URBANO V, beato
Guillaume Grimoard nacque a Grizac (Francia, Lozère) intorno al 1310 da Guillaume, signore locale - il papa accolse il padre ad Avignone, dove morì quasi centenario il 13 ottobre 1366 -, e Amphélise di Montferrand, imparentata con gli Aigrefeuille, tutte famiglie vassalle dei vescovi di Mende. Fu condotto al fonte battesimale da Elzéar di Sabran, conte di Ariano (morto nel 1323), parente della madre, l'unico santo canonizzato (15 aprile 1369) da U. a conclusione di un processo avviato nel 1351 da Clemente VI. Uno dei fratelli, Anglic, canonico agostiniano di St-Ruf, fu nominato vescovo di Avignone l'8 gennaio 1363, poi elevato alla dignità cardinalizia (titolo presbiterale di S. Pietro in Vincoli) nella prima promozione del 18 settembre 1366 e da ultimo trasferito alla sede di Albano (17 settembre 1367; morto nel 1388). Il prelato fu un pilastro della politica italiana alla fine del pontificato del fratello. L'attaccamento per il Gévaudan, suo paese natale, si manifestò variamente: il conterraneo Bernard de St-Étienne, nominato cubiculario, fu il suo uomo di fiducia; alcuni legami familiari si rinsaldarono con il ritorno in Italia per ragioni di sicurezza. Fece ricostruire la cattedrale di Mende sul modello della chiesa parrocchiale del suo paese, elevò a collegiali le chiese di Bédouès e di Quézac. Rientrato a Roma, nei giardini del Vaticano furono piantate specie vegetali importate dalla sua terra. L'Ordine benedettino al quale apparteneva fu ancora più favorito. Ricevuta la tonsura a dodici anni, dopo aver compiuto gli studi di diritto civile entrò nel priorato vicino di Monastier-Chirac, dove lo zio materno Anglic esercitava il suo ministero, e fece la sua professione di fede nell'abbazia madre di St-Victor a Marsiglia. Priore cluniacense di Notre-Dame du Pré (a Donzy, Nièvre), tornò al ramo benedettino allorché Clemente VI, che aveva fatto anch'egli la sua professione di fede alla Chaise-Dieu, lo nominò abate di St-Germain d'Auxerre (13 febbraio 1352). Guillaume vi avviò un'opera di ricostruzione sia materiale che spirituale, resistendo anche agli arbitri dell'arcivescovo di Sens, finché Innocenzo VI lo pose al vertice di St-Victor di Marsiglia (2 agosto 1361). Divenuto papa, fece riedificare il coro dell'abbaziale (1363-1365). Dopo aver destinato le entrate del vescovato di Mende al rifacimento della cattedrale, vi nominò Pierre d'Aigrefeuille (11 agosto 1366), già abate della Chaise-Dieu, fratello del cardinale Guillaume "il Vecchio" (anch'egli benedettino, creato da Clemente VI, 1350), poi lo trasferì alla sede di Avignone (11 ottobre 1368). Designò il nipote di Innocenzo VI, Étienne Aubert, proprio successore all'abbazia di St-Victor. L'abate dei Benedettini di Montmajour, Pierre de Banhac, fu il suo referendario, nominato in seguito cardinale contemporaneamente all'arcivescovo di Canterbury, Simone di Langham, anch'egli benedettino (promozione del 22 settembre 1368) come l'arcivescovo di Bourges, Pierre d'Estaing (promozione del 7 giugno 1370). Giunto a Roma, il papa nominò suo vicario nonché vescovo di Orvieto Pierre Bohier, abate di St-Chinian (Hérault). Questa fraternità monastica può essere all'origine di errori di giudizio commessi dal pontefice nella scelta di due uomini che andarono incontro a brucianti fallimenti: Pierre Ameilh, già abate di St-Bénigne a Digione, arcivescovo di Vienne, che U. nominò arcivescovo di Napoli (5 gennaio 1363) e che fu coinvolto nell'"imbroglio" degli affari della regina Giovanna, al punto che il papa lo trasferì alla sede di Embrun confinandolo in una sorta di esilio (ottobre 1365); Androin de la Roche, abate di Cluny, le cui modeste capacità compromisero ulteriormente la situazione italiana risanata in precedenza dal cardinale Albornoz. U. scelse di essere sepolto nella sua vecchia abbazia marsigliese, ma un cenotafio fu eretto anche nel priorato-collegio avignonese di St-Martial che dipendeva da Cluny. Il pontefice mantenne sempre lo stile di vita austero della Regola benedettina, con la recita quotidiana dell'ufficio monastico, e la cerimonia della sua incoronazione si svolse di conseguenza senza l'abituale fasto. A queste inclinazioni si potrebbe anche far risalire la sua passione per lo studio. Dopo aver studiato diritto a Tolosa, Montpellier, Avignone e Parigi, si addottorò in diritto canonico il 31 ottobre 1342 a Montpellier, dove ebbe come maestro di decreti Paul de Déaulx, benedettino, nipote e vicario del valente cardinale Bertrand (promosso da Benedetto XII, 1338). In seguito insegnò con successo ad Avignone (scuola di teologia o del Sacro Palazzo). Una volta divenuto papa, non solo si preoccupò di riformare o di dare nuovi Statuti a Orléans, Orvieto, Tolosa e Parigi, ma creò anche Università a Cracovia (con il re Casimiro III il Grande, 1364), Orange (con l'imperatore Carlo IV, 1365), Vienna (1365), collegi a Montpellier - di St-Benoît e dei Douze-Médecins - e piccoli collegi per giovani chierici a Trets (trasferito a Manosque), St-Germain-de-Calberte (diocesi di Mende), St-Roman d'Aiguille, presso Beaucaire. Pare abbia ribattuto al rimprovero di sperpero finanziario a favore di giovani che non sarebbero mai entrati nella Chiesa con queste parole: "A tutti sarà sempre utile aver studiato". La sua cultura gli permise di arricchire notevolmente la biblioteca del Palazzo avignonese, pur senza trascurare quelle universitarie. Prima di richiamare a Roma il cardinale Philippe