CALABRIA
Tra la fine del sec. XII e gli inizi del XIII la Calabria, suddivisa lungo la linea Squillace-Tiriolo-Nicastro nei giustizierati di Val di Crati e Terra Giordana a nord e di Calabria a sud, registrò con relativa tranquillità il passaggio dalla dinastia normanna a quella sveva, altrove problematico e persino cruento.
Alla morte di re Tancredi, la maggior parte della feudalità si schierò subito con l'imperatore Enrico VI sposo di Costanza d'Altavilla, regina di Sicilia, anche se alcuni focolai di resistenza si estesero a opera di Ruggero di Trebisacce, Goffredo di Carbonara, Tancredi di Tarsia e altri ancora, soprattutto nell'alta Val di Crati, dove l'imperatore cercò di assicurarsi il controllo del territorio, allargando sul Tirreno i possedimenti dell'abate cassinese Roffredo. Era il prologo della politica repressiva che Enrico VI avrebbe attuato con forza sino alla morte, sopraggiunta improvvisamente a Messina il 28 settembre 1197. La scomparsa dello Svevo fu accolta con sollievo nel Regno.
Nell'intento di riconciliare gli animi esasperati dalle angherie compiute dai notabili della cerchia imperiale e di tutelare gli interessi del piccolo Federico, la regina Costanza si adoperò per recuperare affidabilità nel Regnum. La prima mossa, con l'appoggio del pontefice, fu quella di allontanare Marcovaldo di Annweiler (v.), maresciallo imperiale, e tutti i dignitari tedeschi che non solo avevano spadroneggiato nei feudi, ma si erano altresì intromessi nella gestione delle Chiese locali, come risulta dai registri di papa Innocenzo III, il quale con la bolla Super gentes et regna del 19 novembre 1198, confermando a Costanza e a Federico il RegnumSiciliae, richiedeva loro il formale impegno che le elezioni episcopali si svolgessero al riparo da ogni ingerenza laica. Nel contempo la sovrana impartì istruzioni perché alla gestione delle cariche pubbliche fossero deputate persone preparate e fidate, preferibilmente regnicole e, presaga della fine imminente, nel corso dell'anno che la separò dalla morte, avvenuta a Palermo il 28 novembre 1198, emanò numerosi provvedimenti in favore di chiese e monasteri calabresi, che in Val di Crati erano stati segnati da un disastroso terremoto il 24 maggio 1184.
Le conseguenze di quella catastrofe si ripercossero per decenni, incidendo non poco sulle stesse condizioni di vita delle popolazioni interessate, e si rinnovarono ancora a causa dei successivi sismi del 1222 e del 1230. Quest'ultimo interessò la Calabria meridionale nella zona dello Stretto di Messina. In ragione della configurazione orografica, la Calabria non disponeva di vaste zone fertili, ma era ricca di notevoli risorse naturali, botaniche e minerarie. I boschi innanzitutto, specialmente quelli silani, noti sin dall'età classica per i legni pregiati e le resine ‒ in particolare la pece ‒ che da essi si estraevano, costituivano una preziosa materia prima per le costruzioni navali. Proprietà del regio demanio, le selve continuavano a essere in parte assegnate dai sovrani a chiese e monasteri, ai quali incombeva l'obbligo di fornire il legname occorrente per la regia flotta, trasportandolo ai porti più vicini, come quelli di Cetraro, di Reggio e di Crotone, e altri ancora. Nella scia dei re di Sicilia suoi predecessori, Federico II concesse notevoli estensioni di bosco alle abbazie di Corazzo, di S. Giovanni in Fiore, di S. Stefano del Bosco, di S. Angelo del Frigilo, di S. Maria di Acquaformosa, della Sambucina/Matina, e ai monasteri calabro-greci di Altilia, del Patire, di S. Filippo d'Argirò. I quali erano altresì abilitati a estrarre ferro e altri minerali, come l'argento, l'allume e il sale, dalle miniere dei territori boschivi assegnati, senza gravami fiscali, ma con l'unico adempimento delle prestazioni per il regio arsenale.
