Bilancio pubblico
Joseph Schumpeter ci ricorda che a "Goldscheid resterà sempre il merito di essere stato il primo [...] a diffondere la verità che il bilancio 'è lo scheletro dello Stato spogliato di tutte le fallaci ideologie' [...]. Anzitutto la storia fiscale di un popolo è una parte essenziale della sua storia generale: un'enorme influenza sul destino dei popoli emana dal salasso economico che è imposto dai bisogni dello Stato, e dal modo come sono usati i suoi risultati" (v. Schumpeter, 1918; tr. it., p. 132).Dello stesso tono sono le osservazioni di Antonio De Viti De Marco, un economista che Luigi Einaudi riconobbe essere tra quelli che diedero "contributi così alti alla teoria pura economica da far rivaleggiare il tempo che fu detto della scuola di Losanna [...] con i periodi più splendidi della nostra scienza" (v. De Viti De Marco, 1961, p. 13. Quest'opera - identica all'edizione del 1939 - comprende gli scritti che De Viti elaborò sul finire dell'altro secolo). Scriveva, infatti, De Viti che il bilancio pubblico "è fattore di primissima importanza nelle vicende storiche dei popoli; senza comprenderlo e tenerne conto, si può fare la storia descrittiva e drammatica delle guerre e delle rivoluzioni, ma non se ne dà la spiegazione. Per esempio non si spiegherebbe il contenuto economico e tributario, da lungo tempo preparato, della Rivoluzione francese; non si spiegherebbero le lotte tenaci e secolari sostenute in Inghilterra dal popolo [...] contro la corona per la conquista del regime rappresentativo; non si spiegherebbe la lotta tra l'autorità laica e il Vaticano per le temporalità, consistenti in gran parte in privilegi tributari; non si comprenderebbe la guerra di indipendenza degli Stati Uniti, dichiarata al grido: 'No taxation without representation"' (ibid., p. 31).
È facile comprendere che le osservazioni appena riportate ben si adattano ai bilanci pubblici degli Stati moderni nati dalle rivoluzioni politiche del XVII e del XVIII secolo, ove i cittadini-votanti-contribuenti esprimono attraverso libere elezioni politiche i parlamenti nazionali, e i governi derivano il loro potere dalla nazione nel suo complesso e non dal potere del 'principe'. Ma tali considerazioni valgono anche per gli Stati assoluti, ove la finanza pubblica coincideva con la finanza del 'principe' e i governi dovevano attendere quasi esclusivamente agli interessi personali di quest'ultimo. Tanto che non si discuteva ancora di finanza pubblica e di bilanci pubblici quanto piuttosto di 'finanza camerale' e di 'bilanci camerali' per dare immediato avviso che si trattava della finanza e del bilancio decisi nella Chambre du Roi e per le esigenze di quest'ultimo. Le esigenze del re e della sua corte e il mantenimento dell'esercito erano le voci di spesa che, nella quasi generalità dei casi, richiedevano il prelievo di imposte assai rozze a carico dei cittadini-sudditi a cui era negato il diritto di voto.In questo senso si dice che i parlamenti nazionali, con membri liberamente eletti, abbiano costituito anche la risposta delle popolazioni per difendersi dall'arroganza del principe nel porre, per il proprio benessere personale, i più iniqui balzelli a carico dei cittadini-sudditi. È però vero che gli anni che vanno dalla fine della seconda guerra mondiale ai giorni nostri hanno visto quasi tutti i governi presentare (e i parlamenti nazionali approvare) bilanci pubblici sempre più grandi per il cui finanziamento devono essere votati anche aumenti d'imposta sempre più avversati dai cittadini-contribuenti.Per meglio comprendere queste tematiche (oggi tornate all'attenzione degli studiosi) è opportuno accennare a un intenso dibattito che si sviluppò in Europa (in particolare in Italia e in Austria, e di cui i ricordati Schumpeter e De Viti furono autorevoli protagonisti) a cavallo tra il XIX e il XX secolo e che pose al centro della propria attenzione l'analisi dei meccanismi politici di decisione che riguardano i bilanci pubblici.
Allora fu proprio De Viti De Marco ad analizzare la formazione del bilancio pubblico all'interno di due casi limite di organizzazione dello Stato: quello dello Stato monopolista e quello dello Stato cooperativo. Nel primo caso il bilancio pubblico registra soltanto la spesa per la produzione dei beni pubblici che ridondano a esclusivo o prevalente vantaggio della casta dominante, mentre il loro costo (imposte e balzelli vari) è posto a carico esclusivo o prevalente delle classi soggette. Nel secondo caso, ove si ha libera competizione di gruppi sociali e di partiti, vi è "identità personale tra produttori e consumatori, in quanto tutti i cittadini che pagano le imposte sono anche i cittadini che consumano i servizi pubblici" (ibid., p. 41). Il bilancio pubblico in questo caso registra una spesa che avvantaggia l'intera collettività, la quale sopporta dunque l'intero carico tributario necessario al finanziamento della spesa stessa. Fu molto esplicito anche Maffeo Pantaleoni nel ricordare al riguardo che "in ultima istanza è il Parlamento che presso di noi decide sul riparto delle spese pubbliche. Quindi l'affettazione dei fondi disponibili in bilancio - nonché l'entità di questi fondi entro certi limiti - è un fatto il quale, adeguatamente studiato, ci rivela il giudizio che l'intelligenza media compresa nel Parlamento forma intorno ai gradi finali di utilità comparata delle diverse spese" (v. Pantaleoni, 1883).
Tali analisi vennero poi riprese in Svezia da Knut Wicksell (v., 1896) che giunse a formulare una proposta sul metodo con cui votare in parlamento le imposte e le spese pubbliche. Intuendo, infatti, la possibilità del sorgere della "tirannia, non meno opprimente, dell'occasionale maggioranza di un parlamento" (ibid.; tr. it., p. 134), Wicksell formula la proposta che sia "considerata come condizione necessaria per l'approvazione di qualsiasi spesa pubblica la votazione relativa alla ripartizione dei costi" (ibid., p. 140) e che tale decisione venga approvata all'unanimità o con una maggioranza particolarmente qualificata. Sottolinea infatti Wicksell che "l'unanimità e la completa spontaneità delle decisioni sono in fondo l'unica garanzia sicura e concreta contro le ingiustizie nella ripartizione delle imposte" (ibid., p. 137).