Cabassole, fedele consigliere del papa, protettore ed amico di Petrarca, U. lo incaricò di redigere l'inventario della biblioteca di Avignone (1369), che raccoglieva oltre duemila volumi, tra i quali tuttavia non figuravano altro che opere dei Padri e dei Dottori della Chiesa, testi di diritto, numerosi libri sulla Terrasanta in ebraico, alcuni trattati di grammatica e di medicina. Nell'intento di migliorare lo stile di segretari e redattori della sua Cancelleria, il "dictamen", raccomandò a Gil Albornoz, all'epoca legato presso la regina Giovanna, e al segretario Niccolò d'Osimo, di reclutarli in loco (settembre 1365); con la mediazione di Guy de Boulogne fece nominare Coluccio Salutati cancelliere di Lucca (luglio 1370). Prima del pontificato la famiglia d'Aigrefeuille aveva iniziato il dotto professore all'amministrazione diocesana: Pierre, trasferito dal vescovato di Vabres a quello di Clermont (1349), si avvalse dei talenti di Guillaume come vicario generale e lo confermò nelle sue funzioni quando fu nominato vescovo di Uzès (febbraio 1357); un accumulo di cariche impegnativo dopo che Guillaume era diventato abate di Auxerre. Gli affari italiani non gli erano estranei da quando Clemente VI l'aveva incaricato di insediare a Bologna il nuovo vicario pontificio, Giovanni Visconti, arcivescovo di Milano (settembre 1352). Innocenzo VI, a sua volta, lo mandò a Roma nel 1354 per regolare dei disordini nella basilica di S. Pietro, ed è probabile che abbia partecipato con il cardinale Albornoz alla stesura delle costituzioni della Santa Sede, promulgate a Montefiascone (settembre). Ma quando Bernabò, nipote ed erede di Giovanni Visconti, cercò di impadronirsi di Bologna, Guillaume si recò a Milano per incontrarlo, senza tuttavia poterlo indurre ad una riconciliazione con il papato (1361). Forse all'epoca di questo soggiorno fu incaricato di assolvere la regina Giovanna di Napoli e di sospendere l'interdetto lanciato a causa del mancato pagamento del censo (giugno). Infine la morte di Luigi di Taranto, marito di Giovanna, nel maggio 1362, fece tornare Guillaume a Napoli, per portare alla regina le istruzioni di Innocenzo VI e proporle un nuovo matrimonio con Aimone di Ginevra, nipote di Guy de Boulogne. Qui Guillaume fu raggiunto dalla notizia della morte del pontefice, avvenuta il 12 settembre, e della sua elezione al soglio dopo due settimane di conclave. In realtà la scelta dei cardinali, divisi tra le ambizioni di Guy de Boulogne, nipote del re di Francia Giovanni II il Buono, e di Élie de Talleyrand de Périgord, era caduta in un primo tempo sul fratello di papa Clemente VI, Hugues Roger, che rifiutò la tiara. Influenzati da Guillaume d'Aigrefeuille "il Vecchio", i cardinali si accordarono all'unanimità sul nome di un prelato estraneo al Sacro Collegio: Guillaume Grimoard. Eletto il 28 settembre 1362, prese il nome di Urbano e fu incoronato il 6 novembre successivo. Nel conflitto franco-inglese della guerra dei Cent'anni si era ritenuto che il trattato di Brétigny - sul quale aveva vigilato per conto di Innocenzo VI l'abate di Cluny Androin de la Roche, ascoltato consigliere di re Giovanni -, essendo stato confermato a Calais e seguito nel 1362 sia da scambi di territori che dalla liberazione del sovrano dalle prigioni inglesi, avrebbe ristabilito la pace. Ma non erano state calcolate le grandi compagnie di mercenari, ormai disoccupate, che dopo aver infestato la valle del Rodano avevano inflitto una pesante sconfitta alle armate reali a sud di Lione (aprile 1362). Nondimeno, re Giovanni desiderava mettersi a capo della crociata approvata dal nuovo papa, presso il quale si recò nella Pasqua del 1363, con l'intento di reclamare nuovamente una decima sul clero del Regno, peraltro assai impoverito dalle guerre. U. gli accordò questo diritto per sei anni, ma facendo controllare la riscossione dai prelati, come Giovanni XXII, affinché fosse realmente destinata al progetto di crociata, e dopo aver diminuito preliminarmente della metà il suo tasso. In seguito Carlo V ottenne tre decime per respingere le grandi compagnie. All'inizio del pontificato il papa chiese a suo padre di rifiutare la proposta di una rendita di 500 lire da parte del re: per quanto amico del sovrano, voleva salvaguardare il proprio onore. L'intimità fra Carlo V e U., che invocò la grazia divina (1368) perché al re fosse concessa una discendenza maschile, era profonda. I sovrani Giovanni II e Carlo V condividevano con il papa lo stesso personale diplomatico, come Robert de Lorris, Simone di Langres, maestro generale dei Domenicani, Raoul de Louppy, governatore del Delfinato e valido intermediario presso l'imperatore Carlo IV. Furono anche consiglieri dei sovrani il cardinale Gilles Aycelin de Montaigu, cugino di Guy de Boulogne; Jean de Dormans, vescovo di Beauvais e cancelliere, negoziatore per conto del re del trattato di Brétigny, nominato dal papa cardinale (22 settembre 1368); Jean de la Grange, abate benedettino di Fécamp, ostile a Carlo il Malvagio, re di Navarra e genero di Giovanni II. Per istigazione di quest'ultimo, assistito da un capitano della compagnia partigiano degli Inglesi, alcuni mesi dopo che Giovanni era tornato a costituirsi prigioniero a Londra, nella primavera del 1364, la guerra riprese in Normandia. Alla vigilia della sua consacrazione a Reims Carlo V fu raggiunto dalla notizia della vittoria di du Guesclin sugli Anglo-Navarresi a Cocherel (maggio 1364). Il