La maggioranza della popolazione era dedita all'agricoltura e alla pastorizia, e impegnata altresì nella gelsicoltura, da cui proveniva la seta greggia per l'esportazione. Prodotti che erano scambiati ogni anno nelle due grandi fiere generali, che si tenevano a Reggio e a Cosenza. Notevole l'industria armentizia con le regie razze, allevate nel Crotonese e affidate a Giordano Ruffo, autore di un trattato sulla cura dei cavalli (v. Ippiatria) e fratello di quel Pietro che avrebbe determinato la fine degli Svevi nel Regno, al tempo di Manfredi. Una stima complessiva sul piano demografico può essere fatta solo per approssimazione, in base ai calcoli fiscali del 1276, che indicano in 280.384 gli abitanti del giustizierato di Val di Crati e Terra Giordana (l'attuale provincia di Cosenza dalla "Porta Petrae Roseti" e la parte ionica di quelle di Catanzaro e Crotone) e in 131.353 quelli del giustizierato di Calabria (l'attuale provincia di Reggio e la restante parte tirrenica delle province di Catanzaro e di Vibo Valentia). In tutto 411.737, disseminati in poco meno di 500 centri abitati: 269 nel primo giustizierato e 230 nel secondo, in prevalenza cristiani, ma con una forte minoranza di ebrei, circa 2.600, attestati a Crotone (951), Rossano (278), Castrovillari (183), Bisignano (181), Cosenza (138), Regina (128), Brahalla (6) e Acri, in Val di Crati e Terra Giordana; a Reggio (196), Monteleone (156), Nicotera (39), Nicastro (6), Seminara (3) e Gerace, in Terra di Calabria.
Rimanevano pressoché immutati gli antichi distretti diocesani, con le metropolie di Reggio e di S. Severina, l'arcivescovato di Cosenza e quello autonomo di Rossano, e la diocesi di Bisignano immediatamente soggetta al pontefice romano, parzialmente rettificati in età normanna con l'istituzione delle diocesi di Mileto e di S. Marco, immediatamente soggette, e l'assorbimento della diocesi di Malvito in quella di S. Marco, e con la soggezione in temporalibus etspiritualibus di Cetraro e di S. Maria di Tropea al monastero cassinese. Alla metropolia di Reggio afferivano otto vescovati: Bova, Oppido, Gerace, di tradizione bizantina, Squillace, Catanzaro, Cassano di tradizione latina, tutti nel versante ionico, e poi quelli latini di Tropea e Nicastro sulla costa tirrenica. Dipendevano dal metropolita di S. Severina sei sedi suffraganee: Isola Capo Rizzuto, S. Leone, Belcastro, Strongoli, Umbriatico e Cerenzia, mentre il vescovato di Martirano era l'unica sede della provincia ecclesiastica di Cosenza. La crisi dei monasteri calabro-greci è assai evidente: basti ricordare l'affidamento ai Florensi di molti cenobi silani documentato nei territori delle diocesi di Rossano, Catanzaro, Cerenzia e S. Severina. Anche il clero greco attraversava un periodo di grande difficoltà, in quanto non riusciva a sopravvivere con le sole elemosine, come appare da una supplica rivolta dai "papas" di Squillace a papa Gregorio IX. Non mancavano, però, fedeli timorosi di Dio: digiuni, elemosine e pellegrinaggi erano vissuti da molti come testimonianza del Vangelo; la stessa pratica della vita eremitica conservava tratti di impegno sociale, come il soccorso e l'aiuto ai naviganti, offerto tra Scilla e Cariddi dai solitari dell'isola Strofaria; il messaggio di Francesco d'Assisi raggiunse presto la regione originando il protoconvento di Castrovillari, mentre i Domenicani non riuscirono a stabilirsi per l'avversione della casa sveva contro di loro.
Sostanzialmente stabile si presenta il quadro delle circoscrizioni civili. Accanto alle città demaniali come Reggio, Cosenza, sede della Curia generale, Castrovillari, Amantea, Rossano, Bisignano, Cassano, troviamo centri feudali di rilievo come le contee di Catanzaro, Policastro, Squillace, Crotone, Aiello, Tropea, S. Marco, Montalto, Sinopoli, Tarsia e Bova, quest'ultima soggetta al vescovo di Reggio dal 1195, ma anche microoligarchie locali come quelle di Luzzi, Fiumefreddo, Amendolara, Brahalla e Saracena, talora esposte a rapide modificazioni. Ed è proprio seguendo le vicende dei suddetti centri che si possono individuare scelte e comportamenti che si affermarono in quel tempo in Calabria, allorché tutto il sistema castellare fu ampiamente restaurato e sorsero, per volontà regia, i nuovi centri abitati di Catona, Monteleone e Rocca Imperiale. Fu quella una stagione che registrò un notevole sviluppo economico.
