ARTE
(IV, p. 631; App. I, p. 163)
L'arte e le tecniche artistiche dal dopoguerra a oggi. − La storia dell'a. e dei suoi procedimenti ideativi e tecnici nella seconda metà del Novecento, cioè dopo la terribile cesura della seconda guerra mondiale, preceduta dalle persecuzioni, dispersione e fuga degli uomini e delle idee attraverso l'Europa e spesso verso gli Stati Uniti, potrebbe apparire (e lo attestano spesso le denominazioni date a gruppi o a orientamenti) una ripresa enfatizzata dei metodi, procedimenti, materiali straordinariamente innovativi che alcuni artisti aderenti ai movimenti d'avanguardia avevano cominciato a impiegare sin dall'inizio del 20° secolo.
Sin da allora, riconoscendosi sganciati dal sistema industriale della produzione, ma cercando i metodi per rendere ''visibile'' la nuova sensibilità e condizione psicologica da tale sistema determinate, gli artisti rifondano il linguaggio dell'a., con un'assoluta indipendenza dalla tradizione precedente, sia sotto il profilo formale (almeno dall'impressionismo a Cézanne) sia sotto quello tecnico. Esaurita la loro funzione tutti gli elementi preparatori relativi all'ideazione (disegno, bozzetto, ecc.), l'esecuzione stessa s'incorpora al processo ideativo e all'intenzionalità dell'artista (la pennellata rapida e divisa degli impressionisti; gli andamenti espressivi della materia-colore in Van Gogh; la scopertura dell'imprimitura, in Cézanne, che assume così valore di segno e concorre alla formazione dell'immagine).
Da Cézanne in poi è acquisita una nuova concezione del quadro: non più schermo su cui viene proiettata la realtà, ma piano plastico su cui si organizzano i diversamente orientati procedimenti conoscitivi della realtà stessa.
Se i nuovi procedimenti di costruzione dell'immagine e plastici (quello scompositivo cubista, quello scompositivo dinamico futurista, quello dell'automatismo surrealista) non fanno altro che denotare l'avvenuto ''spostamento del centro'' dall'oggetto conosciuto e convenzionalmente restituito, al soggetto conoscente e producente una nuova realtà-a., i mezzi e le tecniche espressive sono continuamente sperimentate, con sconfinamenti al di fuori dei limiti del quadro e della scultura stessi e con l'assunzione di materie e oggetti comuni della realtà esterna, quasi a reintegrare il reale nell'opera d'a. e a rafforzare l'identità tra quel modo di conoscere la realtà che è l'a. e la realtà stessa.
Ciò avviene, nel cubismo, con il collage e il papier collé, esperiti intorno al 1912 da Picasso (che incorpora a un suo dipinto, intitolato Natura morta con sedia di paglia, una tela cerata stampata a imitazione dell'impagliatura) e da Braque (che incolla a un suo disegno pezzi di carta da parati che imitano le venature di un pannello di legno); e, nell'ambito del futurismo, intorno alla stessa data, quando Boccioni realizza la scultura in gesso ora distrutta Fusione di una testa e di una finestra, inserendovi elementi in legno, porcellana, capelli e teorizza nel contempo nel Manifesto della scultura futurista l'idea del polimaterismo e in generale della dinamizzazione dell'oggetto plastico per mezzo di cerniere e forze meccaniche, in analogia al continuo divenire psichico e mentale equivalente al dinamismo della vita nella società industriale. Si sollecita l'attivazione totale della percezione (si pensi al Manifesto dei suoni, rumori, odori, del 1913).
Questo inizio non è che l'avvio di un processo di radicalizzazione dell'innovazione e sperimentazione tecnica, che negli anni tra la prima e la seconda guerra mondiale si svolge lungo due direttrici: una che è propria del Dadaismo, dalla forte connotazione ideologica, di negazione di tutta l'a. anche d'avanguardia e dei seppur nuovi sistemi di segni, e con ciò di negazione di tutto il sistema sociale e politico occidentale, della cui razionalità si sottolineano il fallimento e i mostruosi esiti bellici; l'altra, del Costruttivismo e del Bauhaus di Gropius, dalla connotazione progettante e positivamente orientata sulle possibilità di collaborare alla correzione e guida dei sistemi economico-politici.
In Dada, il credibile e l'assurdo, la casualità e l'intenzione giocano in continua dialettica, e sottostanno a tutte le numerosissime esperienze, unificandone l'apparente incontrollabilità: la secessione radicale da ogni idea acquisita di a., bello, estetica, prepara la radicale mutazione del punto di vista dell'artista nei confronti della realtà, di se stesso e della tradizione dell'a. anche più recente, cui assisteremo appunto dopo la seconda guerra. Il ready made (l'acquisizione di un oggetto bell'e fatto, talvolta ''guidato''), atto col quale, a partire da M. Duchamp, si delibera l'attribuzione di status di opera d'a. all'oggetto d'uso più comune, il Merzbau di K. Schwitters (architettura-accumulo di oggetti più svariati, dai rifiuti a opere d'a., raccolti nel corso della vita), il fotomontaggio usato dai dadaisti berlinesi (combinazione di ritagli fotografici, complessa organizzazione dei dati del comunicare di massa nel flusso assurdo e incontrollabile che lo caratterizza), i Rayogrammi e le Rayografie di Man Ray (produzione dell'immagine di una cosa direttamente dal negativo, senza l'intermediazione dell'apparecchio fotografico), sono tutti procedimenti di una libertà dell'intelligenza a contatto con il banale, l'infimo, il comune.
Nella direttrice costruttivista delle avanguardie sovietiche e del Bauhaus in Germania, scuola di design e di architettura, all'artista viene riconosciuto il ruolo dell'ideazione e della sperimentazione materica e visuale, convogliandosi così nell'idea di una possibile integrazione tra invenzione e industrializzazione anche quella di una riconciliazione tra artista e società, tra qualità e quantità; straordinaria aspirazione, splendida illusione: caduta (forse per sempre) negli anni Trenta nell'assenza dell'accordo sociale che solo può sostenerla, in Germania per la persecuzione nazista che proclamò degenerata ogni espressione anti-convenzionale e ogni forma di sperimentazione, e in Unione Sovietica per la persecuzione stalinista; in entrambi i casi con l'annientamento fisico degli artisti e degli intellettuali.
Né nihilista né progettante in senso stretto, il Surrealismo convoglia in sé, sin dal primo Manifesto del 1924, tutti i potenziali sperimentali emersi nelle precedenti ricerche d'avanguardia: nessun mezzo è designato a priori come capace di portare in luce le straordinarie forze che si celano nella "profondità del nostro spirito". Al libero fluire dell'inconscio verso l'esterno e alla tutela della sua autonomia espressiva, possono adempiere tanto le tecniche tradizionali (che in quanto familiari non la ostacolano), quanto quelle più nuove, che corrette già dai dadaisti in senso irrazionale e aleatorio, consentivano alle forze inesplorate dell'inconscio di attraversare la barriera della coscienza. Insieme alle tecniche e ai procedimenti peculiarmente surrealisti, la scrittura automatica (A. Masson) che consente una sorta di sospensione del controllo da parte delle facoltà razionali, il frottage (Max Ernst), i quadri a sabbia (Masson), i découpages (H. Arp, che strappa e talvolta ritaglia carte colorate, facendole ''ricadere'' sul supporto), fondati sui principi dell'automatismo e dell'aleatorietà (la casualità stimolante), costituiscono il metodo generale di chi vuole osar guardare al fondo di se stessi (traendo da null'altrove che da lì un nuovo primo impulso di fare a.), volto a liberare gli artisti europei dell'informel e gli americani dell'Action painting, nonché gli artisti orientali giapponesi, in una nuova e ancor più radicale rottura sia rispetto alla cosiddetta ''tradizione del nuovo'' sia rispetto alla società e cultura occidentale nel suo complesso.
Sotto il termine di Informel, usato nel 1951 da G. Mathieu per riferirsi a ciò che ha chiamato "non-mezzi o non-forme, cioè mezzi e forme senza un possibile significato", si designano appunto le diverse esperienze e personalità che, distaccandosi dal corso storico delle forme artistiche, comprese quelle delle avanguardie osservate negli anni 1940-45 nelle loro inaccettabili reiterazioni formalistiche, riproposero nella pittura e nella scultura un primato dell'espressione in senso individuale, ricercarono con varie tecniche una vita del ''profondo'', puntando sulla ''materia'', sulla ''tensione gestuale'', sul ''recupero di un'immagine ingenua'' (cólta o degradata), sul ''segno'' che precede il significato.
L'accomunamento sotto il termine di Informel di tutta l'esperienza internazionale (dall'Action Painting e dall'espressionismo astratto americani, al tachisme, alla pittura materica, all'art brut, sino allo spazialismo e nuclearismo italiani) è dovuto alla comune considerazione dell'a. come strutturazione dell'informalisé, alla comune liberazione dell'a. dai suoi tre principali riferimenti (la natura, un'estetica, uno studio preliminare), al ruolo preminente attribuito alla rapidità d'esecuzione insieme all'assenza di premeditazione di forma e gesto. Tutto ciò consente di "cogliere ed esprimere tutto quanto sale dal profondo dell'essere, senza che il suo prorompere venga fermato e deformato da ripensamenti ed interventi razionali".
