Assise di Ariano
"La voce Assisa ebbe nei mezzi tempi vario e diverso significato. Pare che in principio venissero così chiamate le pubbliche assemblee, che formavano le leggi e giudicavano le liti. In seguito le stesse leggi e le sentenze in quelle pubbliche assemblee stabilite e decise si chiamavano pure Assise, ed erano sinonimi di Constitutiones" (Capasso, 1869, p. 9).
Nello specifico l'espressione 'Assise di Ariano' individua il nucleo originario di un complesso di norme dettate da Ruggero II, verosimilmente nel corso di un'assemblea di vassalli tenuta nel 1140 in Ariano, oggi Ariano Irpino.
I testi delle Assise sono noti attraverso due codici manoscritti della fine del sec. XII, il Vat. Lat. 8782 e il Cassinese 486. Ad essi possiamo oggi aggiungere un terzo manoscritto contenente una ridotta versione greca (Codex Graecus 314 del sec. XIV, proveniente dalla Biblioteca Sinodale di Mosca e ora conservato nel Museo Storico Statale di Mosca). Infondata si è invece rivelata la notizia del ritrovamento di un manoscritto del sec. XII data da Ménager (1969, p. 478), trattandosi invece di una copia del testo cassinese certamente non anteriore alla seconda metà del sec. XVIII.
Quanto al manoscritto moscovita, recentemente rinvenuto ed edito da Burgmann (1982), va detto subito che esso non propone, sia pur parzialmente, una originaria versione greca delle assise, parallela a quella latina, ma una traduzione di quattro Assise del testo vaticano. Si tratta in particolare di una copia trecentesca di una traduzione di quel testo realizzata verosimilmente prima della promulgazione del Liber fridericiano (ibid., p. 188).
I testi vaticano e cassinese furono rinvenuti, il primo nella Biblioteca Apostolica Vaticana intorno alla metà del sec. XIX da Merkel (1856) e il secondo nell'Archivio dell'abbazia di Montecassino nella seconda metà del sec. XVIII da Carcani (Constitutiones, 1786). Il cassinese consta di trentanove capitoli (assise), mentre il vaticano si compone di quarantatré assise (non quarantaquattro, come riportato da tutti gli editori). Il vaticano non ha alcuna intitolazione (v'è uno spazio iniziale bianco che fa supporre l'intenzione del copista di apporre successivamente il titolo), mentre il cassinese reca come titolo: Assise regum regni Sicilie.
Tra i due testi generalmente v'è coincidenza di contenuto, mentre non v'è quasi mai coincidenza di forma, nel senso che vi sono differenze notevoli sia nell'ordine che nella formulazione delle singole assise.
In particolare le prime trentadue assise cassinesi coincidono nel contenuto con il testo vaticano ‒ mancano però tra esse disposizioni corrispondenti alle assise vaticane XVI e XXXV (la numerazione seguita è quella di Zecchino, 1984) ‒ mentre le restanti sette cassinesi non trovano alcuna corrispondenza nel testo vaticano.
Si deve a Merkel (1856, p. 12) l'attribuzione a Ruggero delle assise vaticane e delle prime trentadue cassinesi coincidenti (Carcani [Constitutiones, 1786, p. V] aveva infatti attribuito il testo cassinese a Federico, scambiandolo per quello delle Assise di Capua del 1220).
L'attribuzione a Ruggero II delle singole assise dei due manoscritti è stata possibile principalmente attraverso il confronto dei relativi testi con le Costituzioni di Federico II. Come è noto, infatti, l'imperatore svevo, avendo recepito nel suo Liber la legislazione dei predecessori e segnatamente dell'avo Ruggero, fece precedere ciascuna costituzione della sua raccolta da un'inscriptio recante il nome del monarca che originariamente aveva promulgato la disposizione.