Si deve invece sottolineare come, curiosamente, siano rimasti del tutto estranei a tale dibattito gli studiosi di lingua inglese. Come si legge infatti negli scritti di uno dei più autorevoli studiosi di finanza pubblica, "i modelli austriaci e italiani di analisi fiscale e la loro interpretazione wickselliana per quanto riguarda i comportamenti di voto non entrarono nelle interpretazioni degli autori di lingua inglese per oltre un mezzo secolo" (v. Musgrave, 1985, p. 11). Più di recente, invece, tale dibattito, dominato ormai proprio dagli studiosi di lingua inglese, si è orientato verso la costruzione di una teoria positiva che osserva i comportamenti dei governi e delle burocrazie (v. Buchanan e Tullock, 1962). In sintesi, questo corpo dottrinale (definito anche come "modellistica economica per lo studio della burocrazia") sostiene che i meccanismi di voto dei bilanci pubblici portano a un'espansione inarrestabile del bilancio pubblico e che tale espansione è sostenuta anche dal desiderio delle burocrazie statali di accrescere i propri bilanci (v. Niskanen, 1974). Ad esempio, i politici possono fissare quei livelli di prezzo, di produzione e di investimento che accrescono il loro successo elettorale; i burocrati, dal canto loro, possono scegliere quei programmi di spesa che favoriscono le personali prospettive di carriera. In tale contesto, il processo di massimizzazione del bilancio sarebbe contenuto soltanto dai limiti che dall'esterno gravano sulla capacità dei politici e delle burocrazie di aumentare il proprio bilancio (per una critica a questa tesi v. Dunleavey, 1985; v. Parker, 1985). In questo senso, nella letteratura, oltre alla nota espressione "fallimento del mercato" (dovuto, in particolare, alla presenza di informazioni asimmetriche e di esternalità), che deriva dal corpo dottrinale che va sotto il nome di 'economia del benessere', si incontra oggi anche quella di "fallimento dell'intervento pubblico", che deriva da un altro corpo dottrinale che va sotto il nome di public choice (o economia delle scelte pubbliche).
Abbiamo ricordato ciò per avvertire che, come osserva acutamente Musgrave (v., 1985, p. 14), quest'ultima analisi, fortemente critica dell'intervento dello Stato nell'economia tramite il bilancio pubblico, può essere considerata al pari di un rinato interesse dell'approccio sociologico allo studio dei bilanci pubblici che, oltre mezzo secolo fa, venne seguito in un contesto di pensiero marxista (v. Goldscheid, 1917).
I bilanci pubblici, dunque, variano con il variare dei regimi politici, non essendo altro che l'espressione di questi ultimi. È però interessante notare che l'osservazione dei bilanci pubblici lungo lo scorrere del tempo consente di scorgere segni di grande rottura con il passato, ma anche elementi di grande continuità. Si può forse dire che, mentre la continuità ha riguardato prevalentemente ciò che viene registrato tra le entrate del bilancio pubblico, le grandi rotture con il passato hanno riguardato prevalentemente ciò che viene registrato in uscita dei bilanci stessi, oltre che i metodi con cui si incassa e si spende (v. Webber e Wildavsky, 1986). Ad esempio, l'appropriazione da parte dei governi di una quota della produzione agricola (sotto forma di 'decima', o forme analoghe) è presente quasi ovunque a partire dai tempi delle città-Stato della Mesopotamia e, di fatto, fino alla Rivoluzione francese. È ovvio, invece, che il peso di questa forma di prelievo è andato via via riducendosi con il ridursi del peso dell'agricoltura nell'economia delle nazioni. Con il lento passaggio, poi, dall'economia del baratto a quella monetaria, con il diffondersi dei traffici e dei consumi e con lo svilupparsi dell'urbanizzazione, le entrate registrate nei bilanci pubblici assumono alcuni caratteri che non perderanno più fino ai giorni nostri. Si pensi alle 'tariffe' riscosse a fronte dell'utilizzo di alcuni servizi pubblici quali (fin dai tempi della Roma imperiale o della Grecia di Pericle) i mercati, i bagni pubblici, i ginnasi. Si pensi alle imposte prelevate al momento degli scambi al minuto o ai dazi doganali prelevati ai porti del Pireo o di Ostia antica. Si pensi ancora alle cinte daziarie (scomparse in Italia meno di vent'anni fa) che erano già ampiamente diffuse duemila anni or sono quando i tributi venivano riscossi alle porte delle città fortificate o in occasione del transito sui ponti (tali forme di prelievo sono tutt'oggi vigenti in molti Stati moderni, soprattutto per il finanziamento delle municipalità che gestiscono il ponte, come nel caso del Golden Gate di San Francisco). Anche alcuni 'rozzi' sistemi catastali si diffusero nella Roma repubblicana qualche secolo prima di Cristo: servivano a riscuotere una specie di imposta diretta commisurata alla proprietà (così come risultava da apposito registro), il cui gettito era destinato al pagamento delle milizie.
Ma è sul lato delle uscite del bilancio pubblico che le rivoluzioni politiche del XVII e del XVIII secolo comportarono le più profonde rotture con il passato.Il passaggio dalla 'finanza del re' a quella degli 'Stati democratici' segnò l'inizio di una nuova era, ove è possibile scorgere almeno i seguenti elementi innovativi: a) la crescita dei bilanci pubblici ha stimolato gli intelletti a ricercare innovazioni finanziarie per fronteggiare i problemi creati da bilanci pubblici spesso in disavanzo; b) il ridursi del potere dei sovrani viene accompagnato da una nuova e sempre più intensa attività di controllo esercitata dai parlamenti nazionali; c) si affinano le metodologie per 'governare' bilanci pubblici sempre più grandi (la contabilità di Stato viene impostata in 'partita doppia', così come il matematico frate Luca Pacioli aveva suggerito sul finire del XV secolo agli uomini d'affari di allora); d) si elaborano apposite tecniche previsive al fine di poter meglio ragionare sulle spese da effettuare in relazione alle entrate attese; e) si sviluppano istituzioni pubbliche (come le banche centrali) che vengono ad affiancare i bilanci pubblici e la cui azione è da questi condizionata; f) cresce il peso dell'amministrazione e della burocrazia finanziaria che deve 'amministrare' il bilancio pubblico.
Negli Stati nati dalle grandi rivoluzioni politiche di tipo liberaldemocratico la costruzione, la discussione e l'approvazione finale di diversi documenti che formano il bilancio pubblico costituiscono dunque diverse fasi di un processo (quasi mai breve) che vede il potere esecutivo impegnato a confrontarsi con quello legislativo, secondo una procedura data. In particolare, tale confronto avviene (in parlamento) sia con la maggioranza parlamentare che sostiene il governo, sia con l'opposizione parlamentare che, di norma, nutre ampie riserve sui documenti di bilancio predisposti dal governo in carica e che agisce al fine di introdurre (tramite la presentazione di emendamenti che devono essere approvati o respinti con il voto) variazioni più o meno rilevanti alle diverse poste del bilancio.
