Bosnia ed Erzegovina
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(v. bosnia, VII, p. 551; erzegovina, XIV, p. 282; bosnia erzegovina, App. II, i, p. 441; III, i, p. 255; iugoslavia, App. IV, ii, p. 275; V, iii, p. 86)
Geografia umana ed economica
Popolazione
La Repubblica di B. ed E. è uno dei paesi sovrani nati dalla dissoluzione della vecchia Iugoslavia (1992), che ha rischiato di scomparire nella successiva guerra civile, caratterizzata da devastazioni e dalla cosiddetta 'pulizia etnica'. Si è poi assestata (con gli accordi di Dayton, 1995; v. oltre: Storia) in una nuova originale forma di unità politico-territoriale: Stato unico diviso in due entità largamente autonome, l'una croato-musulmana (Federazione di Bosnia ed Erzegovina - Federacija Bosna i Hercegovina - 51% del territorio) e l'altra serba (Repubblica serba - Republika Srpska - 49%); entità i cui confini interni sono stati tracciati nel tentativo di rispettare le complicate divisioni etniche.
In una popolazione valutata in meno di 3,7 milioni di ab. nel 1998, secondo stime delle Nazioni Unite (e pertanto drasticamente diminuita rispetto agli anni precedenti la guerra civile: 4,4 milioni al censimento del 1991), i due gruppi etnico-religiosi principali, e ferocemente rivali, sono quello dei Musulmani (44% della popolazione complessiva nel 1991) e quello dei Serbi, di religione cristiana ortodossa (31%); seguono, per consistenza numerica, i Croati (17%), di fede cattolica, che si sono in definitiva collegati con i Musulmani, i Montenegrini, ortodossi, e altri gruppi minori.
Capitale della B. ed E. (nonché dell'entità croato-musulmana) è la martoriata e semidistrutta città di Sarajevo, la cui popolazione ammontava a più di 400.000 ab. al censimento del 1991 ed era scesa nel 1997, secondo una stima, a 360.000. La seconda città del paese, Banja Luka, conta circa 140.000 ab.; restano al di sotto dei 100.000 tutti gli altri centri urbani, i maggiori dei quali sono Zenica, Tuzla e Mostar, capoluogo della regione storica dell'Erzegovina; di dimensioni decisamente minori è la cittadina di Pale, dove si è insediata la capitale dell'entità serba. La popolazione di tutte queste città, nel corso degli anni Novanta, ha subito variazioni sia nel numero (ovviamente di segno negativo, per perdite ed esodi), sia nella composizione etnica, per fughe, espulsioni e 'scambi' di gruppi delle diverse etnie.
Condizioni economiche
Le attività agricole, nel complesso modeste e praticate soprattutto nella valle della Sava, si basano sulla coltivazione dei cereali (mais e secondariamente grano), della patata e degli alberi da frutta. Le ampie aree carsiche dell'Altopiano Dinarico sono utilizzate invece per l'allevamento, soprattutto degli ovini. Importanti sono le foreste, che si estendono sul 40% della superficie territoriale del paese. Le risorse del sottosuolo sono tutt'altro che irrilevanti: buona è la produzione di lignite, non trascurabili le riserve di minerali metallici (di ferro, di rame e di alluminio). Sono presenti industrie varie, specialmente dei comparti metallurgico, meccanico, alimentare e del legno, concentrate essenzialmente nelle città di Sarajevo, Banja Luka e Zenica.
Peraltro, tutte le attività produttive, in particolare quella industriale, hanno subito distruzioni, danneggiamenti o comunque pesanti ridimensionamenti nel corso della guerra civile: la B. ed E. vive essenzialmente, sul finire del millennio, degli aiuti economici internazionali. Nel medio termine sembra profilarsi, più che un'organizzazione unitaria dell'economia del paese, un orientamento delle relazioni economiche dell'entità croato-musulmana verso la Croazia e i paesi centro-europei e dell'entità serba verso la Repubblica Federale di Iugoslavia.