Per quanto riguarda la natura della raccolta cassinese, si può pacificamente escludere che il relativo testo proponga la redazione autentica e ufficiale delle Assise. Ma alla stessa conclusione, nonostante il consolidato convincimento contrario, riteniamo che si debba giungere per il testo vaticano. Infatti, se generalmente è il testo cassinese a presentarsi come epitome di quello vaticano, non sono pochi neppure i casi in cui quest'ultimo contiene varianti riduttive rispetto al testo cassinese. Sia il testo vaticano che quello cassinese, dunque, debbono essere ritenuti opera di compilatori privati che hanno tenuto presente uno stesso archetipo o forse i testi ufficiali delle Assise. Tale tesi sembra ricevere conferma dalla constatazione che il Liber fridericiano segue molto spesso il testo vaticano, talora quello cassinese e talora infine si discosta da entrambi, offrendo una terza versione di una stessa disposizione.
Il testo greco è stato edito da Burgmann (1982 e 1996). Sia il testo cassinese che quello vaticano hanno avuto molteplici edizioni. Se si fa eccezione per l'edizione Carcani (Constitutiones, 1786) che propone il solo cassinese, per l'ovvia ragione che il vaticano era ancora ignoto, e per l'edizione La Lumia (1867) che propone il solo vaticano, tutti gli altri editori hanno dato insieme i due testi: Merkel (1856); Brandileone (1884; l'ediz. Brandileone è ripresa in Hofmann, 1915 e Leicht, 1947); Monti (1940 e 1945); Zecchino (1984).
Com'è noto dopo oltre un secolo di presenze normanne nel Sud Italia, Ruggero, figlio del gran conte Ruggero I di Sicilia della casa d'Altavilla, fondò uno dei primi e più potenti Regni dell'Europa medievale.
Incoronato re nel Natale del 1130, Ruggero riuscì ad acquisire il dominio di tutti i territori del Regno solo dieci anni dopo, grazie a un intenso impegno militare e politico. A sanzionare l'effettività del suo potere sull'intero Mezzogiorno promulgò appunto un corpo di leggi a validità generale.
L'esistenza di questo corpus era già data per certa anche prima del ritrovamento dei testi vaticano e cassinese. Il primo a definirne le coordinate temporali e spaziali sembra sia stato Inveges (1651, p. 233). Sulla base della cronaca di Falcone Beneventano (edita per la prima volta nel 1626, solo qualche anno prima), affermò infatti che in Ariano nel 1140 si era tenuto "il primo Parlamento" nel quale "stimo verisimile […] si fossero decretate quelle leggi". In realtà Falcone aveva scritto di una "curia procerum et episcoporum", tenuta nel settembre del 1140 in Ariano, nel corso della quale il re "de innumeris suis actibus […] tractavit" (Falcone Beneventano, 1998, p. 234). Dopo il ritrovamento dei testi cassinese e vaticano, questa tesi si rafforzò perché furono notate significative coincidenze testuali: la cronaca di Falcone definisce l'assemblea di Ariano curia procerum; il Proemio delle Assise vaticane si apre con l'invocazione del re ai grandi del Regno chiamati appunto proceres. Un altro cronista, Romualdo Salernitano, nel narrare eventi di quel tempo ‒ purtroppo senza alcun esplicito riferimento cronologico ‒ sembra ricalcare notizie ed espressioni proprie del testo vaticano. In particolare nella sua cronaca si legge che Ruggero, dopo aver pacificato il Regno e aver istituito in tutte le province i camerari (v. Camerarius) e i giustizieri, "leges a se noviter conditas promulgavit" (1845, p. 72); nel vaticano il re dopo aver solennemente annunciato che Iddio ha donato la pace al Regno (Proemio), ordina che "leges a nostra maiestate noviter promulgatae" siano osservate da tutti (assisa I). Innegabili sono dunque le coincidenze di contenuto e di espressione.
Intorno alla tesi della promulgazione delle Assise di Ruggero nel corso dell'assemblea di Ariano del 1140, consolidatasi a fine Ottocento, non mancano tuttora perplessità (Houben, 2002, p. 17) e non sono mancati dissensi netti (Ménager, 1969, p. 475), fondati sulla vaghezza della narrazione di Falcone e sull'assenza di espliciti riferimenti cronologici in Romualdo. Ménager si è anzi spinto anche oltre, affermando che la redazione delle Assise tramandata dai manoscritti citati vada collocata in epoca fridericiana.
