Cameralismo
1. Introduzione
Il cameralismo non è fenomeno facile da definire preliminarmente, sulla base di criteri interni attinenti, come di consueto, ai contenuti della sua esistenza storica o ai metodi con cui esso si è affermato. Certo, si tratta di un evento storico che ha avuto corso nell'ambito dell'esperienza (teorica e pratica) politica moderna, ma è possibile tracciare un quadro di esso solo a posteriori, sulla base della concreta, e piuttosto alluvionale, aggregazione di temi e d'interventi che si è verificata nella Germania moderna, in corrispondenza con lo specifico sviluppo storico-costituzionale di quest'ultima.
Si può allora dire, provvisoriamente, che il cameralismo rappresentò un complesso insieme di interazioni fra precisi atteggiamenti politico-istituzionali, corrispondenti alla fase centrale di formazione dello Stato tedesco (Stato di polizia), e altrettanto puntuali forme di speculazione politica, elaborate assai spesso con intenti immediatamente operativi e sempre comunque in risposta ai problemi reali che il nuovo assetto costituzionale e sociale andava generando. Ciò consente da una parte di riconoscere la storicità del cameralismo in rapporto alle condizioni della Germania, dalla pace di Vestfalia alle guerre di liberazione antinapoleoniche, dall'altra di attribuire a esso un significato tecnico plausibile e definitivo, senza diluirlo in un'accezione che per essere troppo comprensiva finirebbe per privarlo delle sue autentiche peculiarità e della sua validità come strumento di comprensione storica. Ciò non toglie, tuttavia, che l'ambito di riferimento del cameralismo resti forse troppo ampio per consentire utili comparazioni con episodi contemporanei del pensiero e della prassi politica europea, in cui normalmente già prevaleva - come nei casi francese e inglese - un interesse più chiaro e spiccato per problematiche già disciplinarmente definite nel senso delle moderne scienze sociali. Nel cameralismo, invece, elementi di scienza dell'amministrazione, come di economia, di scienza delle finanze, di tecnica agraria o manifatturiera, concorrono insieme (non come semplice somma o accostamento ma in articolata fusione) a sostenere la pretesa di una possibile e praticabile scienza unitaria dello Stato. Sarà solo in epoca post-cameralistica, nel corso dell'Ottocento, che il dilemma fra quest'ultima pretesa e l'altrettanto forte tendenza alla specializzazione delle nuove scienze sociali troverà più o meno felice soluzione.
2. Il cameralismo nella storia del pensiero politico moderno
Nel libro migliore mai scritto sul cameralismo (v. Small, 1909), quest'ultimo viene succintamente definito come "un fattore singolo dell'evoluzione sociale negli Stati tedeschi"; un fattore però decisivo perché gli Americani possano acquisire una "corretta valutazione del sistema attuale della Germania". Non a caso il titolo del libro di Small non indica un movimento, ma una pluralità di autori: esso suona, infatti, semplicemente The cameralists. Solo attraverso questa 'serie di scrittori' si arriva a una "teoria civica coerente, corrispondente al sistema amministrativo tedesco all'epoca in via di evoluzione". Lo Stato e il suo benessere sono il nucleo di quella teoria; i bisogni e le corrispondenti entrate statali ne costituiscono i problemi principali.
Quel che conta è però che, per Small, "i cameralisti non erano principalmente economisti; essi erano in primo luogo teorici della politica". In quanto tali, essi vengono presentati come la linea più autentica dell'evoluzione della teoria sociale tedesca dalla Riforma alla Rivoluzione francese. Ma non basta; Small insiste nel dire che il suo interesse per loro non è di tipo antiquario, bensì operativo: "mi interessa vedere cosa si possa apprendere da loro che abbia validità permanente per il metodo sociologico". La lettura 'attualizzante' che Small offre del cameralismo tedesco del XVII e XVIII secolo non deve stupire. Il cameralismo è infatti fra i movimenti politici che più si sono prestati a simile tipo di interpretazione.
La globalità di attenzione per i problemi di governo, con particolare riferimento al benessere - che di quest'ultimo costituiva tanto il fondamento, quasi filosofico, di legittimazione, quanto l'obiettivo, amministrativo, di esplicazione -, è la ragione principale di ciò. L'esempio più vistoso di tale interesse risale a Gustav Schmoller e, prima ancora, a Lorenz von Stein, ma ha accompagnato l'evoluzione del cosiddetto 'Stato sociale' anche nel XX secolo, non solo in Germania (si pensi a E. Forsthoff, per i profili giuridici, e ad A. Tautscher, per quelli economico-finanziari) ma anche in Italia (dal punto di vista giuridico-amministrativo, di nuovo con M. S. Giannini, ad esempio, e da quello storico-amministrativo e politologico con G. Miglio). Ciò non toglie, tuttavia, che il cameralismo fosse un fenomeno tipicamente germanico, strettamente collegato alle specificità storiche che il problema del potere assunse nell'esperienza politica moderna tedesca e austriaca. In tal senso è difficile rinvenire qualcosa di realmente analogo in altre esperienze europee, anche più importanti dal punto di vista della storia dello Stato moderno.Le ragioni di ciò sono difficili da cogliere. Esse coincidono però con le ragioni stesse della storia costituzionale tedesca in età moderna, caratterizzata, da una parte, da un'arretratezza congenita dovuta all'inadeguatezza permanente della doppia struttura 'piccolo Stato territoriale/Sacro Romano Impero' della nazione tedesca, e dall'altra dalla straordinaria spinta riformatrice prodotta dal cosiddetto assolutismo illuminato (sulla base anche degli effetti politici del protestantesimo).
