CROCE, Benedetto (XII, p. 4)
Il pensiero del Croce nell'ultimo venticinquennio, pur con molteplici arricchimenti e approfondimenti, è rimasto, in sostanza, quale si era manifestato nell'epoca prefascista ma la sua personalità morale ha avuto modo di riaffermarsi con straordinaria energia. Uno degli elementi essenziali della sua fama, anzi, risiede appunto nella fermezza di carattere di cui ha dato prova in parecchi momenti della vita nazionale ed europea: "mentre tanti intellettuali perdevano la testa e non sapevano orientarsi nel caos generale, rinnegavano il proprio passato, ondeggiavano lamentosamente nel dubbio di chi fosse per essere il più forte, il C. è rimasto imperturbabile nella sua serenità e nell'affermazione della sua fede che metafisicamente il male non può prevalere e che la storia è razionalità" (Gramsci).
"Il mio liberalismo - scriveva il C. a un suo discepolo il 10 ottobre 1925 - è cosa che porto nel sangue, come figlio morale degli uomini che fecero il Risorgimento italiano, figlio di Francesco De Sanctis e degli altri che ho salutato sempre miei maestri di vita. La storia mi metterà tra i vincitori o mi getterà tra i vinti. Ciò non mi riguarda. Io sento che ho quel posto da difendere, che pel bene dell'Italia quel posto dev'essere difeso da qualcuno, e che tra i qualcuni sono chiamato anch'io a quell'ufficio. Ecco tutto". E la sua polemica antifascista cominciò, mirando a restaurare i valori della personalità morale dell'individuo in tutti i campi dell'attività spirituale.
Il fascismo annullava l'individuo nello Stato; il C. negava che lo Stato fosse un'entità e affermava che reale è l'umano operare che si svolge attraverso i due gradi dell'azione utilitaria e dell'azione morale. Il liberalismo del C. non era un individualismo utilitario, come quello di John Stuart Mill, che abbassava lo Stato a strumento dell'edonismo dei singoli, ma un individualismo morale, che tratta lo Stato come mezzo o strumento di più alta vita. (Etica e politica, Bari 1930; Il carattere della filosofia moderna, ivi 1940).
Chiaritisi i problemi etico-politici nei loro rapporti d'interdipendenza dialettica, il C. si aprì il varco a una nuova concezione della storia politica, che egli ha definita appunto con la felice formula "etico-politica" (Storia economico-politica e storia etico-politica, in Etica e politica, 3ª ediz., pp. 273-283). Con la storia etico-politica il C., oltre a soddisfare le opposte esigenze della storia della civiltà (Kulturgeschichte) e della storia politica (Staatsgeschichte), ha voluto superare quella scuola economico-giuridica, alla quale aveva contribuito a dare fondamento con la sua concezione del marxismo come canone d'interpretazione storica.
Nella Storia del Regno di Napoli il C. cominciò ad applicare le sue formule della storia "contemporanea" e della storia "etico-politica". Egli parte dall'interesse attuale della questione meridionale ma non vagheggia nostalgicamente il bel "Regno" indipendente del buon tempo antico, né piange sulla natura matrigna, alla quale il Mezzogiorno dovrebbe la sua eterna triste storia, bensì ricostruisce la tradizione politica meridionale, che, iniziata alla fine del Seicento, ha condotto il Mezzogiorno a contatto con la vita moderna. Il concetto di decadenza sembra smentire una concezione progressiva, fondamentalmente ottimistica, della vita e della storia; orbene, il C. affronta lo studio d'una età ritenuta comunemente in Italia di decadenza - Storia dell'età barocca in Italia (1929) - e finisce col riabilitarla, non perché riconosca un rinnovamento religioso nel trionfo della Controriforma o la positività del concetto di "barocco" in quanto nuova epoca del pensiero, dell'arte e della vita sociale, ma perché trova nel Seicento "gli incunaboli" della nuova cultura e della nuova politica del Settecento. Parimenti nella Storia d'Italia dal 1871 al 1915 (1928) egli mostra quali progressi abbia fatto in tutti i campi l'Italia in quel periodo così prosaico, così diverso dal brillante Risorgimento dei Mazzini, dei Cavour e dei Garibaldi. Infine nella Storia d'Europa nel secolo XIX (1932) lo studio della crisi morale e politica dell'Italia nel dopoguerra si slarga nello studio della crisi generale della libertà nell'Europa, e nel romanticismo deteriore, nel torbido irrazionalismo viene identificato il disorientamento morale del nostro tempo. E il torbido irrazionalismo il C. combatte anche nel tentativo di staccare l'individuo dalla sua opera storica che è la sua missione morale terrena, e di considerarlo quasi cieco "complesso di nervi, eccitabili e variamente eccitati" (Vite di avventure, di fede e di passione, Bari 1935 e polemica contro le biografie romanzate).