A differenza, dunque, di quanto avveniva negli Stati assoluti ove valeva solo la volontà del principe, negli Stati moderni a base parlamentare sia l'ammontare delle entrate pubbliche, sia quello delle spese pubbliche devono essere oggetto di specifica approvazione da parte del parlamento su proposta del governo. Infatti, la predisposizione del bilancio pubblico è compito del governo in carica che sottopone al parlamento i diversi documenti formali che costituiscono l'insieme del bilancio pubblico (legge di bilancio, legge finanziaria, allegati alle due precedenti leggi). Il parlamento, nel corso di un certo numero di mesi (in quasi tutti i paesi questo periodo di lavoro del parlamento è chiamato sessione di bilancio) esamina i diversi documenti predisposti dal governo e, al termine di tale esame e dopo aver apportato le variazioni (tramite il processo emendativo) che ritiene più opportune sia alle entrate che alle spese pubbliche, approva con una votazione i diversi documenti scritti, comprensivi di tutti gli stanziamenti di competenza di entrata e di uscita, che costituiscono il bilancio pubblico. Dal momento dell'approvazione parlamentare, il governo è autorizzato a impegnare ed erogare la spesa pubblica e ad accertare e riscuotere le entrate pubbliche, così come risultano determinate nel bilancio preventivo.Il passaggio dagli Stati assoluti alle democrazie parlamentari non è stato senza effetti sulla qualità, sulla quantità e sulla trasparenza delle informazioni contenute nei diversi documenti cartacei che (in quasi tutte le democrazie occidentali) vengono presentati (dal governo al parlamento) e discussi in parlamento nel corso della sessione di bilancio. Il bilancio pubblico rimane tuttavia un insieme di documenti assai complesso, tanto da far dire a uno studioso riformista d'inizio secolo che "così il bilancio dice assai più o assai meno, come si vuole. Esso resta una sfinge impenetrabile alle grandi masse della Camera, a quelle masse che votano le leggi, che votano le spese, che votano le entrate" (v. Puviani, 1903).Pur essendo molto migliorata la tecnica con cui vengono redatti e gestiti i bilanci pubblici (soprattutto per effetto del contributo dato dall'informatica, che consente una gestione molto più flessibile di quell'enorme data base che è ogni bilancio pubblico), è indubbio che la loro piena comprensione è assai difficile anche per gli addetti ai lavori e non solo per la particolare terminologia a cui si fa ricorso in questo campo. Vale comunque la pena raccogliere qui di seguito le più importanti definizioni convenzionali.
La contabilità di Stato è la disciplina che studia le norme che presiedono alla redazione dei bilanci degli enti pubblici (Stato, enti locali, regioni, ecc.).La Corte dei conti è l'organo costituzionale che controlla preventivamente che nella redazione e nella gestione del bilancio pubblico vengano rispettate le apposite norme di legge di contabilità. La Ragioneria generale dello Stato (che è incardinata nell'ordinamento del Ministero del Tesoro) è l'organo che, oltre a compiere le prime valutazioni per la predisposizione del bilancio preventivo, amministra materialmente il bilancio dello Stato (organo analogo si trova presso ogni ente pubblico decentrato).Nella legislazione della maggioranza degli Stati moderni, al fine della redazione dei bilanci pubblici, sono stati accolti alcuni principî quali quelli dell'universalità (tutte le entrate e tutte le spese devono essere iscritte in bilancio al lordo delle eventuali spese di riscossione o senza alcuna riduzione delle correlative entrate), dell'integrità (sono vietate le gestioni dei fondi al di fuori del bilancio), dell'unità (è vietata l'assegnazione di qualsiasi provento a determinate spese o erogazioni speciali con scopo determinato).
Di norma, nei bilanci pubblici le entrate sono ripartite in: a) entrate correnti (somma delle entrate tributarie con quelle extratributarie); b) entrate finali (somma delle entrate correnti con quelle provenienti dall'alienazione e dall'ammortamento di beni patrimoniali e dalla riscossione di crediti). Esse rappresentano le risorse definitivamente acquisite (o da acquisire) al bilancio per il raggiungimento dei fini istituzionali; c) entrate strumentali (date dalle operazioni di accensione di prestiti); d) entrate complessive (somma delle entrate finali con quelle derivanti dall'accensione di prestiti). Le spese, dal canto loro, sono ripartite in: a) spese correnti (date, sostanzialmente, dalla somma delle spese per la remunerazione dei dipendenti, l'acquisto di beni e servizi, i trasferimenti alle famiglie, alle imprese e ad altri enti pubblici o privati, il pagamento degli interessi passivi maturati sul debito pubblico, gli ammortamenti). Esse sono le spese destinate alla produzione e al funzionamento dei vari servizi, nonché alla redistribuzione dei redditi per fini non direttamente produttivi; b) spese in conto capitale (date, sostanzialmente, dalla somma delle spese per investimenti, partecipazioni azionarie, conferimenti e anticipazioni per fini produttivi e non produttivi). Esse individuano tutte le spese che incidono direttamente o indirettamente sulla formazione del capitale nazionale; c) spese finali (somma delle spese correnti con quelle in conto capitale): rappresentano le somme necessarie all'amministrazione per perseguire i propri fini istituzionali; d) spese strumentali (spese per il rimborso dei prestiti); e) spese complessive (somma delle spese finali con quelle per il rimborso dei prestiti).
Negli anni più recenti (così come al termine delle due guerre mondiali) molti paesi hanno presentato la formazione di un elevato stock di debito pubblico. L'attenzione di molti studiosi e di molti policy makers si è dunque concentrata sulle cause della formazione di tale stock e dunque, in particolare, sulla differenza tra entrate e spese che, anno dopo anno, si somma a quella degli anni precedenti per dar vita al debito pubblico. Con riferimento a tali saldi differenziali è possibile distinguere tra: a) risparmio pubblico, che è il risultato differenziale (di segno positivo o negativo) tra il totale delle entrate correnti e quello delle spese correnti; b) saldo netto da finanziare o da impiegare, che è il risultato differenziale espresso dalla contrapposizione tra le entrate finali e le spese finali; c) indebitamento o accreditamento netto, che è il risultato differenziale tra tutte le entrate e le spese, escluse le operazioni riguardanti le partecipazioni azionarie, i conferimenti, le anticipazioni produttive e non, nonché la concessione e riscossione di crediti e l'accensione e rimborso di prestiti; d) ricorso al mercato, che è il risultato differenziale fra il totale delle entrate finali e il totale delle spese.
Anche del bilancio pubblico esistono diverse versioni. Infatti, il bilancio che viene presentato, da parte degli organi di governo, per la discussione e l'approvazione alle assemblee elettive (parlamento nazionale, consigli comunali, provinciali, regionali, ecc.) può essere: 1) annuale o pluriennale, nel senso che può riguardare sia un solo anno (solare o fiscale, come nel caso degli Stati Uniti dove l'anno di esercizio del bilancio federale va dal 1° ottobre al 30 settembre), sia una molteplicità di anni; 2) preventivo o consuntivo, a seconda che consista in una previsione per l'esercizio (o gli esercizi) immediatamente futuro o nel rendiconto di ciò che è avvenuto nell'esercizio passato; 3) a legislazione vigente o programmatico, nel senso che le poste di bilancio possono essere il risultato della semplice estrapolazione delle tendenze e delle leggi vigenti o, al contrario, possono riflettere l'azione di una politica di bilancio discrezionale adottata al fine di correggere le tendenze in atto; 4) di competenza o di cassa, nel senso che esso può comprendere o le entrate per le quali si prevede che, nel corso dell'esercizio, sorgerà la ragione del credito per l'amministrazione e del debito d'imposta per il contribuente (accertamenti d'entrata) e le uscite per le quali scatta l'obbligazione pecuniaria per ogni amministrazione pubblica (impegni di spesa), oppure le entrate (incassi versati in Tesoreria) e le uscite (pagamenti da parte della Tesoreria dello Stato) che daranno luogo a effettivi movimenti monetari in entrata e in uscita del bilancio (gestione di Tesoreria dello Stato). Visto con gli occhi del cittadino il bilancio di competenza registra il sorgere dei diritti di riscuotere la spesa e dei doveri di pagare le imposte. Quando, nel bilancio del cittadino, tali diritti e doveri si trasformeranno in pagamenti effettivi d'imposta e in incassi effettivi di spesa, troveranno opportuna registrazione anche nel bilancio di cassa dello Stato. Dal confronto del bilancio di competenza con quello di cassa risulta che (dati i diversi stanziamenti di competenza di entrata e di uscita) vi possono essere sia entrate accertate ma non incassate (residui attivi), che dunque costituiscono un credito dello Stato, sia spese impegnate ma non ancora pagate (residui passivi), che costituiscono, dunque, un debito dello Stato. Non costituiscono, invece, un debito dello Stato quegli stanziamenti di spesa (residui di stanziamento), in genere di conto capitale, che 'non impegnati' alla chiusura dell'esercizio vengono tuttavia fatti transitare nel conto dei residui e ivi mantenuti non oltre il terzo anno successivo a quello di riferimento.La legge di bilancio è la legge con la quale viene approvato il bilancio di previsione; essa fissa i limiti e i contenuti della gestione finanziaria dello Stato e ne autorizza l'esecuzione. Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuove spese o nuovi tributi: questi e quelle devono, infatti, essere oggetto di un apposito provvedimento di legge.
