Burocrazia
Affermare che la burocrazia è antica quanto la storia umana significa soltanto fare della vuota retorica. Affermare invece che essa è antica quanto la storiografia vuol dire asserire qualcosa di molto più significativo. Quando Hegel giunse a parlare della Cina durante il corso di lezioni che tenne all'Università di Berlino negli anni a cavallo tra il 1820 e il 1830, affermò che la storia aveva inizio con quell'Impero perché esso per primo aveva elaborato una coerente storiografia. Egli osservò che gli Europei erano stupiti per l'attenzione che gli storici cinesi manifestavano verso i più piccoli dettagli che caratterizzavano l'organizzazione dello Stato. Questa costituiva tuttavia una caratteristica intrinseca della loro storiografia, dal momento che gli storici avevano un ruolo ufficiale di alto livello. L'imperatore della Cina era sempre accompagnato da due ministri che registravano ogni sua parola, gesto o ordine, e le loro annotazioni venivano quindi messe a disposizione degli storici per la trascrizione ufficiale. L'osservazione di Hegel individuava una connessione tra amministrazione statale e storiografia che non è accidentale, in quanto entrambe rappresentano esempi di principî razionali applicati a una società nel suo complesso. La burocrazia nasce dalla logica dell'organizzazione sociale su larga scala. Essa ha dato origine - e contemporaneamente ne è stata l'argomento - ad alcuni dei primi commenti documentari che ci vengono dalle grandi società storiche. Essa nasce anche dal potere, dal dominio di uno o di alcuni sopra i molti, dove quel dominio richiede degli agenti, interpreti fedeli della volontà del sovrano, che eseguano gli ordini, che traducano in realtà le aspirazioni. I consigli ai governanti costituiscono una delle principali fonti della nostra conoscenza della burocrazia antica.
Il IV secolo a. C. fu un'epoca di grandi imperi e i loro sovrani usufruirono dei consigli di uomini i cui scritti esercitano ancora un'innegabile influenza ai giorni nostri. In Cina il filosofo confuciano Mengzi ammoniva l'imperatore che era sua responsabilità procurarsi funzionari dotati di qualità appropriate. "Se l'amministrazione non è ben diretta, la ricchezza non riuscirà a coprire le spese. Non è appropriato criticare i funzionari o dare la colpa all'amministrazione. Solo il grand'uomo può correggere ciò che è errato nel cuore del sovrano" (v. Chai e Chai, 1965, p. 122). In India Chanakya (noto anche come Cautilya) offriva i propri consigli al primo signore di uno Stato indiano unificato, al quale aveva prestato aiuto nell'impadronirsi del potere. Cautilya è stato definito il Machiavelli indiano per la sua incrollabile dedizione a uno scopo fondamentale, mantenere e accrescere la potenza dello Stato. Anch'egli esaltò l'importanza del carattere del sovrano e la sua influenza sul popolo da lui governato, ma aggiunse che il sovrano doveva altresì avere nozioni di scienza politica e doveva essere contornato da esperti al suo servizio. "Governare è possibile solo se si ha l'assistenza di altri. Una ruota da sola non si muove. Pertanto si devono nominare dei ministri e i loro consigli devono essere tenuti in considerazione" (v. Subramaniam, 1980, p. 49). Le massime di Cautilya abbracciano argomenti assai eterogenei, tra i quali regole per la selezione, metodi decisionali e di legittimazione, principî di politica finanziaria e doveri dei funzionari. Così come in Cina e in Grecia, l'istruzione veniva apprezzata per un duplice ordine di motivi: forniva le qualifiche necessarie e, cosa ancora più importante, produceva un certo tipo di carattere - serio, ascetico, diligente, giudizioso, come si addice a un funzionario devoto. "La disciplina e l'autocontrollo si acquisiscono apprendendo le varie scienze sotto la guida autorevole di maestri attenti" (v. Subramaniam, 1980, p. 171).
Cautilya prestò i propri servigi sotto un sovrano che sconfisse le armate di Alessandro Magno, il quale aveva avuto come proprio maestro Aristotele. Da ciò possiamo inferire che forse l'insegnamento di Aristotele era meno adatto di quello di Cautilya alla costruzione di imperi, poiché la sua Politica, che gettava le basi della teoria democratica occidentale, era nata dalla realtà della città-Stato greca, dove il potere poteva essere esercitato da assemblee di maschi adulti liberi. Gli Stati orientali, invece, erano abbastanza estesi e la direzione collettiva della comunità era sufficientemente complessa da richiedere l'impiego di funzionari per tradurre in pratica le decisioni dell'assemblea. La grandezza di una comunità era un fattore che Aristotele riteneva importante per decidere la struttura amministrativa appropriata a uno Stato. Nella sua opera egli delinea succintamente una teoria della suddivisione funzionale delle attività, dove sostiene che nei piccoli Stati un unico ufficiale potrebbe esercitare diverse funzioni in maniera discontinua, mentre nei grandi Stati ogni incarico può richiedere un funzionario distinto in servizio permanente. Aristotele rilevò inoltre l'esistenza di un dilemma anche per quanto concerne l'opportunità di istituire cariche in base alla funzione o al luogo: è forse meglio utilizzare un magistrato per mantenere l'ordine in una piazza di mercato con giurisdizione su tutte le persone presenti, o sarebbe meglio averne uno per ogni singola categoria della popolazione, ad esempio i bambini, ovunque essi si trovino? Per quanto concerne le cariche, si devono operare scelte basilari per stabilire chi ha il potere di fare le nomine, chi ha i requisiti per essere nominato e quali procedure si devono adottare.
Aristotele fornisce un'acuta descrizione delle necessità pratiche della vita comunitaria della città-Stato greca che impongono l'istituzione di magistrature per regolare i mercati, sovraintendere ai contratti, mantenere l'ordine, intraprendere opere pubbliche, amministrare le finanze. Alcuni di questi incarichi sono universali, altri dipendono dal grado di prosperità, altri ancora dal tipo di costituzione. In una democrazia l'assemblea stessa richiederà che le si prestino dei servizi: deve essere riunita, i suoi compiti devono essere regolati, le sue decisioni devono essere tradotte in pratica. Ma, indipendentemente dalla forma democratica, "nessuno Stato può mai esistere se mancano le cariche assolutamente indispensabili; nessuno Stato governato correttamente può esistere se mancano coloro che assicurano ordine e buona organizzazione".
Quella che Aristotele presentava come una verità ovvia era già stata intuita dal suo predecessore Platone, il quale, tracciando nella Repubblica le linee essenziali di una società perfetta, distingueva tra i reggitori, custodi dello Stato, e gli ausiliari che facevano rispettare le loro decisioni. Separati dalla terza classe della popolazione (commercianti, artigiani, ecc.), gli ausiliari venivano istruiti fin dall'infanzia a eseguire i loro compiti essenziali. Platone, come tutti gli scrittori classici, ammetteva l'esistenza di una fondamentale suddivisione all'interno dello Stato. Quale che fosse la fonte della decisione e l'origine dell'autorità, l'esercizio del comando richiedeva l'attività continua di persone alle quali veniva demandato il compito di eseguire le istruzioni. Inoltre, la precisione con cui tale attività veniva eseguita dipendeva da un'educazione appropriata. L'intelligenza teorica di un Mengzi, di un Cautilya o di un Aristotele, applicata alla riflessione sugli interessi dello Stato nel suo complesso, ha evidenziato e difeso la necessità di un'educazione che prepari una parte della popolazione a perseguire quei medesimi interessi sotto il governante in carica. L'insistenza sulla necessità di tenere separata questa categoria di persone, di fornirle un'educazione speciale, la convinzione stessa che essa svolgesse compiti elevati rivelano già l'esistenza di potenziali problemi intuiti perfino in quell'epoca. L'onnipotente ministro, il funzionario oppressivo erano già noti. Confucio aveva ammonito che nel caso in cui il potere dell'imperatore fosse stato assunto da funzionari subordinati, difficilmente sarebbe sopravvissuto per tre generazioni (v. Chai e Chai, 1965, p. 57). I mezzi dell'amministrazione potevano sovvertire gli scopi stessi del governo. Quando quei mezzi cominciarono a subire delle trasformazioni nell'Europa moderna, l'antico problema del controllo degli amministratori, invece di essere un problema per il governo o per il sovrano, divenne il problema del governo stesso. I mezzi dell'amministrazione furono addirittura identificati con il governo stesso, e questo mutamento segna la nascita della burocrazia nel suo significato moderno.
Il problema del controllo fu sempre presente al governo imperiale premoderno. Ciononostante, il sistema burocratico, una volta istituito, fu straordinariamente durevole. Il problema fu infatti spesso risolto ricostituendo il sistema che lo aveva generato. I valori instillati nella burocrazia - ordine, obbedienza, senso di superiorità rispetto alle persone comuni - potevano sempre essere riattivati da un nuovo sovrano. Uno storico dell'Impero bizantino osservò che tra il 395 e il 1453 d. C. solo 34 imperatori su 107 morirono di morte naturale e 65 furono deposti da rivoluzioni. I funzionari della burocrazia civile "spesso traevano i mezzi per resistere all'imperatore dalle cariche stesse attraverso le quali lo servivano" (v. Diehl, 1923, p. 729). Ma questa unione artificiale di popoli di più di venti nazionalità era mantenuta in vita da una burocrazia ligia alla formula 'un sovrano, una fede', e ogniqualvolta un imperatore veniva deposto il sistema creava un sostituto.La stessa osservazione è stata fatta riguardo al sistema della burocrazia imperiale cinese, che vanta la più lunga storia tra le pubbliche amministrazioni di ogni epoca. Per più di duemila anni fu in vigore un sistema nel quale l'ideale raffinato dello studioso-gentiluomo confuciano, saggio e giudizioso, predominava nei ranghi superiori del sistema amministrativo facendo sì che i meri esperti rimanessero in posizioni subordinate. La trasmissione di questi valori di generazione in generazione attraverso l'educazione era appannaggio di un ceto che, sebbene aperto al reclutamento dal basso, era dotato di una forza collettiva che sopravvisse ai mutamenti di dinastia e ai crolli dell'ordine sociale. Come nel caso dell'Impero bizantino, questo fatto può essere espresso con un paradosso. Come scrive un sociologo, "pare possibile che la straordinaria durata della burocrazia cinese nella storia sia stata una conseguenza dei medesimi fattori che la rendevano spesso inefficiente e incline a periodici collassi" (v. Yang, 1959, p. 164).
Si può pertanto dire che qualcosa sia mutato nel mondo moderno? È forse intervenuto qualche evento che ha alterato questo quadro, interrompendo l'eterno ciclo di rinnovamento e declino? La risposta è affermativa, ma datare questo cambiamento è difficile quanto indicare l'anno preciso di inizio della modernità. Modernità e burocrazia, come le intendiamo oggi, sono infatti intimamente connesse. Esse sono collegate nella serie di trasformazioni che hanno fatto uscire gli imperi dai cicli di ascesa e declino e hanno dato origine al processo noto un tempo come 'civilizzazione', poi semplicemente come 'progresso', e oggi descritto con il termine di Max Weber 'razionalizzazione'. Si tratta di un processo che ha visto il perfezionamento di macchinari di ogni genere, dalla tecnologia domestica ai sistemi governativi di informazione computerizzati, dai programmi televisivi a diffusione mondiale all'apparecchio stereofonico personale. Oggi è possibile vivere a Roma, consultare lo schedario di una biblioteca di Palo Alto e investire a Tokyo senza uscire dalla propria stanza. La razionalità istituzionalizzata ha in sé connaturata una forza che ha trasformato il mondo e, contemporaneamente, le relazioni tra le persone. Questa trasformazione si è riverberata anche sul linguaggio, determinando l'emergere di termini quali Stato, diritti individuali, ideologia, sociologia, curve di indifferenza, utilità marginale - e anche burocrazia.
Sebbene non sia corretto identificare l'inizio di una nuova epoca con l'invenzione di una parola, l'apparizione del termine burocrazia verso la metà del XVIII secolo fu tuttavia un sintomo di profondi mutamenti. Non si trattava di un banale neologismo; esso rifletteva in realtà l'effettivo bisogno di esprimere la presa di coscienza di mutamenti che andavano al di là delle previsioni precedenti. Il suo inventore fu un intellettuale di chiara fama che prese parte anche alla vita pubblica, Vincent de Gournay, che fu sia funzionario del governo francese con incarichi nel commercio, sia scrittore di economia e traduttore di antichi trattati dall'inglese in francese. Lo scopo principale da lui perseguito fu rimuovere gli ostacoli al commercio e all'industria, in particolare la regolamentazione e i monopoli governativi. Per questi motivi fu considerato uno dei fondatori dell'economia politica; egli inventò inoltre la celebre espressione laissez faire, laissez passer.