Nei procedimenti e nelle differenti morfologie, e in tutti i diversi testi teorici che accompagnarono le esperienze informali, appare evidente la peculiare ''messa in questione'' delle nozioni apparentemente immutabili di Bello, Forma, Spazio, Estetica, con una dichiarazione dell'essere ''al di fuori'' di esse (art autre, dice M. Tapié). Tali nozioni, solo modificate e contraddette nelle avanguardie precedenti, qui appaiono ignorate: l'artista opera di fronte a esse come un ''ignorante'', come se non fossero mai state.
L'importanza congiunta del Surrealismo e delle filosofie orientali si attiva come impulso primario a fare a.: a realizzare l'unità del proprio essere con l'attuale divenire.
Come scriverà C. Bryen: "I giovani divorano il patrimonio dell'antipittura che è stato messo insieme dalla generazione che li ha preceduti: Arp e le sue carte lacerate, Mirò e i suoi grafismi e le sue macchie, la non-arte di Picabia, i collages e i frottages di Max Ernst, i Merzbilder di Schwitters, i meccanismi di Marcel Duchamp, le figure deformate di Picasso, lo slancio di Kandinsky. L'antipittura diventa la pittura di oggi".
Con gli Otages esposti nel 1945, J. Fautrier porta per la prima volta nel quadro la ''materia'' (una pasta fluida, per lo più di colore bianco, che egli spalma sui fondi a più strati) come ''nucleo formale''. In tale procedimento, iniziato verso il 1942, la materia viene ''figurata'' in teste, nudi, oggetti o paesaggi. Queste che egli chiama ''immagini commemorative'', appena emergenti dal modellarsi della materia, vengono ordinate in diversi cicli (che si chiameranno originali multipli), anche a indicare che il processo pittorico è un processso controllabile con i mezzi che l'artista ha scelto di usare. L'immagine viene a coincidere con la materia non successivamente, ma al momento "preciso in cui la materia la modella; l'immagine e la dimensione non sono più definiti dallo schema tradizionale di forma e di composizione, ma dalla materia stessa" (N. Ponente).
In J. Dubuffet la materia, che dal 1942 nel Jardin des Plantes inizia a esplorare, studiando la grafite, il basalto, il carbone, ricercando l'avvizzito, il decomposto, il polveroso, il decrepito, insomma tutti gli aspetti marginali della realtà che erano stati in precedenza tralasciati sulla via della belle peinture, non ha la funzione di completare i mezzi pittorici tradizionali, ma di sostituirli. Pur non trattandosi di materiali del tutto inediti (dal Cubismo a Klee), è tuttavia nuovo e determinante l'uso costante che ne fa Dubuffet nella doppia serie delle topografie e texturologie, nella sua invenzione delle petites figures de la vie précaire, il cercare nelle tessiture grafiche e materiche gli equivalenti di quelle immagini che rifiutano ogni linea e ogni forma (quelle informi e monotone zone ai margini della terra che sono "gli omogenei, sconfinati mondi del mare, delle nevi eterne, dei deserti e delle steppe").
La riconquista di ciò che era prima rimasto ai margini, il quotidiano e il banale, non è il solo messaggio importante di Dubuffet, quanto piuttosto il sollecitare l'artista (e l'uomo contemporaneo) a considerare come la troppa coscienza in rapporto agli oggetti falsifichi i normali meccanismi del vedere: e dunque a esaminare le cose e a figurarle "senza mai far violenza a questo distratto e confuso atteggiamento dello spirito, a questa specie di coscienza turbata e in perpetuo movimento, con cui ogni uomo reagisce normalmente a ciò che lo circonda" (Dubuffet).
Sul versante dell'identificazione di materia e significato del quadro, vanno collocate tanto l'image multiple (che lo spagnolo A. Tapies non compone, ma ricava mediante un lungo procedimento da una superficie ''incrostata'', composta di una materia pastosa, fragile, grossolana), quanto il peculiare processo, proprio dell'artista italiano A. Burri, di identificazione del senso simultaneamente con la materia ciclicamente prescelta (sacco, plastica, legno, ferro, cellotex, cretto, acciaio) e col gesto che la struttura (cucitura, spellatura, combustione, taglio, incisione).
Sul versante dell'informale segnico, si collocano la organizzazione di microsegni di M. Tobey (dalle prime white writing − scrittura bianca − in cui con linee ondeggianti, curve, angolari riusciva a cogliere la fluida essenza chiamata città, strappandola dall'energia e dal dinamismo universale), l'organizzazione di movimenti grafici di H. Hartung, le signatures di G. Mathieu, i gestes de la vie di H. Michaux.
Negli Stati Uniti, come scrive H. Rosenberg nel 1952, "venne il momento in cui ai pittori americani la tela apparve come un'arena aperta alla loro azione, piuttosto che come una superficie sulla quale riprodurre, ricreare, analizzare o esprimere un oggetto reale o immaginario. Ciò che doveva essere trasferito sulla tela non era un'immagine, bensì un atto, un'azione".
J. Pollock era stato il primo ad affermare il predominio dell'atto pittorico (act of painting), il costituirsi di una tensione tra l'artista e la tela, l'''entrarvi'', al fine di controllare il flusso pittorico, che non ha né principio né fine, ma nel quale "non c'è posto − dice l'artista − per il caso". Nell'obiettivo di ''esprimere'' (non illustrare) i suoi sentimenti, il metodo e i materiali prescelti si allontanano necessariamente da quelli tradizionali: stecche, spatole, lame, colore fluido e sgocciolante e di rapida essiccazione, oppure un impasto denso fatto di sabbia, vetro sbriciolato e altri materiali spesso inconsueti. Dopo aver operato nel 1942, nel pannello realizzato per la collezionista Peggy Guggenheim, un sistema di ritmi ordinati e forme bianco-nere ripetute, scardinanti il ''centro'' pittorico fino allora in vigore, giunge nel 1947 ai famosi quadri a dripping (sgocciolatura).
La Action Painting americana (Pollock, F. Kline, W. De Kooning, R. Motherwell, ecc.), seppure originata dalle matrici surrealiste assai note attraverso gli stessi artisti europei (Masson, Ernst) giunti agli inizi degli anni Quaranta al seguito di Peggy Guggenheim, si caratterizza per la deliberazione del modo in cui l'artista crea una struttura con la sua forza emozionale e spirituale, e per la volontà di sbarazzarsi delle certezze etiche ed estetiche, in ciò in sintonia con le analoghe esperienze d'oltreoceano.
Ma è connotata, in più, da questa prima ''morale unità'' di a.-vita (in cui è implicato il soggetto con tutto se stesso): unità che nella seconda metà degli anni Cinquanta, nelle nuove generazioni, si aprirà a un ulteriore sconfinamento del mezzo linguistico, tradizionale e non, sostituendo l'oggetto-opera con l'azione e il gesto del corpo nella loro totalità: è l'a. di comportamento. Essa raccoglie nel suo vario dispiegarsi sino alla fine degli anni Sessanta, con intrecci multidisciplinari e sovranazionali, l'Internazionale Situazionista, il gruppo Fluxus, gli Happenings, il Gruppo Gütai, sino alle azioni (vere e proprie messe-in-scena di elementi di corpo-oggetti o della natura stessa, come nella Land art).
Quella che potremmo impropriamente chiamare la tecnica dell'a. di comportamento è la performance: un avvenimento o un'azione che l'artista mette in scena in un ambiente determinato. Di durata variabile, può aver luogo nello spazio tradizionale della galleria e del museo, ma anche in qualsiasi ambiente urbano o paesaggio naturale, estendendosi sino a creare una nuova struttura ambientale, come appunto nell'Environmental art. Coinvolge lo spettatore spostandolo dal ruolo tradizionale di osservatore passivo a quello di co-autore e attore dell'avvenimento artistico: almeno sino alle proposte relativamente ''chiuse'' delle ''azioni'' (a. povera; J. Beuys).
Lo happening è peculiare della situazione statunitense della fine anni Cinquanta. Riferendosi ai primi sconfinamenti dal quadro e dalla superficie bidimensionale, A. Kaprow (che ne è stato il teorico) parla di un action collage ("Il mio action collage si estese ed io vi introdussi luci intermittenti e pezzi di giganteschi materiali diversi. Le agglomerazioni si estendevano sempre di più dalla parete verso il centro dell'ambiente ed erano sempre più ricche di elementi auditivi .... Alla fine contenevano quasi tutti gli elementi sensorî a cui avrei lavorato negli anni seguenti").
Sempre Kaprow enuncia le quattro condizioni essenziali per la realizzazione di un happening (cui lavorano molti tra gli artisti poi divenuti pop, come C. Oldenburg, A. Warhol, G. Segal): "Primo: la quiddità immediata di ogni azione, semplice o complessa, priva cioè di qualsiasi altro significato al di là della semplice immediatezza di quanto si verifica. Questo ''essere dell'azione'', fisico, sensibile, tangibile, è per me molto importante. Secondo: le azioni sono fantasie eseguite non esattamente sul modello della vita, anche se derivate da essa. Terzo: le azioni costituiscono una struttura organizzata di eventi. E quarto: il loro significato è leggibile in senso simbolico e allusivo".