È di tutta evidenza che i cronisti non offrano notizie circostanziate e, nel caso di Romualdo, cronologicamente precise. Aggiungiamo anzi che un elemento, da cui la cronaca di quest'ultimo sembrava acquisire una qualche certezza, deve ormai ritenersi infondato. Del Re, editore ottocentesco della cronaca (Romualdo Salernitano, 1845, app., pp. 561 ss.), aveva affermato che in uno dei codici della stessa (Vat. Lat. 3973, c. 225v) a margine del passo menzionato vi fosse l'indicazione dell'anno 1140, ma l'esame diretto del manoscritto non ha confermato la notizia. Pur senza indicazioni esplicite però, il passo di Romualdo una traccia sulla cronologia comunque la offre, quando afferma che Ruggero promulgò le sue leggi dopo aver conseguito la pace interna e aver esteso a tutto il Regno la rete dei suoi funzionari: ciò avvenne appunto nel 1140, perché allora Ruggero acquisì il dominio sull'intero Regno con la conquista dell'Abruzzo e nominò anche per questa regione i funzionari regi (De Petra, 1914, p. 382).
Le Assise comprensibilmente comportarono una non breve preparazione. La fucina non potette che essere la Curia regis (v.), vero organo supremo del governo centrale di cui facevano parte i più influenti prelati, baroni e funzionari, e in posizione preminente consiglieri e familiares regi. I nomi che esemplificativamente possono essere ipotizzati sono quelli degli anglo-normanni Robert de Selby e Thomas Braun (il primo cancelliere dal 1137 al 1141 e il secondo cappellano di corte, molto ascoltato negli affari del Regno; v. Caspar, 1999, pp. 187 e 293) e, verosimilmente, vari giuristi conoscitori innanzitutto del diritto romano, ma anche di quello longobardo, franco, bizantino e canonico.
Il Niese (1910, pp. 94-96) sulla base di talune affinità stilistiche ha ipotizzato che il redattore del testo possa essere stato il chierico che nel 1131 redasse un privilegio concesso all'arcivescovo di Messina o il redattore del diploma per la consacrazione della Cappella Palatina di Palermo del 1140.
Abbiamo altrove (Zecchino, 1980, pp. 104 ss.) ripreso la tesi prospettata da Sarnelli (1680, pp. 159 ss.) ‒ generalmente passata inosservata, ma non priva di plausibilità ‒ secondo cui artefice primo del testo delle Assise sarebbe stato Sergio Freccia, vescovo di Siponto e strettissimo collaboratore di Ruggero, qualifica questa ricavabile dalla lapide del sepolcro ("Sergii Frecci a secretis Rogerii Siciliae Regis Archiepiscopi Sipontini") nella chiesa di S. Domenico Maggiore in Napoli. La lapide è andata perduta ma la sua esistenza è testimoniata anche da altri autori, precedenti e successivi, come D'Engenio (1623, p. 282) e Ughelli (1721, VII, col. 825).
Quanto alle fonti cui hanno attinto le Assise, assolutamente preponderante è quella giustinianea, utilizzata spesso con adattamenti e manomissioni. Ménager (1969, p. 484), dal convincimento che all'epoca nel Mezzogiorno si fosse da tempo perso l'uso e la stessa conoscenza del diritto romano e che ancora non fosse giunto da Bologna l'impulso alla sua riscoperta, trae ulteriori ragioni per contrastare la tesi della collocazione cronologica delle Assise al 1140. È difficile però accogliere quest'opinione, non solo perché ci sembra che gli studi di Brandileone (1884, pp. 323 ss.) e di Niese (1910, pp. 40 ss.) sulla conoscenza del diritto romano al Sud mantengano inalterata validità, ma anche alla luce di nuovi studi come quelli di Marongiu (1973, p. 192) sull'uso del diritto romano in atti e diplomi meridionali certamente databili alla prima metà del sec. XII e quelli di Yver (1976, pp. 3 ss.) e di Santini (1995, pp. 23 ss.) secondo i quali la ripresa del diritto romano nel Mezzogiorno d'Italia sarebbe stata favorita, dopo la nascita della monarchia normanna, dai rapporti tra la Sicilia e la Normandia, ove il diritto giustinianeo era stato introdotto da monaci italiani già dalla metà del sec. XI (sui flussi di monaci dall'Italia del Nord alla Normandia, v. De Boüard, 1989, pp. 162 ss.).