La legge finanziaria (introdotta in Italia con legge 5 agosto 1978 n. 468 a parziale imitazione della loi de finance francese) è lo strumento con cui si operano modifiche e integrazioni alle disposizioni legislative che hanno riflessi sul bilancio dello Stato e su quelli degli enti che si ricollegano alla finanza statale. La legge finanziaria che viene presentata al parlamento insieme alla legge di bilancio si caratterizza, dunque, quale strumento della politica economica volto ad attuare le manovre correttive e integrative delle entrate e delle spese pubbliche contenute nel bilancio.
Se, osservato ex post, il bilancio pubblico riflette la storia economica e sociale di un paese, rimane il fatto che ogni paese deve misurarsi anche con i problemi che pone la costruzione di un bilancio ex ante (preventivo). Questo, infatti, è indispensabile al fine di poter adottare tutte quelle decisioni strategiche che sono strettamente inerenti all'azione di ogni governo.Nel corso della costruzione di un bilancio preventivo tre 'funzioni' vanno, secondo tradizione (v. Musgrave, 1959), tenute contemporaneamente presenti al fine di giudicare e proporre variazioni di entrata e di spesa rispetto al bilancio dell'anno precedente.
1. La funzione allocativa, che deve assolvere il compito della produzione dei beni pubblici e della ripartizione delle risorse tra diversi obiettivi, di norma tra di loro concorrenti. La dimensione del bilancio pubblico dipende allora anche dalla frazione di prodotto destinata al soddisfacimento dei bisogni pubblici che, a loro volta, non possono che essere definiti dal sistema di valori dominante in un dato momento storico.
2. La funzione compensatrice, che deve misurarsi con l'andamento congiunturale atteso del sistema economico cercando di stabilizzarne la crescita sulla strada del massimo sviluppo (ma vi è chi contesta tale funzione).
3. La funzione redistributrice, che deve raggiungere alcuni obiettivi di equità e di redistribuzione dei redditi che le sole forze di mercato non riescono a realizzare pienamente. È ovvio che tale azione di governo per la redistribuzione del reddito dipende, in ogni società, da quella che un economista famoso (v. Lundberg, 1985) ha definito in modo assai efficace la "passione per l'eguaglianza" presente nei diversi contesti sociali.
Poiché nello svolgere le tre funzioni appena ricordate tutti i paesi hanno subito un processo di forte lievitazione delle spese pubbliche e dei disavanzi di bilancio, sono state messe allo studio tecniche e procedure di bilancio che consentano di tenere sotto controllo l'andamento della spesa pubblica. Come si vedrà, tali tecniche appartengono quasi tutte al campo delle tecniche previsive al fine di evitare il più possibile che i risultati esposti nei consuntivi siano troppo drammaticamente lontani dalle previsioni.
È vero però che la sede della decisione finale rimane sempre una sede 'politica' (data dall'intreccio tra decisioni governative e parlamentari) e che, dunque, tecniche e procedure di bilancio nulla possono a fronte di una volontà politica tesa ad aumentare la dimensione del bilancio pubblico. Esse, tuttavia, potrebbero consentire di decidere con migliore conoscenza e di adottare soluzioni più razionali.Nelle esperienze internazionali le tecniche per la formazione dei bilanci di previsione si possono ricondurre alle quattro seguenti.
A. PPBS (Planning, Programming, and Budgeting System). Questo metodo venne ideato negli Stati Uniti nel corso della seconda guerra mondiale presso il Dipartimento della Difesa. L'idea che sorregge questa tecnica è che tutte le spese pubbliche correlate al medesimo obiettivo (difesa, giustizia, salute, ecc.) devono essere poste a confronto in base a un'analisi costi-benefici. Si dovrà dunque adottare quella spesa che mostri il maggior rapporto tra benefici e costi.
B. ZBB (Zero-Base Budgeting). Questo sistema suggerisce che ogni anno qualsiasi spesa venga considerata come 'nuova', indipendentemente dalla sua storia e come se non avesse avuto alcun 'passato'. La nuova previsione deve, dunque, essere interamente giustificata anche per la continuazione, ai livelli esistenti, dei programmi di spesa e delle attività approvate in passato.
C. Bilanci per programmi. Sono la trasposizione nel contesto francese del PPBS americano (v. Poinsard, 1985). Tale bilancio deve contribuire in particolare alla trasparenza amministrativa e alla razionalità delle decisioni. La classificazione per oggetto di spesa deve essere affiancata da una classificazione della spesa per funzioni (ad esempio: difesa, istruzione, agricoltura, università, ecc.) al fine di introdurre nei ragionamenti condotti esclusivamente in termini finanziari anche una logica che ponga a confronto i mezzi impiegati con i risultati raggiunti. In sintesi, si tratta di presentare a chi deve decidere non un'unica soluzione, ma una molteplicità di scelte possibili.Nell'esperienza francese, infatti, per ogni programma vengono forniti la descrizione del programma, gli obiettivi presi in considerazione, una tabella di indicatori (di risultati e anche d'impatto ambientale), una scheda finanziaria (sull'arco dei tre anni successivi) e informazioni complementari (ad esempio la ripartizione territoriale dell'intervento pubblico con l'aiuto di cartografie). In altri paesi (come in Canada) si ragiona, invece, sui 'settori' (agricoltura, industria, ecc.) a cui vengono destinati, in via provvisoria, degli ammontari complessivi di risorse. Questi ammontari settoriali vengono poi ripartiti nelle diverse voci e ogni settore può utilizzare le risorse non allocate in una parte per nuovi o ulteriori interventi in altra parte, all'interno dello stesso settore.
D. Incrementale. Questa tecnica, che è la più diffusa e anche la sola applicata in Italia, si limita a considerare le 'variazioni' incrementali da apportare alle entrate e alle spese dell'anno precedente, senza alcuna valutazione sull'opportunità di continuare le attività svolte in precedenza.
