Bari
All'inizio del sec. XIII la città di Bari, ancora largamente ruralizzata per la presenza di orti e giardini nel tessuto urbano, è caratterizzata da una struttura sociale articolata in piccoli proprietari laici ed ecclesiastici, agricoltori e pescatori, artigiani e bottegai, piccoli borghesi dell'apparato amministrativo, e vede la presenza di mercanti ravellesi, amalfitani, pisani, veneziani e anche orientali, esportatori dei prodotti agricoli dell'entroterra barese e importatori di spezie e materie prime. Sotto la monarchia normanna la città si è venuta gradualmente adattando a una condizione di fedeltà politica che ha posto limiti oggettivi all'esercizio di autonomie e privilegi, ma ha lasciato spazio sufficiente al perseguimento degli interessi di quei ceti medi che per due secoli si sono mostrati più irrequieti. Per le risorte velleità centrifughe dei gruppi etnici di origine longobarda e bizantina Bari attraversa un periodo di turbamenti dal 1189 al 1208, quando Federico quattordicenne raggiunge la maggiore età ed esce dalla tutela del papa Innocenzo III (1198-1216).
Dal 1212 al 1220 Federico è in Germania; durante la sua assenza dal Regno di Sicilia, Bari è coinvolta nel suo conflitto con Ottone IV di Brunswick, incoronato imperatore da Innocenzo III nel 1209 ma scomunicato nel dicembre 1210. Nel 1211 Ottone invade il Regno di Sicilia e giunge sotto le mura di Bari (Burcardo di Ursperg, 1916), e tra novembre e dicembre una parte cospicua del gruppo dirigente della città, guidata dal giudice Grimoaldo (esclusi il catepano Donadeo e l'arcivescovo Berardo, che lascia la città e raggiunge Federico), si schiera con l'invasore, ma, quando questi abbandona la Puglia, Bari torna insieme a Grimoaldo nel campo svevo nel 1212; il nobile Stefano Malicode ha sostituito intanto Donadeo come catepano.
Scomparso Innocenzo III nel 1216, nel novembre 1220 Federico è incoronato imperatore a Roma da Onorio III (1216-1227); nella primavera dell'anno seguente è in Puglia, a marzo è "apud Barum" e ancora nel dicembre 1222 (Le pergamene di San Nicola di Bari, 1906, nr. 41, pp. 65-66; Regesta Imperii, V, pp. 283, 299). Il 28 giugno 1228 Federico s'imbarca a Brindisi per la crociata. Nel conflitto tra papa Gregorio IX (1227-1241) e Federico, quando Giovanni di Brienne invade la Puglia, Bari rimane fedele all'imperatore. Al ritorno dalla crociata, il 10 giugno 1229 Federico sbarca a Brindisi e poco dopo è "ante Barum" (Regesta Imperii, V, p. 355), e poi a Barletta, riconquistando via via la regione.
Nel marzo 1239 Gregorio IX scomunica per la seconda volta Federico, che a fine novembre 1241 è a S. Spirito presso Bari (ibid., p. 572), evidentemente per punire la città che si è ribellata passando dalla parte del papa; infatti l'anno seguente egli ordina che ne vengano abbattute le torri (Riccardo di San Germano, 1936-1938). Dopo la nuova scomunica di Federico decisa da Innocenzo IV (1243-1254) al concilio di Lione nel 1245, Bari subisce ancora le conseguenze del conflitto tra imperatore e papa: nel 1248 Federico fa alzare in città il patibolo e schiaccia una rivolta con l'esecuzione dei ribelli: uno degli ultimi eventi di Bari federiciana.
Sin da epoca normanna la città è meta di flussi costanti di pellegrini in visita alla basilica di S. Nicola, che insieme alla cattedrale è per gli abitanti il fondamentale punto di riferimento religioso, economico e sociale. Le due istituzioni ricevono conferme e nuovi benefici, la prima in misura maggiore, grazie al suo ruolo istituzionale e alla sua fedeltà al potere regio. L'episcopato appariva a Federico più coerente alle strutture di uno stato assolutistico di quanto potessero esserlo centri religiosi come la basilica di S. Nicola, con i ceti più indipendenti che ruotavano intorno ad essa.