bibliografia
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Storia di Lucia Betti
Nel contesto della disgregazione iugoslava, la B. ed E. fu teatro dall'aprile 1992 di un violento conflitto che, durato fino al novembre 1995, vide contrapporsi i progetti politico-istituzionali elaborati da tre partiti nazionalisti (uno serbo, uno croato, uno musulmano) allo scopo di rendere etnicamente omogenei i territori da questi dominati. La separazione della B. ed E. dalla Iugoslavia (6 aprile 1992, giorno della dichiarazione d'indipendenza del paese) era stata avversata dal Partito democratico serbo (Srpska Demokratska Stranka, SDS), che intendeva salvaguardare le proprie relazioni con Belgrado e con le altre aree serbe già parte della federazione iugoslava. Esso rifiutava, inoltre, la prospettiva che vedeva i serbo-bosniaci divenire una minoranza in uno Stato indipendente la cui componente etnica maggioritaria era quella musulmana. Nel campo musulmano, in cui inizialmente era apparsa dominante la volontà di preservare l'unità del paese, si diffuse progressivamente anche l'idea di creare un proprio Stato, la 'Muslimanija', quale passaggio necessario per salvaguardare e incrementare le peculiarità religiose e culturali dei musulmani in Bosnia e nel Sangiaccato. Era stato quest'ultimo, fin dal 1990, uno degli obiettivi prioritari della maggiore formazione politica dei musulmani, il Partito d'azione democratica (Stranka Demokratske Akcije, SDA), guidato dal presidente della Repubblica, A. Izetbegović. Infine, per quanto riguarda i croato-bosniaci, il loro partito più forte - la Comunità democratica croata (Hrvatska Demokratska Zajednica, HDZ) - fu inizialmente alleato dei musulmani in funzione antiserba, ma ben presto entrò con essi in aperto conflitto, con l'obiettivo di consolidare il proprio controllo sull'Erzegovina e la Bosnia centrale e realizzare l'unificazione con la Repubblica di Croazia. Non fu quindi solo una guerra fra eserciti regolari o tra truppe non regolari per la conquista di territori: fra i nazionalisti prevalse la volontà di rendere le aree conquistate etnicamente omogenee con la conseguenza che la violenza si diresse in maniera estremamente cruenta contro la popolazione civile, i non nazionalisti, i matrimoni misti, e qualsiasi forma di dialogo e di rispetto della realtà multiculturale del paese. Una parte della popolazione bosniaca rimase comunque fedele, pur nelle drammatiche condizioni del periodo bellico, alla prospettiva di una civile convivenza interetnica. Dopo quattro anni di combattimenti che comportarono la devastazione delle città bosniache, delle infrastrutture, del tessuto economico e sociale, circa duecentomila morti, un numero incalcolabile di feriti e invalidi e 2.700.000 fra profughi e sfollati, gli accordi di pace imposti dagli USA, siglati alla fine del 1995 da S. Milošević, F. Tudjman e Izetbegović (rispettivamente leader di Serbia, Croazia e B. ed E.), confermarono almeno in parte, di fatto, la situazione creata dalla guerra, congelando i risultati della pulizia etnica realizzati sul campo dalle truppe regolari e dalle milizie.
Il processo di disgregazione della federazione iugoslava, dopo l'indipendenza di Slovenia e Croazia (giugno 1991), proseguì attraverso lo smembramento della Bosnia ed Erzegovina. Il 7 aprile 1992, R. Karadžić (leader del SDS), dopo aver rapidamente occupato circa il 70% del territorio bosniaco, proclamò la nascita della Repubblica serba di B. ed E., con capitale Pale. In risposta, i Croati dell'Erzegovina costituirono l'autoproclamata Comunità croata di Herceg-Bosna (15 maggio 1992), con capoluogo Mostar Ovest e presidente M. Boban, della HDZ, poi divenuta Repubblica di Herceg-Bosna il 28 agosto 1993. Fra queste date si inserisce quella della dichiarazione d'indipendenza dalla federazione iugoslava della Bosnia ed Erzegovina, il 6 aprile 1992. Successivamente, nella Bosnia nord-occidentale, una fazione di musulmani secessionisti, guidata da F. Abdić, dichiarò autonoma la zona di Bihać (Zapadna Bosna) nel settembre 1993. Così che, sotto il controllo del governo di Izetbegović non rimaneva, alla fine di quell'anno, che il 9% cica del territorio bosniaco. Al tempo stesso, nel corso del 1993, si era registrato un inasprimento del conflitto croato-musulmano che aveva provocato grandi tragedie nella Bosnia centrale. Uno dei simboli dell'asprezza degli scontri divenne, poi, l'abbattimento, da parte della milizia locale croata, del Vecchio Ponte (Stari Most), che rese ancora più tangibile la divisione della città di Mostar: la parte Ovest (croata) e la parte Est (musulmana), quasi completamente rasa al suolo dai bombardamenti croati.