Nella realtà nessun bilancio di previsione viene costruito sulla base di una sola tecnica. Ad esempio, la sostanziale 'astoricità' dei metodi PPBS e ZBB non può essere accolta per tutti quei tipi di spesa pubblica il cui andamento dipende soprattutto dall'esercizio dei diritti che le leggi approvate dai parlamenti nazionali assegnano ai cittadini (entitlements). Così, per esempio, nell'esperienza francese si è tentato non solo di seguire alcuni interventi puntuali nel tempo, ma si è cercato soprattutto di presentare in modo nuovo e completo la realtà esistente, che ha origini lontane e di cui è acquisito il proseguimento. In molti paesi è questo il caso della spesa sanitaria o di quella per l'istruzione, che dipendono largamente da una legislazione, iniziata in tempi lontani, che garantisce certi trattamenti ai cittadini. Questi cittadini ogni volta che esercitano il loro diritto di avere tutelata la salute o di ricevere un dato livello di istruzione obbligatoria, determinano anche il fluire di una spesa pubblica che non può essere loro negata. Altre spese, come quella per interessi passivi, dipendono invece largamente dal livello dei tassi d'interesse. Ma questi, in economie sempre più integrate ove vige la libertà di movimento dei capitali, sono sempre più ampiamente determinati dall'estero e dunque sottratti in parte alle decisioni delle autorità di governo del paese che deve costruire il proprio bilancio di previsione. Nelle diverse realtà (a esclusione di quella italiana) assistiamo dunque a un mix di tecniche che tendono a rendere più o meno razionale il processo di bilancio volto a determinare le future entrate e spese pubbliche. In Italia, invece, la previsione di bilancio avviene 'voce per voce' (sono più di cinquemila i 'capitoli' del bilancio dello Stato italiano) e non è mai riportata su macroaggregati più facilmente interpretabili per l'assunzione di decisioni strategiche.
Sebbene sia il governo a presentare il bilancio al parlamento, in realtà, in tutti i paesi, il processo di bilancio inizia assai prima della sessione di bilancio in parlamento (o in consiglio comunale, provinciale, ecc.): si avvia molti mesi prima presso le amministrazioni pubbliche che, in serrato confronto tra di loro, devono predisporre le prime 'bozze' del bilancio per l'anno successivo ed, eventualmente, anche per quelli ancora successivi. In Italia, ad esempio (v. Ministero del Tesoro, 1985), tale processo, per quanto riguarda lo Stato, inizia nel mese di marzo con l'invio a tutti i centri di spesa (ministeri e altre amministrazioni), da parte della Ragioneria generale dello Stato, di una circolare contenente le istruzioni cui detti centri devono attenersi nella formulazione delle loro previsioni-proposte di spesa per il bilancio annuale (di competenza e di cassa) e per il bilancio pluriennale. Questa prima fase, come è stato osservato (v. Ristuccia, 1984), vede nella formazione tecnico-amministrativa del progetto di bilancio il dominio della Ragioneria generale dello Stato che 'negozia' (confrontandosi e scontrandosi) con le altre amministrazioni sotto la responsabilità politica del ministro del Tesoro. La stessa cosa avviene in molti altri paesi ove gli scontri tra Tesoro e ministeri di spesa sono assai aspri.
Le istruzioni che nella fase tecnico-amministrativa devono guidare le amministrazioni nella predisposizione del progetto di bilancio, assai comuni in molti paesi e in particolare in Italia, distinguono, ad esempio, le spese in: a) spese predeterminate legislativamente, il cui onere è esattamente quantificato dalle leggi relative; b) oneri inderogabili, il cui ammontare, non quantificato direttamente dalla legge, va calcolato in modo automatico attraverso meccanismi e parametri desumibili dalle norme stesse; c) spese a carattere discrezionale, i cui ammontari non sono vincolati ad alcuna precisa quantificazione legislativa; d) fondi speciali, cioè accantonamenti destinati alla copertura finanziaria di provvedimenti legislativi che si prevede siano approvati nel corso degli esercizi finanziari compresi nel bilancio pluriennale.
Nella prima fase di costruzione del bilancio preventivo pubblico è dunque l'amministrazione l'organo che, per primo, si esercita nella previsione delle diverse spese pubbliche. Come ha osservato la scuola di public choice prima ricordata, il ruolo della burocrazia ne risulta assai potenziato. In tale situazione, infatti, il 'burocrate' (ovvero colui che si interpone tra i cittadini e i loro rappresentanti politici) assume un peso assai rilevante, nel senso che è in grado di far prevalere il proprio orientamento e spesso anche i suoi stessi interessi in quanto dispone, fra l'altro, di maggiori informazioni sia rispetto ai centri che dovrebbero indirizzarlo, sia rispetto ai cittadini che dovrebbero essere messi in grado di poter controllare la sua azione.
È ovvio che nella fase che si è definita 'tecnico-amministrativa' l'amministrazione non si muove in assenza di vincoli e indicazioni che vengano dal governo. Di norma, infatti: a) con riferimento alle entrate tributarie e contributive il governo indica una propria previsione di crescita reale e monetaria del prodotto interno lordo. Le amministrazioni devono pertanto valutare la dinamica del gettito delle singole imposte (e contributi) facendo riferimento, oltre che alle modifiche legislative intervenute o che potranno intervenire, anche all'evoluzione delle principali variabili macroeconomiche fornita dal governo e a cui i gettiti sono strettamente collegati. Detto con altre parole, l'amministrazione deve assumere un coefficiente di elasticità del gettito delle singole imposte al variare delle basi imponibili. In alcuni bilanci pubblici dal contenuto più normativo (ad esempio nel caso di un bilancio pluriennale programmatico), che alcuni paesi si danno oltre a quello a legislazione vigente, è frequente ritrovare l'indicazione del livello desiderabile della pressione fiscale che diviene l'obiettivo, dunque, dell'azione di governo sull'arco del numero di anni coperto dal bilancio programmatico; b) con riferimento alle spese correnti è frequente riscontrare che il governo si limita a fornire un limite alla 'crescita nominale' di tale aggregato, rinviando ad appositi incontri la definizione della misura in cui ogni singola amministrazione dovrà concorrere al raggiungimento di tale obiettivo. Anche in questo caso si può ritrovare un'indicazione programmatica che, abitualmente, consiste nel raggiungimento di un certo rapporto 'desiderato' tra spesa corrente e prodotto interno lordo; c) con riferimento, infine, alle spese in conto capitale il governo, di norma, richiede che ogni amministrazione individui gli interventi prioritari e che garantisca che non vi siano residui di stanziamento da poter utilizzare a tal fine. Dopo di ciò, anche con riferimento a tale tipo di spesa, il governo indica un tasso di crescita per l'intero aggregato, rinviando alla 'trattativa' con le diverse amministrazioni il compito di non superare tale limite di crescita.
Nei paesi che presentano un rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo assai elevato (come nel caso dell'Italia ove il debito pubblico è - nel 1989 - circa il 100% del prodotto interno) o dove è fuori controllo la formazione dei disavanzi annuali (come nel caso degli Stati Uniti) si va diffondendo la prassi del ricorso all'enunciazione di una regola esterna (formula budgeting) al bilancio pubblico (v. Hanushek, 1986) per la costruzione del bilancio stesso. Nel caso degli Stati Uniti la formula budgeting più famosa (e anche quella che pare abbia avuto minore successo) è quella legata alla legge Gramm-RudmanHollings (per un'illustrazione, una critica e un tentativo di applicazione al caso italiano v. Artoni e altri, 1989). Questa prevede che nel caso in cui il Congresso non riesca ad approvare le leggi di spesa e di entrata coerenti con il raggiungimento di un dato obiettivo di fabbisogno pubblico, intervenga una riduzione automatica delle entrate e delle spese che porti al pareggio del bilancio. Nel caso dell'Italia, invece, la regola esterna assunta più di recente è quella della 'stabilizzazione del rapporto tra debito e PIL' entro un certo numero di anni. Assunta tale 'regola', le indicazioni che il governo fornisce all'amministrazione dovranno dunque risultare coerenti con la possibilità di raggiungere l'obiettivo della stabilizzazione del rapporto debito/PIL (di quanto deve aumentare la pressione fiscale ogni anno e quali vincoli vanno posti, anno dopo anno, alla crescita delle spese correnti e in conto capitale). In precedenza la 'regola esterna' consisteva nell'azzeramento del fabbisogno primario (ovvero, del fabbisogno calcolato al netto della spesa per interessi passivi).