Il filosofo barone von Grimm attribuisce a lui il primo uso del termine burocrazia in uno scritto sulla libera esportazione dei cereali: "Siamo ossessionati dall'idea del regolamento e i nostri Masters of Requests rifiutano di capire che in un grande Stato vi è una infinità di cose delle quali il governo non deve preoccuparsi. Il defunto signor de Gournay [...] usava a volte dire: 'In Francia abbiamo una malattia che minaccia seriamente di mandarci tutti in rovina; questa malattia si chiama bureaumania'. A volte egli inventava una quarta e quinta forma di governo che chiamava burocrazia". Un anno più tardi lo stesso autore scrive: "Il vero spirito delle leggi è in Francia quella burocrazia della quale il defunto signor de Gournay [...] usava lamentarsi tanto; qui gli uffici, gli impiegati, i segretari, gli ispettori, gli intendants non sono assunti per l'interesse pubblico, ma anzi l'interesse pubblico pare sia stato inventato perché gli uffici possano esistere" (v. Albrow, 1970; tr. it., p. 15). L'invenzione di de Gournay fu un colpo di genio. "Burocrazia" è il frutto dell'unione del termine greco ϰϱάτος, dominio, e del termine francese bureau, che significa scrivania o ufficio, ed esprime pertanto efficacemente il paradosso moderno per cui la maestà del potere nella società emerge da un luogo prosaico nel quale si esplica un lavoro abitudinario. Il termine divenne poi di uso corrente. All'inizio del XIX secolo esso compariva già nei vari dizionari delle lingue europee. Nel Dizionario tecnico-etimologico-filosofico (Milano 1828), di M.A. Marchi, la burocrazia veniva così definita: "Neologismo, per indicar il poter de' Commessi nell'amministrazione de' pubblici affari" (p. 138). Il nuovo termine, con la sua allusione diretta alla classica teoria greca del governo, implica che nella storia è avvenuto qualcosa che ha prodotto un mutamento qualitativo ed è emersa una forma di governo realmente nuova. Ma i motivi su cui si fonda questo convincimento non sono immediatamente evidenti e richiedono un esame più approfondito.
Non è un caso che il termine burocrazia sia stato coniato in Francia, la nazione che nel XVIII secolo occupava una posizione preminente in Europa, con una ricchezza e una popolazione in costante aumento, amministrata da una monarchia centralizzata e circondata da intellettuali sempre più sicuri di sé. Quello che era certamente il sistema costituzionale più autocratico dell'epoca, inserito in quel contesto produsse di fatto un corpo di funzionari relativamente autonomo. Il monarca in persona ripiegò infatti su una vita di cerimonia fatta di etichetta e pompa e pressoché priva di legami con le forze dinamiche della società, quando non interveniva nella vita dello Stato in maniera convulsa e imprevedibile. I requisiti tecnici del governo erano divenuti troppo complessi perché il sovrano potesse controllarli personalmente. Il governo attraverso i funzionari non rappresentò dunque l'antica usurpazione di autorità da parte di subordinati del tipo stigmatizzato da Confucio, nell'eterno ciclo di usurpazione e restaurazione, bensì la totale abdicazione dell'autorità personale di fronte al funzionario illuminato ed esperto, che fondava la propria legittimazione sulla razionalità. Le regolamentazioni più fastidiose apparvero allora come necessità del governo, atte a stabilire singolarmente o collettivamente appropriati codici di comportamento e di amministrazione. Ogni intervento personale sfociava necessariamente in accuse di corruzione e di ingerenza irragionevole. La burocrazia non era pertanto un problema di cattivo governo, era un nuovo tipo di governo, nel quale la fonte dell'autorità veniva trasferita unicamente in forze impersonali incarnate nei funzionari. Ovviamente l'esperienza di questo tipo di governo non poteva che essere frustrante per il singolo cittadino. Da una parte il governo appariva come un labirinto di regole opprimenti che necessitava di riforme, dall'altra ogni tentativo di intervenire in questo sistema sarebbe apparso come una irragionevole, disonesta, illegittima ingerenza personale. Non è ancora una volta un caso che questo termine sia emerso contemporaneamente allo sviluppo dell'economia politica, una scienza che individua leggi che trascendono il controllo individuale: come nel caso della burocrazia, la forza trainante era costituita da fattori impersonali. Da una tale situazione di frustrazione potevano nascere delle rivoluzioni.
La Rivoluzione francese non offrì di per sé alcun rimedio alla burocrazia. Anzi, insistendo sulla ragione come unico principio di governo appropriato, diede ulteriore slancio allo sviluppo dell'apparato amministrativo, tanto che nel XIX secolo si fece sempre più strada e fu poi universalmente accettata la tesi secondo cui la Rivoluzione aveva dato un impulso enorme alla burocrazia. Honoré de Balzac nel romanzo Les employés (1836) affermò chiaramente che lo Stato o la Patrie avevano preso il posto del sovrano, e mentre Napoleone aveva frenato l'influenza della burocrazia, essa era stata organizzata in modo definitivo sotto il governo costituzionale. Frédéric Le Play, uno dei grandi scienziati sociali del XIX secolo, riteneva che la burocrazia avesse ricevuto la sua organizzazione precisa nell'epoca posteriore alla Rivoluzione e fornì un'incisiva analisi del problema: "Il male che sto evidenziando è rappresentato dall'organizzazione amministrativa, nella capitale e nel resto del paese, che concentra una parvenza di autorità in alti ufficiali tenuti a rendere conto al sovrano, ma che in pratica la polverizza fra gruppi di impiegati negli uffici. Costoro non vengono mai considerati personalmente responsabili verso il pubblico degli atti che hanno in realtà ordinato. Ne consegue che, in netto contrasto con il principio fondamentale dell'amministrazione britannica, costoro godono di un effettivo potere privo però di responsabilità" (v. Le Play, 1864, p. 237).
Le Play proseguiva spiegando il motivo per cui egli riteneva che la parola burocrazia appartenesse alla scienza sociale sebbene fosse stata coniata da una letteratura frivola. Essa era usata dagli economisti tedeschi, era stata accettata dall'Académie Française nel suo dizionario, e in ogni caso egli stesso se non avesse utilizzato questo termine avrebbe dovuto inventarne uno nuovo. Le Play non aveva dubbi sul fatto che questa parola indicasse un effettivo tipo di governo che suscitava seri motivi di preoccupazione. Esso presentava senza dubbio dei vantaggi: la sua impersonalità impediva il sorgere di invidie e inoltre aveva dimostrato di essere l'unica istituzione permanente della società francese dall'epoca della Rivoluzione. Ma questo risultato era stato raggiunto a caro prezzo. La burocrazia si emancipava dal controllo politico accrescendo la complessità dell'amministrazione e persuadendo gli altri della necessità di creare nuovi dipartimenti e uffici, perdeva di vista l'individuo, riduceva al minimo lo sforzo personale e alterava il sistema educativo favorendo gli esami formali. Il rimedio consisteva nel rendere i funzionari personalmente responsabili di fronte alla legge, come in Inghilterra, e nello stimolare ogni forma di autogoverno nelle corporazioni e nelle società (ibid., pp. 236-265).
I richiami di Le Play all'autogoverno britannico e agli economisti tedeschi rappresentano importanti aspetti della concezione ottocentesca della burocrazia e soffermandoci su di essi potremo completare la nostra introduzione alle linee generali del problema. Sia a livello di autocomprensione sia nell'opinione degli studiosi europei, l'Inghilterra si distingueva per la sua resistenza alla tendenza dominante verso il governo burocratico. L'affermazione secondo cui gli Inglesi praticavano l'autogoverno a livello locale e l'idea che il Parlamento britannico rappresentasse una vera difesa contro la crescita della burocrazia divennero dei luoghi comuni nei commenti dell'epoca. Ovviamente si poteva anche giudicare l'Inghilterra il regno del dilettantismo e del feudalesimo, ma in ogni caso la burocrazia era ritenuta essenzialmente non inglese, e se qualcuno parlava del sistema di governo 'continentale' era evidente che con questa espressione intendeva riferirsi alla burocrazia. Queste considerazioni indussero il maggior filosofo politico britannico della seconda metà del XIX secolo, John Stuart Mill, ad affermare che esistevano essenzialmente soltanto due tipi di governo di competenti - le burocrazie e le democrazie - poiché quei governi che andavano sotto il nome di monarchie o aristocrazie, se dimostravano una notevole forza intellettuale e capacità nell'eseguire i propri compiti, erano in realtà burocrazie "nelle mani di amministratori di professione, cosa che costituisce l'essenza e il significato della burocrazia" (v. Mill, 1861, p. 113).
La classificazione dicotomica delle forme di governo proposta da John Stuart Mill era in netto contrasto con le classiche formulazioni greche e aprì la strada a un nuovo tipo di scienza politica comportamentista, attenta più allo estrinsecarsi effettivo del potere che alla forma costituzionale.
Un importante contributo venne da Gaetano Mosca, che nel 1895 pubblicò la sua prima importante opera, Elementi di scienza politica, che divenne presto un classico. Egli individuò l'elemento determinante per classificare i governi nel possesso del potere, sostenne che tutte le società erano divise in due classi, governanti e governati, e concluse che c'erano solo due tipi di governo, quello feudale, dove i membri della classe dirigente potevano ciascuno singolarmente esercitare qualunque funzione di governo, e quello burocratico, dove queste funzioni erano suddivise tra settori della classe dirigente. I funzionari salariati erano uno di questi settori e davano il nome a questo tipo di Stato. La classe dirigente di Mosca, la 'classe politica', non era monolitica e lo studioso italiano dedicò ampio spazio all'identificazione di possibili controlli rappresentativi. Il pensiero di Mosca ebbe un'effettiva influenza e precorse la scienza politica americana del XX secolo, che ha messo l'accento sulle basi reali del potere in una democrazia pluralista. La burocrazia divenne così, nell'esposizione di Mosca, la caratteristica distintiva del tipo di governo moderno.
Toccò all'altro paese cui alludeva Le Play, alla Germania, e più specificamente alla Prussia, aggiungere il tratto finale alla moderna concettualizzazione della burocrazia. Fu infatti la cultura tedesca a fornire per prima un fondamento intellettuale alla pratica amministrativa dello Stato moderno. Gli Stati tedeschi del XVIII secolo, e in particolare la Prussia, operavano come autocrazie centralizzate assistite da funzionari forniti di cultura giuridica, i quali lavoravano in collegia o organismi consultivi, fornivano consigli ed esercitavano particolari funzioni di governo. Tuttavia il sistema collegiale non rispondeva alle necessità di decisioni rapide e di formulazioni chiare e non ambigue. Era poco pratico quando si trattava di redigere documenti e gli individui potevano nascondersi dietro la responsabilità collettiva. Sotto l'impatto dell'esempio napoleonico e delle nuove richieste avanzate al governo, la Prussia e altri Stati tedeschi posero mano a riforme che istituivano il sistema unitario o di bureau, nel quale la responsabilità veniva attribuita a un singolo funzionario tenuto a rendere conto a un superiore ben preciso. La gerarchia di cariche che ne scaturì fu spesso considerata l'essenza della burocrazia, che in questo senso non indicava pertanto un nuovo tipo di governo: gli autori tedeschi difendevano spesso questo sistema amministrativo, atto a garantire responsabilità ed efficienza, dalle generiche proteste contro i funzionari considerati come classe, casta o gruppo di interesse. Si trattava dopo tutto di un sistema che poteva essere analizzato e insegnato sotto forma di scienza amministrativa e gli studiosi tedeschi si vantavano di aver fondato lo studio sistematico dell'amministrazione. Tuttavia quegli stessi richiami a una scienza razionale rivelavano l'impronta della burocrazia così come era stata concepita da de Gournay e dai suoi successori, ovvero la trasformazione del governo attraverso persone in governo attraverso funzionari impersonali. Si faceva sempre appello alla razionalità, si trattasse di principî o di teorie. Fu questa più profonda trasformazione che divenne oggetto di indagine da parte dei maggiori pensatori del mondo moderno. Il problema generale della burocrazia come tipo di governo si era così intrecciato alla filosofia della storia.
Il moderno concetto di burocrazia è sorto dal razionalismo e dallo sviluppo dello Stato che caratterizzarono l'Europa nel XVIII secolo. Fu in quest'epoca che i popoli d'Europa - i quali si confrontavano con la propria storia e con le civiltà di altri continenti con le quali erano venuti in contatto attraverso le proprie imprese commerciali e coloniali - acquisirono la profonda convinzione di essere dotati di una superiore razionalità. Questa consapevolezza trovò poi espressione sia in dottrine, come quella dei diritti dell'uomo, sia in un nuovo tipo di storiografia che cercava di comprendere la natura delle grandi trasformazioni, la più cospicua delle quali era stata la Rivoluzione francese. In questo nuovo genere di storiografia, all'inizio del XIX secolo, acquisì un ruolo dominante Hegel, professore di filosofia nell'Università di Berlino, capitale intellettuale del nascente Stato prussiano. Fu infatti Hegel a unire l'astratta filosofia idealistica di Kant con un interesse diretto per lo Stato e per la società e a creare così una dottrina che avrebbe avuto un'enorme influenza su tutta una generazione di funzionari pubblici tedeschi. Egli elaborò una concezione sottoposta poi a critica da Marx, con conseguenze di enorme importanza per il resto dell'umanità fino ai giorni nostri. La posizione di Marx fu poi respinta da Max Weber, il fondatore dei moderni studi sulla burocrazia. Il problema della burocrazia ha quindi trovato posto nelle teorie sociali di maggiore portata della nostra epoca e non è confinato in una ristretta branca specialistica di una disciplina accademica, bensì fa parte dell'autocoscienza ideologica del mondo moderno e occupa in eguale misura i pensieri della gente comune, di politici, funzionari statali e scienziati sociali. Il modo migliore per comprendere pienamente la pregnanza concettuale di questo termine consiste nel considerare brevemente le concezioni di Hegel, Marx e Weber, ciascuno dei quali cercava di collocare la propria comprensione della burocrazia all'interno di un'immagine complessiva del progresso umano.
