico e speculativo essi evocano i tria genera animantium della storia della creazione, secondo Gn. 1. Per l'iconografia relativa si sono potuti indicare numerosi esempi. Le configurazioni riferibili alla creazione e alla nuova creazione, nel senso della recapitulatio (Ireneo di Lione, Adversus haereses, III, 18, 1; PG, VII, col. 931), acquistano significato proprio in virtù del loro inserimento in strutture o schemi figurativi aniconici, come nelle miniature insulari, solo in apparenza completamente astratte (Werckmeister, 1964). Il messaggio generale di queste immagini della creazione risulta potenziato in senso onnicomprensivo attraverso l'introduzione della rappresentazione umana - per es. nella figura sospesa, che 'abbraccia' i tria genera animantium, del rex (come novus Adam), Cristo crocifisso, su una teca franca di Werden (abbaziale di St. Liudger, od. Essen-Werden, chiesa prepositurale) - o attraverso l'inserzione di figure umane, in posizione contrapposta, alle estremità della losanga centrale occupata dai tre animali, nella miniatura del χ del Libro di Kells. La figurazione è stata riconosciuta come immagine della creazione, giunta a compimento con l'uomo, cioè con Adamo, il cui nome veniva interpretato già nella numerologia ebraica come relativo ai quattro punti cardinali.
Dopo l'età altomedievale sopravvissero fattori 'figurativi' aniconici di grande importanza, ordinati tuttavia in combinazioni 'astratte', che ne determinarono la progressiva diminuzione di pertinenza. In un codice di Isidoro (San Gallo, Stiftsbibl., 237) appare il Cristo crocifisso su un planisfero del c.d. tipo a tau: questo sema cosmico sostituisce evidentemente la croce.
L'intercambiabilità tra elementi aniconici e figurativi, in senso a volte anche dialettico, divenne una costante caratteristica, come per es. nel caso delle figure degli evangelisti nell'Evangeliario di Ottone (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4453; Hoffmann, 1966) o delle illustrazioni del codice di Uta di Ratisbona (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 13601), dove la raffigurazione astratta è in gran parte ricoperta dai testi speculativi. Nel Medioevo avanzato le strutture aniconiche dotate di valore significante vennero progressivamente perdendolo, trasformandosi in semplici cornici esteriori. Pochi sono gli esempi in proposito, come l'immagine della colomba di Ugo di Fouilloi, le illustrazioni nell'opera di Ildegarda di Bingen e di Gioacchino da Fiore e infine le serie di figurazioni della Biblia Pauperum. Un'arte a. in senso specifico, di carattere onnicomprensivo e cosmico-sacrale, è di fatto tipica quindi solo dell'Alto Medioevo. Si è ipotizzato che il messaggio iconografico delle forme aniconiche e la loro effettiva comprensibilità si fossero indeboliti nel corso del tempo, non in ultimo perché sarebbe diventato "più complesso il progetto fondamentale del mondo" (Bandmann, 1951b).
Numerose opere d'arte o espressioni aniconiche non sono tuttavia legate né a determinati periodi storici, né a generi artistici particolari. È possibile dimostrare come alla base della ideazione, in parte complessa e frutto di un profondo processo speculativo, delle miniature altomedievali, siano gli accenni di aniconismo presenti nelle elevate forme strutturali di miniature tardoantiche, quali per es. il Dioscoride di Vienna (Öst. Nat. Bibl., Med. gr. 1) e nella Topographia Christiana di Cosma Indicopleuste (Roma, BAV, gr. 699). Come già sottolineato, esempi di particolare importanza vanno ravvisati anche in opere realizzate con materiali nobili, soprattutto metalli, dagli ornamenti personali all'arte liturgico-sacramentale, con interessanti rapporti tra il tipo di oggetto e la sua funzione, così il talismano di Carlo Magno (Reims, Palais du Tau Trésor de la Cathédrale), al tempo stesso monile e filatterio. Forme aniconiche si incontrano inoltre in preziose coperte di libri sacri, nonché in calici e patene, con esempi di particolare valore in altari e reliquiari di contenuto salvifico, in evidente rapporto con concezioni magico-apotropaiche.
In molti oggetti di questo tipo il messaggio iconografico definibile come aniconico è già insito negli stessi materiali. Per es. le valenze simboliche dell'oro e dell'argento, dell'avorio, del cristallo e delle pietre preziose partecipano all'espressione figurativa di numerosi cimeli altomedievali, nell'accordo fra lo specifico soggetto iconografico con un suo scopo e la formulazione decorativa. Così l'oro e anche l'argento rivendicano un carattere analogico, derivante dalla luce divina, che si estende dall'ambito sacrale a quello profano, legato al potere terreno. Le pietre preziose, associate spesso ai metalli nobili, sono contraddistinte, oltre che dalla funzione decorativa, dal sacramentum coloris (Beda il Venerabile, Explanatio Apocalypsis, III; PL, XCIII, col. 197); lo zaffiro simboleggia così la vita celeste ed è al tempo stesso la pietra del trono di Dio (Schade, 1963). Dato che è possibile disporre pietre di diverso colore all'interno di sistemi aniconici, queste consentono speculazioni basate su aspetti formali e per lo più legate ad allegorie del cosmo e del cielo. La coperta del Codex Aureus di St. Emmeram (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 14000), lo scrigno di Carlo Magno (Parigi, BN, Cab. Estampes) e il reliquiario a borsa di Monza (Monza, Tesoro del Duomo) rappresentano esempi eminenti, nelle cui forme astratte, imperniate su criteri anche numerologici, su materiali in cui si esprime la 'forza' magica del raro e del prezioso, questi segni figurativi appaiono come "geroglifici di un mistero" (Weisbach, 1937).