Altre fonti cui hanno attinto le Assise sono quelle bibliche, longobarde, bizantine e canoniche (per la loro individuazione all'interno dei testi delle Assise, v. Zecchino, 1984).
"Legum auctoritatem per ipsius [Dei] gratiam optinemus" (Proemio vat.). Con questa espressione Ruggero legittima erga omnes il suo potere di fare leggi, aggiungendo in Ass. vat. XXVII: "ad curam regni pertinet leges condere" (Federico ‒ incalzato dalle pretese papali, pur non senza contraddizioni ‒ tenterà di 'laicizzare' tale legittimazione; v. Liber Constitutionum).
Le Assise hanno contribuito ad alimentare il dibattito sulla maiestas e le sue espressioni normative nel Basso Medioevo e, in definitiva, sull'applicabilità alle esperienze di quel tempo di concetti e termini come sovranità e legislazione. È possibile infatti riferire ad esse la contrapposizione che, in specie nel secolo scorso, s'è prodotta tra sostenitori e negatori delle origini medievali di quei concetti (tra i primi Ullmann, Tierney, Kantorowicz e tra i secondi Kern, Gierke, Lewis; su ciò Fell, 1991, pp. 34 ss.).
Indiscutibile è comunque l'originalità delle Assise, che ‒ per i tempi ‒ presentano elementi fortemente innovativi. Va innanzi tutto ribadito che esse costituiscono un corpus normativo promanante dall'autorità regia e vincolante per tutti i soggetti liberi, comunque dimoranti nel Regno, secondo il principio della cosiddetta territorialità del diritto. Sotto quest'aspetto va segnalata la rottura della concezione di diritto personale ‒ propria dei secoli precedenti ‒ in virtù della quale ogni gruppo etnico sottostava, pur dimorando tutti in uno stesso territorio, a un proprio regime giuridico.
In secondo luogo va rilevato che, in una realtà dominata da una pluralità di ordinamenti, le Assise vengono espressamente imposte dal re al di sopra di ogni altra manifestazione normativa, senza che per la molteplicità dei popoli sottoposti si abbiano per annullati usi, consuetudini e leggi se non quelli che contrastino manifestissime con le disposizione regie (Ass. vat. I). Come si vede, una formula compromissoria tra tolleranza per le diversità e centralismo unificante.
Le Assise confermano inoltre come regalità e feudalità ‒ termini che una tradizione storiografica voleva antitetici ‒ fossero in realtà entità compenetrate e complementari. Nella potestas del re si intrecciano infatti da una parte elementi teocratico-sacrali di cui grondano le Assise ‒ e che in termini giuridici trovano riscontro nella ben nota formula del "rex in regno suo superiorem non recognoscens est imperator" ‒ e dall'altra elementi feudali anch'essi presenti nel testo, ma ancor prima rilevanti sulla stessa nascita del corpus, non a caso promulgato in un'assemblea di vassalli, a riprova della imprescindibilità di un qualche coinvolgimento della feudalità negli atti fondamentali del Regno.
Sotto il primo aspetto vanno ricordate le enunciazioni del Proemio, oltre a quella già citata, in cui ripetutamente si afferma la derivazione della maiestas direttamente da Dio senza alcun'altra mediazione: "a largitate divina gratia consecuta recepimus; sua misericordia nobis deus pius prostratis ostibus pacem reddidit […] integritatem regni […] reformavit". Infine il richiamo dell'esplicita parola divina: "per me reges regnant et conditores legum decernunt iustitiam".