Nel pensiero del grande predecessore di Hegel, Kant, la ragione diveniva non solo il tema centrale della filosofia, ma anche la verità eterna e divina e il fondamento trascendentale della personalità umana. Le categorie del pensiero, quali la sostanza e la causalità, e le forme dell'esperienza, quali lo spazio e il tempo, fornivano all'azione umana una cornice metafisica all'interno della quale il perseguimento del dovere rappresentava il bene supremo. La ragione kantiana forniva il fondamento ultimo alla coscienza individuale, e con esso anche la possibilità di un distacco critico dalle istituzioni esistenti. Le lezioni berlinesi di Hegel negli anni venti, successive al riassetto europeo dopo le guerre napoleoniche, tentavano di collocare la ragione non nella coscienza individuale bensì nel sistema statale esistente. La ragione era un principio discernibile nel mondo reale e la filosofia, lungi dal delineare un ideale del dover essere, aveva unicamente il compito di procedere a individuare la ragione o l'idea nella storia così come essa si svelava. Era pertanto possibile scrivere la storia, dalle più antiche testimonianze dei Cinesi fino alla forma finale di vita sociale organizzata rappresentata dallo Stato prussiano, sotto forma di sviluppo della ragione. L'evoluzione dello Stato costituiva il tema centrale dell'esposizione hegeliana della storia umana. Esso possedeva una razionalità che trascendeva l'unità della famiglia e l'interdipendenza dei bisogni della società civile; forniva la costituzione, che rappresentava il fondamento della moralità, e la legge, che costituiva la base della libertà individuale. La libertà, lungi dall'essere posseduta per natura dagli esseri umani, era creata solo dallo Stato, e soltanto nell'attività organizzata dello Stato inteso come entità unica era possibile raggiungere la realizzazione individuale. In questa analisi Hegel postulò una divisione tra potere legislativo, esecutivo e corona, poiché la monarchia costituzionale rappresentava il compimento finale del processo da lui delineato. All'esecutivo era affidata la realizzazione delle decisioni del monarca e il mantenimento delle leggi e dei regolamenti. Questo comportava suddivisione del lavoro, specializzazione settoriale in dipartimenti, assegnazione dell'incarico in base all'abilità e conferma subordinata all'adempimento dei propri doveri, un sistema gerarchico di responsabilità e un'educazione che avesse di mira sia la condotta giusta sia l'istruzione tecnica. I funzionari statali di Hegel costituivano la parte più numerosa di quella classe media all'interno della quale egli situava l'intelligenza compiuta della massa della popolazione (v. Hegel, 1821).
Non si era mai avuta una concezione così elevata del ruolo del pubblico ufficiale come quella avanzata da Hegel. Nella sua teoria lo Stato incarnava l'universalità, le sue istituzioni erano l'espressione della volontà razionale, e la coscienza particolare del cittadino era innalzata a razionalità pura attraverso la partecipazione allo Stato. Gli interessi delle persone, collettivamente e singolarmente, erano uniti nello Stato e il potere esecutivo dello Stato proteggeva e realizzava questa universalità. La dottrina hegeliana sottolineava in particolare le qualità razionali dell'esecutivo ed esercitava una particolare attrattiva su un ceto istruito in legge e in filosofia, che poteva persuadersi di avere un accesso privilegiato ai principî sui quali si fondava lo Stato e una migliore comprensione di essi. Hegel non esitò pertanto a definire i suoi funzionari statali (e anche l'esercito e la polizia) classe universale, poiché la loro attività aveva come scopo l'universale e, dal momento che questo non poteva essere confuso con le necessità private, egli sostenne che lo Stato doveva garantire la sicurezza e il soddisfacimento delle esigenze vitali dei propri funzionari. Il lavoro poteva apparire simile a quello di coloro che lavoravano per le corporazioni - o gruppi di persone caratterizzate da una specifica abilità che esercitavano un mestiere per trarne sostentamento - commerciali, professionali o municipali. Ma il perseguimento dell'interesse universale poneva il funzionario statale in una posizione assolutamente superiore. La burocrazia non era pertanto fondata principalmente sul necessario possesso di una tecnica: era il governo del principio razionale; Hegel tuttavia non usò mai questo termine, sebbene fosse già corrente, probabilmente per timore che esso sminuisse l'autorità della monarchia. Egli volle indagare soprattutto la razionalità dello Stato. Distacco critico o alternative alla razionalità statuale erano totalmente estranei al suo scopo, in quanto per un decennio egli fu virtualmente nella posizione di portavoce ufficiale del sistema statale prussiano.
L'opposizione di Marx a Hegel si manifesta come un rifiuto puntuale e di principio dell'orientamento generale di pensiero dell'uomo le cui idee dominavano ancora l'università quando Marx iniziò a frequentarla nel 1836, cinque anni dopo la morte di Hegel. Pertanto, se l'opera hegeliana rappresentava il più sofisticato panegirico dei funzionari statali, Marx, che definiva la propria posizione in contrapposizione con l'ortodossia dominante della propria epoca, elaborò una critica radicale che rivelava la vera natura del sistema difeso da Hegel. Uno dei più importanti progetti che egli si era proposto consisteva nell'analisi minuziosa della teoria dello Stato di Hegel, progetto che si trasformò in una ricerca preliminare anticipatrice di idee rivoluzionarie, proprio quando Marx si accingeva ad abbandonare la Germania per recarsi a Parigi, nel 1843. Il metodo seguito da Marx consisteva nello smontare l'opera di Hegel paragrafo per paragrafo: ne risultò così una serie di annotazioni critiche che anticipano sotto molti aspetti la successiva ostilità verso la burocrazia così come si è manifestata fino ai giorni nostri; ed è un fatto sorprendente, perché il saggio non fu pubblicato che nel 1927. Marx mise in discussione la concezione hegeliana secondo cui lo Stato trascende le personalità particolari. Egli affermò che lo Stato era sostenuto da persone reali, nelle loro determinazioni sociali, e che le sue funzioni dipendevano da tali determinazioni sociali. Lo Stato per Marx era tuttavia un'astrazione creata da persone reali, una forma della loro attività, ma una forma che si accordava effettivamente con la sostanza solo nella democrazia. In quanto forma contrapposta al popolo era una creazione moderna. Gli Stati premoderni rappresentavano un confronto diretto tra interessi materiali; lo Stato moderno invece metteva il popolo di fronte a una costituzione, permettendo agli interessi privati di sussistere autonomamente. Nel mondo moderno si era così assistito alla formazione di uno Stato separato, ovvero di una sfera politica separata dalla sfera sociale. Questo processo era stato portato a compimento dalla Rivoluzione francese, che aveva dissolto gli antichi ceti nei quali potere politico e posizione sociale coincidevano. Nella nuova società esisteva soltanto un ceto in quel senso, la burocrazia, che rappresentava un immaginario interesse generale.
In ogni controversia, per quanto aspra e radicale, deve sempre esistere un livello in cui le due parti contendenti concordano su alcune assunzioni di base. Questo vale anche quando una delle due parti non è più in vita, perché chi rimane si muove ancora all'interno dell'orizzonte problematico elaborato da chi è scomparso. È questo il caso di Hegel e Marx. Entrambi ritenevano che lo Stato moderno rappresentasse un mutamento qualitativo verso un nuovo tipo di società, ed entrambi concordavano nel giudicare la Rivoluzione francese il punto culminante di questa transizione. Nell'opinione di Hegel lo Stato prussiano, emancipatosi dal giogo napoleonico, metteva in evidenza le caratteristiche migliori della razionalità che aveva pervaso la Rivoluzione in Francia. Gli obblighi feudali erano scomparsi, la libertà individuale e il diritto alla proprietà erano riconosciuti e le cariche dello Stato erano aperte a tutti. Il monarca presentava la propria decisione personale al vertice del governo: il carattere del sovrano aveva effettivamente una propria incidenza, ma il governo era essenzialmente la realizzazione della libertà oggettiva e della volontà razionale, possedeva leggi chiare e fisse e una stabile organizzazione che non lasciava spazio ad arbitrî. Il governo spettava al ceto dei funzionari e - ammesso che questo fosse composto di persone dotate di competenza professionale, esperienza e volontà fondata su sani principî morali - forniva tutte le condizioni perché i cittadini nel loro complesso realizzassero la propria libertà soggettiva. La forza dello Stato dipendeva dalla ragione insita in esso.
Lo Stato moderno inoltre sosteneva la famiglia e la società civile, dalle quali traeva origine e nelle quali era sempre esistito in potenza, ma la modernità significava che lo Stato era giunto a un'esistenza piena, esplicita e riconosciuta. 'Società civile' era un termine carico di significato nel pensiero di Hegel. Elaborato soprattutto dagli studiosi di economia politica, si riferiva fondamentalmente alla sfera nella quale gli essere umani si scambiano beni e servizi per il proprio personale vantaggio e inoltre organizzano il proprio lavoro e la propria iniziativa per scopi comuni. Era la sfera del mercato e delle organizzazioni di mutuo vantaggio, o corporazioni. Non era priva di regole, ma le regolamentazioni esistenti, quali la presenza di tribunali commerciali e della polizia, avevano lo scopo di permettere il perseguimento dell'interesse individuale, che si estendeva financo al sistema educativo. La ricerca dell'interesse individuale, sebbene sfociasse in una complessa rete di rapporti di mutua dipendenza, creava però profonde divisioni tra gruppi con necessità, mezzi o tipi di lavoro simili, che Hegel riconosceva come divisioni di classe. Le più profonde erano quelle tra agricoltura, mondo dell'industria e funzionari, classi rappresentate politicamente nello Stato, le prime due come ceti all'interno del legislativo e la terza sotto forma di esecutivo. Il mondo dell'industria, organizzato attorno a corporazioni, eleggeva dei funzionari tratti da quelle stesse corporazioni per essere rappresentato nella seconda camera. E questi funzionari avrebbero avuto un'educazione ed esperienze simili a quelle di molti dei funzionari statali che componevano l'esecutivo.La descrizione hegeliana della relazione tra società civile e Stato e l'aver individuato nella razionalità il principio fondamentale della modernità, realizzato specialmente all'interno del contesto tedesco, suscitarono la reazione di Marx, e dettero origine ad alcuni dei suoi presupposti teorici.
Per Marx era assiomatico il fatto che la ricerca dell'interesse materiale producesse divisioni di classe ed egli considerava come un fatto assodato l'idea che la Rivoluzione francese avesse infine eliminato gli ostacoli che impedivano il sorgere dello Stato moderno. Egli riteneva inoltre essenziale esaminare attentamente i legami esistenti tra funzionari statali e società civile: nelle differenze tra la sua trattazione e quella di Hegel è possibile ritrovare la maggior parte delle argomentazioni da allora spesso presenti in ogni analisi della burocrazia. Marx riconobbe che l'esposizione di Hegel aveva un fondamento empirico; si trattava di poco più di una ripetizione del diritto consuetudinario prussiano, ma, egli aggiunse, utilizzando un termine divenuto da allora di uso corrente, l''esecutivo' descritto da Hegel non era altro che la burocrazia. Marx inoltre condivideva la tesi di Hegel secondo cui si definiva meglio la burocrazia se la si metteva in relazione con la società civile e le corporazioni. Nell'opinione di Hegel le corporazioni di ogni genere - commerciali, professionali, municipali - attraverso i propri funzionari, direttori e amministratori, perseguivano interessi particolari che dovevano essere subordinati all'interesse universale dello Stato. Ma quegli stessi interessi costituivano gli interessi comuni delle parti nelle organizzazioni, e l'esperienza della ricerca di un interesse comune le rendeva consapevoli del contesto universale incarnato nello Stato. Così la coscienza corporativa si avvicinava allo spirito dell'universale. Lo Stato, a sua volta, aveva un interesse così vivo nei confronti delle corporazioni che i funzionari di queste dovevano far ratificare le proprie cariche dallo Stato stesso.
Marx condivideva pienamente il giudizio hegeliano sulla stretta relazione esistente tra burocrazia e organizzazione economica e ne fece uno degli assi portanti della descrizione dello Stato della sua epoca; questo gli fornì anche l'opportunità di esporre in maniera particolarmente elaborata le contraddizioni implicite in tale connessione. Certo, la separazione dello Stato dalla società civile, o degli interessi particolari da quello generale, era il fondamento della burocrazia. Inoltre, dal momento che l''essenza' delle corporazioni era data dalla gerarchia, dalla divisione del lavoro, dal formalismo nella sfera economica, questi elementi costituivano il presupposto della burocrazia, che non aveva un effettivo contenuto proprio. In un vigoroso brano il giovane Marx fornì la propria versione della realtà della situazione: "Le corporazioni sono il materialismo della burocrazia e la burocrazia è lo spiritualismo delle corporazioni. La corporazione è la burocrazia della società civile; la burocrazia è la corporazione dello Stato. Nella realtà delle cose, pertanto, la burocrazia in quanto 'società civile dello Stato' si pone di fronte allo 'Stato della società civile', le corporazioni. Ovunque la burocrazia costituisca un nuovo principio, ovunque l'interesse generale dello Stato inizi a essere qualcosa di 'distinto e separato' e quindi un interesse 'reale', la burocrazia è in conflitto con le corporazioni, così come ogni conseguenza combatte l'esistenza delle proprie premesse. D'altra parte, quando lo Stato perviene effettivamente all'esistenza e la società civile si affranca dalle corporazioni attraverso il proprio impulso razionale, la burocrazia tenta di ripristinarle. La caduta dello 'Stato della società civile' procede infatti di pari passo con la caduta della 'società civile dello Stato'. Lo spiritualismo scompare assieme al materialismo che gli si contrapponeva" (v. Marx, 1927). Questo brano presenta due caratteristiche importanti. Vediamo anzitutto Marx esporre la propria concezione materialistica della storia in uno stadio ancora iniziale. Egli parla qui di 'spiritualismo', contrapposto al materialismo. L''essenza' della corporazione è costituita da uno stile, da usanze, da principî, da modi di fare le cose, ma questa essenza è l'aspetto esteriore dell'interesse reale.