papa fece negoziare da Guy de Boulogne l'effimero trattato di scambio tra i due sovrani (primavera 1365). Nel Sud-Est la presenza del "principe nero" Edoardo, principe di Galles e d'Aquitania, che si protraeva da oltre dieci anni, rinfocolava i conflitti, talvolta di natura feudale: il vescovo non intronizzato di Rodez, Faydit d'Aigrefeuille, fratello di Pierre, cercava di sottrarsi al giuramento di vassallaggio. Arnaud Aubert, cameriere del papa, era in balia delle vessazioni degli ufficiali del principe nella sua arcidiocesi di Auch. Fu necessario riconciliare (aprile 1363) il conte d'Armagnac, che il trattato di Brétigny aveva reso vassallo del re d'Inghilterra, con Gastone conte di Foix, che aveva liberato Mirepoix dalle grandi compagnie, postazione strategica dove il papa poté nominare vescovo Pierre-Raymond de Barrière. Il conte d'Armagnac, ribellandosi ad un'imposta inglese nel 1368 (il "focatico"), fomentò tra i numerosi signori della sua regione una serie di appelli e dichiarazioni di fedeltà al re di Francia, che da quel momento avviò la sua politica di riconquista dell'Aquitania. La rivincita militare dei tre figli di Edoardo III ebbe comunque risvolti drammatici, in particolare il saccheggio di Limoges (settembre 1370), il cui vescovo Jean de Cros fu accolto in esilio ad Avignone. Questo degrado politico nel Regno di Francia è stato talvolta considerato una delle ragioni che indussero il papa ad abbandonare Avignone per rientrare in Italia. In questo contesto le relazioni con Edoardo III, re d'Inghilterra, non potevano essere ricomposte: il Parlamento di Londra insorse allorché il papa reclamò il censo d'obbedienza che non veniva più pagato da trentatré anni, sciogliendo il sovrano dall'impegno, e U. a tre riprese rifiutò la dispensa che avrebbe consentito ad Edmondo di Cambridge, figlio del re, di sposare Margherita di Fiandra (1364, 1365, 1367), accordandola invece a Filippo di Valois, fratello di Carlo V e duca di Borgogna (settembre 1368). La regina, i principi e i "lords" inglesi non mancarono comunque di sollecitare alcune grazie al papa, e la decima concessa nel 1369 era indispensabile per riassestare le finanze di Edoardo III. Gli Stati pontifici contigui al Regno di Francia, Avignone e il Contado Venassino, erano altrettanto esposti, non meno dell'Italia, alle devastazioni delle grandi compagnie, truppe di tutti i paesi congedate dopo il trattato di Brétigny. La costruzione di nuove fortificazioni, avviata sotto Innocenzo VI intorno al 1356, il cui perimetro consentiva un positivo sviluppo cittadino racchiudendo anche i quattro conventi degli Ordini mendicanti, fu continuata a spese della città fino alla fine del pontificato, mentre borghi e villaggi restauravano o costruivano le loro cinte murarie attraverso la tassazione straordinaria del clero provinciale. Le sentenze di scomunica, a partire dal 1364, furono frequenti come i pagamenti di ingenti somme per allontanare le bande di soldati: a du Guesclin, che conduceva le sue truppe in Spagna alla fine del 1365 minacciando Avignone, furono consegnati 200.000 franchi d'oro. Mentre il papa soggiornava in Italia, il vicino più prossimo dello Stato pontificio, Luigi d'Angiò, luogotenente in Linguadoca del fratello Carlo V, partecipò all'attacco delle città provenzali tutte soggette alla regina di Napoli. Per amministrare Avignone e il Contado Venassino, U. si rivolse ai suoi consiglieri più fidati: nominò rettore del Contado, nel novembre 1362, Philippe Cabassole, che aveva già servito quattro papi, originario di Cavaillon, di cui era stato anche vescovo, mantenendone la commenda una volta divenuto patriarca di Gerusalemme. Il patriarca promulgò alcuni Statuti come rettore e ricevette l'omaggio dei vassalli del papa risiedendo a Carpentras. Alla partenza per Roma il pontefice gli fece cumulare eccezionalmente la carica di vicario generale di Avignone (aprile 1367), che comportava la responsabilità della difesa militare. Nominato cardinale (settembre 1368), fu richiamato in Italia in considerazione della gravità della situazione (febbraio 1369). Il nuovo rettore fu Étienne Aubert, abate di St-Victor ed intendente generale delle finanze in Italia, mentre, fra i cinque cardinali rimasti ad Avignone, l'incarico di amministrare le finanze e la giustizia fu affidato a Raymond de Canilhac e a Jean de Blauzac, nipoti del cardinale Bertrand de Déaulx (morto nel 1355) e originari della regione. Negli Stati della Chiesa in Italia, malgrado Gil Albornoz sotto il pontificato di Innocenzo VI avesse sanato la situazione, sanzionata poi dall'opera legislativa delle Costituzioni egidiane, gli impegni legati alla pacificazione continuavano ad essere imponenti nei confronti delle numerose dinastie aristocratiche avversarie o alleate con il papato a seconda delle circostanze. La necessità di interventi militari si rivelò rovinosa per le finanze pontificie. A Roma U. confermò (giugno 1363) i poteri popolari dei sette riformatori istituiti da Albornoz, mentre il senatore designato dal papa svolgeva un ruolo eminentemente rappresentativo, assistito dal consiglio dei "boni uomini", aumentato da tredici a ventisei unità. Come uomo di fiducia fu scelto un cugino di Gil Albornoz, Blasco Fernandez de Belvis, rettore del Ducato di Spoleto e negoziatore di un accordo con la Compagnia Bianca per sgominare quella di Hanneken Baumgarten che minacciava Roma (1365): il papa nominò senatore Fernandez nel settembre 