Forze di interposizione dell'ONU (United Nations Protection Force, UNPROFOR) furono dispiegate a Sarajevo (sotto assedio serbo dall'aprile 1992) e in altre zone del paese fin dal giugno 1992, mentre nel settembre dello stesso anno una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU bandì i voli militari sullo spazio aereo della B. ed E.; il 6 maggio 1993, inoltre, sei città musulmane (Sarajevo, Bihać, Goražde, Srebrenica, Tuzla, Žepa) assediate dai serbo-bosniaci furono poste sotto la protezione dell'UNPROFOR, ma nel complesso l'azione dell'ONU continuò a dimostrarsi inadeguata rispetto alla violenza del conflitto. Parallelamente a un sempre maggior coinvolgimento da parte degli Stati Uniti sul piano diplomatico, la comunità internazionale favorì un progressivo accrescimento del ruolo delle forze NATO: a queste fu affidato, nel marzo 1993, il compito di imporre il rispetto dei voli militari e dall'autunno quello di intervenire contro le forze serbo-bosniache per ridurre la pressione sulle 'città protette'. L'accresciuta pressione diplomatica statunitense portò inoltre alla firma, da parte dei presidenti croato e bosniaco, Tudjman e Izetbegović, degli accordi di Washington, il 18 marzo 1994, con i quali fu definita la creazione della Federazione di B. ed E., possibilmente confederata a Zagabria e comprendente circa il 30% del territorio bosniaco. Con la creazione della nuova entità, il termine musliman "musulmano" (la denominazione Muslimani indicava, sotto Tito, gli appartenenti alla comunità degli slavi islamizzati) fu sostituito da bošnjak, a sua volta diverso da bosanac, termine che designa genericamente il cittadino della Bosnia. L'accordo pose fine alla guerra tra l'esercito della B. ed E. e le truppe croate, che, nuovamente alleati, lanciarono nei mesi successivi una serie di offensive vittoriose contro i serbo-bosniaci. Si registrò così un primo mutamento nei rapporti di forze fra le fazioni belligeranti. Inoltre, in luglio, dopo il rifiuto da parte dei serbo-bosniaci di un nuovo piano di pace, il governo di Belgrado (sottoposto a forti pressioni internazionali) impose loro un embargo economico. Il piano, incentrato sulla spartizione della Bosnia fra serbo-bosniaci (cui andava il 49% del territorio) e Federazione di B. ed E. (alla quale veniva assegnato il 51%), era stato elaborato, dopo il fallimento dei precedenti piani di pace ('Vance-Owen' e 'Stoltenberg-Owen') dal cosiddetto gruppo di contatto, promosso dagli Stati Uniti e comprendente Francia, Gran Bretagna, Germania e Russia, e successivamente anche l'Italia (fig. 1).
Nel corso dei primi mesi del 1995 i combattimenti si intensificarono su tutto il territorio bosniaco, in particolare nella Bosnia centrale, dove si verificarono offensive dei croati e dei bosniaci contro i serbi. Successivamente anche i serbo-bosniaci intensificarono le operazioni militari e, approfittando di un tentativo musulmano di liberare Sarajevo dall'assedio, in luglio assalirono le 'zone protette'. L'attacco più tragico venne sferrato a Srebrenica, assediata per quasi tre anni, dove il massacro pianificato dal generale R. Mladić, capo militare dei serbo-bosniaci, fece dalle 4.000 alle 11.000 vittime. Gli eccidi e la pulizia etnica non trovarono fine ed episodi di estrema gravità, compiuti da tutte le parti menzionate, si verificarono a Tuzla, Žepa, Bihać, mentre la piazza del mercato di Sarajevo diveniva teatro di ripetute stragi. Nei primi giorni di settembre veniva infine lanciato uno schiacciante attacco delle forze aeree NATO contro i Serbo-Bosniaci. Il ridimensionamento delle posizioni di questi fu accompagnato da un progressivo avanzamento del difficile processo negoziale e alla fine di ottobre ebbero inizio a Dayton (Ohio, negli USA) le trattative di pace. Il 20 novembre, Milošević per i Serbi, Tudjman per i Croati e il presidente bosniaco Izetbegović firmavano un accordo di pace che permetteva la cessazione delle ostilità (fig. 2).