D'altra parte, i funzionari stessi, essendo pagati per agire proprio su tale base, acquisiscono collettivamente un'identità che fa loro ricercare lo stesso interesse materiale come se fossero una corporazione.
La seconda caratteristica da notare è la chiarezza con cui Marx sottolinea che, se si fa riferimento alla tecnica amministrativa, si deve allora ammettere che anche il mondo economico è burocratico. È vero che anche Hegel giunge a una conclusione simile quando fa riferimento alla divisione del lavoro necessaria nelle corporazioni, ma Marx sviluppa questo concetto. Egli muove da esso per sostenere che Hegel ha delineato una particolare relazione tra società civile e Stato, nella quale l'identità viene raggiunta attraverso contraddizioni. Ne risulta che i funzionari delle corporazioni sono scelti su base mista perché lo Stato deve imporsi sulla società civile; i cittadini possono divenire funzionari attraverso esami 'oggettivi', ma questi costituiscono soltanto un'iniziazione alla separatezza e al privilegio; i burocrati sono stipendiati perché sia garantito il loro ruolo nella società, ma questo non fa che investirli di potere; i funzionari statali dovrebbero essere controllati attraverso una gerarchia di autorità, ma questo sfocia semplicemente in un maggiore controllo; le corporazioni hanno facoltà di sollevare obiezioni, ma questo porta unicamente a un dissidio perpetuo. Marx offre dunque un'immagine generale di un rapporto conflittuale e collusivo, nel quale ciascuna delle due parti ha bisogno dell'altra e contemporaneamente è in conflitto con essa. Si potrebbe pertanto supporre che Marx si accingesse a elaborare una teoria materialistica dello Stato nella quale la burocrazia sarebbe stata uno degli elementi fondamentali. Ma questo non avvenne. Infatti la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico rimase il suo principale contributo teorico alla dottrina dello Stato. Una tale affermazione è, ovviamente, controvertibile, e molti marxisti non la accetterebbero. Un autore contemporaneo suggerisce che se Marx avesse delineato una teoria della politica e della burocrazia perfettamente compiuta, essa l'avrebbe costretto ad ammettere implicitamente che lo Stato non era determinato soltanto dall'infrastruttura economica e aveva un'importanza molto maggiore (v. Perez-Diaz, 1978, p. 86). Egli non poteva fare una cosa del genere senza cadere in un'esplicita contraddizione e preferì pertanto lasciar cadere l'argomento. Questa ipotesi è stata avanzata anche da altri autori (v. Albrow, 1970, tr. it., pp. 90-96; v. Bell, 1976, pp. 80-81).
In realtà l'analisi iniziale della burocrazia fatta da Marx rivelava implicitamente la difficoltà di distruggere le forme di controllo generate dallo Stato moderno. I conflitti collusivi che egli individua tra funzionari e interessi economici della società civile non fanno certo pensare alla rivoluzione come soluzione. Anzi, in un punto egli avanza effettivamente l'idea di un'istituzionalizzazione del conflitto, tema, questo, che negli ultimi trent'anni ha avuto una funzione importante negli scritti di autori neomarxisti, preoccupati di spiegare il motivo per cui la società capitalistica sia riuscita così bene a contenere le divisioni di classe e a perpetuare se stessa. Marx domandò retoricamente a Hegel quale protezione contro la burocrazia avesse la società civile. E la sua versione della risposta di Hegel è: "Il conflitto, il conflitto irrisolto tra burocrazia e corporazione. La lotta, la possibilità della lotta, è la garanzia contro la sconfitta" (v. Marx, 1927). Questa è la versione marxiana della risposta di Hegel, ma non è una risposta che Marx stesso disapprovasse, almeno in questa fase, perché non aveva ancora studiato i meccanismi atti a rovesciare un tale sistema sociale. Per quanto Marx respingesse il sistema delineato da Hegel, e per quanto lo considerasse in realtà un sistema di oppressione materiale piuttosto che la ragione divenuta oggettiva, tuttavia era evidente che tale sistema non era sul punto di disintegrarsi. Anzi, la natura stessa della burocrazia sembrava conferirgli una notevole capacità di sopravvivenza. L'opinione di Marx su questo problema effettivamente mutò. Quando, appena due anni dopo, scrisse L'ideologia tedesca assieme all'amico Engels, attribuì il potere della burocrazia in Germania a particolari caratteristiche transitorie, all'impotenza delle sfere sociali separate, che concedeva un'indipendenza abnorme all'amministrazione degli interessi pubblici. Lo Stato acquisiva quindi un'indipendenza apparente, che era scomparsa in altri paesi, ma che persisteva in Germania.
Dall'immagine dello Stato che emergeva dalla sua critica a Hegel risultava che esso era uno dei fattori determinanti per la formazione della società moderna: nel frattempo Marx aveva approfondito sia la propria coscienza rivoluzionaria sia le proprie indagini di economia politica. La teoria politica tedesca era allora una mera formula mutuata dalla Francia, dove era stata espressa dalle effettive forze della borghesia. In Germania essa contribuiva unicamente a creare illusioni riguardo allo Stato. Nella propria produzione successiva Marx attribuì alla burocrazia e allo Stato solamente un ruolo secondario nella dinamica del capitalismo. Egli si oppose fermamente all'idea che lo Stato potesse essere qualcosa di più di una mera forma nella quale la classe che deteneva i mezzi di produzione poteva amministrare la società nel suo insieme. I fenomeni della vita politica erano in ultima analisi determinati da processi causati dall'interazione fra forze produttive e rapporti di produzione.
Il materialismo storico di Marx conteneva alcuni aspetti sorprendenti, nella sua critica a Hegel, che sarebbero stati individuati autonomamente da altri autori. Due aspetti in particolare costituiscono sconcertanti anticipazioni di tesi sostenute da scrittori posteriori. Marx fornì una vivida descrizione del 'formalismo statale' inteso come spirito della burocrazia, nella quale gli scienziati sociali posteriori possono facilmente riconoscere una teoria della sostituzione del fine, che afferma la trasformazione dei mezzi in fini. In questo 'spirito' i fini dello Stato vengono considerati possesso privato di una corporazione chiusa, il segreto diviene il vero mistero, l'avere una mente politica è visto come un tradimento, il comportamento burocratico si trasforma in una caccia al posto, in una ricerca della carriera. Il mondo reale diviene un oggetto da manipolare.
Ma proprio per questo Marx riteneva che il burocrate conservasse una posizione che era insieme politica e sociale, tipica dell'antico ceto medievale. Per qualsiasi altro membro della società civile la situazione era assai differente, essendo egli non politico, partecipe di una vita organizzata priva di significato politico. Per partecipare alla vita politica l'individuo era costretto a uscire dalla società civile. Ne risultava - secondo Marx - che il cittadino di Hegel conduceva un'esistenza fondamentalmente scissa: la separazione fra società civile e Stato sfociava in una scissione fra uomo e cittadino. La burocrazia costituiva pertanto un fattore dell'alienazione dell'uomo moderno. Si tratta di una lucida anticipazione di concezioni del XX secolo, quali il conflitto di ruoli, la scissione dell'anima in sfere separate e in mutuo conflitto, i dilemmi della personalità moderna. Se noi riuniamo la descrizione marxiana delle dinamiche interne della burocrazia, la sua concezione della personalità moderna nelle condizioni della vita burocratica, la sua analisi della mutua dipendenza e del conflitto tra burocrazia ed economia e la sua esposizione degli interessi materiali della burocrazia, abbiamo tutti gli elementi per elaborare una teoria generale della società burocratico-capitalistica nella quale burocrazia e capitalismo si sviluppano di pari passo. Fare questo, tuttavia, avrebbe significato per Marx mettere in dubbio l'efficacia che i processi di immiserimento e di concentrazione del capitale avevano nell'assicurare la rivoluzione proletaria. Marx preferì focalizzare la propria analisi sulle trasformazioni dei modi di produzione, che potevano dar luogo a un cambiamento radicale nella struttura della società. Il suo interesse scientifico era attratto più dalle leggi del capitale che dall'amministrazione, e toccò ad altri affrontare il problema della burocrazia.
A Max Weber è attribuito il merito di aver fondato il moderno studio della burocrazia. Sarebbe tuttavia più esatto considerare questo pensatore l'anello di congiunzione tra la filosofia della storia del XIX secolo e la moderna scienza sociale, perché la portata e l'ambizione della sua attività intellettuale sono paragonabili solamente a quelle di Hegel e Marx; Weber inoltre affrontò i medesimi grandi problemi che si erano posti Hegel e Marx, ossia quale fosse la natura della trasformazione che aveva creato la moderna società capitalistica, quali fossero i suoi effetti sull'individuo e quale fosse la maniera migliore per analizzare questi cambiamenti. Nel corso della propria indagine egli si trovò ad affrontare la stessa questione specifica sulla quale Marx si era discostato da Hegel, ossia la relazione tra idee e interessi materiali, con la conseguenza che la burocrazia venne a trovarsi al centro della sua analisi come uno degli elementi fondamentali del processo complessivo di razionalizzazione. Weber elaborò una teoria della relazione tra elementi ideali ed elementi materiali nell'azione umana che spiegava perché il potere, il controllo sociale e la mobilitazione delle masse si concentrassero attorno a idee. La burocrazia divenne il modo materiale precipuo in cui le idee venivano tradotte e attivate nella vita sociale. Più che una forma della società divisa in classi, la burocrazia fu da lui considerata lo stampo rigido nel quale veniva esplicata l'azione umana.
Sarebbe erroneo pensare che Weber intendesse rispondere a Hegel e Marx. Piuttosto, egli faceva parte del medesimo universo intellettuale: tutti e tre questi autori avevano letto Kant, avevano studiato o insegnato a Berlino, avevano padri con studi di giurisprudenza alle spalle, oltre a possedere le medesime prodigiose qualità letterarie. Marx tentò certamente di rovesciare le concezioni hegeliane e Weber considerò parte del proprio programma rettificare l'unilateralità presente a suo parere nel materialismo storico. Così facendo, egli non poteva fare a meno di ritornare in parte su posizioni hegeliane, sebbene in generale respingesse lo stile speculativo del grande filosofo. La nuova scienza sociale dell'inizio del XX secolo, in Germania, in Francia o negli Stati Uniti, era convinta che la scienza fosse progredita rispetto al ragionamento aprioristico di stile hegeliano. In ultima analisi vi sono tuttavia somiglianze straordinarie tra il modo weberiano di affrontare il problema e quello di Hegel. Entrambi ritennero necessario definire la specificità del mondo occidentale attraverso un confronto con le caratteristiche dell'Oriente, in particolare India e Cina; entrambi videro la trasformazione dell'Occidente in termini di aumento di razionalità; entrambi considerarono i funzionari un gruppo sociale di importanza fondamentale. Lo stile dell'argomentazione può essere assai differente, ma la somiglianza di strategia è sorprendente.
Hegel aveva trovato la ragione nella storia: solo in questo modo essa aveva un senso per lui; Weber vi trovò molto di più - passioni, potere e interessi materiali - ma la razionalità era una forza autonoma rintracciabile in forma istituzionalizzata in ogni aspetto della vita occidentale. Weber la ritrovò nelle partiture musicali, nella contabilità amministrativa, negli esperimenti scientifici, nei codici legali, nella disciplina industriale, nella teologia, nell'architettura e nel lavoro metodico, serio e ascetico. Sotto quest'ultimo aspetto egli, come Hegel e Marx, riconobbe l'importanza della religione come forza incentivante, e la sua più famosa monografia, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, scritta tra il 1903 e il 1905, divenne uno dei più famosi testi di scienza sociale, poiché tentava di dimostrare che la concezione materialistica delle origini del capitalismo doveva essere corretta riconoscendo l'esistenza di motivazioni ideali nel lavoro e nell'accumulazione della ricchezza.