Segnando una tappa dell'articolato percorso attraverso il quale si è tentata la distruzione dello spazio ''illusivo'' tradizionale e il progressivo avvicinamento dello spazio estetico e dello spazio vitale (con esiti che potremmo dire ''disillusivi'' sulla possibilità stessa per l'a. di esistere nel mondo contemporaneo dei consumi e della massificazione), l'a. di comportamento fuoriesce dai modelli storici delle serate futuriste (che nella contrapposizione tra comportamento dell'artista e spettatore avevano il loro perno cruciale), delle serate dadaiste al cabaret Voltaire (provocazioni violente anti-a. tese ad accogliere la casualità e la contraddizione della vita quotidiana) o delle peregrinazioni urbane dei surrealisti, per i quali la strada e la città nel suo insieme erano i luoghi preferiti per l'attuazione di comportamenti sorretti dalla immaginazione e affidati al caso.
Ma, rispetto alla volontà universalistica di cambiamento di tali precedenti, e di fronte all'incapacità e impossibilità di cambiare in profondità il mondo reale, gli artisti dell'Internazionale Situazionista (sulla base anche del Rapport di G. Debord del 1958: "tesi sulla rivolu zione culturale") lavorano alla messa a punto di un ''metodo di costruzione sperimentale della vita quotidiana'': ogni ''momento della vita'' o ''situazione'' viene concretamente e deliberatamente costruito mediante l'organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco di avvenimenti. Rispetto all'impegno ''politico'' e ''critico'' attivo delle precedenti avanguardie, si propone, attraverso le situazioni, il disancoramento da ogni tipo di attività costrittiva e la riva lutazione del concetto di gioco, in quanto attività autodeterminata e sorretta dal desiderio.
Tale processo di a. come ''liberazione evasiva'' è proprio anche del gruppo sovranazionale di artisti, musicisti, poeti americani ed europei che si chiama Fluxus (G. Brecht, G. Maciunas, D. Higgins, B. Patterson, R. Filliou, D. Spoerri, A. Boetti, W. Vostell, G. Chiari): i quali vogliono non tanto la costruzione di ''situazioni'', ma provocare − attraverso un viaggio o deriva continua − la "creatività individuale e collettiva, rilevando il potenziale creativo che è in ogni gesto, in ogni azione della nostra vita quotidiana: ogni scelta è basata sull'aleatorietà e spontaneità".
La forte ascendenza dadaista (senza tuttavia l'intento dissacratorio né l'orientamento nihilista) giunge a Fluxus ''attraverso'' J. Cage che, nel Black Mountain College prima (dove apre le prime esperienze sperimentali di musica ''concreta'') e nella New School of Social Research di New York poi, tra il 1956 e il 1958, pratica e predica quella apertura totale nei confronti della vita, con l'accettazione (che diverrà il tratto più rilevante) allegra del suo scorrere confuso e contraddittorio, attribuendo valore a tutto ciò che viene considerato banale e privo di senso.
Tutto ciò spiega assai bene quel peculiare ''passaggio'' dall'Action Painting alla Pop art, che è costituito dal Neo-dada americano: con la realizzazione dei Combine paintings, dove R. Rauschenberg raccoglie dentro la pittura ancora gestuale oggetti comuni e frammenti d'immagine, del presente o del passato. "Per dada − dirà Rauschenberg − si trattava di escludere, era la censura contro il passato, la sua cancellazione. Oggi, per noi, si tratta di includere il passato nel presente, la totalità nel momento".
Certo ben diversa è l'assunzione del quotidiano intrecciata all'aleatorie tà, per es. in Maciunas (in Piano Pièce n. 13 si serve del pianoforte fissan done le chiavi con chiodi), Patterson (scrive un pezzo per pianoforte, che prevede che il piano venga imbiancato sul palcoscenico) o La Monte Young (che nella Composizione 5 prevede che una o più farfalle vengano liberate nello spazio della performance, e che la composizione termini quando la farfalla vola fuori dello spazio dell'azione attraverso la porta o le finestre), e quella trascrizione totale dell'immagine comune e dei mass media operata, per lo più con tecniche tradizionali, nella Pop art (da R. Lichtenstein, A. Warhol, J. Rosenquist, C. Oldenburg, ecc.). Vi è assente ogni elemento di volontà di rottura o fuga: salvo che nella straordinaria opera totale di Warhol, che − come gli artisti del ''comportamento'' − sfida le leggi della mercificazione artistica, facendosi artista super-star e provocatoriamente accettandole con programmata imperturbabilità. Di particolare interesse, nell'ambito di Fluxus, è la figura di B. Vautier, con la sua concezione di Evento (diversamente dallo happening, in cui è prevista una trama), definito "rappresentazione della realtà con la realtà. È la comunicazione della presa di coscienza che tutti i dettagli della realtà sono spettacolo".
Se l'idea dell'appropriazione totale del quotidiano, del comune, dello spazio, del reale inteso come luogo indifferenziato in cui esercitare possibilità liberatorie e ricostruttive della creatività, caratterizza la linea detta dell'a. di comportamento, senza avere più dei poli geografici forti (come era avvenuto per l'Action Painting in America e per l'Informel in Europa), ma significativamente ''fluendo'' attraverso tutti i continenti, una sua diversa declinazione, originata dal riemergere di un'idea di progettualità e posizione critica, si avverte soprattutto in Europa, sin dagli inizi degli anni Sessanta.
Questa esigenza di intentio sfocerà in quella particolare performance che è l'azione: pensata dall'artista come un'opera ''sorretta da una struttura forte'', è prevista in anticipo in ognuno dei suoi elementi, ciascuno dei quali viene introdotto in punti rigorosamente determinati dello spazio e del tempo della performance.
Ne è punto di partenza il gruppo Zero di Düsseldorf (fondato da O. Piene e H. Mack), che se di suo è orientato appunto a una partenza ex novo, a ritrovare i fondamenti primi del segno e del linguaggio plastico (operando comunque al di fuori delle tecniche tradizionali), è anche un punto di riferimento per gli artisti di Fluxus saltuariamente operanti lì, nonché per artisti stranieri come Y. Klein, P. Manzoni, F. Lo Savio.
Appunto a Düsseldorf, J. Beuys insegna e dà un'inversione di tenden za al movimento Fluxus, conferendo alle sue azioni, come Der Chef (l'ar tista si presenta avvolto in un rotolo di feltro alle cui estremità sono collo cate due lepri morte), forti rinvii metaforici e condensazioni simboliche. Le materie che usa (margarina, feltro), portano − l'una per la forte struttura lità, l'altra per la forte plasticità − le due polarità conciliabili del caos e della forma. Nei suoi colloqui, nel tentativo di ''comunicare'', ''esponendo'' se stesso, porta un messaggio di organizzazione comunitaria fondata sul con senso e sull'autodeterminazione.
Y. Klein (componente anche del gruppo francese del Nouveau Réalisme, i cui membri percorrono il mondo dei rifiuti attraverso operazioni di ''accumulo'', ''sbarramento'', ''compressione'') impiega la materia come luogo di proiezione psichica, sicché le trasformazioni che essa subisce implicano una trasformazione dell'Io: i Fuochi, le sue Architetture d'aria, le sue Fontane di acqua e di fuoco, le famose mostre del Vuoto e del Pieno, introducono a una riconsiderazione dell'esperienza ai suoi estremi essenziali.
Questa essenzialità, anche al livello della paradossalità, è propria anche della ricerca di P. Manzoni a Milano, di cui non è casuale la formazione nell'ambito dello spazialismo di L. Fontana, che già con i suoi concetti spaziali (il taglio sulla tela come segno non-segno e come un non essere più del quadro entro i suoi limiti materiali; l'impiego del neon come segno luminoso disancorato da ogni supporto o contesto spaziale noto) aveva smaterializzato e concettualizzato l'operare artistico. Realizzando la Linea lunga 7200 metri, la Base magica (che trasforma in scultura chiunque vi si posi sopra), infine con la Base del mondo (collocata a Herning), enuncia appunto il paradosso di un'appropriazione totale della realtà, espungendo anche l'opera d'arte dal mercato (Merda d'artista).
Nella prospettiva della elementarità e della ritualità si muovono anche le opere e azioni di J. Kounellis, anch'egli combinandovi una straordinaria simbolizzazione del ritorno agli elementi del segno e delle materie della tradizione popolare e pre-industriale (il carbone, le lane; Rosa di fuoco, realizzata in ferro con un papillo di gas).
Azioni, con un peculiare sincretismo tra elementi naturali ed elementi artificiali in una sorta di ricreazione del mondo, dei suoi ambienti, oggetti e culture, sono realizzate nell'ambito dell'a. povera (G. Anselmo, G. Penone, G. Zorio, M. Pistoletto, E. Mattiacci, P. Pascali, M. Ceroli), mentre un ritorno che potremmo dire ''circolare'' alla natura è messo in opera dagli artisti della Land art (J. Dibbets, D. Oppenheim, W. de Maria, che traccia due linee sulla superficie del deserto e ne interrompe il tracciato con il proprio corpo disteso per terra; Christo che ''impacchetta'' chilometri di costa).
