Vedi Bulgaria dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
L’assedio al Parlamento, nel luglio 2013, ha rappresentato il culmine delle grandi proteste di massa scoppiate in giugno: la piazza ha messo sotto accusa ‘l’oligarchia’ al potere, dopo aver fatto cadere il governo in febbraio. Le elezioni anticipate del maggio 2013 non hanno placato il malcontento. Eppure, dopo le manifestazioni di piazza nel novembre 1989 e le prime elezioni multipartitiche (1990), la Bulgaria aveva avviato un processo di apertura democratica e di transizione dall’economia di stampo socialista, imposta dal 1946, a quella di libero mercato. La profonda crisi economica e le misure di austerità adottate hanno rivelato anche i limiti del processo di sviluppo.
Sul piano politico internazionale, il paese ha perseguito una moderatamente filoccidentale che, pur salvaguardando gli amichevoli rapporti con la Russia, l’ha portato ad aderire all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) nel 1996, alla Nato nel 2004 e all’Unione Europea (Eu) nel 2007.
Dopo il 1989 anche i rapporti con gli Usa si sono evoluti positivamente, a partire dal trattato bilaterale sugli investimenti del 1994 e alcuni più recenti accordi di cooperazione in materia di difesa e sicurezza. La Bulgaria è dipendente dalle importazioni di gas dalla Russia e i due paesi collaborano all’ipotesi di costruzione e gestione della parte bulgara del gasdotto South Stream – deputato al trasporto del gas russo verso l’Europa centrale, attraverso il Mar Nero e il paese balcanico. Al contempo, Sofia sta perseguendo una strategia di diversificazione energetica per alleviare i suoi problemi di dipendenza.
Il processo di democratizzazione e quello di liberalizzazione economica sono andati di pari passo e sono stati sostenuti dal cammino bulgaro verso l’integrazione nell’Eu. A seguito della domanda di adesione, presentata nel 1995, Bruxelles ha svolto un ruolo determinante nel promuovere e accelerare le riforme economiche. Anche dopo l’adesione, la Commissione europea continua a monitorare alcuni settori critici, come la giustizia e la sicurezza, ritenendo inadeguate le misure adottate per combattere la corruzione e il crimine organizzato. Inoltre il paese, pur soddisfacendo i criteri tecnici per aderire alla Convenzione di Schengen, non ne fa ancora parte.
Con l’inizio del nuovo secolo la Bulgaria ha concentrato la propria attività diplomatica sullo sviluppo di buoni rapporti di vicinato. Se da una parte la Grecia, avversario storico, ha fermamente sostenuto l’ingresso di Sofia nell’Eu, dall’altra le relazioni con la Macedonia restano controverse. Riconosciuta dal governo bulgaro nel 1992, la Macedonia ha concluso con Sofia importanti accordi commerciali, ma le questioni legate alla tutela dei diritti della minoranza macedone creano ancora tensioni. Ugualmente complessi sono i rapporti con la Turchia: dopo il raffreddamento delle relazioni durante gli anni Ottanta, dovuto al rimpatrio forzato di migliaia di Turchi stabilitisi in Bulgaria, oggi i due paesi hanno relazioni più distese, tanto da concludere un accordo di libero scambio.
La Bulgaria è parte dell’Organizzazione per la cooperazione economica del Mar Nero (Bsec), assieme agli altri paesi rivieraschi, alle repubbliche caucasiche di Armenia e Azerbaigian, alla Moldavia, alla Serbia e all’Albania.