Nel complesso la razionalità era quindi per Weber una questione di attività pratica più di quanto fosse per Hegel. Weber non era disposto a localizzarla in un codice legale o in una dottrina dello Stato. Possiamo qui ricordare il commento di Marx secondo cui Hegel, quando scriveva sulla burocrazia, in realtà ripeteva soltanto il Codice civile prussiano. Weber sostenne che la razionalità si realizzava soltanto nelle azioni delle persone, ma allora essa aveva la stessa forza di una qualunque delle forze di produzione marxiane. Anzi, era stato proprio l'aumento della razionalità che aveva portato all'istituzionalizzazione di pratiche per intere sezioni della popolazione e aveva reso efficace l'organizzazione sociale su larga scala. Essa aveva fornito le regole fondamentali per le complesse interazioni che avvenivano nei mercati economici. L'individuo poteva agire razionalmente perché le regole erano fisse per tutti e il mercato nel suo complesso poteva funzionare nella misura in cui le azioni erano ispirate da quelle regole. Il processo generale con cui la razionalità era stata istituzionalizzata finendo per pervadere l'agire umano fu da Weber denominato "razionalizzazione"; questa nozione rappresentava una revisione essenziale dell'idea settecentesca di uno sviluppo della ragione o dell'idea ottocentesca di progresso. Weber infatti, diversamente da Hegel, non faceva promesse di maggiore felicità, giustizia o libertà per il futuro. La razionalità costituiva per lui addirittura un pericolo per il libero sviluppo dell'individuo: era una struttura che poteva divenire una gabbia d'acciaio, che poteva portare a perdere il significato della propria esistenza o il senso di controllo sulla propria vita quotidiana, e poteva suscitare la sensazione di essere parte di un'enorme macchina. Sotto questo aspetto Weber condivideva i sentimenti di Marx riguardo all'alienazione dell'individuo moderno dal proprio Io e dagli altri esseri umani ma, diversamente da Marx, non aveva alcuna speranza in un'azione collettiva risolutiva e riteneva possibile solamente un aumento sempre maggiore della razionalizzazione. Il motivo dell'ottimismo del XVIII e del XIX secolo divenne il motivo del pessimismo del XX secolo. La razionalità da dono di Dio si trasformò in strumento diabolico.
In questo processo complessivo di razionalizzazione la burocrazia divenne la maniera razionale con cui realizzare l'organizzazione umana su larga scala. I metodi che Hegel e Marx avevano visto in atto più chiaramente nello Stato, ma esistenti anche al di fuori di esso, nell'organizzazione economica, nell'esposizione di Weber divennero la maniera generalizzata in cui poteva essere fatta funzionare qualunque grande organizzazione - Stato, Chiesa, sindacato, industria o partito politico. Weber non fu il solo a giungere a questa conclusione. Egli discusse proficuamente questi temi con un giovane amico e collega, Robert Michels, il quale lavorava in Italia perché la sua adesione al socialismo gli aveva impedito di ottenere incarichi accademici in Germania. La Sociologia del partito politico, pubblicata per la prima volta nel 1911, enunciò una delle più famose dottrine della scienza sociale del XX secolo, la 'legge ferrea dell'oligarchia', che sanciva l'inevitabile concentrarsi del potere, in ogni organizzazione, nelle mani di alcuni funzionari. La gestione di una grande organizzazione richiedeva un personale professionale istruito, che acquisiva una competenza specialistica supplementare attraverso la propria esperienza all'interno di un settore. Coloro che facevano carriera dirigendo organizzazioni facevano a loro volta in modo da trarre da esse potere, privilegi e guadagno. Il fatto più paradossale era che i partiti politici, come il Partito Socialdemocratico Tedesco, che aveva come scopo dichiarato la ricerca dell'uguaglianza, erano essi stessi soggetti a questi processi di formazione di oligarchie interne.
Michels elaborò le proprie idee nell'ampio contesto di una discussione sul futuro del socialismo, nella quale aveva avanzato riserve sulla strategia rivoluzionaria di Marx, sia per quanto concerneva la sua aderenza alla realtà sia per la sua effettiva capacità di fondare una società veramente egualitaria. Anche l'analisi di Weber aveva visto nella burocratizzazione una tendenza così universale e così strettamente connessa con altre forze sociali da apparire come un'alternativa totale alla concezione materialistica della storia, che culminava in un rovesciamento rivoluzionario dell'ordinamento di classe esistente. Secondo l'esposizione di Weber le rivoluzioni sarebbero riuscite soltanto a mutare i regimi, non la sottostante logica di dominio del mondo moderno. Il socialismo, a suo parere, sarebbe dipeso da una burocrazia statale centralizzata esattamente come qualunque società capitalistica. Poteva certamente avvenire che di tanto in tanto un leader dotato di carisma, al quale i seguaci attribuissero la capacità di mutare il quotidiano mondo di routine, riuscisse a sovvertire l'ordine esistente, ma le necessità inderogabili dell'amministrazione sarebbero ben presto riuscite a irretire il movimento e a riportarlo a quella stessa logica della grande organizzazione che aveva deluso i seguaci. Secondo la concezione weberiana della storia l'implacabile aumento della razionalizzazione implicava delle oscillazioni intorno all'asse dell'autorità, per cui il potere personale di un leader si alternava a periodi di dominio impersonale, ma non vi era salvezza duratura dal destino dell'epoca.
La visione che Weber aveva della burocrazia traeva origine da diverse fonti: la sua formazione giuridica, la sua partecipazione alla vita politica tedesca e i suoi studi di storia comparata. Le sue osservazioni su questo argomento non sono pertanto racchiuse in un solo trattato, ma sono sparse nell'intera sua opera, in particolare nella sua riflessione politica. Nella sua diagnosi della situazione politica tedesca egli affermava che l'estensione del dominio prussiano realizzata da Bismarck aveva rappresentato un trionfo, ma in seguito il governo tedesco era stato soffocato da quella che sembrava una burocrazia altamente competente, laboriosa e onesta, ma che era in realtà una macchina per creare mediocrità guidata dalla capricciosa incompetenza del sovrano. La nazione tedesca, a suo parere, avrebbe potuto essere governata adeguatamente soltanto se la classe che dominava la sua struttura sociale, vale a dire la borghesia, avesse generato, attraverso un processo democratico, dei leaders che potessero fornire un'efficace ispirazione alle masse. La burocrazia di per sé poteva soltanto generare una competente adesione a regole, ma mai spirito di iniziativa.
Com'era dunque questo sistema che paradossalmente generava competenza e mediocrità nello stesso tempo? In un capitolo scritto tra il 1911 e il 1913 per il suo più importante trattato, Economia e società, Weber tratteggiò le caratteristiche della burocrazia moderna. Essa si fonda su sei principî generali: le attività sono organizzate in maniera fissa e stabile; vi è una gerarchia di autorità; esiste un sistema preciso di registrazione e documentazione basato su archivi; il personale viene istruito al proprio compito; l'attività di funzionario costituisce un'occupazione a tempo pieno; la gestione dell'ufficio è fondata su regole tecniche. L'applicazione di questi principî faceva sì che la gestione di un ufficio divenisse una vocazione e richiedesse una dedizione continua, ripagata dalla sicurezza del posto. Si trattava dell'adempimento del proprio dovere rispetto a un ordine impersonale, non rispetto a persone particolari. Il funzionario acquisiva una notevole considerazione sociale, soprattutto quando si richiedeva un'alta competenza, e il principio di selezione era determinato dai requisiti di istruzione necessari all'incarico. Esito normale di tale situazione era lo svolgersi della carriera, ossia la progressiva ascesa nel corso della vita da posizioni meno retribuite a posizioni elevate meglio retribuite.Weber considerò questo sistema dominante non solo nello Stato ma anche nell'impresa capitalistica, dove il proprietario poteva ritenere di esercitare due funzioni - nell'ambito economico e in quello privato - con due differenti modalità. Esso vigeva anche nelle organizzazioni ecclesiastiche, ed era possibile rintracciarne l'origine nell'antico Egitto, a Roma e in Cina.
Un altro esempio era costituito dalla Chiesa cattolica medievale. In tutti i casi, prerequisito perché questa struttura si mantenesse in vita a lungo era l'esistenza di un'economia monetaria, o quantomeno di qualche meccanismo che assicurasse entrate costanti.Sia l'incremento quantitativo sia la diversificazione qualitativa dei compiti assunti dallo Stato implicano burocratizzazione; questi compiti possono variare ed estendersi dalla regolazione dei corsi d'acqua navigabili, come nell'antico Egitto, alla creazione del moderno Stato assistenziale. Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione costituisce normalmente un elemento vitale di questo processo. In queste grandi realizzazioni la burocrazia può fornire superiorità tecnica, affidabilità, impersonalità, rapidità, e soprattutto prevedibilità, nettamente maggiori. Inoltre, essa promuove un ordinamento legale razionale e impersonale e favorisce la concentrazione dei mezzi di produzione e di amministrazione, per cui si inserisce molto bene nel processo di sviluppo delle grandi imprese capitalistiche - ma assolve la stessa funzione nell'esercito o nelle università. Fra le conseguenze sociali della burocratizzazione vi è il livellamento delle differenze sociali, determinato dalla sua naturale avversione per ogni fonte indipendente di potere, ma questo fatto ha spesso favorito l'impresa capitalistica. È evidente però che come strumento di dominio la burocrazia può operare nell'interesse della piccola borghesia come anche nell'interesse del socialismo.
Ovunque però la burocrazia riesca a far accettare la posizione di potere del funzionario, essa diviene uno degli elementi fondamentali del governo, perché l'autorità legittima, eletta o ereditaria, è sempre messa a confronto con l'esperto. Alla competenza dell'esperto è inoltre associata l'idea di segreto professionale, difeso dalle ingerenze dei parlamenti. Il razionalismo nel senso più ampio del termine è favorito dalla burocrazia, quantomeno nel senso che essa incentiva il tipo del professionista esperto. In particolare essa ha richiesto l'istituzione di un sistema di esami specialistici che, oltre a fornire impulso allo sviluppo di istituti di istruzione, conferisce prestigio sociale. Questo implica però una concezione dell'istruzione diversa dalle precedenti, perché tesa a creare specializzazioni piuttosto che a formare personalità complete, e questo conflitto è alla base di tutti i dibattiti moderni sull'istruzione (v. Weber, 1922).
Weber ebbe un atteggiamento profondamente ambivalente verso i processi che avevano dato origine alla burocrazia moderna. Egli ammirava sotto molti aspetti le caratteristiche di rigore, dedizione, autocontrollo e competenza insite in essa. Contemporaneamente però la considerava uno dei fattori che avevano contribuito a trasformare la società in una macchina, nella quale l'uomo era scisso e poteva agire solo come un ingranaggio della macchina stessa. Weber condivideva in gran parte i sentimenti di Marx riguardo all'alienazione dell'uomo nella società moderna, senza avere tuttavia alcuna fiducia in un futuro movimento di liberazione. Egli può avere forse desiderato di conferire maggior peso ai fattori ideali nella spiegazione dei processi sociali, ma questi gli sembravano favorire più un processo di asservimento che uno di liberazione. La razionalità era una pastoia, non una libertà.
Weber prese in considerazione il medesimo ampio contesto e la medesima impostazione del problema adottati da Hegel e Marx, ma giunse a sostenere una tesi del tutto peculiare, che è alla base di tutta la scienza dell'amministrazione propria del XX secolo. Come in Hegel, la razionalità divenne la caratteristica distintiva fondamentale della società moderna, ma, come in Marx, la sua importanza risiedeva nell'essere una forza attiva nei rapporti sociali. Il processo di razionalizzazione si manifestava nelle esistenze effettive degli esseri umani, divideva le persone le une dalle altre e in se stesse. Era questa un'ottima esemplificazione della famosa affermazione "non sono le idee, bensì gli interessi materiali e ideali, che governano direttamente la condotta degli uomini" (v. Gerth e Mills, 1948, p. 280). È in questo contesto che le idee divengono importanti nella società moderna in modo nuovo rispetto al passato. Hegel riteneva che la ragione fosse il principio basilare dell'organizzazione della società. Secondo Weber la razionalità aveva una duplice funzione nella società. Era presente come forza, poteva essere vista agire sotto molteplici forme in istituzioni e culture diverse, ed era passibile di indagine storica ed empirica. Come tale poteva essere considerata una motivazione, un'arma, una fonte di potere, oltre che un mezzo per ottenere una mutua comprensione e coordinazione dell'azione sociale. Ma essa rappresentava anche il principio informatore delle scienze pratiche, un fattore attivo nella consapevole trasformazione della società verso la ricerca di maggiore efficacia pratica, produttività, rendimento e controllo. La burocrazia e le scienze sociali sorte recentemente iniziarono il XX secolo strettamente unite.