Al pieno del vissuto e del soggettivo si contrappone, alla metà degli anni Sessanta, una sorta di vuoto soggettivo e di nulla dell'emozione: nell'esposizione Primary Structures (New York 1966) la serie, il modulo, vengono lanciati a sfidare appunto il vuoto e il nulla. In opposizione alle immagini pop e all'astrattismo post informale, si sviluppa così quella che è poi codificata come minimal art: un repertorio di geometria solida prevalentemente angolare, generalmente sovradimensionata, usato serialmente e modularmente, a indagare la peculiarità percettiva e le modificazioni indotte sulla nostra sensibilità dello spazio da volumi, materiali, forme. Annullato l'elemento manuale, rispetto al quale domina il progetto, gli artisti minimal (C. Andre, D. Judd, S. Lewitt, D. Flavin: e si potrebbero aggiungere nomi di artisti operanti per es. nella Land art, con forti connotazioni di modularità) conducono a un raffreddamento e a un'inversione ''mentale'' della tendenza comportamentista, che solo alla fine degli anni Ottanta pare riemergere nella neonata proposizione di Inespressionismo (G. Celant).
L'operazione, fredda e analitica sui condizionamenti di contesto e di spazio della percettività, propria della minimal art, introduce a un più generale atteggiamento ''analitico'' della ricerca artistica degli anni Sessanta, che va sotto il nome di a. concettuale (conceptual art). Se già nella minimal art l'idea e il concetto sono l'aspetto più importante del lavoro, nella conceptual art l'esplorazione è tutta rivolta all'idea e al concetto stesso di a., analizzato sia nel rapporto realtà-rappresentazione-linguaggio (come nel gruppo anglosassone di Art and Language, con J. Kosuth, D. Graham, L. Weiner, S. Lewitt, ecc.), sia esplorando le componenti materiali e intellettuali elementari dell'opera d'a. e della storia dell'a. (come G. Paolini, che sin dagli anni Sessanta esponeva tele, telai, carte millimetrate, disegni preparatori, tubetti di colore, G. Anselmo, On Kawara, A. Trotta, H. Nagasawa, M. Mochetti; mentre sono analitici all'interno della pittura Martin, R. Guarneri, C. Verna, M. Gastini e, in modo diverso, D. Buren e il gruppo francese di Support surface). Il caso di Gilbert and George, la loro ironia sull'espansione dell'a. oltre l'oggetto artistico, sintetizzata dalla recita quotidiana cui sembrano esporsi come sculture viventi (Volpi), sembra proprio segnalare, alla fine degli anni Settanta, la definitiva caduta di ogni forma di engagement (impegno), di autenticità, di ''intelligenza''.
"Quando dieci anni fa gli artisti cominciarono ad usare la fotografia, il videotape, il corpo e il concetto, lo fecero per liberare l'arte dalla schiavitù dei mezzi artistici. Oggi, che gli artisti hanno ripreso a servirsi del colore, dei mezzi plastici e del disegno, lo fanno perché vogliono liberare l'arte dalla schiavitù, diventata a sua volta opprimente e asfissiante, dei mezzi extrartistici" (F. Alinovi). Il decennio Ottanta si configura effettivamente come un'epoca di disimpegno e irresponsabilità; e contro la necessità sentita dalla generazione precedente, dell'''intelligenza'', autenticità e ''purezza'', si oppone la possibilità di essere ''tonti'' o ''demenziali'', di beneficiare dei disvalori dell'inautentico, dell'impurità, dell'artificio, dell'inganno.
All'identità che un tempo si voleva ricostruire in ogni modo, si oppone il riconoscimento disincantato della sua perdita irreversibile: di qui l'accettazione a "lasciarsi trapassare dagli eventi e dalle cose e insieme prolungarsi e coestendersi con essi".
È il ritorno alla pittura (da C. M. Mariani agli Anacronisti, alla Transavanguardia), all'artigianalità, all'oggetto. La tecnologia, prima usata come ''ricognizione del reale'', diviene illusione e inganno, per alimentare la ''dispersione'' come perdita di centro e identità del soggetto. Gli oggetti, prima depurati di ogni elemento di seduzione sensoriale, vengono riproposti con una resa gratificante, vera espansione epidermica del soggetto, prolungamento sensoriale del suo corpo nel mondo attraverso i mille altri corpi generati dalle sue mani. Il ritorno alla pittura, all'antico, all'ineffabile è consentito all'artista, che su questi mezzi antichi e nuovi scorre come su un mare senza sponde. Mille oggetti e quadri, che ''involontariamente'' fanno la gioia dei mercanti e dei collezionisti, invadono il terreno già fatto deserto dell'a., "perché gli artisti vogliono ingigantire attraverso di essi il proprio corpo, smembrarlo in mille appendici inarticolate" (Alinovi).
La deriva (surrealista, poi situazionista) permane non più co me viaggio, ma come abbandono al flusso caotico delle immagini o dei loro frammenti (S. Chia, F. Clemente, E. Cucchi); oppure, come negli artisti praticanti ''anacronisticamente'' (come dice M. Calvesi) la pittura (è il caso di F. Piruca e S. Di Stasio), passato e futuro si intrecciano.
Per tutti gli anni Ottanta ciò che è parso importante è stato ''sentirsi'' liberi: cercare di non aver più paura del soggettivo come dell'in autentico, del falso come della perdita dell'Io. Bisognava sentirsi fluidi e leggeri, disposti a trascorrere e trasformarsi. Strano il chiudersi di tale decennio con questi sogni di fuga e dispersione dalla realtà, così coincidenti alla fine del 1989 con una sorta di loro avverarsi, ma altrove, con le note vicende politiche dell'Est. Vedi tav. f. t.
Bibl.: Enciclopedie: Nuove conoscenze e prospettive del mondo dell'arte, Supplemento e aggiornamento dell'Enciclopedia Universale dell'arte, Roma 1978, voci: Informale; Pop art e neodada; Arte di comportamento; Arte minimal e concettuale; Nuove tecniche artistiche.
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Storiografia e critica d'arte. - Negli ultimi cinquant'anni (v. critica: La critica d'arte, XI, p. 981; App. II, i, p. 730) si è verificato un ampio ripensamento sulla funzione della storiografia e critica d'a. e in ultima analisi sulla sua stessa natura. Muovendo dagli indirizzi delineatisi tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, gli studi si sono orientati secondo molteplici tendenze spesso intrecciate o compresenti, finalizzate alla ricognizione, alla lettura, alla valutazione e al giudizio sulle opere in base all'analisi dei fattori sia interni che esterni alle opere stesse, agli artisti, ai momenti storici. Parametri critici e strumenti sempre più articolati si confrontano oggi su un arco di problemi vasto e complesso che va dal riconoscimento dell'autonomia e specificità dell'a. all'interazione e ai rapporti reciproci tra linguaggi artistici e vicende storiche; dalla formulazione di concetti capaci di dare una definizione alle sperimentazioni artistiche contemporanee ai recuperi di momenti, artisti, testimonianze, oggetti e procedimenti prima poco valutati o lasciati in ombra; dalla traduzione verbale dei segni e dei significati delle forme e delle immagini alla ricostruzione dei procedimenti mentali e tecnologici seguiti dall'artista; dalla storia delle idee e delle ideologie alla riflessione sugli strumenti e sulle metodologie della critica, attraverso il riconoscimento della dialettica tra soggettività e storicità degli stessi.
Non senza contraddizioni e confusioni, all'allargamento del campo della critica d'a. e all'arricchimento degli studi e dei punti di vista si accompagna anche un'accentuazione delle difficoltà di una definizione univoca della disciplina, mentre diventa complesso seguire, anche solo sinteticamente, lo svolgersi e il susseguirsi dei contributi. Tenendo presente anche che la concezione stessa di critica d'a. come elaborazione di giudizio è sempre in stretto e complesso collegamento con quella di storia dell'a. e con quella di estetica.
Per comprendere il processo di formazione dell'attuale panorama della critica e mettere a fuoco le recenti tendenze in una prospettiva storica occorre risalire agli indirizzi e alle scuole del primo Novecento, che degli orientamenti attuali costituiscono le premesse dirette o indirette, riconosciute, superate o contestate.
Tra queste un ruolo importante ha svolto la Scuola di Vienna. Così definita da J. von Schlosser, la scuola di Vienna fa capo a una serie di studiosi attivi agli inizi del 20° secolo nell'ambito dell'università di Vienna (A. Riegl, F. Wickhoff, M. Dvořák), in collegamento con l'Oesterreichisches Museum.