1367. La stessa carica fu assegnata al suo compatriota Bertrand Raynard, nominato all'arrivo in Italia vicario di Corneto e di Montalto di Castro (agosto 1367). Ma il papa praticò indubbiamente l'alternanza "nazionale", poiché quest'ultimo fu sostituito da Gentile da Camerino. Luigi di Sabran, conte di Ariano, già vice-governatore di Sicilia per conto della regina di Napoli e destituito perché partigiano degli Ungheresi, occupò questa carica nel 1369 e a lui successe Berardo di "Morvaldensibus" di Orvieto. Approfittando di un soggiorno estivo del papa a Montefiascone eretta a vescovato (luglio 1368), dove U. nominò Pierre d'Arzens, "socius" del suo confessore Raymond Dapchon, vescovo di Fréjus, a Roma scoppiò una rivolta popolare a partire da S. Maria in Aracoeli. Ma la principale minaccia proveniva dalla famiglia dei Prefetti di Vico (diocesi di Sutri), perché dopo la morte di Giovanni che aveva messo a dura prova Albornoz, i suoi figli Francesco e Giambattista, con l'aiuto dei Perugini, si posero di nuovo a capo della rivolta nel Patrimonio di S. Pietro. Nel maggio 1370 l'assoluzione ottenuta dal papa segnò una tregua nei loro intrighi. Nell'estate 1364 Orso Napoleone Orsini, canonico di S. Pietro, occupò Castel S. Angelo e Albornoz aprì un'inchiesta a suo carico. Alla fine del 1364 il vicariato per gli affari spirituali a Roma fu affidato allo zelante Pierre Bohier, benedettino della Linguadoca, che il papa aveva nominato vescovo di Orvieto: in previsione dell'arrivo della Curia, egli fu incaricato di sovrintendere al restauro della basilica di S. Pietro e di riconciliare la famiglia dei Prefetti di Vico con i Colonna, concedendo una dispensa matrimoniale. Il suo trasferimento alla sede di Vaison nel Contado Venassino gli fece subentrare come vicario per gli affari spirituali il vescovo di Arezzo, Jacopo Mutis di Romena (luglio 1370). Il papa, nei suoi Stati, era rappresentato in primo luogo da vicari generali, talvolta associati, molti dei quali portavano il titolo di legati: Gil Albornoz dovette cedere il suo incarico ad Androin de la Roche (novembre 1363), poiché il papa sperava di convincere alla pace Bernabò Visconti per vie diplomatiche. Confinato in Romagna come legato, progressivamente esautorato pur senza rinunciare ad aiutare il suo successore dopo gli avvenimenti di Ancona, costretto infine ad esercitare la sua legazione a Napoli (1365-gennaio 1366), Albornoz morì a Viterbo nell'agosto 1367. L'inettitudine di Androin convinse il papa a sostituirlo, sotto la minaccia di scomunica, con il proprio fratello Anglic (novembre 1367), in seguito espulso da Perugia (agosto 1368) dai cittadini alleati ai Vico e con l'appoggio delle bande di John Hawkwood. Il cardinale Gilles Aycelin di Montaigu, a partire dalla fine del 1368, fu durevolmente vicario generale del Ducato di Spoleto e del Patrimonio nella Tuscia, quest'ultimo affidato sotto l'autorità di Anglic Grimoard, vicario generale anche di questa provincia e della Marca Anconetana, a Nicola Orsini, conte di Nola - nipote del cardinale Rinaldo (promosso nel 1350), imparentato con Guy de Boulogne e sposato con una Sabran - che ebbe il titolo di rettore. Gil Albornoz aveva invece già insediato quest'ambasciatore della regina Giovanna come gonfaloniere (luglio 1364) presso il papa. La religiosità di Nicola, che si associò a Napoleone Orsini, conte di Manoppello, per fondare una certosa a Roma sull'area di S. Croce in Gerusalemme colpì favorevolmente il pontefice (luglio 1370). Molti alti funzionari pontifici furono investiti di missioni occasionali: per esempio l'abate di St-Victor Étienne Aubert, quand'era intendente generale delle finanze, dovette trattare con le compagnie e sedare la ribellione di Orte (luglio 1366). Malgrado le violente rivolte scoppiate a Viterbo poco dopo l'arrivo della Curia (settembre 1367), il papa, rinnovando una tradizione secolare, vi trascorse la fine dell'estate 1369 prima che la peste decimasse il Sacro Collegio. I Perugini insorti lanciarono anche contro la città le bande di John Hawkwood. Nella Marca Anconetana Brancaleone Brancaleoni, irritato per i dispositivi militari di Albornoz, si riconciliò con i Montefeltro, conti di Urbino, diede asilo ad un Visconti e, dopo aver visto le sue postazioni strategiche assediate dal cardinale (ottobre 1366), divenne ostaggio di Anglic Grimoard. Adhémar d'Aigrefeuille, fratello del cardinale Guillaume "il Vecchio" e maresciallo di corte dall'inizio del pontificato, fu nominato rettore (settembre 1367). In Campagna e Marittima un canonico agostiniano, Ugo di "Bonovillario", protetto del cameriere Arnaud Aubert, in precedenza compagno di sfortuna e messaggero dell'arcivescovo di Napoli Pierre Ameilh, all'arrivo del papa sostituì nella carica di rettore Giovanni Guidotti, precettore degli Antoniani di Firenze, e dovette scendere in guerra contro Francesco alias Cicco di Ceccano (primavera 1368) prima di cedere la sua carica a Daniele del Carretto, priore degli Ospedalieri di Lombardia trasferito dalla Romagna (1370). A Benevento, dove era arcivescovo e rettore Hugues Guitard, fu inviato Guillaume Guitard, cappellano del papa e uditore delle cause, per ricomporre il conflitto tra Filippo di Taranto e Francesco del Balzo, duca di Andria (settembre 1368), dopo che il cardinale Guillaume d'Aigrefeuille, nuovo vescovo della Sabina, ebbe l'incarico di fissare i confini del Ducato di Benevento con i due cognati. Nel Ducato di