Dalla stessa esigenza nasce nel C. la scoperta della necessità della personalità morale dell'artista. Ne L'intuizione pura e il carattere lirico dell'arte (comunicazione al congresso di filosofia di Heidelburg nel 1908, in Problemi di estetica, Bari 1910, pp. 1-30), il C. aveva affermato che per la sintesi estetica occorre sentimento, la commozione, insomma "una personalità quale che sia", ma escludeva che si trattasse di personalità morale. Nella Aesthetica in nuce (Napoli 1929), in seguito da un lato all'approfondimento del carattere di totalità dell'espressione artistica e dall'altro alla polemica contro l'arte pura, l'arte per l'arte, la poesia ermetica, il C. giunge alla conclusione che "fondamento d'ogni poesia è la personalità umana e, poiché la personalità umana si compie nella moralità, fondamento d'ogni poesia è la coscienza morale".. Oltre la personalità morale dell'artista, altre importanti conquiste dell'estetica crociana sono state il concetto nuovo di poesia popolare (Poesia popolare e poesia d'arte, Bari 1929) contro le infatuazioni neo-romantiche per il primitivo e la determinazione dell'ufficio positivo della letteratura, di ciò che veniva espunto come non poesia dalla storia artistico-letteraria (La poesia, Bari 1936) e la riprova del carattere eterno della poesia contro ogni materializzazione storica (Poesia antica e moderna, Bari 1940).
Vivendo in modo così intimo ed elevato le sue dottrine etico-filosofiche il C. poteva difenderle dalla cosiddetta "rivolta morale contro lo storicismo" con il conseguente "ritorno alla ragione" del secolo XVIII e poteva far sua la fiducia espressa dal Meinecke che "lo storicismo risanerà le ferite che ha inflitte con l'aver reso relativi i valori, posto che vi siano uomini che lo convertano in schietta vita", avvertendo, però, che lungi dall'aver danneggiato la saldezza dei valori, lo storicismo li aveva "tolti dal cielo dell'astratto, impiantandoli saldamente nella realtà della storia" e assicurando così loro un'inesauribile vitalità (La storia come pensiero e come azione, Bari 1938).
Avvicinandosi la fine del fascismo, la polemica del C., pur mantenendosi su un impeccabile piano culturale, lascia trasparire in modo più immediato l'azione politica in veste libresca. "Con opuscoli subito famosi quali Perché non possiamo non dirci cristiani (Bari 1943) e quello sul comunismo (Per la storia del comunismo in quanto realtà politica, ivi 1943), C. precisa le somiglianze e le differenze, prefigura le tavole della nuova legge, abbozza i trattati di alleanza, gli atti addizionali e chiarificativi fra quei diversi che stanno accedendo al gran fronte comune" (Burzio).
Questo "gran fronte comune" si rivelò apertamente nel 1943-1944 con la coalizione delle forze antifasciste nel CLN. Ricostituito il Partito liberale nell'ambito del CLN, il C. mirò alla restaurazione del regime liberale democratico prefascista. Per giungere a tal fine, prima ha lottato per ottenere l'abdicazione del re Vittorio Emanuele III, giudicata indispensabile dalle forze antifasciste per la loro andata al potere (Per la nuova vita dell'Italia: 1943-44, Napoli 1944); poi ha lottato contro le sinistre, che, col Partito d'azione all'avanguardia, tendevano alla creazione d'una nuova democrazia e ha molto contribuito alla caduta del ministero Parri (Pagine politiche: luglio-dicembre 1944, Bari 1945; Pensiero politico e politica attuale: 1945, ivi 1946); infine, nell'Assemblea Costituente (Due anni di vita politica italiana: 1946-47, ivi 1948), ha combattuto la formula politica del Tripartito, l'inclusione nella Costituzione dei Patti lateranensi, dell'impegno contro il divorzio e del disegmo delle regioni (11 marzo 1947), e l'approvazione del dettato di pace (24 luglio 1947). Abbandouata la presidenza effettiva del Partito liberale italiano (30 novembre 1947) e in seguito anche quella onoraria (giugno 1948), il C. non tralascia la polemica politica contingente da un lato contro il comunismo e dall'altro contro la Democrazia cristiana, ma la sua principale attività è ora concentrata nella direzione dell'Istituto italiano per gli studi storici da lui fondato nel 1947 a Napoli, e nei Quaderni della Critica con i quali dal 1945 continua - sia pure con meno perentorio impegno editoriale - la Critica (1903-44).
Bibl.: A. Mautino, La formazione della filosofia politica di B. C., Torino 1941; L. Russo, La critica letteraria contemporanea, II, Bari 1942; L'opera filosofica, storica e letteraria di B. C. (Saggi di scrittori italiani e stranieri scelti e tradotti da E. Cione e bibliografia dal 1921 al 1948 a cura di F. Laterza), Bari 1942; A. Parente, Il pensiero politico di B. C. e il nuovo liberalismo, Napoli 1944; La Rassegna d'Italia, I, nn. 2-3, febbraio-marzo 1946 (fascicolo tutto consacrato a B. C.); D. Mack Smith, The Politics of Senator Croce, in The Cambridge Journal, ottobre 1947, pp. 28-42; A. Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di B. C., Torino 1948.