Gli orientamenti di questi studiosi si caratterizzano in generale, nella specificità e diversità dei contributi, per l'attenzione alle fonti artistiche e letterarie, per l'interesse verso le cosiddette arti minori, e per periodi e ambiti culturali di solito poco studiati, nel tentativo di storicizzare la globalità dell'evento artistico. Gli strumenti critici elaborati dalla scuola di Vienna fanno capo perciò a una rigorosa utilizzazione dei documenti unitamente all'adesione ai presupposti filosofici del formalismo di H. Wölfflin e ai criteri attribuizionistici di G. Morelli, e conducono a un metodo storico-critico di tipo interdisciplinare, volto a indagare i problemi dello stile come svolgimento delle forme della rappresentazione artistica, in collegamento con il contesto culturale delle varie epoche. Negli studi di F. Wickhoff (1895-1913) si afferma il concetto del vicendevole influsso tra il variare degli elementi formali e dei significati nel linguaggio artistico; inoltre viene utilizzato e affinato il metodo morelliano. L'indirizzo avviato da Wickhoff è portato avanti da Riegl (1893; 1901); vicino alle teorie della pura visibilità e in opposizione al positivismo di G. Semper (che postulava la dipendenza delle forme dalla tecnica), Riegl elabora il concetto di Kunstwollen e pone in correlazione le vicende stilistiche e formali con quelle della visione e delle sue modificazioni storiche e culturali. Le sue analisi dell'a. tardo-romana e del manierismo tendono a rifiutare l'idea di periodi di decadenza e a privilegiare l'indagine sugli esiti culturali di determinate epoche nel complesso delle loro manifestazioni piuttosto che la ricerca su singole personalità di artisti.
Anche Dvořák orienta le proprie ricerche verso gli svolgimenti dei problemi formali e stilistici della rappresentazione, con particolare riguardo per epoche e contesti considerati minori da una tradizione ottocentesca, quali il manierismo, il gotico, il barocco. È la cosiddetta ''storia dell'a. senza nomi'', rivolta allo studio degli stili e del contesto a scapito dell'individualità. L'interesse per i problemi delle forme, intese come elaborazioni del pensiero, conduce Dvořák alla messa a punto di una concezione della storia dell'a. come ''storia dello spirito'', in rapporto a componenti culturali di natura filosofica e religiosa.
Particolare importanza per i successivi sviluppi rivestono le ricerche di Schlosser, soprattutto la sua sistematica Storia della letteratura artistica (Die Kunstliteratur, 1924), che rimane a tutt'oggi uno strumento di lavoro importante. Il suo metodo osserva e legge le fonti come elementi primari del linguaggio artistico, inaugurando una ricerca sulla letteratura artistica e sulla storia della critica d'a. che prosegue a tutt'oggi con vari contributi e approfondimenti, anche metodologici; ricordiamo le esegesi filologiche e le ricerche lessicografiche di P. Barocchi (unitamente agli studi sul collezionismo); le raccolte antologiche di E. G. Holt, i saggi di L. Eitner e di J. Dobai, i manuali e le ricerche sul linguaggio della critica di L. Grassi.
Un'altra corrente che ha avuto largo spazio nella critica del Novecento è il puro visibilismo o teoria della pura visibilità: concepita come ''scienza del vedere artistico'', la teoria della pura visibilità (reine Sichtbarkeit) si è sviluppata in Germania, in vicinanza con la teoria dell'Einfühlung (1890), dalla metà circa dell'Ottocento.
I suoi primi esponenti (H. von Marées, A. von Hildebrand, K. Fiedler) partono da riflessioni filosofiche sulla percezione di origine sia kantiana che schellinghiana, per affermare il valore conoscitivo e intuitivo della ''visione'' nei fenomeni artistici, identificandola senz'altro con l'espressione. Di qui deriva l'elaborazione di una serie di schemi o simboli della visione della forma, quali strumenti validi per l'analisi, la comprensione e l'interpretazione delle opere nei loro mutamenti storici. Tra questi schemi, particolare evidenza hanno quelli utilizzati da Riegl relativi allo spazio, alla visione ''ottica'' illusionistica contrapposta a quella ''tattile'', alla ''plastica'' contrapposta alla ''coloristica''. Un ulteriore contributo alla definizione di tali ipotesi critiche verrà da Wölfflin, allievo di Burckhardt, con elaborazioni che mettono a punto una serie di categorie che intendono spiegare il modificarsi delle forme in relazione al modificarsi della visione. Schematizzazioni come quelle della ''forma chiusa'' e ''forma aperta'', della ''molteplicità'' e dell'''unità'', della ''chiarezza assoluta'' e ''chiarezza relativa'', contraddistinguono, secondo Wölfflin, i passaggi e i mutamenti delle forme artistiche da un'epoca all'altra, e costituiscono la chiave di lettura per interpretarne i motivi stilistici distintivi in rapporto alle tendenze precedenti e successive.
Tale impostazione ricevette in Italia diverse valutazioni, che vanno dagli originari apprezzamenti di B. Croce e poi di L. Venturi, che hanno contribuito alla diffusione della teoria della pura visibilità, alla successiva storicizzazione di R. Salvini e all'atteggiamento critico di C. Brandi e di L. Grassi, che pur riconoscendone l'utilità come sussidio all'interpretazione di determinati momenti dell'attività artistica, tendono a evidenziarne l'astrattezza e la relatività.
Per quanto riguarda le radici (e le contraddizioni) che fanno da premes sa all'odierna critica d'a., va ricordato il ruolo svolto negli orientamenti del primo Novecento dalla storiografia desanctisiana e dalla estetica di Croce; influssi importanti, non privi di dissensi, si riscontrano negli scritti di L. Venturi (che si distaccherà dal crocianesimo con gli interessi per Caravaggio e per gli impressionisti), e di C. L. Ragghianti, che sviluppa una riflessione sul linguaggio figurativo e sulle modalità di produzione delle forme spazio-temporali (includendo il cinema).
In connessione con la teoria della pura visibilità si collocano gli approcci del ''formalismo'', che mirano all'individuazione dei valori formali per l'interpretazione delle opere d'arte. Concetti come quelli di linea, colore, chiaroscuro, spazio, rilievo, vengono assunti come segni e significati delle immagini provvisti di contenuti propri; viene privilegiata l'indagine immediata e diretta delle opere e dei loro elementi interni, ponendo in subordine i significati, i temi iconografici, gli elementi culturali e sociali. Vicino alla pura visibilità e sviluppando il metodo morelliano, B. Berenson si dedicherà appunto, dalla fine dell'Ottocento e nei primi decenni del Novecento, allo studio dei dipinti italiani del Rinascimento, fornendo attribuzioni e catalogazioni mediante l'analisi dei dati formali e definendo i valori tonali e cromatici, i ''valori tattili'', la linea funzionale, il senso della composizione e dello spazio. Berenson svolge anche un'intensa attività di collezionista e di consulente di collezionisti e mercanti, favorendo l'emigrazione di numerosi capolavori negli Stati Uniti (collezione Gardner a Boston). Da ricordare anche C. Bell (1914) e R. Fry che divulga in Inghilterra Cézanne e il post-impressionismo con le mostre del 1910 e del 1912. Fry, in particolare, teorizza ''l'arte per l'arte'', mediando dalla filosofia di J. F. Herbart l'idea della capacità dell'opera di produrre emozione estetica in virtù del sistema di relazioni linee-colori, indipendentemente dai soggetti e dai contenuti. Da ricordare ancora H. Focillon (1934) che stabilisce un collegamento tra il principio del mutamento delle forme e le modificazioni della materia indotte dalla tecnica, L. Venturi (forma plastica contrapposta a colorito) e A. Schmarsow (architettura come ''raffigurazione spaziale'').
Metodi e concezioni generali del formalismo si trovano, almeno in parte, in contatto con il tipo di ricerca filologica dei conoscitori d'arte. Infatti l'elaborazione e l'applicazione di metodi di analisi e di studio per il riconoscimento di autori e scuole, per l'attribuzione, per la valutazione dell'autenticità, dell'originalità e in particolar modo della qualità delle opere d'a., costituisce un settore di particolare evidenza nel campo della critica d'a. come della storia dell'arte.
Dal 1880 Morelli aveva messo a punto un metodo di attribuzione, d'ispirazione positivista, basato sulla ricognizione dei segni particolari abituali e addirittura inconsapevoli di ogni artista, iniziando inoltre l'utilizzazione (divenuta poi generale e imprescindibile ma anche insidiosa) della fotografia a fini sia di documentazione sia di ausilio nella lettura e nell'attribuzione delle opere. Più complesso e meno schematico, anche se di radici culturali analoghe a quello morelliano, è il metodo di G. B. Cavalcaselle (in collaborazione con J. A. Crowe), che amplia il raggio delle componenti delle opere da considerare per una corretta attribuzione, e che svolge su questa base un'importantissima ricognizione in tutta Italia, avvalendosi di schizzi e di un'allenata memoria visiva unita a una vigile sensibilità estetica e a una solida coscienza critica. Le riproduzioni fotografiche, sostituite agli schizzi, divengono strumento fondamentale del conoscitore d'a., una figura di specialista che privilegia l'osservazione e la conoscenza diretta dell'opera rispetto agli apporti (pur valutati) di fonti e documenti di archivio, al fine di individuare e discriminare l'apporto originale di artisti, epoche e scuole, giungendo alla formulazione di un giudizio qualitativo. In questa direzione si collocano gli studi di B. Berenson, A. Venturi, W. von Bode, P. Toesca, G. Fiocco, M. J. Friedlaender, R. Longhi e delle rispettive scuole. Longhi in particolare ha dato contributi fondamentali alla storia dell'a. in Italia con attribuzioni, con la messa a fuoco di singole figure di artisti e di aree culturali, con l'elaborazione di un metodo complesso rivolto sia al riconoscimento di singole personalità e opere sia alla ricostruzione di un tessuto di rapporti e di scambi. Così orientata è la rivista Paragone fondata nel 1950 da Longhi, cui collaborano tra gli altri F. Bologna, G. Briganti, F. Zeri. Di notevole interesse è, in parallelo all'esegesi dei conoscitori, la teorizzazione o la riflessione sui loro metodi, come in M. J. Friedlaender (1942), F. H. Taylor (1948), G. Previtali (1982).