All'arcivescovo Doferio (1188-1207) succede Berardo di Castagna (1207-1214), familiare e consigliere di Federico, dal quale nel luglio 1209 ottiene tutta la terra disponibile di proprietà regia tra il porto, le mura cittadine e il mercato dei cereali (Le pergamene del Duomo di Bari, 1897, nr. 74, pp. 143-144), con conferma nel 1210 (ibid., nr. 80, pp. 152-153): è l'area a nord della porta vetus a sud-ovest dell'abitato, in cui si vanno verificando diversi vuoti sia per fatiscenza di vecchie costruzioni che per un progressivo riempimento e livellamento del terreno antistante il castello normanno. È uno spazio edificabile che frutterà all'arcivescovo notevoli rendite, e in cui più direttamente prende corpo il legame monarchia-episcopato, con la rivalutazione del mercato in concorrenza con quello della platea magna presso S. Nicola. Nel 1214 Berardo diviene arcivescovo di Palermo; lo segue sulla cattedra barese il moderato Andrea (1214-1225) e quindi il nobile napoletano Marino Filangieri (1226-1251), fedelissimo a Federico e da lui impiegato nel settembre 1227 e nel 1229 in importanti missioni presso Gregorio IX (Riccardo di San Germano, 1936-1938); nel 1230 è presente al trattato di San Germano. Cade però in disgrazia nel 1246, in occasione del concilio di Lione per la sua obbedienza al papa Innocenzo IV (1243-1254). Federico utilizzò per i suoi fini di governo il gruppo di teologi e di giuristi che facevano capo soprattutto all'episcopato. Quando egli è lontano dalla Puglia acquista notevole potere il ceto burocratico della città; dal 1211 al 1238 è logotheta del Regno Andrea da Bari, la cui raccolta di diritto consuetudinario locale sarà completata da Sparano Chiurlìa da Bari (m. 1291), un giurista che sarà fautore di Carlo d'Angiò contro Manfredi.
La basilica nicolaiana conserva comunque tutto il suo prestigio religioso e gran parte del suo peso economico e sociale, e gode delle donazioni dei pellegrini e dei lasciti testamentari; prende e concede denaro in prestito, affida terre in fitto, le acquista o le eredita, e alcuni suoi religiosi sono piccoli coltivatori e mercanti. Il ruolo svolto sotto la monarchia normanna dalla cattedrale e dalla basilica porta, nella prima metà del sec. XIII, a un'aperta competizione tra le due istituzioni e a frequenti e aspre frizioni che celavano spinte al primato religioso e al controllo sui ceti cittadini e sulle loro attività.
Dal 1202 è priore di S. Nicola il canonico della cattedrale Blandimiro. Durante la presenza nella regione di Ottone IV, tra dicembre 1211 e aprile 1212 è priore Giovanni, evidentemente a lui fedele, ma Blandimiro figura di nuovo priore tra il 1215 e il 1235, anno della sua morte. Nel 1215, senza opposizione da parte dell'arcivescovo Andrea, Blandimiro ottiene la conferma di tutti i possessi e degli antichi privilegi della basilica da Federico, che la definisce sua "specialis capella" (Le pergamene di San Nicola di Bari, 1906, nr. 33, pp. 53-55).
Nel marzo 1223, su ricorso di Blandimiro Federico affida a Corrado di Montefusco, giustiziere di Terra di Bari, il compito di convocare i catepani Costantino e Giacomo, il priore e alcuni testi giurati e di verificare se è fondata la consuetudine che attribuisce a S. Nicola il plateaticum sui proventi doganali sulle merci in entrata e uscita dalla città. I testimoni confermano che la basilica percepisce un terzo delle imposte doganali su prodotti alimentari quali pane importato, formaggio fresco e ricotta, uova, fichi, agli, cipolle e altri ortaggi, pesce fresco, frutta, miele, vino, e prodotti lavorati come quelli in legno, vetro, terracotta, lino, cuscini, materassi, evidentemente le merci trattate nella plateamagna presso la basilica. Il ricorso di Blandimiro ha esito positivo, riaffermando così il prestigio e il potere economico di S. Nicola (ibid., nr. 42, pp. 66-68).
Morto l'arcivescovo Andrea nel settembre 1225, nel dicembre 1226 si accendono i contrasti, per questioni giurisdizionali e liturgiche, tra Blandimiro (che aspirava alla cattedra) e il nuovo arcivescovo Marino, designato da Onorio III ma caro anche a Federico. Malgrado le esortazioni di Pier della Vigna alla moderazione, nel 1231 Marino arriva a scomunicare il clero di S. Nicola (ibid., nr. 67, pp. 103-104), ma Blandimiro resiste energicamente a difesa dell'autonomia della basilica, facendone rappresentare a Roma le ragioni a mezzo di suoi inviati. Nel 1235 gli succede il magister di diritto canonico Salvo (ibid., nr. 74, pp. 110-112), sotto il cui priorato la basilica conosce difficoltà economiche e tensioni interne al capitolo. Nel 1243 Federico interviene per confermare la sua protezione alla basilica, ma riaffermandone la dovuta sottomissione all'autorità episcopale (ibid., pp. 121-122). Il conflitto sarà composto nel 1255 dal successore di Marino, il nipote Enrico Filangieri (1252-1258), ma la pace sarà raggiunta soltanto nel 1278.