Da quanto detto emerge con chiarezza l'importanza, per le procedure di bilancio, delle ipotesi macroeconomiche (prezzi, tassi d'interesse, disoccupazione, ecc.) da assumere sull'evoluzione futura dell'economia del paese che si sta dando il bilancio pubblico.Nelle esperienze concrete, per far ciò il governo e l'amministrazione (in realtà il Ministero del Tesoro) possono affidarsi sia a proprie stime (come avviene ad esempio negli Stati Uniti o in Gran Bretagna ove sono più o meno affinate e affidabili a seconda della metodologia adottata: se di tipo econometrico o, invece, puramente estrapolativa), sia (come avviene in Italia e in Germania) a enti di ricerca esterni alla pubblica amministrazione, ai quali si chiede di elaborare una previsione che ottenga il 'massimo del consenso' da parte dei medesimi istituti di ricerca coinvolti. A questo proposito è da segnalare la procedura adottata dall'Ufficio del Bilancio del Congresso americano che, non disponendo invece di un proprio modello econometrico, in luogo della ricerca del 'massimo del consenso' ha standardizzato un metodo di utilizzazione dei diversi modelli econometrici esistenti.
Com'è apparso evidente nel capitolo precedente, la dimensione del bilancio pubblico dipende crucialmente non solo dalla 'situazione giuridica' (leggi di entrata e di spesa), ma anche dalla 'situazione economico-sociale' (prezzi, occupazione, crescita reale, tassi d'interesse, ecc.) esterna al bilancio stesso. In altre parole, molte delle variazioni che subiscono le diverse poste del bilancio pubblico sono strettamente endogene al sistema economico a cui tale bilancio si riferisce. Ciò vuol dire che oltre agli effetti discrezionali giuridici ed economici (dovuti cioè a un'esplicita decisione adottata in sede politico-parlamentare, ad esempio quella di finanziare la costruzione di un ponte o di una rete ferroviaria) che dal bilancio pubblico vanno 'verso il sistema politico-economico', vi sono anche effetti automatici assai rilevanti che dal sistema politico-economico vanno 'verso il bilancio pubblico' (dovuti cioè a 'meccanismi' che una volta fissati per legge agiscono senza una preventiva decisione dell'amministrazione o dell'organo politico-parlamentare: ad esempio l'effetto sulle retribuzioni dei dipendenti pubblici dovuto alla loro indicizzazione automatica all'andamento dei prezzi).
Come è stato osservato (v. Ministero del Tesoro, 1985, p. 10), esistono molte leggi che legano l'erogazione della spesa pubblica a parametri 'esterni' al bilancio. Questi possono essere di natura:
A. Economica: tutti i paesi hanno numerose leggi che indicizzano certe erogazioni di bilancio all'andamento dei prezzi (ad esempio l'indennità di 'carovita', come si diceva una volta) o che prevedono che le cosiddette clausole di revisione prezzi possano essere recepite nei contratti per gli appalti per la costruzione delle opere pubbliche o nei contratti di affitto pagati dalle amministrazioni. Nelle esperienze concrete di molti paesi il problema di come trattare la endogeneità del bilancio ai prezzi ha determinato clamorosi insuccessi. Nel caso inglese, ad esempio, si cercò di impostare - negli anni sessanta - il bilancio a prezzi costanti. L'insuccesso derivò non solo dalla conseguente perdita di controllo degli aggregati espressi nei valori nominali (questi, ovviamente, dipendono dal tasso d'inflazione), ma anche dalla difficoltà di distinguere tra variazioni 'reali' e variazioni 'nominali'. E ciò, soprattutto, per la mancanza di informazioni sulla 'produttività', ad esempio, del lavoro svolto dagli addetti nei diversi servizi pubblici. Invece, sul lato delle entrate, l'inflazione gioca un ruolo positivo nel bilancio pubblico, soprattutto se sono in vigore meccanismi automatici di fiscal drag. È noto il caso dell'imposta progressiva personale sul reddito delle persone fisiche: questa, applicandosi con aliquote progressive a imponibili gonfiati dall'inflazione e non solo alla loro crescita 'reale', consente al bilancio dello Stato di incassare gettiti con andamento più che proporzionale all'andamento dei redditi nominali - pure in assenza di ogni decisione discrezionale da parte del governo o del parlamento. Il conseguente rallentamento della crescita del reddito disponibile per il consumo da parte delle famiglie esercita poi un effetto che viene definito di stabilizzazione automatica dell'andamento ciclico dell'economia.
B. Sociale: le situazioni di disoccupazione, di sottoccupazione, di cassa integrazione guadagni sono tutte situazioni soggettive che, previste dalla legislazione, determinano automatiche erogazioni di spesa pubblica a coloro che si trovano in dette condizioni. In considerazione del ruolo (riduzione del conflitto sociale) che queste provvidenze svolgono nelle fasi di recessione economica o in quelle di riconversione e di ristrutturazione aziendale si parla, dunque, di ammortizzatori sociali presenti e operanti nel bilancio pubblico. Per gli effetti di sostegno che tali provvidenze hanno, invece, della capacità di spesa (domanda effettiva) del sistema economico nel suo complesso, esse vengono anche definite (al pari delle imposte progressive) stabilizzatori automatici dell'andamento ciclico dell'economia.
C. Demografica: tutte le legislazioni che contemplano un sistema di previdenza a carico del bilancio pubblico prevedono parimenti che dopo il passaggio di un dato numero di anni 'di servizio' da parte del dipendente si abbia il suo passaggio al pensionamento e dunque alla conseguente spesa a carico del bilancio stesso. Analogamente, i requisiti di lavoro minimo pensionabile conducono a erogazioni automatiche di natura previdenziale o assistenziale. Poiché molti paesi (soprattutto europei) stanno vivendo un periodo - che si prevede di non breve durata - di progressivo invecchiamento delle loro popolazioni, i bilanci futuri dovranno affrontare i difficili problemi legati alla riconversione della spesa pubblica a favore delle classi più anziane della popolazione.
D. Personale: gli stati di malattia delle persone fisiche e la dimensione dei nuclei familiari (così come recepiti nelle legislazioni nazionali) hanno effetti sia sull'erogazione della spesa (sanitaria e per assegni di famiglia), sia sulle entrate (deducibilità dall'imponibile delle spese mediche e detrazione dall'imposta lorda per carichi di famiglia). Ogni volta, dunque, che un cittadino decide di ricorrere all'assistenza medica, impone un onere a carico del bilancio pubblico. Questo comportamento, moltiplicato per milioni di volte - quanti sono i cittadini che ricorrono alla sanità pubblica -, rende dunque alquanto incerta ogni previsione di spesa in questo settore.
