In diritto romano, la successione a causa di morte regolata dal pretore e non dal diritto civile. Ha probabilmente un’origine processuale, dal momento che già in età tardo-repubblicana, al fine di definire la posizione di attore e di convenuto nella petitio hereditatis, il pretore usava assegnare il possesso temporaneo dei beni ereditari a chi gli esibisse un testamento apparentemente valido, correttamente sigillato da sette testimoni.
Con il passare del tempo l’istituto acquisì autonomia e sulla base di apposite clausole previste nell’editto la b. venne assegnata anche a prescindere dall’instaurazione di una lite, sia a chi la chiedesse presentando il suddetto testamento (cosiddetto pretorio: b. secundum tabulas), sia a chi la chiedesse in mancanza di quello (b. sine tabulis, significativamente concessa anche a soggetti per tradizione esclusi dalla successione intestata civile, come i parenti di sangue o il coniuge privi di vincolo agnatizio col defunto), sia ai figli emancipati che, in ossequio alle stesse norme del ius civile, non fossero nemmeno contemplati nel testamento (b. contra tabulas).
Al bonorum possessor il pretore accordava una tutela processuale modellata, fittiziamente, su quella dell’erede civile, fintantoché il decorso dei tempi dell’usucapione non lo avesse effettivamente reso proprietario dei beni assegnatigli; in caso di conflitto con l’heres che intendesse far valere formalmente il suo ruolo, il bonorum possessor era inizialmente destinato a soccombere, ma col passar del tempo il pretore individuò dei casi in cui quest’ultimo, mediante apposite eccezioni, avrebbe potuto vittoriosamente resistere persino all’azione petitoria (cosidetta b. cum re), così che la hereditas civile non aveva di fatto, in quei casi, applicazione alcuna.