La forza espressiva dell'arte a. si basa quindi su ciò che Frey ha definito il Realitätscharakter delle opere d'arte altomedievali. Con tale formulazione si intende il rapporto fra la realtà oggettivo-materiale di una forma artistica e il suo contenuto spirituale o religioso, inteso come 'realtà ideale', in cui il tertium commune sta non nell'immagine, bensì nella reliquia conservata in un filatterio o nel contenuto eucaristico del calice e della patena. La nuova realtà supera i limiti naturali e rende significanti elementi apparentemente distinti, allo stesso modo con cui le membra disiecta architettoniche sulla parete del calice d'avorio di s. Lebuino a Deventer (Utrecht, Rijksuniv. Het Catharijneconvent) si ricompongono attraverso il contenuto sacramentale della coppa come immagine della fonte di vita. Lo stesso accade quando aperture figurate - grate o finestrelle -, intese come ornamentazione su reliquiari, schiudono intenzionalmente, in senso mistico, ma realiter, all'orante o all'osservatore il contenuto sacro di un ricettacolo. Con òrnamenti', cioè con mezzi artistici in fondo aniconici, "il paradiso cristiano [...] viene evocato e ghermito"; non sussiste "alcuna differenza tra immagine e ornamento, contenuto e forma; è la cosa in sé che opera" (Bandmann, 1958-1959).
Fondamentale per la validità segnica delle rappresentazioni aniconiche è non solo la loro intelligibilità, ma anche il calcolato rapporto delle parti fra loro. Nello scrigno di Egberto per es. (Treviri, Domschatz), la compenetrazione unitaria delle parti di questa opera tridimensionale evidenzia un'alta finalità che può valere per tutta l'arte a.: "Il soggetto creatore [...] costruisce il proprio mondo nell'opera d'arte come misura, modello e norma. Ricreando il mondo egli se ne fa signore e dominatore" (Frey, 1946). Ciò vale non in ultimo per l'architettura e il suo sistema formale, da cui il Medioevo trasse una molteplicità di elementi per le altre arti. Nell'architettura da sempre si rispecchiano inequivocabilmente la struttura e le leggi del cosmo: nella delimitazione di un ambito sacrale o regale, nell'interpretazione cosmologica della pianta, nella tipizzazione e nell'impiego di singole forme tangibili e significanti, dalla colonna come 'immagine' dell'albero, al soffitto o alla cupola come rappresentazioni del cielo, passando per la formula solenne dell'arcata, che può essere al tempo stesso compendio di una successione di archi o di volte, fino alla chiave di volta, che già in Aristotele è intesa come metafora di Dio (Bandmann, 1951a); e ancora, l'esterno del portale a nicchie di una torre o gruppo di torri, considerato come abbrevazione metaforica della città terrena o celeste. Il rapporto con l'architettura, generatrice di ambiti spaziali, spiega i ricordati 'relitti' di spazialità che ricorrono continuamente nell'arte a. dell'Alto Medioevo. In modo apparentemente contrastante, gli elementi tettonici vanno spesso intesi in senso figurativo piuttosto che tecnico: l'impiego di pilastri afunzionali all'esterno dell'ottagono carolingio di Aquisgrana va inteso, per es., come struttura meramente figurativa, superflua dal punto di vista tettonico, senza che questo incida minimamente sul suo carattere di realtà.
L'arte a. rivestì fin dalla Tarda Antichità, con punte massime nell'Alto Medioevo, un ruolo importante in tutti i generi artistici, soprattutto nelle c.d. arti decorative. Le forme e le rappresentazioni di maggiore rilievo vengono trasformate con modalità diverse in ornamentum e, anche nelle varianti prodotte nel corso dei secoli, rimangono tracce inequivocabili, soprattutto di significato cosmologico, di un'elevata realtà figurativa. Un rapporto fra l'arte a. e le tendenze iconoclaste dell'Oriente cristiano, che nel quadro della disputa sull'immagine antropomorfa di Dio esercitarono nel sec. 8° influssi anche in Occidente, appare non immediatamente perspicuo in base allo sviluppo storico, benché certe concordanze possano sembrare plausibili. Nelle creazioni aniconiche potrebbe piuttosto leggersi il tentativo, attuato dall'arte cristiana, tesa a raggiungere la 'sacramentalità del segno', di fornire una risposta. Cogliere nella maniera più adeguata i riferimenti in esse presenti presuppone uno sforzo non indifferente, ma meritevole degli studi moderni sull'arte: "Quaecumque in ecclesiasticis officiis ac rebus in ornamentis consistunt divinis plena sunt signis atque mysteriis ac singula sunt caelesti dulcedini redundantia: si tamen diligentem abeant inspectorem qui noverit mel de petra sugere oleumque de durissimo saxo" (Guglielmo Durando, Rationale divinarum officiorum, Prooemium 1).
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