E. Organizzativa: le norme sui rapporti classi-studenti (ad esempio, in Italia, nel caso della scuola dell'obbligo, ogni classe non può essere composta da più di 25 studenti. Il che vuol dire che la spesa pubblica per l'istruzione obbligatoria dipende crucialmente dall'andamento demografico e dal relativo 'affollamento' degli studenti nelle classi e dal 'diritto' che i cittadini hanno di ricevere un'adeguata istruzione elementare e media); le norme sui rapporti numerici medici-pazienti (il servizio sanitario italiano prevede che ogni 'medico di base' abbia un numero prefissato di pazienti); quelle sulle ammissioni automatiche di personale (dopo una semplice prova di 'idoneità') nei ruoli delle pubbliche amministrazioni e quelle sulle progressioni automatiche delle carriere nei ruoli sono tutti esempi di spesa pubblica la cui erogazione dipende da parametri 'esterni' al bilancio.
Le considerazioni appena svolte, di ordine prevalentemente qualitativo e tese a sottolineare l'importanza degli effetti automatici che vanno dal sistema politico-economico verso il bilancio pubblico, trovano puntuale rispondenza nell'andamento del disavanzo pubblico in molti paesi occidentali, a far tempo dall'inizio degli anni settanta. Così, nella media dei paesi appartenenti alla CEE, tra il 1970 e il 1988 le entrate correnti sono passate da circa il 36% al 43% del PIL mentre la spesa pubblica è passata dal 36% a quasi il 48% del PIL.
Con riferimento specifico al caso dell'Italia si deve osservare che negli ultimi venti anni le entrate delle amministrazioni pubbliche hanno mostrato un valore del coefficiente della loro elasticità al prodotto interno lordo che è stato sempre inferiore a quello mostrato dalla spesa corrente. Ciò, al pari di altri paesi, è dovuto da un lato anche al rallentamento del processo di crescita indotto dagli shocks petroliferi che ha contenuto la crescita automatica delle entrate pubbliche e, dall'altro lato, al dispiegarsi della legislazione sociale di spesa (sanità, pensioni, cassa integrazione) che ha fatto crescere quest'ultima a un tasso superiore sia a quello delle entrate sia a quello del prodotto nazionale (nel suo valore nominale). Anche per il ruolo svolto da tali fattori, il conto della protezione sociale mostra, in Italia, un saldo negativo che da circa il 5% del PIL nei primi anni settanta è passato a oltre il 7% sul finire degli anni ottanta. Analogamente, la spesa per interessi passivi risente dell'aumento generalizzato (in Italia e all'estero) dei tassi reali dell'interesse: in Italia, tra il 1970 e il 1989, tale spesa è passata infatti da circa il 2,5% del PIL a oltre il 7% dello stesso.
Che vi possa essere un unico bilancio pubblico valido per qualunque esigenza di analisi è un'idea che deve essere abbandonata, posto che sia mai esistita, anche se l'abitudine assai diffusa a ragionare solo con riferimento ai 'saldi' (fabbisogno, disavanzo, ecc.) fa perdere la ricchezza e la complessità dei documenti di bilancio e delle realtà storiche e istituzionali a essi sottese.
È ovvio che ogni organizzazione pubblica di ogni paese è costituita da una molteplicità di enti che devono redigere un 'bilancio pubblico' (pur con diversi nomi, ogni paese, di norma, oltre allo Stato centrale o federale, presenta enti del tipo delle regioni, delle provincie, dei comuni, delle unità sanitarie locali, ecc.). Il bilancio redatto da ogni ente consente allora di giudicare le entrate e le spese pubbliche per il tipo di ente che le amministra. Tali bilanci, redatti secondo criteri omogenei che mettono particolarmente in luce i trasferimenti dal bilancio dell'amministrazione centrale alle amministrazioni periferiche, consentono, ad esempio, di giudicare, anche nei confronti internazionali, il grado di accentramento o di decentramento finanziario: in altre parole i rapporti finanziari tra centro e periferia dell'organizzazione pubblica. Consentono di rispondere a quesiti del tipo: qual è il grado di autonomia impositiva degli enti locali? quale grado di decentramento si ha nelle diverse funzioni pubbliche (istruzione, sanità, ecc.)?
Ogni ente, poi, come è facile intuire, svolge molteplici attività: assistenza, istruzione, difesa, trasporti, ecc. Se l'esigenza è quella di giungere a formulare un giudizio non sul grado di decentramento delle funzioni ma sull'efficienza allocativa delle diverse decisioni di bilancio, si dovrà disporre sia di bilanci 'a livello nazionale' che di bilanci 'a livello locale' redatti secondo criteri appropriati a tale esigenza conoscitiva. Poiché a ogni bilancio - nazionale o locale - corrispondono degli effetti microeconomici legati a quel particolare mercato su cui si confrontano domanda e offerta (ad esempio sul 'mercato' ove si incontrano la domanda e l'offerta di 'sanità' o di 'istruzione' pubblica) ben si comprende come il riassumere il tutto in un unico e tipizzato bilancio pubblico farebbe scomparire le differenze istituzionali, storiche, gestionali che, invece, caratterizzano ogni singolo ente ivi compreso.
L'analisi microeconomica richiede dunque che si ragioni su bilanci di settore assai dettagliati e anche territorialmente disaggregati (la domanda di assistenza, ad esempio, può divergere tra regioni diverse, tra città e campagna, tra giovani e anziani, tra maschi e femmine, ecc.). Si tratta, dunque, di costruire un 'bilancio parallelo' a quello strettamente amministrativo che costituisce lo strumento di autorizzazione delle entrate e delle spese. La classificazione funzionale, che è stata elaborata a livello internazionale, considera le seguenti funzioni: servizi generali, ordine pubblico e sicurezza, difesa, istruzione, sanità, previdenza e assistenza, abitazione, assetto del territorio e igiene pubblica, servizi ricreativi e culturali, servizi economici e spese non ripartite. L'utilizzazione dell'informatica rende tuttavia assai agevole la 'ricomposizione' delle unità elementari del bilancio (i capitoli) per finalità diverse (come quella della valutazione per funzioni) da quelle richieste dalla routine amministrativa.
Nelle sedi delle relazioni internazionali e nelle relative discussioni (ad esempio quelle che si svolgono presso il Fondo Monetario Internazionale o presso l'OCSE) - da quando ha assunto un peso via via crescente il giudizio da dare sulle 'condizioni di salute' della finanza pubblica (di norma misurate dall'ampiezza dei suoi disavanzi) - si è posto il problema di dettare norme comuni ai diversi paesi per la costruzione di bilanci pubblici - assai aggregati - confrontabili internazionalmente, per giudicare l'efficacia delle politiche economiche e di quelle di bilancio in particolare. A questi fini i diversi paesi elaborano, secondo le norme comuni della contabilità nazionale, il bilancio consolidato delle amministrazioni pubbliche. Questo settore raggruppa le unità istituzionali le cui funzioni principali consistono nel produrre per la collettività servizi non destinabili alla vendita (ad esempio la difesa nazionale) e nell'operare (ad esempio tramite le imposte) una redistribuzione del reddito e della ricchezza del paese.