Le fonti scandiscono con dovizia di particolari l'evolversi, anche in Calabria, del difficile rapporto tra Papato e Impero. Si riconoscono almeno tre fasi: il periodo della minore età di Federico, dalla morte di Costanza all'incoronazione del 1212; gli anni dell'intesa con la Sede Apostolica fino alla prima scomunica (1227); e infine la rottura con il papa, che avrebbe poi determinato il tramonto stesso della casa sveva. Federico II conobbe la regione nei suoi spostamenti via terra e via mare. Presente a Cosenza per la consacrazione della cattedrale il 30 gennaio 1222 e poi nel maggio dello stesso anno, sostò a Crotone e a Mileto nel 1223. Le sue spoglie mortali, rivestite della cocolla cistercense, transitarono dalla costa ionica, in viaggio verso Palermo. Enrico VI e Costanza d'Altavilla conobbero Gioacchino da Fiore, e questi vide certamente anche il piccolo Federico. Le profezie e le concordanze del monaco di Fiore sono state spesso lette in chiave sveva, indicando in Federico II l'Anticristo e nel tramonto della sua casa la fine del mondo.
La successione al Regno fu problematica anche in Calabria. Manfredi mantenne il dominio, dapprima come luogotenente del fratello Corrado IV, e in tale veste si affidò a Pietro Ruffo, maestro e giustiziere di Calabria e di Sicilia, per contrastare le ambizioni delle città e dei feudatari locali desiderosi di affrancarsi dal potere regio. In seguito, alla morte di Corrado (1254), nonostante la reggenza per il nipote Corradino fosse stata affidata a Bertoldo di Hohenburg e l'amministrazione della Sicilia e della Calabria a Pietro Ruffo, Manfredi si accordò con alcuni ceti nobiliari della Calabria che si schierarono contro Ruffo, al quale, nel 1256, era stata revocata la funzione di gran maresciallo dalla Curia generale di Bari, dopo un tentativo di spedizione pontificia nella regione. Nel 1258, sparsasi la falsa voce della morte di Corradino, Manfredi si fece incoronare re di Sicilia (10 agosto) e sposò Elena, figlia del despota d'Epiro. Riconosciuto capo dei ghibellini d'Italia, incorse nella scomunica di papa Alessandro IV. Fu poi papa Urbano IV a offrire la corona di Sicilia a Carlo d'Angiò, fratello di Luigi IX re di Francia. Nel 1265 Carlo venne in Italia e, incoronato re di Sicilia a Roma da papa Clemente IV (1266), mosse contro Manfredi, che era appoggiato da truppe leggere saracene, fanteria mercenaria italica e pochi cavalieri tedeschi. Il 26 febbraio 1266 Manfredi morì in battaglia presso Benevento e nel Regno s'insediò Carlo d'Angiò. Le spoglie di Manfredi, che era stato sepolto sul campo di battaglia, furono fatte disseppellire da Bartolomeo, arcivescovo di Cosenza, e disperse sul terreno. Corradino scese in Italia con un piccolo esercito e riaccese la speranza di riscossa anche nel partito svevo di Calabria. Il sogno svanì quando gli Angioini lo sconfissero in Abruzzo nel 1268. Rifugiatosi presso il castello dei principi Frangipane, fu da costoro tradito per denaro e consegnato a Napoli agli Angioini, che fecero decapitare l'ultimo degli Svevi, quindicenne, nella piazza del Mercato. Per il Mezzogiorno e la Calabria si apriva una stagione difficile su tutti i fronti.
Fonti e Bibl.: N. Kamp, Kirche und Monarchie im staufischen Königreich Sizilien, I, Prosopographische Grundlegung: Bistümer und Bischöfe des Königreichs 1194-1266, 2, München 1975; S. Tramontana, La monarchianormanna e sveva, in Il Mezzogiorno dai Bizantini aFederico II, a cura di A. Guillou et al., Torino 1983 (Storia d'Italia, diretta da G. Galasso, III), pp. 435-810; M. Bellomo, Società e istituzioni dal Medioevo agli inizi dell'età moderna, Roma 1999; P. De Leo, La Calabria in età sveva, in Mezzogiorno-Federico II-Mezzogiorno. Atti del Convegno internazionale di studio promosso dall'Istituto Internazionale di Studi Federiciani, C.N.R., 18-23 ottobre 1994, a cura di C.D. Fonseca, I, ivi 1999, pp. 381-398 (e la bibliografia ivi citata); F. Porsia, Calabria normanna e sveva, in Storia della Calabriamedievale. I quadri generali, a cura di A. Placanica, ivi 1999, pp. 157-173. P. De Leo, Kalabrien, in Lexikon des Mittelalters, V, München-Zürich 1991, coll. 861-864.