Diversamente da altri orientamenti sommariamente indicati, e in opposizione al ''formalismo'', le correnti critiche ispirate ai metodi della iconografia e della iconologia fanno convergere l'attenzione sui soggetti e sui significati delle opere. L'iconografia classica descrive, individua e interpreta i temi o soggetti di dipinti, dagli schemi compositivi agli attributi dei personaggi, fornendo una documentazione di primaria importanza per l'archeologia e la storia dell'arte. Repertori sistematici dei soggetti di dipinti, statue, monete, medaglie, ecc., relativi alla figurazione artistica sacra e profana, sono stati messi a punto da L. Réau, E. Mâle, G. de Tervarent. L'iconologia studia i significati simbolici, allegorici, ideologici, emblematici, metaforici, delle opere, in stretta correlazione con gli aspetti letterari delle opere stesse e perciò nel contesto delle tendenze culturali, degli artisti e dei committenti.
Tali orientamenti critici risalgono ad A. Warburg (i cui scritti sono stati raccolti da G. Bing), che forma ad Amburgo un'importante raccolta di immagini e una biblioteca specializzata (che nel 1914 si trasforma nell'omonimo istituto di ricerca) trasferite da F. Saxl a Londra nel 1933, e costituenti il nucleo dell'attuale Warburg Institute dell'University of London, che pubblica dal 1937 il Journal of the Warburg Institute (tra i principali collaboratori E. Wind, R. Wittkower, E.H. Gombrich, F. A. Yates). In vari saggi (in parte raccolti e pubblicati postumi, nel 1932), Warburg analizza la rappresentazione artistica come espressione di Kulturgeschichte in collegamento con le componenti, religiose, astrologiche, mitologiche, allegoriche, sullo sfondo delle trasformazioni simboliche dell'eredità classica. L'approccio interdisciplinare sulla ricerca del significato delle immagini sotto l'aspetto formale e contenutistico è puntualizzato negli studi di F. Saxl. L'approfondimento e la messa a punto teorica di un vero e proprio metodo iconologico si deve a E. Panofsky che, formatosi a Friburgo e amico di E. Cassirer, insegnò ad Amburgo (1926-33) e poi negli Stati Uniti (Princeton dal 1935). I suoi studi sull'a. medievale e rinascimentale, sulla prospettiva, sull'approccio teorico, articolano l'analisi dei contenuti e significati simbolici delle forme artistiche, in relazione al contesto culturale, ai suoi atteggiamenti e ai suoi valori non solo stilistici e consapevolmente metaforici ma anche filosofici, religiosi, letterari e scientifici.
Nel quadro delle ricerche di tipo contenutistico vanno ricordate le tendenze di taglio psicanalitico, che conducono a ricerche sugli artisti, sulle opere, sul pubblico e sul processo creativo, dal punto di vista delle teorie dell'inconscio di S. Freud o degli archetipi collettivi di C.G. Jung. Da interessi di questo tipo partono le indagini di E. Kris (di cui va ricordato in particolare il saggio su F. X. Messerschmidt), anche insieme a O. Kurz. Tendenze di indirizzo psicologico derivate soprattutto dalla Gestaltpsychologie ("psicologia della forma"), elaborata in termini teorici in Germania negli anni Venti da K. Koffka, W. Köhler, M. Wertheimer, sono quelle orientate sui problemi specifici della psicologia della percezione da R. Arnheim (1954); in questo campo si sono succeduti diversi contributi, con l'apporto di artisti, scienziati, filosofi (per es., G. Kanizsa, A. Garau). Particolarmente articolato e stimolante è il lavoro di E. H. Gombrich, che media lo studio delle convenzioni rappresentative e visive con l'analisi dei comportamenti artistici (del produttore come dello spettatore dell'opera) consci e inconsci, e affronta anche dal punto di vista metodologico i temi della psicologia sperimentale, della percezione visiva, dell'informazione e della psicanalisi (1956).
Un fecondo metodo e campo d'indagine riguarda i rapporti o interconnessioni tra a. e società. La storia sociale dell'a. colloca il prodotto artistico all'interno di una griglia di interpretazioni e di problemi, affrontando lo studio della committenza, del pubblico, delle istituzioni, dell'organizzazione degli artisti e del loro status sociale, e in sintesi dello stile in rapporto al configurarsi della storia del contesto sociale.
Questo punto di vista critico ha tra le sue radici un saggio di M. Weber del 1917; ha trovato le prime significative applicazioni in F. Antal (1948) e A. Hauser (1951), allievi di M. Dvořák, che hanno utilizzato in modi diversi tale metodo di analisi della condizione dell'a. e dei suoi svolgimenti nella società. Hauser, in una visione ampia e articolata, rilegge l'intero arco della storia dell'a. in chiave di reciproci influssi e contatti tra fenomeni artistici e fenomeni economici, politici, ideologici: la sua storia sociale dell'a. si configura perciò come un modello storiografico globale, stimolante ma non privo di schematismi (individuati più tardi dallo stesso autore in un saggio del 1958). Antal invece fa un'analisi circoscritta alle vicende artistiche e sociali di un particolare ed esemplare momento storico, quale l'ambiente fiorentino tra Trecento e Quattrocento (rivisitando le ricerche di J. Burckhardt). Connotazioni ideologiche e filosofiche caratterizzano i saggi di W. Benjamin sull'opera d'a. nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, su E. Fuchs e su Parigi nell'Ottocento, che introducono precocemente ai problemi dell'a. di massa connessi alle nuove tecniche di riproduzione; vanno segnalati inoltre l'originale impostazione di F. D. Klingender sull'a. e la rivoluzione industriale (1947), le teorizzazioni di G. Lukács, che sviluppa in senso prettamente marxista i fondamenti della sociologia dell'a., e le riflessioni di H. Read. Altri contributi, che articolano il metodo sociologico, sono quelli di P. Francastel (1951) e N. Pevsner (1940). Più recentemente tale indirizzo si è venuto sviluppando in una vera e propria storia sociale della cultura artistica, come i lavori di F. Haskell, M. Baxandall, E. Castelnuovo, P. Barocchi, che propongono una lettura specifica dei comportamenti della committenza, degli artisti e delle istituzioni, delle trasformazioni del gusto e degli esiti stilistici, indicando potenziali e importanti vie da percorrere; per es., assumono un rilievo di documentazione e di analisi i numerosi studi e ricerche su accademie, musei, collezionismo, mercato d'a., oggetto recente di convegni e pubblicazioni (da ricordare per es. i convegni sui musei di Firenze 1981, Oxford 1983, Roma 1989), anche a carattere specifico e locale, e proiettati verso la messa a punto sia di strumenti d'indagine storica, sia di metodi di gestione del patrimonio artistico e culturale (come negli studi di A. Emiliani).
Una visione storico-critica ampia e personale, che articola il rapporto tra fenomeno artistico, contenuto storico-sociale, cultura filosofico-letteraria, è sviluppata variamente da R. Wittkower, G. C. Argan, R. Bianchi Bandinelli, A. Chastel. Wittkower, negli studi sull'umanesimo e sul barocco, adotta una sintesi di metodologie diverse. Argan, allievo di L. Venturi, supera l'impostazione idealistica e si avvicina alla fenomenologia e al marxismo in una serie di studi di ampio respiro sull'architettura, la città, le poetiche, le correnti contemporanee. Bianchi Bandinelli parte dall'estetica crociana e dalla metodologia storicistica per avvicinarsi poi al marxismo, conducendo un profondo lavoro di ridefinizione dell'archeologia come scienza storica. Chastel, allievo di Focillon e studioso di a. italiana e francese, svolge ricerche di grande portata sui grandi momenti della storia dell'a. e si fa promotore dell'Inventaire général dell'a. e dell'architettura francese. Di notevole interesse gli approfondimenti e i ripensamenti critici recenti sul punto di vista della sociologia dell'a., a partire dallo stesso A. Hauser.
Negli ultimi tempi è avvenuto un vero e proprio moltiplicarsi dei punti di vista, spesso ispirati da settori disciplinari anche molto diversi. Oltre alla già citata psicologia del profondo, si pensi all'influsso della fenomenologia esistenzialista (M. Merleau-Ponty, J.-P. Sartre), della linguistica strutturalista e della semiologia (F. de Saussure, R. Barthes), della teoria dell'informazione (A. Moles). In particolare lo strutturalismo ha dato luogo a elaborazioni concettuali e applicazioni critiche, assumendo come dati primari non le forme, le immagini, gli elementi storici e sociali ma il sistema dei segni di un linguaggio visivo da decodificare; C. Brandi per es. analizza in termini semiologici l'architettura e rivisita l'intera concezione dell'a. e conia i concetti di ''astanza'' e ''flagranza'' (1967 e 1974).