Malgrado la sua predilezione per la Puglia non sembra che Federico, nel quarantennio in cui fu sovrano del Mezzogiorno, amasse Bari e i baresi, che forse considerava turbolenti e infidi. Non è infatti attestata una sua presenza entro le mura della città, ma soltanto "apud" (probabilmente nel castello) e "ante" (fuori delle mura o nel porto). La città fu colpita da collette (Acta Imperii inedita, I, pp. 631, 666, 712) e sottoposta a un'amministrazione severa, ma Federico le dedicò qualche attenzione nell'interesse generale del Regno. Comprese l'importanza strategica della città e nel 1233 fece ristrutturare e ampliare il vecchio castello normanno insieme a quelli di Napoli, Trani e Brindisi (Riccardo di San Germano, 1936-1938): il nuovo castello doveva svolgere, oltre alla funzione di presidio militare e di controllo della città, quella di difesa del porto, al quale era legato da banchine e punti di attracco. La funzione del porto non mutò sostanzialmente sotto il governo di Federico, tanto interessato ai rapporti con l'Oriente islamico: esso rimase lo strumento della vita mercantile di Bari, ma i suoi traffici non appaiono superiori a quelli di Barletta, Trani e Brindisi. Le attività commerciali della città sono testimoniate dai trattati con Genova nel 1218 e con Pisa nel 1220, poi anche con Venezia nel 1232. Nel parlamento di Messina del gennaio 1234 Federico dispone l'istituzione nella città (tra il 22 luglio e il 10 agosto) di una delle sette principali fiere annuali del Regno, riconoscendone la vocazione mercantile (Historia diplomatica, IV, pp. 462-463). Tra 1239 e 1240 Federico prende ancora provvedimenti, riguardanti amministrazione e restauri, sul porto e sul castello barese e progetta un nuovo porto a breve distanza a nord-ovest della città presso il promontorio di S. Cataldo, che non fu però portato a termine (ibid., V, pp. 419, 809-810).
L'espansione urbana di Bari non è dunque frenata dal governo federiciano. Rispetto al periodo normanno aumenta il numero dei quartieri (vicinia) testimoniati dai documenti notarili, che arrivano alla ventina e sono dunque di estensione piuttosto limitata. Questi 'vicinati' prendono generalmente nome dalla chiesa più prossima: nei documenti il sistema di riferimento topografico appare fondato sugli edifici religiosi. Ma sono attestati anche quartieri che hanno denominazione non religiosa, come Vicinia porte veteris, abitato in prevalenza da famiglie di remota origine bizantina; Vicinia petremale, cioè di Pietramala, il quartiere in espansione verso mezzogiorno, attraversato da una via publica che punta verso Carbonara e Ceglie; Vicinia maris de guaranghe a oriente, che forse prende nome dai Varangi o Vareghi. Questi quartieri non sono soltanto indicazioni topografiche ma anche, in qualche misura, aggregati sociali ed etnici: a Pietramala vivono molti giudici e notai, e più oltre, verso il monastero di S. Benedetto fuori delle mura a sud-est dell'area abitata, mercanti e artigiani.
La basilica e la cattedrale rimangono comunque i due poli urbanistici della città in questo sistema di quartieri, che intorno a essi sembrano disporsi in una linea curva che parte da S. Pietro, al vertice settentrionale della penisoletta che ospita Bari medievale, e giunge alla porta vetus. Di questa struttura urbana costituiscono una cerniera il porto e il castello, anche se l'espansione sul versante sudorientale sta ponendo le premesse di un capovolgimento del fronte urbanistico, che al geografo arabo al-Idrīsī era apparso "in fondo a un golfo", cioè l'ampia ansa naturale del moderno 'porto nuovo'.
Intorno alla metà del secolo i documenti privati testimoniano, oltre alla porta vetus e alla porta castelli, una porta di S. Lucia che a est della vetus dà accesso al nuovo quartiere che si è andato sviluppando a sud della Giudecca, situata dietro l'abside della cattedrale. È dal luogo di questa porta che i confini dell'area urbanizzata si sono via via allargati dall'età normanna in poi, inglobando il quartiere di Pietramala sino alla chiesa di S. Pelagia. Dopo la metà del secolo e la morte di Federico II la direttrice di sviluppo della città si sposta sulla ruga Francigena, i cui terreni e abitazioni sono aumentati di valore e che appare abitata da personaggi di elevata condizione sociale, tra i quali diversi giudici e funzionari regi.
All'avvento della dinastia angioina Bari è al vertice di un sistema stradale che la collega, per Fesca e Giovinazzo, alle città della costa nordoccidentale; per Modugno e Bitonto, a Canosa e Napoli; per Carbonara e Ceglie, a Gioia del Colle e Taranto; per Noicattaro, a Rutigliano e Putignano; e lungo la costa sudorientale a Brindisi. La nuova dinastia eredita una città che ha superato le velleità autonomistiche e si va integrando, non senza difficoltà, nelle strutture politiche, burocratiche e fiscali del Regno meridionale.
Fonti e Bibliografia
Historia diplomatica Friderici secundi, IV-V.
Acta Imperii inedita, I.
Le pergamene del Duomo di Bari (952-1264), a cura di G.B. Nitto de Rossi-F. Nitti di Vito, Bari 1897.
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Burcardo di Ursperg, Chronicon, in M.G.H., Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum, XVI, a cura di O. Holder-Egger-B. von Simson, 1916.
Riccardo di San Germano, Chronica, in R.I.S.2, VII, 2, a cura di C.A. Garufi, 1936-1938.
Regesta Imperii, V, 1-3, Die Regesten des Kaiserreiches […], a cura di J.F. Böhmer-J. Ficker-E. Winckelmann, Hildesheim 1971.
F. Carabellese, Il Comune pugliese durante la monarchia normanno-sveva, Bari 1924.
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