Un'espressione del Proemio, in linea con questi significati, merita particolare menzione, perché al centro di lunghe dispute già dal sec. XI e fino alle soglie del XIV. È quella in cui Ruggero, richiamando la teoria delle due spade, dichiara di voler difendere i diritti della Chiesa con la spada materiale concessagli da Dio: "gladio materiali nobis a deo concessas" (l'accusativo femminile sembrerebbe errore del copista). Un'affermazione così netta non la farà neppure Federico II, che a quella teoria ricorrerà in modo più sfumato nel Proemio del suo Liber e che successivamente su essa discetterà con toni dimessi in una lettera a papa Gregorio IX (del 3 dicembre 1232; Historia diplomatica, IV, 1, p. 408). Il dibattito, com'è noto, conoscerà qualche decennio dopo l'impennata ierocratica di Bonifacio VIII che, nella Unam sanctam, affermerà: "qui in potestate Petri, temporalem gladium esse negat, male verbum attendit Domini proferentis […]. Uterque ergo est in potestate Ecclesiae, spiritualis scilicet gladius et materialis" ('chi nega che anche la spada materiale appartenga a Pietro ha male interpretato le parole del Signore […]. L'uno e l'altro gladio dunque, cioè lo spirituale e il materiale, sono nella potestà della Chiesa'; Extravagantes, 1582, col. 208).
Sulla sacralità del potere vanno poi ricordate l'assisa, connotata da "impregnación teológica" (Álvarez Cora, 1998, p. 55), che equipara al sacrilegio la messa in discussione dei giudizi e delle decisioni del re (Ass. vat. XVII) e l'assisa che punisce con pena capitale i falsificatori di lettere regie (Ass. vat. XX). Suggello massimo sul tema è infine l'assisa che protegge la persona del re da ogni offesa e attentato con la fattispecie romanistica del crimen laesae (v.; Ass. vat. XVIII), rispolverato già un secolo prima dal duca di Normandia in un documento databile al 1050 (Fauroux, 1961, p. 287 n. 122). È certo comunque che Ruggero da re fu un anticipatore nello scenario europeo. Limpida la considerazione in proposito di Calasso (1965, p. 163): "mentre la scienza giuridica ancora sulla fine del Duecento si accanirà a polemizzare se di crimen lesae maiestatis fosse corretto parlare fuori della persona dell'imperatore, Ruggero II aveva risolto il problema fin dal 1140".
Concetti, tutti questi sin qui enunciati, che, com'è noto, trovano puntuale riscontro iconografico nel celebre mosaico della Martorana di Palermo, raffigurante Ruggero che riceve direttamente dal Cristo la corona regia.
Alla componente feudale le Assise non mancano di riservare attenzione. Il re, che è tale in quanto investito del ruolo di garante della pace interna, mette al bando la guerra tra baroni, le rappresaglie e le invasioni dei castelli (Ass. vat. XXX); ammonisce i baroni a trattare con umanità i sottoposti (Ass. vat. III) e a rispettare i beni e i diritti della Corona (Ass. vat. IV). Ma, a tutela del carattere di casta della militia, consente nuovi riconoscimenti solo per successione familiare (Ass. vat. XIX); la norma è però di incerta interpretazione (Mineo, 2001, p. 13; sulla militia normanna nei primi insediamenti meridionali cf. Cavalieri alla conquista del Sud, 1998, p. 186).
Le Assise costituiscono una sorta di manifesto della società meridionale del tempo, rivelandosi documento prezioso per la conoscenza delle condizioni politiche, giuridiche e umane del Regnum. Quasi tutte le disposizioni appartengono al diritto pubblico, riguardano cioè le prerogative regie, i rapporti con la Chiesa e con la feudalità, la materia penale e quella processuale.
Rilevante è l'abbandono di tendenze privatistiche del diritto penale, tipiche del sistema di composizione pecuniaria delle legislazioni barbariche, e l'affermazione al contrario di un diritto penale pubblico. Conseguenza evidente è l'affermazione non solo di un sistema di pene pubbliche, in gran parte ripreso dal modello romano, ma anche di un sistema processuale che ridimensiona molto sensibilmente l'incidenza del comportamento della parte lesa. Superando così il sistema di vendetta privata, di cui sopravvivono solo labili tracce, il diritto penale delle Assise amplia i suoi confini e si pone sempre più come strumento per il rafforzamento del potere monarchico. Sotto tale profilo sintomatica è la già ricordata ricezione della normativa romana sul crimen laesae.