Se Marx aveva evidenziato come Hegel avesse tratto la propria teoria dell'esecutivo dal diritto prussiano, allo stesso modo è stato osservato che la descrizione weberiana della burocrazia aveva una straordinaria somiglianza con quelle contenute nei manuali di scienza dell'amministrazione della sua epoca (v. Albrow, 1970; tr. it., p. 64). Non poteva essere altrimenti, data la natura della concezione weberiana della scienza sociale, perché la burocrazia era appunto un tipico esempio di struttura sociale guidata da principî esposti nei manuali. Questo costituiva un aspetto della sua razionalità. Da ciò sarebbe dovuta discendere la conseguenza che l'apparizione di nuovi manuali poteva mutare la pratica corrente. Weber non si propose mai questo compito, principalmente perché distingueva il compito empirico di vedere in che modo i principî fossero attuati, proprio dello storico o del sociologo, dal compito teorico di indagare e ampliare i principî, che nel caso della pubblica amministrazione egli avrebbe assegnato a uno studioso di diritto. La razionalità in sé era studiata dalle scienze assiomatiche. Queste erano le distinzioni correnti nella concezione neokantiana del metodo scientifico, ben note a Weber, che su di esse scrisse diversi saggi. Tuttavia, dopo aver tracciato una distinzione tra scienza assiomatica e scienza empirica, sia nel caso dell'economia sia in quello del diritto, Weber le collegò nel momento in cui si trattava di esaminare l'attuazione dei principî. La teoria dello studioso di diritto amministrativo serviva infatti a dare un orientamento iniziale ai sociologi che desideravano esaminare in che misura i principî fossero attuati nella pratica. L'insieme dei principî che guidavano l'agire economico razionale, che i teorici dell'utilità marginale stavano elaborando all'epoca di Weber, divenne una guida per l'impresa capitalistica e servì di orientamento anche per l'analisi accademica della prassi economica. Lo stesso valeva per il diritto in relazione al comportamento dei burocrati. Per quanto concerneva lo scienziato sociale empirico, l'insieme dei principî era costituito da quello che Weber denominò 'tipo ideale', espressione di razionalità pura con la quale poteva essere confrontato il comportamento effettivo.
La metodologia delle scienze sociali di Weber costituisce una chiara espressione degli usi tecnici della scienza sociale. Infatti lo scienziato assiomatico, lo studioso di economia, poteva enucleare chiari principî che gli uomini d'affari dovevano seguire, mentre lo scienziato empirico poteva fornire prove del successo ottenuto in pratica seguendo questi principî. Lo studio della burocrazia poteva realmente divenire un complemento allo sviluppo della burocrazia, e anzi la definizione di burocrazia come governo attraverso la conoscenza rendeva necessaria questa applicazione. All'inizio del XX secolo si era pertanto prodotto uno stretto intreccio tra scienza e burocrazia, in grado di generare una forza propulsiva totalmente differente da tutto ciò che si erano figurati Hegel o Marx. Hegel considerava ormai virtualmente completo il processo di autorivelazione della ragione; Marx prefigurava una trasformazione della società determinata dalla crescita delle forze produttive. Nella realtà si è avuto invece un aumento sempre maggiore, nell'ampiezza e nella raffinatezza, del controllo sociale e della grande organizzazione, ottenuto attraverso uno sviluppo dei mezzi di previsione e di comunicazione che è andato al di là delle più audaci fantasie dello stesso Weber. La razionalità non ha garantito un punto finale di sviluppo né il passaggio a una nuova società, ma ha fatto sì che l'organizzazione umana crescesse in quantità ed estensione su linee più o meno simili per tutto il secolo. Ci soffermeremo più avanti sul significato che questo fatto riveste nei differenti sistemi sociali, ma per il momento possiamo considerarlo un esempio di quello che Luhmann (v., 1972) ha denominato "sistema autopoietico", ossia un sistema che permane identico nei suoi principî regolatori, ma si accresce continuamente per la propria capacità di assimilare nuove informazioni. Da questo punto di vista la scienza e lo sviluppo della burocrazia nel XX secolo rappresentano due aspetti dello stesso processo. La burocrazia genera e rigenera se stessa: di qui αὐτοποίησις, autogenerazione. La nozione di αὐτοποίησις ci aiuta effettivamente a comprendere quali mutamenti abbia subito il concetto di burocrazia nei due secoli intercorsi dall'invenzione del termine a oggi. Sembra che esso abbia assunto una pregnanza e una varietà semantica sempre maggiori: talvolta significa infatti semplicemente governo attraverso funzionari o pubblica amministrazione, talvolta organizzazione razionale, ma talvolta anche organizzazione inefficiente, e può arrivare a indicare qualunque organizzazione formale o perfino un tipo di società (v. Albrow, 1970; tr. it., pp. 113-143). Il fatto è che questo termine ha dovuto procedere di pari passo con le più piccole trasformazioni attuate dal dominio unito alla conoscenza. La continuità e l'identità della burocrazia si sono mantenute, ma la sua natura si è evoluta nel periodo precedente e posteriore a Weber. La nostra comprensione del genere di organizzazione sociale che l'amministrazione razionale richiede si è evoluta lungo linee che Weber non poteva prevedere. Infatti, il suo tipo ideale di burocrazia appare oggi sorpassato. La razionalità stessa si è sviluppata in circostanze nuove. Possiamo comprendere ciò riesaminando alla luce della posteriore ricerca empirica alcune delle caratteristiche dell'amministrazione razionale delineate da Weber nel suo tipo ideale di burocrazia.
Weber considerava il principio di gerarchia intrinseco alla burocrazia. Esso dava origine a una catena di autorità e di comunicazione che sopravviveva ai titolari di una carica. La regolamentazione e il controllo precisi che questo consentiva, in particolare se a ciascun livello si poteva identificare una responsabilità personale individuale, rappresentavano a suo parere una caratteristica razionale evidente. Ma questo è sempre e necessariamente valido? Questo principio non ci dice nulla sul numero di livelli di gerarchia né sulle relazioni tra persone che lavorano allo stesso livello. Se la comunicazione è limitata alla dimensione verticale e la responsabilità è interamente personale, come può esservi collaborazione tra più persone? Che dire delle situazioni nelle quali due teste sono meglio di una sola? In realtà Weber prese in considerazione quella che era chiamata amministrazione collegiale, perché essa rappresentava effettivamente uno dei sistemi più in uso nel XVIII secolo (si trattava di gruppi di persone esperte riunite assieme per consigliare collettivamente il sovrano), ma la ritenne una forma di amministrazione sorpassata. Ma la dottrina amministrativa posteriore ha messo in luce come la comunicazione 'trasversale' od orizzontale abbia un ruolo fondamentale nella struttura di un'organizzazione complessa e come, sotto molti aspetti, un gruppo di persone di pari livello offra maggiori garanzie di efficienza al momento di prendere decisioni all'interno di un'organizzazione, in particolare quando si tratta di risolvere difficoltà, definire strategie di mercato, oppure nella ricerca e nello sviluppo. Alcuni autori hanno pertanto suggerito che il potere di controllo e la comunicazione gerarchica siano una caratteristica dell'amministrazione 'meccanicistica' in condizioni stabili, e che alcune organizzazioni che operano nei mutevoli contesti della moderna tecnologia richiedano sicuramente un sistema 'organico' di consultazione, lavoro di équipe e dedizione al fine dell'organizzazione nel suo complesso piuttosto che alle responsabilità legate a una particolare carica (v. Burns e Stalker, 1961).
Esaminiamo un altro principio del tipo ideale di burocrazia, ossia l'asserita necessità di delimitare e mantenere fissi i settori di attività dei funzionari per poter realizzare lo scopo della struttura burocratica. La delimitazione stabile delle aree di competenza soddisfa evidentemente i requisiti di prevedibilità e di identificabilità delle prestazioni richiesti ai funzionari, ma conferisce anche al tutto una certa rigidità e gli studi empirici della burocrazia rivelano che questo costituisce un problema ricorrente. Tali aree di competenza assumono un contorno netto e preciso e richiedono quindi una lealtà 'specialistica' da parte del personale a esse addetto, che si trova così spesso a operare in condizioni di semindipendenza e spesso di potenziale conflitto con altre sottounità. Il conflitto intersettoriale è una caratteristica ricorrente della pubblica amministrazione, in quanto i funzionari cercano di massimizzare il prestigio e le possibilità di carriera aperte alla sfera di attività del proprio settore. Questo avviene specialmente quando programmi di carattere intersettoriale tesi ad affrontare nuovi problemi, ad esempio i problemi delle città o l'AIDS, divengono terreno di competizione per l'espansione dei settori più che oggetto di cooperazione. Questo processo è stato denominato 'sostituzione dei fini', in quanto i mezzi divengono fini, e questo può avvenire sia a livello di sottounità sia a livello di singoli funzionari (v. Merton, 1952, p. 365). Si tratta di un problema particolarmente grave e ricorrente in un contesto culturale che incoraggia l'ambizione personale e la competitività. Una moderna organizzazione di vendita al dettaglio può perfino arrivare a stimolare la competizione nelle vendite tra i propri singoli punti di vendita al minuto, ma è spesso difficile tracciare una netta linea di demarcazione che distingua questa competizione da un conflitto autolesivo.
Tuttavia, il settore forse più noto in cui emerge l'ambiguità dei criteri di razionalità è quello concernente le modalità del rispetto delle regole. Weber sottolineava che l'attenersi alle regole faceva parte della natura della moderna amministrazione, e l'enfasi è facilmente comprensibile in un autore che scriveva sullo sfondo culturale della filosofia neokantiana, la quale considerava intrinsecamente razionale l'attenersi alle regole, sebbene queste dovessero essere poste dalla coscienza con un retto giudizio. Vi è tuttavia un'importante differenza tra seguire regole che ci si è posti da sé oppure regole imposte da altri, e questa è costituita dal fatto che nel primo caso l'agente è in grado di stabilire se la regola è stata rispettata, nel secondo l'agente e il fruitore di servizi, il supervisore o il giudice devono raggiungere un'intesa comune. A partire da Wittgenstein è stato infatti sottolineato come l'attenersi a regole debba essere considerato essenzialmente un'attività sociale, o quantomeno in linea di principio passibile di verifica da parte di altri, in quanto soltanto se un'altra persona è in grado di rilevare errori è possibile stabilire nel caso specifico l'esistenza di una regola. Le modalità con cui una società stabilisce in che modo ci si debba attenere alle regole nella vita sociale sono state oggetto negli ultimi venti anni di intenso dibattito tra gli scienziati sociali che si ispirano alla fenomenologia e alla posizione teorica elaborata da Alfred Schutz in opposizione a Max Weber. Nell'opinione di Schutz la razionalità emerge dall'interazione quotidiana e da intese fondate sul senso comune. Gli studiosi di tradizione fenomenologica hanno dimostrato come nella conversazione quotidiana siano presenti implicitamente regole che non vengono mai formulate esplicitamente, mentre in situazioni in cui esistono regole scritte queste possono essere osservate in una maniera abitudinaria che soddisfa i partecipanti, perché soddisfa quanto viene richiesto, ma non gli osservatori esterni. Vi possono pertanto essere regole sul modo di osservare le regole, che permettono ai partecipanti l'interpretazione quotidiana fondata sul senso comune.
È stato spesso sottolineato il paradosso per cui nell'organizzazione burocratica l'interpretazione rigida delle regole può facilmente infrangere una pratica di lavoro valida. Lavorare attenendosi alla lettera della legge è una forma comune di resistenza da parte del lavoratore. Proprio su questi temi sono state condotte alcune delle più interessanti ricerche sociologiche sulla burocrazia. Uno studio ormai classico è Modelli di burocrazia aziendale di Gouldner (v., 1955), nel quale si dimostrava che la direzione poteva ottenere una risposta di gran lunga migliore dai lavoratori insistendo sull'osservanza delle regole solo in circostanze in cui questa fosse richiesta espressamente da necessità della produzione. L'agire in base a regole implica infatti una costante negoziazione implicita tra coloro che sono responsabili di farle osservare e coloro che a esse sono sottoposti. Da una parte gli addetti al controllo potrebbero rendere più flessibile l'osservanza delle regole per creare nei subordinati un debito morale nei loro confronti; dall'altra, al contrario, i lavoratori potrebbero interpretare le regole rigidamente per mantenere le proprie prestazioni al livello più basso accettabile (ibid., pp. 172-176). L'intera analisi è fondata però principalmente sull'assunto che entrambe le parti abbiano una comprensione analoga del significato delle regole, cosa che non può mai essere data per scontata.
Se la razionalità può essere identificata con l'elaborazione quotidiana fondata sul senso comune di regole adeguate a tutti gli scopi pratici, può anche avvenire che la competenza dei professionisti possa costituire anch'essa una sfida alla supremazia della regola scritta ufficiale. Weber sottolineò con vigore il fatto che la competenza tecnica era al servizio della burocrazia, ma nella sua trattazione egli tende a mescolare un certo numero di questioni differenti. Si possono infatti distinguere almeno quattro tipi diversi di conoscenza importanti negli ambienti burocratici. Vi è la competenza tecnica acquisita prima dell'assunzione, che può essere necessaria per eseguire alcuni compiti stabiliti, come lavorare al word processor; vi è la conoscenza empirica ottenuta nell'impiego, ad esempio la conoscenza del sistema di archiviazione e di contabilità di una particolare azienda; vi è la conoscenza professionale ottenuta attraverso gli studi precedenti, ad esempio di legge o di ingegneria, che richiede qualità di giudizio più che abilità operative, sebbene possano essere necessarie anche queste; vi è infine la conoscenza e comprensione più ampia, spesso associata ai managers di livello più elevato e ai funzionari statali con maggiore anzianità, basata solitamente su un'istruzione di élite ma non professionistica. Tutte queste forme di conoscenza costituiscono fonti potenziali di conflitto per il funzionario che riceva istruzioni dall'alto o che debba attenersi rigidamente alle regole scritte. La conoscenza fornisce di per sé discernimento, la capacità di distinguere il comportamento corretto da quello errato, indipendentemente dalla gerarchia di autorità.