Spoleto, la cui corte generale era stata trasferita ad Assisi da Albornoz prima di morire (1367), era rettore l'arcivescovo benedettino di Bourges, Pierre d'Estaing: le maggiori difficoltà furono create dalla rivolta di Perugia, colpita da interdetto (luglio 1369), che aveva coinvolto nella ribellione anche Siena e Orvieto. Avendo partecipato alla liberazione di Firenze minacciata da John Hawkwood (dicembre 1368 e 1369), il papa riunì in una lega la repubblica, Bologna, Reggio, Pisa e Lucca - le ultime due città per contrastare gli sconfinamenti di Bernabò Visconti - alle quali si aggiunsero gli Este di Ferrara, i Carrara di Padova, i Gonzaga di Mantova (aprile 1370), e incaricò Anglic di concludere la pace a Bologna (novembre) concedendo il vicariato alle élites perugine finché fosse stato in vita. In Romagna, dopo l'energico rettorato difensivo esercitato fra l'aprile 1361 e l'inizio del 1364 da Gomez Albornoz, nipote del cardinale, Visconti poté essere allontanato da Bologna (febbraio 1364) al prezzo esorbitante di 500.000 fiorini da corrispondere in otto anni. Nella primavera del 1365, sotto l'autorità del vicario generale Petrocino Casalesco, arcivescovo di Ravenna, il rettore Daniele del Carretto dovette soffocare una rivolta per proteggere gli Alidosi, vicari del papa. Verso la primavera del 1367, U. nominò rettore della provincia Hugues di Montferrand, con cui era imparentato, al quale subentrò in seguito Blasco Fernandez de Belvis. Come sotto i precedenti pontificati i Visconti rappresentarono quindi una minaccia permanente: il papa cominciò col sostenere la campagna avviata da Albornoz contro Bernabò intimando a quest'ultimo di presentarsi ad Avignone, ma di fronte al suo temporeggiare lo scomunicò e indisse contro di lui la crociata (marzo-maggio 1363). La volontà di U., deciso ad ottenere ad ogni costo la pace - ed appoggiato in questo dal carmelitano (beato) Pierre Thomas - ebbe il sopravvento e condusse alla destituzione di Albornoz (febbraio 1364). Tuttavia, quando il papa rivelò il suo desiderio di ristabilire a Roma la Santa Sede, Visconti fu tra gli oppositori, e il cardinale Guy de Boulogne, che risiedeva a Lucca in qualità di vicario imperiale, dovette adoperarsi per costituire una lega che riuniva Firenze, Siena e Lucca contro Visconti (1369-1370). Il Regno di Napoli, vassallo della Santa Sede e debitore quasi perpetuo del censo ricognitivo - una situazione che rese ricorrenti le sentenze di scomunica e di interdetto nei suoi confronti - durante gli ultimi due pontificati aveva conosciuto una serie di traversie dovute alle bizzarrie della sua sovrana, Giovanna I, e all'opposizione dinastica quasi secolare con i re aragonesi di Sicilia (divenuta Trinacria, dove gli Angioini persero Messina nel giugno 1364). U., risultati vani i suoi sforzi di indurre Giovanna a contrarre un nuovo matrimonio - era rimasta vedova di Luigi di Taranto nel maggio 1362 e in balia degli intrighi del clan dei Durazzo, tra cui Filippo, figlio del re di Francia Giovanni II, e Federico IV re di Trinacria -, acconsentì nel novembre 1362 alle nozze della regina con Giacomo III, sovrano detronizzato di Maiorca. Con l'appoggio di quest'ultimo l'arcivescovo di Napoli Pierre Ameilh, per conto del suo protettore Guy de Boulogne, rilanciò il progetto di matrimonio tra Aimone di Genevois e l'erede presunta del Regno, Giovanna Durazzo, che sia la regina, sua zia, sia il pontefice avrebbero preferito dare in sposa a Federico IV di Trinacria (1363-1364). Galeotto Malatesta di Rimini, capitano di Albornoz e riformatore di giustizia contro i malfattori, ritenendo che i suoi servizi non fossero sufficientemente retribuiti, rinunciò al suo incarico malgrado gli appelli del papa (luglio 1363). Pierre Ameilh si alleò con Nicola Orsini, cugino di Aimone di Genevois, per cercare di riassestare le finanze del Regno, ma si trovò in ostaggio di Niccolò Acciaiuoli, gran siniscalco e sostenitore di Albornoz, e, bersagliato dalla regina, da Giovanna Durazzo e dalla piccola nobiltà, dovette rifugiarsi per quasi un anno (1364-1365) a Benevento, dove cercò di riformare l'amministrazione. In accordo con il clan dei Taranto voleva far appello a Luigi I re d'Ungheria perché Giovanna fosse allontanata dal potere. Acciaiuoli, da parte sua, cadde in disgrazia, calunniato presso il pontefice che gli avrebbe rimproverato il suo scarso zelo nel pagamento del censo. La sua morte, nel novembre 1365, privò Albornoz, giunto per esercitare la sua legazione, di un prezioso alleato, tanto più che il nipote del cardinale, Gomez, capitano generale della guerra, dovette abbandonare la città per contrastare le bande di John Hawkwood che assediavano Perugia. Giovanna Durazzo si unì in matrimonio (1365-1366) con Luigi di Navarra, fratello di re Carlo, e il papa reagì a queste nozze scomunicando gli sposi e la regina Giovanna, prima di venire a più miti consigli, senza tuttavia restituire alla principessa il suo diritto di successione al trono (1369). Pierre Ameilh fu trasferito nel povero arcivescovato di Embrune, sostituito a Napoli da Bernard du Bosquet (settembre 1365; creato cardinale nel settembre 1368), protetto del cardinale Talleyrand di Périgord, avversario di Guy de Boulogne. Giovanna I, che in seguito all'annuncio del ritorno in Italia della Corte pontificia aveva invitato U. a stabilirsi a Napoli, ricevette a Roma la Rosa d'oro, mentre il suo nuovo cancelliere Niccolò Spinelli da Giovinazzo