Nonostante la libertà di religione sia tutelata dalla Costituzione, le minoranze etniche e religiose sono comunque discriminate. In particolar modo i Rom, poco rappresentati politicamente e ripetutamente oggetto di manifestazioni xenofobe e tra le maggiori vittime del traffico di persone. Il settore dell’istruzione ha risentito della riduzione dei fondi disponibili nell’epoca post-sovietica, con un conseguente lieve peggioramento della sua qualità (nel 2011 la spesa per l’istruzione superava di poco il 4% del pil). Tuttavia l’accesso all’istruzione è in crescita: il numero di laureati sta aumentando (54.910 nel 2008 rispetto ai 46.038 del 2005); più della metà sono donne (33.721). Viceversa, il numero di bambini non iscritti alla scuola primaria sta diminuendo (dai 16.598 del 2005 ai 6767 del 2008). Le donne rimangono sottorappresentate in politica; alle elezioni del 2009 hanno guadagnato il 21% dei seggi in parlamento. In quelle del 2013 rappresentavano il 33% dei candidati. Pur essendo la libertà di espressione un diritto sancito dalla Costituzione e generalmente rispettato, un aspetto critico concerne l’indipendenza dei media bulgari, parzialmente compromessa da pressioni politiche ed economiche. La maggior parte dei giornali appartiene a banche o imprese private, mentre la pubblicità del governo e delle imprese pubbliche rappresenta una delle maggiori fonti di introiti, il che spinge i giornalisti verso l’autocensura.
A sei anni di distanza dal suo ingresso nell’Unione Europea, la Bulgaria rimane il paese più povero dell’Eu. Con una media salariale di circa 400 euro al mese, un reddito pro capite di 14.870 dollari l’anno, una moderata crescita del pil (solo 0,5 % nelle stime dell’Imf dell’ottobre 2013) e un terzo della popolazione che vive sotto la soglia di povertà, Sofia non è riuscita a migliorare le condizioni di vita generale della popolazione. Negli anni Novanta, nella fase di riconversione economica, il paese è stato travagliato da ricorrenti crisi. Tuttavia, tra il 2003 e il 2008 l’economia bulgara ha conosciuto una forte ripresa, crescendo ad un tasso medio superiore al 5,5% annuo, salvo poi conoscere una battuta d’arresto nel 2009, durante la crisi economica mondiale. Anche le finanze pubbliche sono state riassestate nell’ultimo decennio e una serie di surplus fiscali ha ridotto il debito del paese dal 70% del pil nel 2000 al 14,1% nel 2008, salvo poi subire un lieve incremento nel corso degli ultimi cinque anni assestandosi (18%).
La composizione dell’economia è lentamente mutata, passando da una netta preminenza dell’industria sovietica nel 1989 all’attuale prevalenza del settore dei servizi (per circa il 64%). La riconversione ha generato un elevato tasso di disoccupazione (12,4%), che ha afflitto il paese per un quindicennio e che, con la crisi economica internazionale, è tornata a superare la doppia cifra.
La Bulgaria ha fatto segnare deficit costanti di bilancia commerciale, soprattutto in ragione del fatto che il suo sistema economico dipende in buona misura dall’importazione di energia. Non è un caso se le esportazioni bulgare sono dirette principalmente verso i paesi dell’Eu e sono costituite da prodotti finiti o semilavorati, mentre le importazioni provengono soprattutto dalla Russia e si compongono di idrocarburi (la quasi totalità del gas consumato dal paese è russo). Nonostante la necessità di importare energia, la Bulgaria resta comunque dipendente dall’estero solo per il 39% dei suoi consumi energetici interni. Ciò accade perché il paese, oltre a produrre circa tre quarti del carbone che consuma, dispone di una centrale nucleare che soddisfa il 23% dei suoi consumi energetici.
D’altra parte, tra le condizioni poste dall’Eu all’ingresso della Bulgaria vi era la richiesta di chiusura, per ragioni di sicurezza, di due dei quattro reattori della centrale di Kozloduy, sul Danubio. La generazione di elettricità della centrale è così diminuita, dal 2006, dal 45% a circa il 35% del totale della produzione elettrica nazionale. Il progetto di costruire una nuova centrale nucleare a Belene è tramontato a causa della crisi finanziaria e al suo posto sarà realizzata una centrale a gas, aumentando la dipendenza nazionale dalle importazioni energetiche. Gli approvvigionamenti di gas della Bulgaria dovrebbero tuttavia essere garantiti dalla realizzazione di South Stream, rendendo il paese sempre più snodo centrale delle strategie energetiche e infrastrutturali europee.
Il bilancio del ministero della difesa è stato sottoposto a forti pressioni anche a causa della scelta di Sofia di dimostrare la sua fedeltà politica agli Usa con il dispiegamento militare in diverse missioni all’estero. Lo schieramento di un contingente di 400 unità in Iraq e oltre 500 in Afghanistan ha avuto luogo già nel 2003 (prima dell’ingresso ufficiale del paese nell’Alleanza atlantica, verificatosi nel 2004).