Si può notare infine come le regole impersonali e l'autorità conferita ai singoli funzionari non operino necessariamente in reciproca armonia. Quando una persona con il potere di dare ordini impartisce istruzioni che a un sottoposto paiono in conflitto con la legge e con i regolamenti del settore, il risultato finale diviene una questione di coscienza e di rapporti di potere. Alcuni dei più noti servizi giornalistici aventi per oggetto la pubblica amministrazione mettono in luce questo dilemma. Nelle inchieste sulla fornitura di armi all'Iran condotte negli Stati Uniti, il valore da attribuire alla legge e all'autorità dei supervisori è un tema ricorrente, come pure il problema della rivalità tra sottounità. Nella sociologia empirica questi dilemmi sono stati spesso espressi in termini di conflitto tra organizzazione formale e organizzazione informale, in seguito a una serie di celebri indagini condotte negli anni trenta allo Hawthorne Plant della Western Electric Company, che misero in luce come il morale e la produttività dipendessero da fattori quali lo status informale e la solidarietà di gruppo. Un'altra indicazione è che la maggior parte di queste indagini concerne dei 'circoli viziosi', ossia processi nei quali i tentativi di correggere un errore includono semplicemente la difficoltà originaria, ad esempio quando si tenta di correggere l'infrazione alle regole istituendo norme morali. Emerge così il quadro di una burocrazia con una tendenza innata alla decadenza se non intervengono altri fattori a scongiurarla. Si è sostenuto che in Francia questi circoli viziosi siano interrotti dall'intervento di funzionari di massimo livello, i Grands corps, che si trovano al di fuori della struttura di base (v. Crozier, 1963).
La maggior parte delle indagini sociologiche sono state condotte muovendo dallo studio di un caso specifico, ma vi è motivo di pensare che questo tipo di indagini di per sé non possa fornire una prospettiva adeguata per valutare il mutamento della burocrazia nel lungo periodo. La burocrazia in effetti si evolve nel tempo, e i circoli viziosi vengono regolarmente superati, soprattutto perché i principî regolatori incarnati dal tipo ideale di Weber non sono mai stati applicati rigidamente. Al contrario, questi principî sono stati arricchiti e aggiornati alla luce di una valutazione più ampia del significato della razionalità nelle organizzazioni umane. In questo senso una valutazione storica dell'evoluzione delle teorie dell'organizzazione elaborate nel XX secolo può dirci molto di più sulle direzioni di sviluppo prese dalla burocrazia, sia nella teoria sia nella pratica, di una lunga serie di studi di casi specifici con la loro limitata prospettiva temporale. La burocrazia è infatti l'applicazione della teoria all'organizzazione sociale, è basata sulla nozione di amministrazione razionale e le concezioni della razionalità si sono evolute per soddisfare le mutate esigenze.Uno dei cambiamenti decisivi che hanno avuto luogo nella teoria relativa all'amministrazione è dovuto all'opera di Herbert Simon. In Administrative behavior, apparso nel 1945, Simon ha sostenuto che la razionalità non può produrre principî determinati da seguirsi in tutte le circostanze. Egli ha messo in luce, ad esempio, come i principî amministrativi di specializzazione non possano mai stabilire in anticipo il genere e la quantità di specializzazione necessari. Così un piano di assistenza medica potrebbe assegnare ad alcune infermiere dei quartieri nei quali assistere i bambini a casa, visitare le scuole e impegnarsi nella cura della tubercolosi; oppure, in alternativa, diverse infermiere potrebbero svolgere ciascuna funzione indipendentemente dai quartieri (v. Simon, 1957², p. 21). Ma il 'principio di specializzazione' non può essere di alcun aiuto per decidere quale soluzione sia la migliore: la conoscenza della situazione effettiva resta essenziale. Di conseguenza Simon ha elaborato una teoria della razionalità fondata sull'assunto che esiste una struttura organizzativa per stabilire i limiti della decisione personale dell'individuo, e pertanto in questo schema la razionalità individuale è necessariamente sempre di tipo limitato. La sua teoria prevede dunque la possibilità di instaurare un'ampia gamma di strutture burocratiche in rapporto al contesto in cui esse sono situate; l'organizzazione razionale è quella che riesce a raggiungere un insieme di valori in relazione al contesto specifico. Viene così attribuita minore importanza ai principî stabiliti una volta per tutte rispetto alla capacità di prendere decisioni e rispetto ai modelli di struttura che forniscono il miglior risultato nelle circostanze specifiche. E per quanto riguarda il comportamento individuale, il requisito principale è che ciò che è razionale per l'individuo coincida con la razionalità dell'organizzazione.
Le dottrine di Simon rappresentano un importante mutamento della teorizzazione sulla razionalità e, di conseguenza, sull'amministrazione burocratica, e sono inoltre indicative del predominio nella teoria sociale raggiunto dagli Stati Uniti verso la metà di questo secolo. L'amministrazione pubblica negli Stati Uniti non aveva mai adottato il modello tedesco di burocrate a tempo pieno, assunto permanentemente e di solito dotato di competenze giuridiche. Weber aveva notato questa caratteristica, ma ondeggiò nel suo giudizio tra il considerare questo un grado primitivo di sviluppo e l'ammettere che molte delle caratteristiche del modello americano erano più adatte a un contesto capitalistico. Inoltre, la resistenza molto maggiore all'invadente controllo dello Stato federale registrata negli Stati Uniti, paragonata alla tradizionale acquiescenza verso lo Stato centralizzato in Europa, indicava che l'impulso allo sviluppo della razionalità organizzativa proveniva dall'impresa capitalistica più che da quella statale. All'inizio del secolo la teorizzazione sull'organizzazione industriale negli Stati Uniti era dominata dalla dottrina dell''organizzazione scientifica' o taylorismo, dal nome del suo principale esponente. Essa traeva impulso da organismi come l'American Society of Mechanical Engineers (Albo degli ingegneri meccanici) e il suo assunto principale consisteva nella visione dell'essere umano come quantum di energia da trattare come qualunque altro elemento o componente immesso in un sistema meccanico. Gli esperti di gestione delle risorse umane facevano appello alla fisiologia per ideare la migliore combinazione tra corpo umano e macchina, e alla psicologia per selezionare le persone dotate della personalità adatta a guidare, per esempio, le automotrici ferroviarie. Henry Ford fondò il proprio Dipartimento di Sociologia a Detroit nel 1914 per analizzare l'investimento di risorse umane. Weber considerava il sistema di Taylor un altro aspetto peculiare del processo di razionalizzazione e Lenin lo considerava una conquista fondamentale del capitalismo, che doveva essere adottata anche nell'Unione Sovietica.
Tali metodi ben si adattavano a un clima di irreggimentazione e a prima vista potrebbero apparire perfettamente compatibili con lo spirito prussiano che pervadeva la teoria della burocrazia weberiana. Vi era tuttavia un'importante differenza, consistente nel fatto che il sistema di Taylor sottendeva una concezione della razionalità basata sulla prestazione, di contro alla razionalità basata sul controllo propria del sistema statale europeo. Di conseguenza quest'ultimo era imperniato su nozioni di diritto e sull'osservanza delle norme, mentre il primo era incentrato sugli obiettivi e sulle prestazioni necessarie per raggiungerli. Il sistema americano consisteva dunque nella ricerca e nella selezione e conteneva un meccanismo correttivo interno nel caso si fossero evidenziati difetti o nel caso fosse mutato l'ambiente. Lo stesso sistema di Taylor, un prodotto intellettuale nato da preoccupazioni pratiche, poteva essere sostituito e in parte lo fu, a opera del Movimento per le relazioni umane, che aveva avuto origine principalmente dalla ricerca condotta allo Hawthorne Plant della Western Electric Company a Chicago, che abbiamo già citato precedentemente. L'aumento delle dimensioni delle organizzazioni portò ad attribuire un'importanza sempre maggiore ai fattori che ne preservavano l'unità e alle motivazioni che stimolavano le prestazioni dei singoli individui, le quali facevano appello al senso di lealtà verso l'impresa cooperativa piuttosto che a incentivi economici. Si ebbe così un mutamento dell'ideologia manageriale in conformità con un mutamento della struttura societaria, struttura che si era però sviluppata attraverso il filtro di idee del periodo precedente.Il predominio ideologico del Movimento per le relazioni umane nel campo della gestione delle organizzazioni è stato a sua volta soppiantato da quello di una corrente di pensiero di vedute più larghe, che deve molto alle dottrine di Simon. Quel predominio era stato inoltre oggetto di critiche in un brillante libro di larga diffusione, - The organization man di William H. Whyte, pubblicato nel 1957 - che metteva in luce come l'eccessiva importanza attribuita all'organizzazione come entità totale all'interno della quale era situato il comportamento individuale fosse di fatto autolesiva. L''etica sociale' che ne scaturiva stava soppiantando il tradizionale attaccamento degli Americani all'etica protestante dello sforzo individuale e dell'autodisciplina. L'organizzazione stava diventando un mezzo per soffocare e non più per lasciare libera l'iniziativa individuale. Se accostiamo le preoccupazioni espresse da Whyte e da Simon, possiamo individuare gli elementi principali delle teorie predominanti nell'organizzazione burocratica occidentale degli anni ottanta, come mostra la tabella. La razionalità stessa viene vista in maniera più dinamica, per cui si attribuisce importanza a livello individuale alla capacità di risolvere problemi, e a livello di organizzazione alla capacità di fornire schemi di prospettive razionali capaci di autocorreggersi. Per gli individui viene sottolineata l'importanza delle capacità professionali da una parte, e del possesso di qualità direttive dall'altra, mentre le organizzazioni vengono sempre più viste in termini di sistemi di comunicazione. La burocrazia moderna ruota attorno all'analisi finanziaria, alla creazione di immagine e ai data bases.
Sebbene sia esatto affermare che questa nuova ideologia manageriale incentrata sulla capacità di prendere decisioni sia sorta dal settore industriale e capitalistico, l'amministrazione statale non è stata immune dalla sua influenza. Lo Stato assistenziale era una creazione dell'amministrazione pubblica organizzata su base centralizzata, ed era pertanto strettamente legato alla necessità di controllare la società nel suo complesso oltre che di incrementare il benessere del singolo in tutti i sensi. Esso ha conosciuto una riduzione di compiti in seguito alle richieste di prestazioni migliori avanzate dai cittadini, e questo ha portato - come ha evidenziato Jürgen Habermas - a una crisi di legittimazione dello Stato assistenziale, il quale vi ha risposto in due direzioni: sottolineando l'importanza delle prestazioni dei propri funzionari e riducendo nel contempo il numero di compiti che potevano dare adito a critiche. Contemporaneamente, le macchine governative sono state rese più rispondenti alle necessità dei leaders politici di presentare un'immagine all'opinione pubblica. Dal momento che il reclutamento di personale per il governo e per il mondo degli affari attinge con sempre maggiore frequenza al medesimo settore di persone istruite e di professionisti, e poiché le capacità richieste in entrambi i campi sono divenute sempre più simili, non è certo sorprendente il fatto che l'ethos dei due settori sia divenuto pressoché identico. Per quanto concerne la struttura burocratica, la somiglianza di ethos ha determinato una sempre maggiore attenzione, e quindi un'incentivazione della varietà e della flessibilità, rispetto agli obiettivi specifici di particolari organizzazioni. La gestione partecipativa, la gestione cooperativa, la ripartizione del lavoro e il management per obiettivi sono possibilità valutate tutte in base al loro contributo a un determinato compito e in base al contesto specifico. Ne consegue così un'ampia varietà di possibili assetti strutturali: la scienza sociale empirica ha dedicato molta attenzione a dimostrare come i fattori costitutivi della burocrazia, che componevano il tipo ideale di Weber, siano in realtà grandezze variabili dotate di un'ampia possibilità di variazioni indipendenti. Il livello di gerarchia, la quantità di specializzazione funzionale, la proporzione tra lavoratori impiegati nell'amministrazione e lavoratori produttivi divengono fattori variabili soggetti a revisione e a controllo costante da parte della direzione (v. Hall, 1972).
Considerando in prospettiva il mutamento della scienza della burocrazia nel XX secolo, si può notare come l'importanza attribuita alla centralità della razionalità sia divenuta ancora più marcata.