Il trattato di pace, solennemente ratificato a Parigi il 14 dicembre 1995, prevedeva il mantenimento di uno Stato bosniaco, la B. ed E., costituito da due entità: la Federazione di B. ed E. (croato-musulmana) e la Repubblica serba, entrambe dotate di ampie autonomie, una propria Costituzione, tutti gli organi caratteristici di uno Stato e la possibilità di stabilire rapporti privilegiati con Croazia e Serbia: si configurava così il rischio di una spartizione del paese in due (con l'eventualità dell'annessione della Federazione di B. ed E. alla Croazia e della Repubblica serba alla Serbia), o addirittura in tre (con il mantenimento di un'entità islamica indipendente, la 'Muslimanija'); l'attribuzione della città di Brčko, di importanza strategica sia per la Repubblica serba sia per la Federazione, veniva affidata a un arbitrato internazionale. La Costituzione della B. ed E. prevedeva, inoltre, la creazione di una Presidenza collegiale, ossia costituita da tre membri (uno musulmano, uno serbo e uno croato), che a turno avrebbero assunto la carica di presidente della Presidenza, e di un governo, una Corte costituzionale e una Banca centrale comuni. I profughi, per le elezioni che dovevano tenersi in tempi brevi, potevano scegliere se votare nel paese d'origine o se votare nel luogo dove si erano rifugiati. Tale libertà di scelta era già indicativa del timore di non potere o di non volere garantire in tempi brevi il rientro dei profughi, peraltro previsto dall'accordo. L'ambiguità di fondo di quest'ultimo, però, consisteva nell'aver riconosciuto una B. ed E. unita, ma divisa in due entità, alle quali si chiedeva peraltro solo di adattarsi allo 'spirito' degli accordi di Dayton. Gravi difficoltà nell'applicazione dell'accordo si registrarono, per es., fra la comunità croata e quella musulmana nell'Erzegovina: in particolare a Mostar la tensione continuò a essere alta e la città divisa, mentre la Repubblica di Herceg-Bosna, ufficialmente dissolta il 1° agosto 1996 in base al dettato degli accordi di Dayton, continuava di fatto a esistere. Gli accordi di pace stabilirono inoltre la presenza nel paese di un Alto rappresentante della comunità internazionale, investito del compito di sovrintendere alla realizzazione di quanto stabilito dagli stessi accordi, mentre dal dicembre 1995 l'UNPROFOR era stata sostituita da una forza internazionale sotto il comando della NATO (fig. 3).
Le elezioni presidenziali si svolsero il 14 settembre 1996: ogni gruppo nazionale elesse un proprio rappresentante nella Presidenza collegiale e Izetbegović, risultato primo fra i candidati musulmani, ottenne un numero di voti maggiore anche rispetto al vincitore fra i candidati croati e al vincitore fra quelli serbi, rispettivamente K. Žubak (della HDZ) e M. Krajišnik (della SDS), assumendo così la carica di presidente della Presidenza della B. ed Erzegovina. Si svolsero contemporaneamente le elezioni per la Camera dei rappresentanti (il Parlamento della B. ed E.), che videro confermata la preponderanza, fra i tre gruppi nazionali, dei rispettivi partiti nazionalisti. Le contemporanee elezioni per la presidenza della Repubblica serba vedevano l'affermazione di B. Plavšić, della SDS (il fondatore del partito e presidente della Repubblica serba dal 1992, R. Karadžić, fu costretto a dimettersi perché ricercato dal Tribunale penale internazionale dell'Aia per crimini di guerra, insieme al gen. Mladić), mentre alla presidenza della Federazione di B. ed E. rimaneva Žubak. La preponderanza dei partiti nazionalisti venne nuovamente confermata dalle elezioni amministrative svoltesi nel settembre 1997, dopo diversi rinvii dovuti al sospetto di manipolazioni delle liste elettorali. In tale occasione un risultato relativamente positivo venne comunque raggiunto, nella Federazione di B. ed E., dalla Lista unita (coalizione di forze non nazionaliste, prevalentemente di ispirazione socialdemocratica), e nella Repubblica serba dai socialdemocratici, peraltro favoriti dal contrasto emerso fra Karadžić e la Plavšić e