fu creato cavaliere (marzo 1368). Le relazioni tra il papato e l'imperatore germanico, spesso tempestose nella penisola, avevano assunto un andamento più pacifico in seguito allo scisma provocato da Ludovico il Bavaro. Carlo IV di Lussemburgo, cresciuto alla corte di Francia e cognato del re Giovanni il Buono, aveva dovuto comunque attendere nove anni prima di ricevere l'autorizzazione papale per l'incoronazione a Roma (1355). Stimato per la sua saggezza e provvisto di un'eccellente reputazione, non era uomo da rinunciare alle sue diverse Corone e distribuiva con grande liberalità il titolo di vicario imperiale. Partecipò alla pace di Bologna con Bernabò Visconti, affiancando il legato pontificio, e gli restituì il titolo di vicario di Milano (marzo 1364). Appoggiò il papa osteggiando i disegni degli Asburgo, duchi d'Austria: difese Francesco da Carrara, signore di Padova e vicario imperiale, dalle mire del duca Rodolfo, vanificando i progetti matrimoniali del duca Alberto con Elisabetta, nipote del re Luigi I d'Ungheria, e del duca Leopoldo con una figlia di Bernabò Visconti, perché scontentavano Firenze e i Carrara. Sostando ad Avignone, mentre era diretto ad Arles per esservi incoronato re di Borgogna, Carlo IV celebrò la festa di Pentecoste a Corte, e in virtù dei suoi diritti regali sulla riva sinistra del Rodano confermò i privilegi della Chiesa di Avignone (giugno 1364). Assegnò al cameriere Arnaud Aubert la cognizione delle cause d'appello nelle Contee di Provenza e di Forcalquier, conferimento che tuttavia rimase presumibilmente sulla carta (settembre 1366). L'imperatore rese di nuovo visita al papa a Roma per farvi incoronare la sua quarta moglie, Elisabetta di Pomerania, e ricevette in quest'occasione un'insigne reliquia della crocifissione (Ognissanti 1368). Nominò proprio vicario il cugino Guy de Boulogne, il quale dovette reprimere una rivolta dei Senesi; a Lucca, alleata per sbarrare la strada al Visconti e sottratta all'epoca alla tutela pisana, il cardinale dovette togliere una gravosa imposta imperiale, per la quale il papa, Firenze e i da Carrara, amici di lunga data del cardinale, acconsentirono ad un prestito (primavera 1369). U. desiderava limitare a Lucca il vicariato di Guy, ma l'imperatore lo confermò sull'intera Toscana. Non appena il cardinale abbandonò Lucca per raggiungere il papa a Montefiascone (marzo 1370), gli abitanti distrussero la fortezza della città. Nella penisola iberica i rapporti già tesi fra i re d'Aragona e di Castiglia si erano ulteriormente inaspriti in seguito al doppio gioco di Carlo il Malvagio, re di Navarra, appoggiato da Guy de Boulogne e dal suo uditore Jean de la Grange, abate di Fécamp. Quest'ultimo era al fianco di Carlo quand'erano state concluse le tregue di Sos con Pietro IV il Cerimonioso re d'Aragona (maggio 1363) e poi con Pietro di Castiglia il Crudele. Carlo il Malvagio fece imprigionare l'abate dal re d'Aragona fino all'estate 1364, quando il recluso riuscì ad evadere per mettersi sotto la protezione di U. ad Avignone. Malgrado la stima che nutriva nei confronti del re di Castiglia e i successi diplomatici ottenuti all'inizio del pontificato da Guillaume d'Aigrefeuille "il Vecchio", il papa fu indotto dal partito franco-aragonese ad accordare una decima con il pretesto di una crociata contro i Mori di Granada, ma che in realtà doveva finanziare una spedizione contro Pietro il Crudele. Fu soprattutto l'occasione per far varcare i Pirenei alle compagnie giunte dalla Borgogna nel Contado Venassino sotto il comando di du Guesclin (fine del 1365). Lo stesso cardinale d'Aigrefeuille arbitrò un conflitto fra il vescovo d'Urgel e il conte di Foix (marzo 1367). Dopo l'assassinio di Pietro di Castiglia per mano del fratellastro Enrico de Trastamare (marzo 1369), il papa, attraverso l'invio di nunzi, cercò di placare l'ostilità di quest'ultimo nei confronti del re aragonese. A proposito delle aspirazioni di questo pontefice, è difficile sottoscrivere un passo della sua orazione funebre pronunciata da Guy de Boulogne, peraltro giudicata malevola e oggetto di aspre critiche: egli evoca di U. "la parola terribile, che muoveva dal trono pontificale, che rispondeva alle domande, alle richieste di tutti". La linea di condotta del papa, se pure ha dimostrato disponibilità, non riflette certo la prodigalità. Fu notata la parsimonia nei doni destinati ai cardinali dopo la sua elezione: solo 40.000 fiorini! È stato già menzionato lo spazio accordato dal papa a compatrioti e Benedettini nella nomina dei cardinali, ma in realtà ne creò unicamente a quattro riprese (18 settembre 1366, 12 maggio 1367, 22 settembre 1368, 7 giugno 1370) e soltanto quattordici, aprendo il Sacro Collegio a un domenicano (Guillaume Sudre), un francescano (Marco di Viterbo), due italiani (Francesco Tebaldeschi e Pietro Corsini, oltre Marco), all'inglese Simone di Langham. Limitò l'accumulo dei benefici legati a questa dignità, imponendo ai cardinali la rinuncia allorché ne ottenevano di nuovi. Fu in grado di tener loro testa quando, al momento di imbarcarsi a Marsiglia alla volta dell'Italia, i cardinali espressero la loro contrarietà per questo trasferimento: innalzò subito alla dignità cardinalizia il solo Guillaume d'Aigrefeuille "il Giovane" (di appena ventotto anni), nipote di Guillaume "il Vecchio", per dare una dimostrazione di potere. La riforma dei costumi, agli occhi del papa, doveva accompagnarsi ad un abbigliamento