L'emergere di queste tendenze si colloca nella ricerca, tuttora in atto, di un allargamento dei confini disciplinari della critica d'a. che scaturisce proprio dalla attuale ricchezza di indirizzi e dai connessi sintomi di crisi d'identità, in una società dello spettacolo, dominata da immagini sempre più difficilmente catalogabili come a. con gli strumenti tradizionali, e caratterizzata inoltre da una sempre più problematica coscienza storica e dalla volontà di una sistematica messa a punto filologica. Assai significativa in proposito è la riflessione sulle metodologie e sulla loro storia che risponde a una diffusa esigenza di storicizzazione e chiarificazione, nella consapevolezza della soggettività e relatività dei metodi e delle interazioni tra la cultura dell'opera da interpretare e la cultura di chi la interpreta.
Un fenomeno di ampie proporzioni che condiziona e caratterizza l'odierna critica d'a. è quello dell'enorme espansione dell'editoria del settore, a livello sia scientifico che divulgativo: negli ultimi decenni sono apparse enciclopedie (per es. Larousse, Enciclopedia universale dell'arte), collane (come la Pelican History of Art, la Propyläen Kunstgeschichte, la Storia dell'arte italiana di Einaudi), guide, manuali, storie locali, dizionari (come la riedizione riveduta e aggiornata del fondamentale Allgemeines Lexicon der bildenden Künstler, di U. Thieme e F. Becker, e come il Dizionario di architettura e urbanistica e il Dizionario della critica d'arte di L. Grassi e G. Pepe), repertori iconografici, riviste, pubblicazioni divulgative e periodiche. Affermato ed estesissimo è inoltre l'uso di riproduzioni fotografiche sia in fotocolor che in diapositive, a cui vanno aggiungendosi strumenti multimediali. Si susseguono e continuano scoperte, puntualizzazioni e rivalutazioni, approfondimenti filologici di carattere monografico, e ricerche di strumenti; si pensi alla crescita d'interesse per il barocco, il manierismo, il neoclassicismo, l'a. dell'Ottocento, gli approfondimenti delle ricerche sull'a. del Medioevo, allo sviluppo specialistico degli studi di storia della scultura, e al particolare vigore assunto dalle ricerche di storia dell'architettura, dell'urbanistica, della città, del territorio, dei centri storici. È un panorama variegato e a più settori, caratterizzato dall'oscillazione tra aperture nell'affrontare in modo nuovo i problemi storiografici e critici (come quelle degli studi di E. Battisti), e ritorni tranquillizzanti a tracciati già sperimentati.
La quantità di ricerche in atto, oltre all'indubbio pregio di fornire materiali e idee al dibattito in corso, ha come risvolto anche quello di alimentare logiche estranee o ai margini della ricerca storico-critica, e funzionali invece a un più aggressivo riuso di vecchi percorsi accademici, a interessi di mercato e alla spinta verso una fruizione di tipo turistico e consumistico. Fuorviante, talvolta, risulta l'accavallarsi di testi e studi che non riescono più a tener conto l'uno dell'altro, onde il crescere di specialismi che si nutrono solo di se stessi, e all'inverso di ecletticismi o empirismi, o anche di innovazioni metodologiche che non si ha il tempo di meditare e sviluppare. Inoltre, sul versante divulgativo, a una produzione spesso di buon livello, ma altre volte superficiale, non corrisponde lo sforzo per un'adeguata educazione dei ''fruitori'' dell'a., in particolare nel campo della didattica, le cui attrezzature e i cui strumenti, legati necessariamente alle strutture istituzionali, non risultano adeguati alle necessità del grande consumo odierno di arte.
Ad accrescere l'attuale clima problematico contribuisce inoltre la dimensione ''critica'' assunta dall'a. contemporanea, con il ruolo fondamentale svolto, fin dalle avanguardie storiche, dagli scritti di artisti, o di manager di artisti (per es. G. Apollinare e D.-H. Kahnweiler per il cubismo, A. Breton, P. Eluard e L. Aragon per il surrealismo). La critica ''militante'' vive in complessa dialettica con la sperimentazione artistica contemporanea, cimentandosi continuamente e talvolta empiricamente nel seguire (e spesso anche nel guidare) i percorsi della moderna concezione dell'a. col connesso infittirsi di tendenze, movimenti, terminologie. Dalla definizione concettuale di a. astratta (la cui prima formulazione è in W. Worringer, 1908) si susseguono rapidamente sperimentazioni, formulazioni, mode, mercati: tachisme, informale, action painting, art brut, a. cinetica, a. comportamentale, a. concettuale, new dada, body art, pop art, op art, minimal art, a. povera, postavanguardia, transavanguardia, neomanierismo, ecc.
Una tendenza di grande interesse (evidenziata da R. Longhi e ripresa da R. Assunto) è costituita dalla critica come azione e come comportamento: una critica espressa cioè non solo sotto forma di saggi e studi ma con interventi diretti, individuali o collettivi, sulle opere e con le opere, per es. con le mostre (su artisti, su problemi, su periodi), con i convegni, con il collezionismo, il mercato, la gestione dei musei e in generale del patrimonio artistico. In questo ambito si delineano e si sviluppano, anche a livello di nuovi insegnamenti universitari e nuove scuole di specializzazione, campi di ricerca nuovi, come l'archeologia industriale, la storia delle tecniche e dei materiali, la storia del restauro, la legislazione artistica; si tratta infatti di orientamenti strettamente legati a finalità (e spesso a interventi) di tipo operativo e conservativo, oltre che conoscitivo e interpretativo, e che vanno dal riuso connesso a tanta parte dell'archeologia industriale, alla tutela connessa alla catalogazione del patrimonio (e alle relative banche dati e agli inventari), al restauro, nel cui ambito sono da segnalare la Carta del Restauro del 1972 e quella del 1987.
Questo tipo di approccio propone nuovi modi di leggere le opere e la storia, cerca di articolare le domande in modo diverso, calandosi nella realtà contemporanea, stimolando attività e valutazioni critiche, e dando luogo a ricognizioni, creazioni di corpora, repertori e cataloghi. Un esempio di grande portata è stata in Italia la fondazione (1969) dell'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione del ministero dei Beni Culturali e Ambientali, al pari di analoghe iniziative in Europa. Altri esempi in tal senso sono le ricerche sulle tecniche artistiche e sui metodi d'analisi fisico-chimica e numerica delle opere e del loro contesto ambientale, che stanno avendo importanti sviluppi nell'ambito sia degli istituti di restauro, come l'Istituto Centrale per il Restauro di Roma e il Laboratoire de recherche des Musées de France, sia di vari gruppi di lavoro interdisciplinari. Da notare come a queste metodologie si affianchi l'uso di strumenti informatici, nell'intento di creare banche dati potenzialmente utilizzabili a livello internazionale, che comportano anche la soluzione di problemi, di urgente attualità, quali l'unificazione dei linguaggi. Finalizzati all'utilizzo dei computers nella storia dell'a. sono i lavori promossi dal Getty Art History Information Program (M. Ester), dalla Scuola Normale di Pisa (P. Barocchi), dall'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (O. Ferrari), dal Centro di elaborazione automatica di dati e documenti storico-artistici di Pisa (CNR), dal Thesaurus Artis Universalis (J. Thuillier) nell'ambito del Comité International d'Histoire de l'Art diretto da I. Lavin, che ha elaborato un complesso approccio metodologico per la realizzazio ne di una banca dati storico-geografica. In questo quadro si colloca anche lo sviluppo, in Europa e negli Stati Uniti, di biblioteche specializzate (co me le biblioteche tedesche di Roma e Firenze), di fototeche (Photographic Collection del Warburg Institute a Londra; Fototeca Nazionale a Roma; Bildarchiv Foto Marburg), di istituti e centri studio a carattere internazionale (Harvard University Center di Settignano, Dumbarton Oaks Research Library for the Study of the Byzantine and Medieval Humanities a Washington, Center for Advanced Study in the Visual Art della National Gallery di Washington, International Centre for the Study of the Preservation and the Restoration of Cultural Property dell'UNESCO a Roma, Centro Internazionale di Studi sull'Alto Medioevo a Spoleto), e la creazione di repertori bibliografici, quali l'Art Index, il Répertoire d'Art et d'Archéologie, il Répertoire International de la Littérature de l'Art (RILA).
Questi indirizzi di studio, che non solo collegano storia dell'a. e storia sociale e della cultura, giudizi di valore e ricostruzioni filologiche, ma che si proiettano nel vivo stesso dei problemi della società attuale, e si interrogano in ultima analisi sul ruolo e l'utilizzazione dell'a., della sua storia, e sui modi di valutarla nel mondo contemporaneo e nel futuro, costituiscono gli aspetti più fecondi della attuale critica e storiografia dell'arte.