Nelle Assise viene a determinarsi una saldatura tra ispirazione romana e anglo-normanna. Viene infatti assunto come finalità primaria del diritto penale il mantenimento della pace interna e della tranquillità pubblica, fatte oggetto di un giuramento di fedeltà dei vassalli, tanto che ogni turbativa può essere qualificata come infidelitas. Il diritto penale diventa così strumento di controllo politico anche nei confronti della classe baronale.
Il qualificare ogni azione di turbativa della pace e dell'ordine come offesa alla maestà del re, inoltre, non solo ha conseguenze per ciò che concerne il tipo di sanzione, ma comporta anche come corollario che debba essere il re a farsi carico della garanzia del mantenimento dell'ordine e ad assumere perciò, direttamente o indirettamente, la funzione di amministrare la giustizia. L'istituzione dei giustizieri, la cui competenza formalmente concorre ma che di fatto esautora quella dei feudatari, va vista appunto in questa logica, ponendosi sulla scia dell'istituzione di analoghe magistrature in Inghilterra e in Normandia.
Sul delicato tema dell'elemento psichico del reato la legislazione di Ruggero innova rispetto alle legislazioni immediatamente precedenti che davano rilievo alla sola materialità e dannosità del fatto, trascurando il problema dell'appartenenza psichica del fatto stesso al suo autore. Contrariamente all'unanime convinzione espressa dalla storiografia giuridica, in ciò prevalentemente indotta da un errore di trascrizione in cui incorse Merkel (primo editore del testo vaticano), si può affermare che nel diritto penale del Regno meridionale non fosse per nulla ignota la distinzione tra dolo e colpa (Zecchino, 1980, p. 162).
Quanto alle pene v'è da rilevare come spesso nelle Assise ne manchi una espressa previsione e si affermi invece una notevole ampiezza del potere discrezionale del re e dei giudici (anche rispetto a tipi di crimini ripresi dal diritto romano e lì sanzionati invece con pene determinate). Un tale indirizzo, formalmente dettato dal proponimento di rendere possibile il contemperamento del rigore della giustizia con le esigenze dell'equità (perché occorre sempre ricordare che il Signore è "misericordia scilicet atque iustitia" [Proemio. Il termine misericordia e derivati compaiono in quel breve passo otto volte]), in realtà è funzionale al disegno di accrescimento e rafforzamento del potere regio che Ruggero perseguì anche attraverso le atrocità delle esecuzioni, tali da creare una sorta di terrore magico (Zecchino, 1999, p. XVII). Concretamente le pene previste nelle Assise sono classificabili in tre tipi: pene pecuniarie (pagamento di somme determinate, confisca dei beni ‒ molto praticata per l'evidente vantaggio pratico che ne deriva alla Corona), pene privative della libertà (carcere, che cessa di essere soltanto il mezzo per assicurare il reo ai fini dell'esecuzione di pene corporali, per diventare esso stesso una pena; asservimento alla Curia regis), pene corporali (flagellazione, nasi truncatio, mutilazione di membra, pena di morte).
Lette attraverso una griglia antropologica, le leggi di Ruggero offrono elementi di grande utilità per la comprensione delle condizioni di vita del Mezzogiorno d'Italia nel sec. XII. In particolare, la normativa penale costituisce valido ausilio per esplorare la società del tempo e per poterne ricostruire la vita quotidiana.
In una realtà minacciata dalle turbolenze dei baroni non solo verso la Corona, ma nei rapporti reciproci, e da un diffuso esercizio della violenza, l'impegno del monarca appare tutto teso allo sforzo di instaurare un clima di pace, di tranquillità e di ordine.
L'assisa vaticana XXX minaccia perciò la confisca di tutti i beni ai baroni che invadano castelli altrui, commettano razzie o insorgano con le armi.
Particolarmente frequenti e gravi erano ritenute le distruzioni di case, le aggressioni sulle strade, la violenza alle donne, i duelli, le calunnie, gli incendi e gli omicidi, a tal punto da essere devoluti al giudizio dei giustizieri.