dalla conseguente rottura del monolitismo della SDS. Nato come contrapposizione di tipo personale nella gestione del potere, tale contrasto acquisì i caratteri di un conflitto politico (la presidente Plavšić, inizialmente esponente del nazionalismo serbo più intransigente, si spostò progressivamente su posizioni più moderate) e rischiò di portare alla spaccatura della Repubblica serba, con il governo, rimasto fedele a Karadžić insediato a Pale, e la presidenza nella città di Banja Luka. La mediazione del presidente iugoslavo Milošević portò alla convocazione di elezioni parlamentari anticipate. Svoltesi nel novembre 1997, le consultazioni videro la SDS, rimasta espressione dei fedeli di Karadžić, perdere la maggioranza assoluta dei voti e l'Alleanza popolare serba, costituita dalla Plavšić, aggiudicarsi il 20% dei consensi. Nel gennaio 1998 la presidente Plavšić nominò premier il leader socialdemocratico M. Dodik, che ottenne l'appoggio di tutti i partiti non nazionalisti, compresi i rappresentanti dei musulmani. Dalla fine del 1997 anche la dirigenza della HDZ della Federazione di B. ed E. era profondamente divisa e i forti contrasti si acuirono con l'elezione alla presidenza del partito (maggio 1998) di A. Jelavić, sostenitore di un nazionalismo intransigente e della necessità di mantenere in vita l'Herceg-Bosna. Ne seguì la fuoriuscita dal partito della componente più moderata, guidata da Žubak, che nel giugno successivo diede vita a una nuova formazione di orientamento cristiano-democratico, denominata Nuova iniziativa croata (Nova Hrvatska Inicijativa, NHI).
Dopo le elezioni legislative e presidenziali, svoltesi il 12-13 settembre 1998, il quadro che scaturiva dalle consultazioni - i cui risultati erano stati monitorati dall'Ocse - vedeva come presidente della Presidenza della B. ed E. il serbo Ž. Radišić (rappresentante della coalizione Sloga, in cui la maggioranza era rappresentata dal partito della Plavšić, l'Alleanza del popolo serbo, SNS), uomo più moderato di M. Krajišnik della SDS di Karadžić, ma espressione del partito socialista di Miloševic. Alla Presidenza collegiale venivano inoltre eletti Izetbegović (candidato della Coalizione per una B. ed E. unita e democratica, KCD, guidata dalla SDA) e Jelavić (candidato della HDZ), in rappresentanza, rispettivamente, dei Bosniaci e dei Croato-Bosniaci. N. Poplašen, stretto alleato del vice premier della Repubblica federale della Iugoslavia, Šešelj, e candidato del Partito radicale serbo (Srpska Radikalna Stranka, SRS), in queste elezioni ha scalzato dalla presidenza della Repubblica serba la più moderata B. Plavšić. Alla presidenza della Federazione di B. ed E. restava E. Ganić, già in carica dal marzo 1997. Il futuro della B. ed E. era comunque ancora in movimento e dipendente dall'atteggiamento internazionale e dall'evolversi degli avvenimenti nel contesto regionale (v. kosovo; macedonia, in questa Appendice), con tensioni isolazioniste a Pale e islamiche o saudite, in crescita, nel partito di Izetbegović. Fino a questa data lo Stato era regolato da 13 Costituzioni (quella della B. ed E., delle due entità e dei 10 cantoni della Federazione di B. ed E.), disponeva di tre eserciti, e in esso circolavano quattro monete (il dinaro bosniaco, il dinaro iugoslavo, la kuna croata e il marco tedesco) cui si era aggiunta, dall'aprile 1998, il marco convertibile. L'economia rimaneva nel caos e le ripercussioni sociali divenivano sempre più gravi. Fra profughi e sfollati oltre il 60% della popolazione viveva ancora in casa d'altri, senza certezze rispetto al problema abitativo e con grandi differenze di reddito: nella Repubblica serba il salario medio si aggirava intorno ai 35 marchi tedeschi, nella Federazione di B. ed E. intorno ai 220 e nella Hergec-Bosna intorno ai 350. La disoccupazione raggiungeva il 60% in tutta la B. con punte dell'80% nella Repubblica serba. La produzione industriale registrava soltanto il 6÷8% dei livelli raggiunti nel periodo prebellico.
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