Il settore delle amministrazioni pubbliche è suddiviso in tre sottosettori: a) amministrazioni centrali, che comprendono le amministrazioni centrali dello Stato e gli enti centrali diversi dagli enti di previdenza, che estendono la competenza su tutto il territorio del paese (in Italia: organi costituzionali, escluse le regioni, Agenzia per il Mezzogiorno, Cassa depositi e prestiti, ANAS, e altri minori); b) amministrazioni locali, che comprendono gli enti pubblici la cui competenza è limitata a una sola parte del territorio (in Italia: regioni, provincie, comuni, unità sanitarie locali, università, camere di commercio, istituti autonomi delle case popolari e altri minori); c) enti di previdenza, che comprendono le unità istituzionali centrali e locali la cui attività principale consiste nell'erogare prestazioni sociali finanziate attraverso contributi generalmente a carattere obbligatorio (in Italia: INPS, INAIL e altri).
I bilanci pubblici elaborati secondo le norme della contabilità nazionale (con sufficiente grado di dettaglio sia nelle entrate che nelle uscite) sono del tutto indispensabili al fine della valutazione delle politiche economiche aggregate. Infatti, i bilanci pubblici così costruiti sono omogenei con la costruzione degli altri settori della contabilità nazionale che consentono di valutare l'andamento delle diverse componenti del prodotto interno lordo. La costruzione, ad esempio, di un modello macroeconomico per lo studio e la previsione di un sistema economico necessita dunque (per omogeneità delle definizioni) di bilanci pubblici costruiti secondo le norme della contabilità nazionale al fine, quantomeno, di poter valutare il contributo che ogni componente del conto delle amministrazioni pubbliche apporta alla formazione e alla dinamica del prodotto interno lordo, dei prezzi interni, ecc.
La classificazione economica dei bilanci redatti secondo le norme della contabilità nazionale prevede che le spese siano ripartite in spesa corrente (redditi da lavoro dipendente, consumi intermedi, prestazioni sociali, contributi alla produzione, interessi passivi, altre) e spesa in conto capitale (investimenti lordi, contributi agli investimenti, altre). Dal canto loro le entrate si ripartiscono in entrate correnti (imposte dirette, imposte indirette, contributi sociali, redditi da capitale, vendita beni e servizi, altre) e entrate in conto capitale.
Per le esigenze della conduzione della politica monetaria, invece, può essere sufficiente la costruzione di un altro tipo di bilancio: quello di cassa, comprensivo degli effetti dei movimenti nei conti correnti che gli enti intrattengono con la Tesoreria statale. Infatti, tutti gli incassi e i pagamenti (compresi i trasferimenti agli altri enti) della gestione del bilancio dello Stato transitano per la Tesoreria statale, che si configura, dunque, come un vero e proprio 'cassiere' dello Stato. Poiché l'ammontare dei pagamenti effettuati per conto dello Stato supera, di norma, quello degli incassi, si forma un fabbisogno che deve essere finanziato tramite le disponibilità di altri conti correnti che la Tesoreria intrattiene con altri enti (in Italia: aziende autonome statali, amministrazione delle Poste, Agenzia per il Mezzogiorno, Cassa depositi e prestiti, INPS, regioni, provincie , comuni, USL, ecc.), oppure mediante la vendita ai privati (famiglie, intermediari finanziari, imprese, estero) di titoli di Stato o, infine, tramite l'intervento della banca centrale, che emette nuova moneta. Data l'importanza ai fini monetari della conoscenza della formazione di questo fabbisogno, il bilancio pubblico può essere formato dalle sole due voci degli incassi e dei pagamenti di bilancio e del saldo delle operazioni di tesoreria senza ulteriore specificazione delle componenti di tali aggregati. (V. anche Debito pubblico; Finanza pubblica; Fisco e sistemi fiscali; Politica economica e finanziaria).
Artoni, R., Frangipani, M., Poletti, C., Applicabilità di ipotesi di riduzione automatica del disavanzo e della spesa pubblica italiana, Ministero del Tesoro, Roma 1989, mimeo.
Buchanan, J. M., Tullock, G., The calculus of consent, Ann Arbour, Mich., 1962.
De Viti De Marco, A., I principî dell'economia finanziaria, Torino 1953³, rist. 1961.
Dunleavey, P., Bureaucrats, budgets and the growth of the State: reconstructing an instrumental model, in "British journal of political science", 1985, XV, 3, pp. 299-328 (tr. it.: Burocrati, bilancio e crescita dell'intervento pubblico: la ricostruzione di un modello strumentale, in "Problemi di amministrazione pubblica" Formez, 1986, XI, 1, pp. 9-65).
Goldscheid, R., Finanzsoziologie, Wien 1917.
Hanushek, E., Formula budgeting: the economics and analytics of fiscal policy and rules, in "Journal of policy analysis and management", 1986, VI, 1, pp. 3-19 (tr. it.: Gli aspetti economici e analitici della politica di bilancio in presenza di regole esterne (formula budgeting), in "Problemi di amministrazione pubblica" Formez, 1989, XIV, 2, pp. 285-322).
Lundberg, E., The rise and fall of the Swedish model, in "Journal of economic literature", 1985, n. 1, pp. 1-36.
Ministero del Tesoro, Il bilancio pluriennale nell'esperienza italiana. Problemi e possibili soluzioni, Roma 1985.
Musgrave, R. A., The theory of public finance, New York 1959.
Musgrave, R. A., A brief history of fiscal doctrine, in Handbook of public economics (a cura di A. J. Auerbach e M. Feldstein), vol. I, Amsterdam 1985.
Niskanen, W. A., Bureaucracy and representative government, Chicago 1974.
Pantaleoni, M., Contributo alla teoria del riparto delle spese pubbliche, in "Rassegna italiana", 15 ottobre 1883; ora in Teorie della finanza pubblica (a cura di Franco Volpi), Milano 1975, pp. 47-78.
Parker, D., Is the private sector more efficient? A study in the public v. private debate, in "Public administration bulletin", 1985, n. 48, pp. 2-23 (tr. it.: Ma il settore privato è davvero più efficiente? Un'analisi dell'attuale dibattito, in "Problemi di amministrazione pubblica" Formez, 1986, XI, 2, pp. 110-157).
Poinsard, R., Les budgets de programmes, quinze ans après, in "Économie et prévision", 1985, V, 71, pp. 23-49 (tr. it.: I bilanci per programmi quindici anni dopo, in "Problemi di amministrazione pubblica" Formez, 1986, XI, 3-4, pp. 114-168).
Puviani, A., Teoria della illusione finanziaria, Firenze 1903.
Ristuccia, S., Il processo di bilancio nell'esecutivo: questo sconosciuto, in Il bilancio fra Governo e Parlamento (a cura di S. Ristuccia), Roma 1984, pp. 37-92.
Schumpeter, J., Die Krise des Steuerstaats, Graz-Leipzig 1918 (tr. it.: Stato e inflazione, Torino 1983).
Webber, C., Wildavsky, A., A history of taxation and expenditure in the Western world, New York 1986.
Wicksell, K., Ein neues Prinzip der gerechten Besteuerung, finanztheoretische Untersuchungen, Jena 1896 (tr. it.: Intorno a un nuovo principio di giusta tassazione, in Teorie della finanza pubblica, a cura di Franco Volpi, Milano 1975, pp. 134-182).