Da una lettura in controluce emerge come nella società prevalentemente contadina fossero tutelati soprattutto beni adibiti alla produzione agricola. Chi avesse bruciato i campi, tagliato viti e alberi ‒ risarciti i danni ‒ veniva punito con pena capitale o, a di-screzione del re, con la membrorum privatio. Chi fosse stato imputato di un tale delitto poteva discolparsi in base alle vecchie leggi o alle consuetudini locali soltanto se incensurato, altrimenti doveva subire il giudizio del ferro e del fuoco.
Alla stessa logica di tutela dei beni di produzione si ispirava il divieto di abbandono della terra per chi volesse sottrarsi ai duri lavori agricoli, pena la devoluzione di tutti i beni al signore che aveva concesso la terra e l'asservimento alla Curia regis. La disposizione rivela una crisi di manodopera per la coltivazione della terra ed è chiaramente finalizzata a impedire l'esodo verso le città. In Sicilia soprattutto era particolarmente avvertito il problema delle terre incolte per la carenza di manodopera, tanto da rendersi necessaria l'utilizzazione degli stranieri.
Poiché specialmente le case dei più poveri, costruite all'epoca in legno con tetti di paglia, erano facilmente aggredibili dalle fiamme, era comminata la pena capitale per i responsabili degli incendi dolosi delle case.
Il degrado dei costumi che largamente inquinava la società era contrastato severamente. Le mezzane e le madri che favorivano la prostituzione delle figlie erano condannate alla nasi truncatio. Alla stessa pena era sottoposta l'adultera ad opera del marito. Se poi questi non si fosse voluto vendicare, l'adultera doveva essere pubblicamente flagellata e all'adultero venivano confiscati tutti i beni. Frequente e dannoso doveva essere il consumo di stupefacenti se Ruggero ritenne di punire con la morte gli spacciatori e i possessori di quelle sostanze. Soggetti a pena erano pure i fabbricanti di filtri amorosi, quei pocula amatoria cui, insieme a pratiche magiche e stregonesche, faceva ampiamente ricorso la gente di qualsiasi condizione sociale. Come già nella legi-slazione barbarica, Ruggero mantenne i rigori contro le falsificazioni che minavano la fiducia nei rapporti all'interno della società. Erano infatti puniti con pena di morte i falsificatori non solo di lettere e sigilli reali, ma anche di testamenti o di altri atti pubblici, così come pure coloro che avessero indotto dei testimoni a giurare il falso.
Con una disposizione innovativa, largamente anticipatrice rispetto a quanto disporrà Federico II, Ruggero, al chiaro fine di proteggere i sudditi dall'imperizia dei medici, subordinò l'esercizio della professione medica a un esame degli aspiranti da parte dei suoi funzionari, pena il carcere o la confisca di tutti gli averi.
Molto attento e molto severo fu Ruggero nella difesa della religione cattolica, tanto da dedicarvi tredici assise. Ciò si spiega non solo con quel sentimento di intima pietà religiosa che il sovrano normanno si compiaceva di esibire, ma anche e soprattutto per un triplice motivo politico: perché la promotio regia aveva riaffermato l'avvassallamento alla Chiesa; perché una tale difesa era ostentata come elemento essenziale delle prerogative regie al fine di renderne implicitamente manifesta la derivazione divina; infine perché ai suoi occhi, eretici, sacrileghi, bestemmiatori e profanatori del sacro erano riguardati come pericolosi attentatori di qualsiasi autorità e gerarchia non soltanto ecclesiastica.
Con massima severità furono ovviamente puniti i rei di lesa maestà, ma si riservò, con una scelta di politica criminale ritornata attuale, perdono e grazia a quei cospiratori che si fossero dissociati svelando utilmente i piani criminosi. Ruggero non mancò di sanzionare corruzioni e abusi di funzionari e giudici. Secondando inoltre l'antica aspirazione al contraccambio, propria del taglione, riservò la pena di morte ai giudici che avessero pronunciato una sentenza capitale perché spinti da un corruttore.