La decisione, impopolare, di partecipare anche alla missione in Iraq fu rivista già nel dicembre 2005, quando il governo scelse di ritirare le proprie truppe. A fare da contraltare a questa decisione, Washington e Sofia avevano appena siglato un accordo di cooperazione in materia di difesa, che concede all’esercito Usa l’accesso e l’utilizzo congiunto di gran parte delle basi militari nel paese.
Per mesi la popolazione bulgara è scesa in piazza per protestare contro il caro carburante e la corruzione politica imperante. Nel tentativo di far uscire il paese dalla crisi, il presidente della repubblica Rosen Plevneliev ha indetto elezioni parlamentari anticipate, il 12 maggio 2013, che hanno portato alla formazione di un governo tecnico sostenuto dai socialisti del BSP e dal partito della minoranza turca, il Movimento Movimento per i diritti e le libertà (DPS), e che ha beneficiato dell’astensione decisiva degli ultranazionalisti di Ataka. Il GERB di Boyko Borisov, sebbene sia partito di maggioranza relativa con 97 su 240 seggi, è passato, invece, all’opposizione. Appena insediato, il nuovo esecutivo è stato accusato di agire in continuità con il precedente governo e di essere colluso con la mafia a causa della nomina, poi revocata, di Delyan Slavchev Peevski alla direzione del Dipartimento di sicurezza nazionale (SANS).
Peevski era già stato sospettato di corruzione nel corso della sua carriera politica. Proteste e malumori alimentati anche dalla riforma del SANS – che da semplice unità di analisi è stata trasformata in una struttura dotata di poteri di polizia e di indagine – e dall’uso politico delle intercettazioni avvenute durante la precedente legislatura Borisov.
Il Movimento per i diritti e le libertà (DPS) é il partito di riferimento della minoranza turca in Bulgaria (750.000 residenti). Il DPS, che ha conosciuto un’ascesa costante tra il 2001 (quando aveva raccolto il 7,5% dei suffragi) e il 2009 (14,5%), è, sin dalla sua fondazione (1990), sotto la guida di Ahmed Dogan, ex dissidente durante il periodo sovietico. Dogan, fautore del successo del partito, è molto criticato per il controllo pressoché totale che esercita su di esso. Lo scorso gennaio è sfuggito a un tentativo di assassinio durante un comizio a Sofia da parte di un cittadino bulgaro di origine turca: i moventi andrebbero ricercati nelle lotte intestine in seno al DPS. Il programma del partito è rimasto sempre nell’alveo della moderazione e ha ignorato le richieste del fronte separatista. Piuttosto ha portato avanti le richieste di più ampi diritti culturali, religiosi ed economici per la minoranza turca. Il risultato è stato però così deludente da suscitare pesanti critiche: di fatto il sistema di discriminazioni nei confronti dei cittadini di origine turca non è stato abbattuto.
Fin dal suo ingresso nell’EU (1° gennaio 2007), la Bulgaria ha dovuto adottare riforme relative al sistema giudiziario, alla lotta alla corruzione e al crimine organizzato. L’EU decise di creare uno specifico ‘meccanismo di cooperazione e verifica’ per aiutare la Bulgaria ad affrontare tali questioni. I principali parametri del meccanismo prevedono che il paese debba: abolire ogni ambiguità nella Costituzione circa l’indipendenza del sistema giudiziario; prendere misure contro la corruzione alle frontiere e nei governi locali; attuare una strategia per combattere il crimine organizzato incentrata sul contrasto a gravi reati e al riciclaggio, procedendo anche alla confisca dei patrimoni criminali. Il rapporto 2012 della Commissione europea ha riconosciuto importanti progressi nella lotta alla corruzione e al crimine organizzato, ma ha sottolineato come il passato governo Borisov non abbia promosso misure adeguate a combattere i due fenomeni. Al contempo, la Commissione ha evidenziato la necessità di continuare l’attività di formazione della polizia e dei giudici nelle indagini complesse che riguardano la tutela contro frodi e conflitti di interesse negli appalti pubblici, così come la disciplina relativa alle confische.