corretto, ossia vesti debitamente lunghe nel caso degli uomini, condizione posta per la concessione dell'indulgenza "in articulo mortis" e lodata dal Petrarca. Anche se la riforma del clero perseguita da U. è apparsa ad alcuni storici molto più modesta di quella di Benedetto XII, sembra sia stata condotta instancabilmente e fu rivolta al clero sia secolare che regolare. La costituzione Horribilis (perduta) limitava il possesso dei benefici, mentre tramite il cameriere a tutti i rettori e i curati che si trovavano "alla corte di Roma" veniva intimato di rientrare entro un mese nella loro parrocchia (luglio 1364). La creazione di collegi per giovani chierici era d'altronde destinata ad innalzare il loro livello culturale. È anche vero che la riserva generale pronunciata in merito alle procure contro i vescovi appare come un'iniziativa inopportuna (giugno 1369). A Guillaume d'Aigrefeuille "il Vecchio", il papa affidò la riforma dell'Ordine benedettino (giugno 1365) e, informato della decadenza dell'abbazia di Montecassino, nel 1367 soppresse il vescovato che vi aveva eretto Giovanni XXII, mantenendo l'abbazia con l'intento di rinnovarne la comunità attraverso l'inserimento di Olivetani e di monaci spagnoli e tedeschi. Fu propenso a disporre l'unione di piccoli priorati rurali, in particolare in favore della sua antica abbazia di St-Victor, ma anche nell'Ordine di St-Ruf e altri, senza dubbio spesso per ragioni economiche legate all'impoverimento del clero. L'incoraggiamento rivolto ai provinciali francescani di Calabria e di Sicilia perché aprissero nuovi conventi ebbe lo scopo di arginare la corrente dei Fraticelli; il riconoscimento del movimento di osservanza francescana di Paoluccio dei Trinci sotto forma di eremitaggio in prossimità di Foligno evitò una frattura con la gerarchia. Lo stesso accadde nel caso dei senesi Giovanni Colombini e Francesco Vincenti, accolti come "poveri del papa" (giugno 1367), fondatori precocemente scomparsi dei Gesuati. Il papa trovò sostegno nell'Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, nella persona di Juan Fernández de Heredia, grande priore di Castiglia e di St-Gilles, nominato all'inizio del pontificato capitano di Avignone e del Contado Venassino per continuare la battaglia contro i mercenari. Per il ritorno di U. a Roma il grande maestro Raymond Bérenger fornì la protezione militare su terra e su mare al corteo pontificale. Juan Fernández de Heredia appare anche come uno dei capi della crociata. Si è scritto che per realizzare il progetto di crociata il papa aveva assunto il nome di Urbano, in ricordo di Urbano II. Nella primavera 1363, con Giovanni II il Buono, avevano raggiunto la corte di Avignone il re di Danimarca, il potente Valdemaro IV Atterdag, Amedeo VI conte di Savoia, benché alleato sul piano politico e familiare dei Visconti, appena insignito della Rosa d'oro (marzo 1365), e soprattutto, il più entusiasta, Pietro I di Lusignano re di Cipro, recentemente vittorioso sui Turchi in Cilicia - il papa fece di Leone, imparentato con Pietro, il re fortemente minacciato della Piccola Armenia. Tutti presero la croce e a questo titolo ottennero le decime, ma lo slancio fu ben presto tarpato dai problemi politici europei, dalla morte di Giovanni il Buono e dalle traversie della spedizione del re di Cipro. Con l'aiuto della flotta dell'Ospedale di S. Giovanni di Rodi, Pietro di Lusignano, esortato dal suo cavaliere Filippo di Mézières, autore del Songe du viel pelerin, e dal carmelitano Pierre Thomas, legato del papa in questa circostanza, si impadronì temporaneamente di Alessandria (agosto-ottobre 1365) e si riconciliò anche con il sultano d'Egitto, prima di morire assassinato dai suoi baroni (1369). La pace con il sultano restituì a Genova e a Venezia la libertà di commercio con l'Oriente che il papa aveva dovuto limitare considerevolmente. Quanto al conte di Savoia, rendendosi autonomo dal papa, riconquistò Gallipoli e liberò dai Bulgari il suo parente Giovanni V Paleologo, imperatore di Costantinopoli (1369). Il progetto di unione delle Chiese di Occidente e di Oriente era stato perseguito nel 1355 e Giovanni V fece della sua sottomissione al papa moneta di scambio per ottenere aiuto contro i Turchi, ma il successo di Gallipoli designò Amedeo VI come intermediario ideale per riprendere il negoziato. Questa cerimonia solenne, a quanto sembra, non poteva svolgersi che a Roma: l'abiura del "basileus" fu celebrata il 18 ottobre 1369, ma a titolo puramente personale. Il vicario del papa per gli affari spirituali Pierre Bohier, narrando gli incontri, non si peritò di confrontare il tono umile dei Greci con la ristrettezza di vedute del pontefice: il prelato si rammaricava dell'incompletezza della sua formazione canonistica per appellarsi ad un concilio. Per quanto concerne gli ebrei, il papa inviò l'inquisitore francescano Hugues de Cardillon nelle Contee di Savoia, del Valentinois e Diois e di Provenza per perseguitare coloro che erano tornati al giudaismo (giugno 1364). Nondimeno rinnovò le costituzioni generali dei suoi predecessori nei loro confronti, per condannare le conversioni forzate e gli atti di violenza (giugno 1365). U. intensificò la lotta contro l'eresia valdese nelle valli alpine (frate minore Jean Richard) e nelle provincie di Lione, Vienne, Embrun, Tarantasia e Besançon (estate 1364), ricorrendo al suo cappellano Bernard du Bosquet, che nominò arcivescovo di Napoli qualche mese