Le Assise infine contengono anche norme processuali. Occorre però subito avvertire che quel certo garantismo implicito nell'esistenza stessa di tali norme, nella pratica era abitualmente travolto in nome di vere o presunte esigenze di esemplarità, immediatezza e sicurezza interna. Più in generale va rilevato che il divario tra legge scritta e diritto vivente dovette essere molto grande nel neonato Regno. La legge regia, per quanto proclamata fonte in assoluto preminente, era partecipe di una realtà giuridica complessa costituita da una pluralità di ordinamenti. In questo quadro le norme delle Assise, essenzialmente di diritto pubblico, finivano per essere anch'esse di incerta applicazione per la fluidità della situazione politico-costituzionale, per la precarietà degli apparati deputati all'applicazione e per la selva di atti di imperio singolari (privilegi, mandati, ordini) che finiva per soffocare ogni altra norma e competenza.
Tra le fonti del Liber certamente le Assise occupano un posto di primaria importanza. Al di là del computo delle norme rogeriane recepite dal testo fridericiano e dei toni 'imperiali' in esse infusi, sembra innegabile che le Assise costituiscano il cuore dello stesso Liber. Le tante considerazioni ‒ anche acute e penetranti ‒ svolte sul tema non possono infatti nascondere il fatto che la concezione maiestatica rogeriana si proietti interamente sul Liber.
L'utilizzazione delle Assise nel testo delle Costituzioni di Melfi nasce da una esplicita scelta di Federico. Alla vigilia della redazione del codice impartì infatti un ordine ai giustizieri affinché individuassero ciascuno quattro "boni homines qui sciant assisas regis Rogerii avi nostri" al fine di verificarne l'effettività nella realtà viva del Regno e ricostruirle nei testi originari (Acta Imperii inedita, I, nr. 761, p. 605).
Nel dettaglio si può dire che complessivamente trentasette costituzioni sulle duecentoquattro originarie di Melfi sono riconducibili alle Assise tramandate dai codici vaticano e cassinese. Il recepimento fa registrare soluzioni differenziate che in taluni casi realizzano anche modifiche e stravolgimenti di contenuto (Trombetti Budriesi, 1996, pp. 242 ss.).
Va infine rilevato, come già documentato in passato (Zecchino, 1980, p. 119), che il Liber ha recepito una non piccola massa di assise rogeriane non comprese nelle raccolte vaticana e cassinese, anche se non precisamente determinabile a causa dell'incerta tradizione del testo fridericiano. Sul tema sono venuti successivi approfondimenti cui si rinvia (Trombetti Budriesi, 1996, pp. 231 ss.). Le inedite carte del fondo Capasso della Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria, recentemente consultate, sul punto offrono analisi di particolare interesse. Capasso pubblicò nel 1862, con il titolo Le leggi promulgate dai re normanni nell'Italia meridionale, il programma di una vasta opera mai venuta alla luce.
Le Assise di Ariano non esauriscono la legislazione di Ruggero, allo stato non compiutamente definibile. Il convincimento che esse fossero l'unica espressione legislativa del fondatore del Regno è stato lungamente ancorato al presupposto, rivelatosi infondato (Zecchino, 1996, p. 55), che ‒ regnante Ruggero ‒ vi fosse stata una sola assemblea generale del Regno. Resta comunque indubitabile che della legislazione rogeriana esse costituiscano il nucleo centrale assolutamente rilevante dal punto di vista politico-costituzionale.
fonti e bibliografia
Extravagantes Ioannis Papae XXII, Romae 1582; C. D'Engenio, Napoli sacra, Napoli 1623.
Falcone Beneventano, Chronicon, in Antiqui chronologi quatuor, a cura di A. Caracciolo, ivi 1626, pp. 326 ss.
A. Inveges, Annali della felice città di Palermo, III, Palermo 1651.
P. Sarnelli, Cronologia dei Vescovi e Arcivescovi Sipontini, Manfredonia 1680.
F. Ughelli, Italia sacra sive de episcopis Italiae et insularum adiacentium, VII, Venetiis 1721.
Constitutiones Regni Utriusque Siciliae, a cura di G. Carcani, Neapoli 1786.
Romualdo Salernitano, Chronicon, in Cronisti e scrittori sincroni napoletani editi ed inediti, a cura di G. Del Re, I, ivi 1845, pp. 6 ss.
Historia diplomatica Friderici secundi, IV, 1.
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