Partendo infatti da Hegel, possiamo affermare che si è avuto uno sviluppo in tre fasi: una prima fase, quella hegeliana, nella quale si riteneva che la razionalità fosse insita nella pubblica amministrazione, la quale rappresentava il culmine del processo con cui la ragione emergeva dalla storia; una seconda fase, quella weberiana, nella quale si pensava che la razionalità fosse un principio strutturante che portava alla creazione di strutture burocratiche; una terza fase, quella attuale, autopoietica, nella quale si ritiene che la razionalità sia il principio autogenerantesi che sta alla base della costante trasformazione delle strutture organizzative. Risulta ora evidente come l'idea di burocrazia e la realtà del fenomeno si siano sviluppate secondo una dialettica necessaria. Parimenti però, la razionalità stessa si è evoluta o, se vogliamo usare un'altra espressione, si è intensificata. Da insieme di principî si è trasformata in processo di ricerca finalizzato alla generazione di principî; da realizzazione di obiettivi prefissati attraverso mezzi stabiliti si è trasformata in processo di individuazione di obiettivi e di controllo dei risultati; da mera questione di calcolo e previsione si è trasformata in una ricerca tesa a creare le condizioni nelle quali è possibile avere calcoli e previsioni più esatti, in particolare dopo che i mezzi di previsione e di calcolo si sono sviluppati con un ritmo straordinario. I mezzi per l'immagazzinamento di informazioni e il richiamo dei dati sono oggi tali che è possibile avere accesso immediato ai dati personali di ogni singolo individuo in una società moderna. Con il trasformarsi della razionalità è divenuto così tecnicamente di più facile realizzazione il governo attraverso i funzionari. I segni della razionalità devono oggi essere sempre più ricercati nella capacità da parte del sistema sociale mondiale di controllare un ambiente naturale minacciato dall'enorme capacità produttiva generata. Sotto questo aspetto dobbiamo attenderci che il XXI secolo sia l'epoca in cui la burocrazia diverrà un fenomeno di portata mondiale. L'Organizzazione delle Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali di diverso genere hanno già dato origine a una burocrazia internazionale, a un corpo di funzionari in stretto contatto con controparti in organizzazioni capitalistiche multinazionali. Non possiamo fare a meno di chiederci se questa burocrazia internazionale non prefiguri l'apparizione di un nuovo tipo di sistema sociale mondiale, che sostituirà i tipi tra loro in competizione ora esistenti.
Marx lasciò il movimento rivoluzionario della classe operaia senza una compiuta teoria della burocrazia o dello Stato. Egli predisse che lo Stato sarebbe alla fine totalmente scomparso, poiché era uno strumento della borghesia nella società capitalistica, e che sarebbe stato sostituito dall'amministrazione delle cose. Questa previsione non poteva certo servire da indicazione specifica e, in parte in conseguenza di ciò, la burocrazia ha costituito uno dei principali problemi per le società socialiste che hanno tratto ispirazione dalla dottrina marxiana. Questo, del resto, era già stato previsto da altri autori: sia i critici anarchici di Marx sia i conservatori fautori dello status quo ritenevano che il socialismo avrebbe aumentato enormemente il pericolo di una totale burocratizzazione, e questo avveniva prima della Rivoluzione russa. Anche Max Weber concordava nel ritenere che una società socialista sarebbe stata ancora più burocratica di una società capitalistica. Tuttavia, i leaders del Partito bolscevico russo non poterono evitare di prendere posizione nei riguardi dei problemi tecnici dell'amministrazione, sia all'interno del Partito sia, in seguito, all'interno dello stesso Stato sovietico. Essi fecero ricorso a un saggio di Friedrich Engels intitolato Dell'autorità, apparso per la prima volta in lingua italiana nel 1874, sulla rivista "Almanacco repubblicano", come risposta agli anarchici. Engels asseriva che l'industria moderna si fondava sull'azione congiunta di numerosi individui e questo rendeva necessaria l'organizzazione. Organizzazione significava autorità. Chi poteva pensare che il funzionamento di una ferrovia implicasse autorità, e che una rivoluzione invece non richiedesse autorità? Questo testo fu utilizzato da Lenin, che nel 1904 era perfino disposto a definire la burocrazia "il principio organizzativo della socialdemocrazia rivoluzionaria" (v. Lenin, 1904). In Stato e rivoluzione egli fece un brillante tentativo di conciliare la spinta verso la libertà del socialismo con la necessità di un'amministrazione: "Gli operai, impadronitisi del potere politico, frantumeranno il vecchio apparato burocratico, lo distruggeranno fino alle fondamenta, ne elimineranno financo le radici, e lo sostituiranno con uno nuovo composto dei medesimi lavoratori e impiegati; e perché essi non si trasformino in burocrati saranno immediatamente prese le misure esposte particolareggiatamente da Marx ed Engels, ossia: 1) possibilità non solo di elezione ma anche di revoca dell'incarico in qualunque momento; 2) stipendio non superiore a quello di un operaio; 3) immediata introduzione di controllo e supervisione da parte di tutti, così che tutti divengano burocrati per un certo tempo e nessuno possa, pertanto, divenire un burocrate" (v. Lenin, 1917).
Queste speranze di controllare la burocrazia nei nuovi Stati socialisti non si sono mai realizzate e nel corso degli anni sono state il bersaglio degli attacchi di numerosi dissidenti. Fu questo uno dei temi principali delle accuse di Trockij al regime sovietico, ma l'attacco più pesante è venuto dal leader iugoslavo Milovan Djilas, il quale nel suo libro La nuova classe ha sostenuto che gli apparati del Partito e dello Stato monopolizzavano i benefici del possesso comune dei mezzi di produzione e potevano pertanto essere considerati come una nuova classe, la burocrazia (v. Djilas, 1957). In Cina Mao Zedong ha fatto spesso riferimento a burocrati-capitalisti, e una delle ragioni per cui egli scatenò le Guardie Rosse e favorì la rivoluzione culturale pare proprio essere stata la sua volontà di contrastare quelle che considerava tendenze alla burocratizzazione. Il problema non è stato però risolto. La nuova politica della perestroika, di Michail Gorbačëv deve essere vista, sotto molti aspetti, come l'ennesimo tentativo di affrontare problemi collegati alla burocrazia statale, ossia segretezza, mancanza di iniziativa, scarsa disponibilità a mutare le procedure, limitazione delle prestazioni al minimo richiesto, mancanza di risposta alle esigenze dei fruitori di servizi. È destinato tuttavia a perdurare il dilemma paradossale per cui anche questa nuova politica deve essere attuata attraverso strutture burocratiche ed è pertanto soggetta alle costrizioni di ogni politica che faccia affidamento sui funzionari.
La burocrazia può in eguale misura essere considerata un problema profondamente radicato e ineliminabile nella società capitalistica. Uno dei principali economisti liberali, Ludwig von Mises, è anche il più eminente esponente di una lunga serie di critici della burocrazia nelle democrazie occidentali, i quali hanno sostenuto che, poiché l'essenza dello Stato è il controllo, mentre l'impresa capitalistica necessita di libertà e la promuove, lo Stato in quanto tale costituisce sempre un pericolo per la libertà. Sono stati di conseguenza elaborati progetti per definire in termini minimali il ruolo dello Stato nelle società capitalistiche, rendendolo responsabile della legge e dell'ordine pubblico, della difesa e di certi aspetti del meccanismo economico, sebbene quest'ultimo punto sia fortemente contestato. Uno di questi aspetti è la difesa del valore del denaro. Lo Stato dei minimalisti, dunque, fornisce le condizioni basilari minime necessarie al capitalismo per prosperare, e a questo riguardo potrebbe in effetti essere visto, in termini marxiani, come un sistema finalizzato, in una società divisa in classi, al perseguimento degli interessi della borghesia. Weber invece era più propenso ad attribuire alla burocrazia un ruolo positivo di promozione del capitalismo. Tra capitalismo e burocrazia vi è a suo parere una collusione molto più attiva, nel senso che la burocrazia rigida migliora i livelli medi di istruzione, fornisce i mezzi di comunicazione fondamentali e in generale offre quel genere di stabilità nel quale il capitalismo può prosperare. A sua volta l'impresa capitalistica offre un'eccellente base fiscale per soddisfare le necessità dello Stato. Il modello weberiano prevede quindi un'interazione tra due sottosistemi sociali, il governo e l'economia, che rafforza entrambe le parti, le quali hanno differenti origini e tuttavia sono entrambe costrette a servirsi della burocrazia come forma di amministrazione più razionale.
La tesi weberiana che asseriva l'esistenza di una relazione di mutuo supporto tra la componente statuale e quella capitalistica della società moderna fu messa in crisi dall'esperienza fascista europea, in quanto in Germania, Italia e Spagna si vide un partito di massa assumere il controllo dell'economia, che era incentrata attorno a proprietari capitalisti, e nello stesso tempo utilizzare la burocrazia statale. Dopo il secondo conflitto mondiale il modello capitalistico dello Stato assistenziale, basato principalmente sull'economia interventista di Keynes, ha prodotto uno stretto intreccio tra Stato ed economia. In condizioni di pieno impiego anche i sindacati divengono cofirmatari di accordi tra Stato e datori di lavoro, e così per un certo periodo di tempo negli anni settanta si è sostenuto che il corporativismo aveva soppiantato il capitalismo come forma societaria basilare. Il ruolo più importante dello Stato rimane quello nell'economia: nei paesi industrializzati lo Stato spende tra il 30 e il 60% del prodotto nazionale lordo. Vasti settori dell'industria moderna, in particolare quello degli armamenti e dell'esplorazione dello spazio, dipendono quasi interamente dalle enormi commesse statali, mentre un'ampia fetta della popolazione, in particolare anziani e disoccupati, riceve direttamente dallo Stato le proprie entrate.
La relazione tra Stato e capitale è di tipo variabile ed è difficile imputare la crescita della burocrazia all'azione dell'uno sull'altro. Piuttosto, è forse più plausibile ipotizzare che Stato e capitale siano soggetti, ciascuno indipendentemente dall'altro, a burocratizzazione. Innanzitutto, la burocrazia ha avuto chiaramente un ruolo dominante nelle società socialiste (e pare difficile attribuire ciò al loro passato borghese); in secondo luogo, vediamo che anche l'impresa capitalistica è sempre alle prese con il problema del controllo dei propri dipendenti. Il capitalismo può offrire autonomia ai proprietari, ma la grande maggioranza della gente lavora all'interno delle aziende in qualità di dipendente. La burocrazia è aumentata perché la tecnologia dei mezzi di comunicazione, coordinazione e controllo è cresciuta tanto da permettere la crescita delle aziende, capitalistiche e non capitalistiche. La classe degli impiegati, ma in particolare degli impiegati in aziende, è andata espandendosi per tutto il secolo; così la classe media costituita dai cosiddetti 'colletti bianchi', piuttosto che il proletariato industriale, è divenuta la classe tipica del capitalismo moderno. Come afferma Charles Wright Mills in un'opera divenuta ormai un classico della sociologia, I colletti bianchi, "essi sono un nuovo cast di attori, interpreti dei ruoli più tipici della società del XX secolo" (v. Mills, 1956, p. IX). La loro ascesa continua implacabile anche negli anni ottanta. La crescita della classe media, occupata principalmente presso grandi organizzazioni, e l'importanza del tutto analoga attribuita alle sue funzioni nelle società capitalistiche e in quelle socialiste hanno indotto molti autori a sostenere l'esistenza di un tipo solo di società moderna, la società industriale, caratterizzata da analogie nella struttura occupazionale, negli interessi e nell'ethos, che travalicano le differenze politiche. Questa concezione è legata in particolare ai nomi di alcuni sociologi francesi, da Saint-Simon fino a Raymond Aron. Questa idea di una convergenza dei sistemi politici è stata anche espressa con l'immagine di una "rivoluzione manageriale" (James Burnham) o, con la tecnocrazia, del governo dei tecnici. Le questioni concernenti la proprietà formale o effettiva nella produzione di ricchezza sono considerate meno importanti per la definizione di un tipo di società rispetto all'ethos imposto dalla classe predominante.
Se ci concentriamo sui processi di razionalizzazione dell'amministrazione che pervadono la società industriale e sulla classe impegnata a eseguire i compiti che questa società richiede, non possiamo fare a meno di chiederci se la razionalizzazione stessa non possa generare ancora un nuovo tipo di società. Daniel Bell ha ipotizzato l'emergere di una "società postindustriale" basata sulla "centralità della conoscenza teorica come asse attorno al quale saranno organizzate le nuove tecnologie, la crescita economica e la stratificazione della società" (v. Bell, 1976, p. 112). In questa società le professioni e le occupazioni tecniche avranno un rango elevato, l'economia ruoterà attorno ai servizi più che alla produzione, la teoria astratta avrà un ruolo centrale. Bell prevede che in questo tipo di società la burocratizzazione, o "dominio delle regole", costituirà un problema ricorrente. Negli anni ottanta gli impieghi storicamente associati alla burocrazia assorbono una quota sempre maggiore della popolazione attiva, ma la tendenza verso un continuo aumento dell'impiego a lungo termine in grandi organizzazioni risulta ora meno evidente. Il contratto per la prestazione d'opera è divenuto un'alternativa comune alla carriera a vita sotto un unico datore di lavoro per le persone dotate delle qualifiche atte a fare di loro dei lavoratori autonomi. La necessità che le organizzazioni hanno di fornire risposte rapide al variare delle circostanze le induce ad assumere e a licenziare il personale giovane e vecchio con maggiore frequenza, mentre le specializzazioni divengono rapidamente obsolete. Lo sviluppo del microcomputer rende possibile impiantare l'ufficio a casa e permette così di superare la separazione tra luogo di lavoro e residenza, che costituiva una delle separazioni fondamentali del protocapitalismo. La percentuale di dipendenti per capitale impegnato continua a diminuire. Con la penetrazione della razionalizzazione all'interno delle case assistiamo contemporaneamente all'inizio di un processo di 'deburocratizzazione' nelle grandi organizzazioni. Il controllo per mezzo di regole può essere sostituito da premi e incentivi. Ciò che pare certo è che il processo di razionalizzazione continuerà a rimanere la forza propulsiva, anche se il suo effetto futuro sarà quello di stimolare l'indipendenza di una ricca classe media dal controllo dello Stato e delle organizzazioni. (V. anche Amministrazione, scienza della; Amministrazione pubblica; Impiegati e funzionari; Organizzazione; Stato).
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