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Arte popolare. - Gli studi sull'a. popolare hanno dovuto affrontare sin dall'Ottocento la difficoltà derivante dall'accostamento delle nozioni di ''arte'' e di ''popolare'', nozioni che implicano concezioni estetiche storicamente diversificatesi.
La cultura egemonica occidentale, nel momento in cui è venu ta a confrontarsi con la produzione artistica di culture ''altre'', fos sero esse comunità ''primitive'', rurali o proletarie, ha proiettato su di esse i propri criteri di valutazione estetica, impiegando per i fe nomeni espressivi da queste prodotti la definizione di a. popolare. L'aggettivo ha un forte valore semantico giacché stabilisce una contrapposizione tra a. popolare e a. ''vera e propria'', cioè a. delle clas si colte. È sottolineata così la distinzione tra la produzione della cultura ufficiale e le molteplici e per lo più anonime forme espressive delle culture ''altre'', e, pur salva restando l'autonomia e la spe cificità di queste, permane l'opposizione qualitativa rispetto alla ''grande arte''. I prodotti artistici popolari vengono visti come non specializzati, il loro livello tecnico è considerato limitato e in termini qualitativi sono attribuite a essi l'ingenuità e la semplicità espressive del tono psicologico popolare.
Comprendere nella nozione di culture ''altre'' sia società primitive extraeuropee che comunità contadine europee, rappresenta una scelta euristicamente feconda e motivata dal comune ruolo di subalternità che tutte le caratterizza storicamente. È quindi utile proporre e collocare all'interno di un quadro unitario motivi e spunti della riflessione antropologica su questi temi. E. Leach sottolinea come, mentre nella società occidentale la produzione artistica si è resa autonoma, specializzandosi rispetto al complesso delle altre attività, e il suo esercizio e la sua fruizione sono divenuti prevalentemente privati e individuali, nelle società primitive la produzione artistica non implica una specializzazione e una separazione di spazi, tempi e funzioni rispetto alle altre attività, poiché siamo in presenza di una vasta competenza tecnica collettiva e di una diversa realtà ideologica ed espressiva. In C. Lévi-Strauss la creazione artistica è considerata strumento ordinatore della realtà, e come tale produttiva di conoscenza sensibile, alternativa e allo stesso tempo complementare rispetto alla conoscenza di tipo scientifico, poiché entrambe, seppure con metodologie qualitativamente diverse, tendono a una classificazione e organizzazione del reale che ne permetta il controllo. P. Bogatyrev e R. Jakobson utilizzano, per definire la nozione di ''creatività folklorica'', i concetti, derivati dalla linguistica, di langue e parole, che permettono di ricercare le regole soggiacenti al processo di produzione e circolazione dei fatti folklorici. Per J. Mukařovský la funzione estetica si accompagna a ogni atto e comportamento umano in misura variabile in relazione alla presenza di un livello extraestetico, cioè di funzioni fisiologiche, pratiche e ideologiche. L'a. costituisce una categoria distinta per il fatto che in essa prevale e diviene autonoma la funzione estetica rispetto alle altre, e a essa pertiene la nozione di valore estetico, che rende l'opera d'a. come un ''tutto chiuso'' e un ''atto individualizzante''.
La ''norma estetica'' fornisce le coordinate istituzionali entro le quali si realizza storicamente la funzione estetica, coordinate che ogni volta vengono superate e ridefinite in un'incessante dialettica norma-trasgressione. Nelle società folkloriche, in cui la norma estetica si trasforma più lentamente, non è presente in modo definito una differenziazione delle sfere funzionali, e non si ha il prevalere di un livello sugli altri, ma permane l'interazione tra funzione estetica e praticità degli oggetti d'uso. Inoltre, per ciò che riguarda le modalità di creazione e produzione delle forme estetiche, l'artista colto si muove sulla base di un progetto e in vista di un risultato complessivo, mentre l'artista popolare o artigiano opera attraverso la giustapposizione di singoli dettagli che costituiscono l'elemento semantico fondamentale dell'insieme.
L'approccio antropologico, ormai assai ampio e differenziato, alla comprensione dei codici espressivi delle società primitive e tradizionali, ha prodotto anche un tentativo di ridefinizione dei canoni estetici occidentali, in direzione di un diverso rapporto tra creazione artistica e pratiche della vita quotidiana. Entro tale quadro, ma con aspetti specifici, si collocano gli studi italiani che, inizialmente rivolti a un'attività prevalentemente classificatoria, si sono successivamente interrogati sul significato del termine ''popolare'', sulla legittimità del suo uso, sulle valenze socio-culturali da esso implicate.
L'a. popolare divenne oggetto di studi specifici, in Italia, con l'opera classificatoria e documentaria di G. Pitré, che, alla fine dell'Ottocento, allestì la Mostra etnografica siciliana, con un'impostazione ancora derivante dal Romanticismo, per cui gli oggetti raccolti esprimono l'anima e lo spirito della gente siciliana. La mostra venne strutturata secondo un criterio espositivo basato sulla classificazione per materiali, funzioni, procedimenti operativi, poi ripreso da Toschi e da altri studiosi. Pitré organizzò il materiale in diversi settori, esemplificativi della tassonomia più diffusa sull'a. popolare: lavori dei pastori e dei contadini; oreficeria; terrecotte; tessuti e trine; utensili per filare e tessere; iconografia popolare; utensili domestici; religiosità popolare; credenze, superstizioni, pregiudizi; giocattoli; pani, dolci; maschere e costumi; casa popolare. Altri indirizzi di studio europei estendono il terreno d'indagine a settori come musica, poesia, danza, teatro, seguendo le determinazioni che l'ambito degli studi folklorici assume nei vari paesi.
L'estetica idealistica negò legittimità alla nozione di a. popolare, in quanto l'ispirazione artistica prescinde da condizionamenti di ordine sociale. Il carattere di ''popolarità'', per Croce, non pertiene all'analisi estetica, ma può semmai essere posto in relazione, su un piano comunque diverso da quello artistico, al tono psicologico semplice e immediato proprio dell'atteggiamento espressivo di certi autori o, secondo alcuni interpreti, gruppi sociali.
P. Toschi, che si occupò dell'argomento a partire dagli anni Trenta e pubblicò nel 1960 un vasto lavoro di documentazione e di analisi sull'Arte popolare italiana, rintracciò la distinzione tra questa e la grande a. nel tono psicologico e negli antecedenti culturali diversi da cui nasce ciascuna. Nella nozione di popolare è insita l'idea di collettività: carattere intrinseco dell'a. popolare è di essere patrimonio tradizionale della comunità che la esprime. Toschi sembra oscillare tra valutazioni estetiche di derivazione crociana e approcci metodologici più pertinenti all'indagine sociale, attenta a restituire informazioni sui bisogni popolari o sulle caratteristiche specifiche del linguaggio espressivo popolare. Sulla scorta dell'indicazione gramsciana di folklore come concezione del mondo propria degli strati subalterni, in opposizione a quella ufficiale della cultura egemone, A. M. Cirese ha ridefinito la nozione di a. popolare come fondata non su una propria storia autonoma, ma contestualizzata nella relazione con le forme espressive esistenti in ogni particolare momento storico, dunque nei rapporti socioculturali e nei conseguenti ''dislivelli di cultura'', superando con questo il punto di vista romantico dell'anima popolare come spontaneità e semplicità popolare e la nozione di tono psicologico rintracciabile nell'immediatezza.
Negli ultimi anni si è venuto sviluppando in Italia, pur con qualche difficoltà, un nuovo interesse per la raccolta museografica di oggetti artisticopopolari e inerenti al lavoro e alla vita quotidiana. Il rilievo che hanno raggiunto le iniziative museografiche locali è sintomo della necessità di conservazione della memoria storica e di un modo nuovo di guardare al territorio attraverso la testimonianza del patrimonio di cultura popolare. Vedi tav. f. t.
Bibl.: J. Mukařovský, Estetická funkce, norma a hodnota jako sociálni fakty, Praga 1936 (tr. it. Il significato dell'estetica, Torino 1973); P. Toschi, Arte popolare italiana, Roma 1960; C. Lévi-Strauss, La pensée sauvage, Parigi 1962 (tr. it., Milano 1964); E. R. Leach, Aesthetics, in The institutions of primitive society. A series of broadcast talks, Oxford 1963; Popolare, in Enciclopedia Universale dell'Arte, vol. x, Firenze-Venezia 1963, coll. 783-836; P. Bogatyrev, R. Jakobson, Il folklore come forma di creazione autonoma (1925), in Materiali per lo studio delle tradizioni popolari, a cura di D. Carpitella, Roma 1972; A. M. Cirese, Cultura egemonica e culture subalterne, Palermo 1972; Id., Oggetti, segni, musei, Torino 1977; P. Clemente, L'arte popolare nell'attuale prospettiva critica, in Nuove conoscenze e prospettive del mondo dell'arte, Suppl. e aggiorn. dell'Enciclopedia Universale dell'Arte, Roma 1978, pp. 530-49; P. Clemente, L. Orrù, Sondaggi sull'arte popolare, in Storia dell'arte italiana, parte iii, vol. iv, Torino 1982, pp. 237-341.