più tardi. Pierre Ameilh, trasferito da Napoli a Embrun, ricevette l'incarico di estirpare l'eresia nella sua provincia con la collaborazione dei Francescani, tra cui François Borrel (1368). Il trasferimento della Santa Sede a Roma, dove erano venerate le reliquie dei ss. Pietro e Paolo, promessa ai Romani nel maggio 1363, fu in cima alle preoccupazioni di Urbano V. Nel Palazzo dei Papi la costruzione, in prossimità degli appartamenti pontifici, di una galleria nel giardino, che venne chiamata "Roma", testimonia la nostalgia del ritorno nella Città Eterna. Il papa la fece decorare dal viterbese Matteo Giovannetti, pittore già attivo sotto Clemente VI, al quale commissionò cinquantasei tele di lino dipinte che raffiguravano la vita di s. Benedetto, destinate al suo nuovo collegio di Montpellier (1367), e poi portò con sé l'artista a Roma. A Roma, non solo erano stati avviati con ingenti spese i lavori di riparazione della basilica di S. Pietro e del Palazzo Vaticano (autunno 1365), ma fu anche affidata all'architetto senese Giovanni Stefano la ricostruzione della basilica di S. Giovanni in Laterano, che aveva subito due incendi nei primi sessant'anni del secolo. Inoltre si procedette al riconoscimento dei due principi degli apostoli (marzo 1364), che furono quindi custoditi in un doppio reliquiario commissionato a Giovanni di Bartolo, anch'egli senese, e collocato sulla sommità del ciborio ispirato al lavoro di Arnolfo di Cambio. Per lasciare Avignone, secondo l'annuncio dato nel giugno 1366, il papa dovette superare le resistenze dei cardinali e del re di Francia. Carlo V si affrettò ad inviare ad Avignone un'ambasceria che annoverava nobili e ufficiali reali, per cercare di dissuaderlo; Ancel Choquart lesse un lungo discorso intimidatorio che parafrasava il Quo vadis, Domine? per annunciare il martirio (fine aprile 1367). Al contrario, l'ambasceria di Firenze sollecitava il ritorno e ricordava le tormentate esortazioni del Petrarca, al quale Coluccio Salutati poteva scrivere alcuni mesi dopo: "Se voi foste a Roma, vedreste i templi in rovina riedificati con un lavoro incessante e ve ne rallegrereste, lo so. La vostra anima caritatevole benedirebbe colui che ha ricostruito il Laterano, restaurato San Pietro, ridestato l'intera città". Dopo essersi imbarcato a Marsiglia il 19 maggio, U. fece il suo ingresso a Roma il 16 ottobre 1367. Ma a prescindere dalle imponenti cerimonie di cui già si è parlato, il soggiorno italiano, diviso fra Viterbo, Roma e Montefiascone, fu turbato da epidemie, violenze, conflitti politici, in Italia come in Francia, e il papa decise a malincuore di rientrare ad Avignone. Esausto e afflitto dalla calcolosi, U. restò fermo nel suo proposito di fronte alle accuse del francescano Pietro d'Aragona come a quelle virulente di (s.) Brigitta di Vadstena. Imbarcatosi a Corneto il 5 settembre 1370, raggiunse Avignone per morirvi appena quattro mesi dopo, il 19 dicembre, nell'antica casa episcopale del fratello Anglic - cui era stato assegnato un comando in Italia - in seguito ad una scelta dettata dall'umiltà. Nel maggio-giugno 1372 Anglic adempì il voto fatto al fratello accompagnando le sue spoglie dalla cattedrale di Notre-Dame- des-Doms di Avignone all'abbazia di St-Victor. "Homo strictus", così lo qualificò uno dei suoi biografi contemporanei, Pierre de Herenthals, un giudizio condiviso dagli storici del nostro tempo: "santo e candido monaco […] uomo pio e retto", secondo Y. Renouard; in altre parole, era capace di ingenuità e di goffaggini nella conduzione degli affari politici, ma per G. Mollat riuniva in sé "un insieme felice di qualità". Il carattere di chi aveva adottato come motto, sulla "rota" di uno dei rari privilegi conosciuti, "Domine, opera tua manuum tuarum ne despicias", traspare in modo eccezionale alla fine delle suppliche, in cui le risposte del papa, talvolta venate d'arguzia, sono accompagnate dalla lettera B., al posto della sua firma, con allusione a s. Benedetto. Attorno alla tomba marsigliese si moltiplicarono i miracoli (trecentottanta testimonianze nel 1376-1378, alcune delle quali provenienti da Lisbona, dalla Calabria, da St-Brieuc, da Utrecht o Buda), che incoraggiarono le richieste di canonizzazione, per esempio da parte di Valdemaro V di Danimarca; ma Gregorio XI, incalzato dagli eventi, rinviava l'apertura del processo (1375). Rispondendo in maniera più favorevole alla regina Giovanna, a Luigi d'Angiò, a Carlo V e poi a Carlo VI nell'aprile 1381, Clemente VII rivalutò la sua posizione, al contrario di Urbano VI, che fu papa a Roma, ma si dovette attendere il 10 marzo 1870 perché Pio IX proclamasse U. beato. La sua memoria liturgica è celebrata il 19 dicembre. La fisionomia di U. è ben nota grazie al cenotafio destinato al priorato-collegio di St-Martial, il cui gisant è conservato nel museo del Petit Palais di Avignone, e all'insieme di lettere ornate di un messale di fattura bolognese (ms. 136 della Bibliothèque Municipale di Avignone), grazie ad una collezione di disegni della Biblioteca reale di Windsor, che rappresentano dei dipinti perduti in cui il papa è associato al reliquiario dei ss. Pietro e Paolo, ma anche al dipinto di Bologna firmato da Simone dei Crocifissi, all'affresco del convento di S. Chiara di Assisi e ad altre opere la cui dovizia si spiega con la campagna di canonizzazione condotta intorno al 1382. Fonti e Bibl.: J.H. 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