3. Il cameralismo tra 'polizia' e diritto naturale. Il nesso territorio-Impero
Il complesso di problemi che costituivano il tema della costruzione dello Stato in Germania sono andati a lungo - dal XVI al XIX secolo - sotto il nome abbastanza generico, ma certo assai nobile, di Polizei. Ecco perché si può affermare che il momento cruciale in cui il cameralismo si presenta come vera e propria scienza politica e dello Stato è quello in cui esso assume fra i propri oggetti la polizia. Per fare un esempio esplicito, è sintomatico quel che scrive nel 1717, in un'operetta anonima, il cameralista Theodor Ludwig Lau: una "polizia ben strutturata" è il primo dei quattro "pilastri fondamentali" dell'edificio finanziario statale. Sarà di dieci anni successiva (1727) l'istituzione delle prime due cattedre di Ökonomische-, Polizei- und Kameralwissenschaft alle Università di Halle e di Frankfurt an der Oder.Il merito è del più grande, forse, dei monarchi Hohenzollern: Federico Guglielmo, il re soldato. Un altro cameralista famoso, Ludewig, commentando in un lavoro apposito la "professione recentemente istituita", annoterà subito infatti che "esercito ed economia vanno di pari passo". Noi potremmo aggiungere quello che è poi divenuto proverbiale in Germania, e soprattutto in Prussia, in età guglielmina: che esercito e amministrazione sono i due pilastri dello Stato, ai quali, a un certo punto, ne viene aggiunto un terzo, 'la scienza'.
La polizia di cui stiamo parlando è il buon ordine (interno) della comunità politica; essa ha come obiettivo il benessere del suddito. Per raggiungere tale scopo si deve però curare anche il benessere del principe e dello Stato. Di ciò si occupano le altre scienze che compongono l'insieme disciplinare cameralistico: quella economica, in primo luogo (che, a differenza di quanto sta accadendo nello stesso periodo in Inghilterra e in parte anche in Francia, tende a ridursi sempre più, nel mondo tedesco, a una specie di tecnologia economica) e la scienza camerale in senso stretto, particolarmente dedicata ai problemi fiscali e di scienza delle finanze.
Il cameralismo appare dunque, nella sua fase matura, che è quella settecentesca, come un vero e proprio sistema di dottrine inerenti sia ai fini che ai mezzi indispensabili a uno Stato moderno. In tale intreccio il rapporto principe-sudditi occupa il posto preminente. Ed è così che si capisce il rapporto che si poté istituire, direttamente o indirettamente, fra cameralismo e diritto natural-razionale. A parte Wolff, infatti, nelle cui pagine si riflette "il demone giocondo dell'eudemonismo barocco" (v. Miglio, 1957), fu Christian Thomasius, in polemica con lo scritto sopra citato di Lau, a sottolineare la differenza di fondo sussistente fra il benessere del suddito e quello del principe, rendendo il secondo esplicitamente strumentale al primo.
È importante segnalare, a questo punto, che il maggior coinvolgimento di Thomasius col cameralismo si ebbe nell'esauriente commento da lui apprestato all'edizione del Politisches Testament di Melchior von Osse, da lui messo a punto "ad uso del proprio auditorio" in Halle, nel 1717. Si tratta di un testo, risalente al 1556, che viene normalmente considerato il primo testo cameralistico in assoluto. In esso la "polizia" (Policey) del principato elettorale di Sassonia viene presentata come "esempio di buono Stato". Più in particolare, il contenuto dell'opera consiste nel mostrare "come un sovrano, in onore a Dio e per il benessere del suo paese e del suo popolo, deve apprestare un governo giusto nelle cose ecclesiastiche, di scuola e terrene, per il mantenimento della giustizia e per l'abbreviamento dei processi troppo lunghi".
Tale appare, fin dall'inizio, il quadro sintomatico del cameralismo. Niente meglio del nesso Osse-Thomasius ci offre la prova che esso poteva muoversi a un livello così pragmatico e insieme indistinto di considerazione politica, ma anche svolgere un suo preciso ruolo nella fondazione della scienza politica tedesca, perché si trovava sotto il riparo autorevole della contemporanea speculazione giusnaturalistica, che proprio in Germania, dalla metà del Seicento, andava celebrando i suoi fasti. Basta rifarsi, a tale proposito, alla Storia dell'analisi economica di Schumpeter. Nel primo volume un capitolo è dedicato ai Dottori della Scolastica e filosofi del diritto naturale. Un paragrafo, intitolato Il concetto di diritto naturale, si suddivide in: a) il concetto etico-giuridico, b) il concetto analitico, c) il diritto naturale e il razionalismo sociologico. Riandando all'origine 'moderna' del fenomeno, Schumpeter si sofferma sul Molina, di cui dice: "Egli mette chiaramente in relazione, facendo riferimento al bene comune, il diritto naturale con la nostra diagnosi razionale dei casi (siano contratti individuali o istituzioni sociali) che noi osserviamo nelle ricerche scientifiche o nella pratica". Lo stesso concetto è ribadito, in maniera più esplicita, poco dopo: "la scienza sociale scoprì se stessa nel concetto di diritto naturale". Solo che tale scienza sociale fu veicolata, soprattutto in Germania, attraverso lo strumento tecnico del diritto. E ciò fu a sua volta possibile, a nostro avviso, anche perché l'economia e le altre componenti "non importanti" della moderna vita associata, sempre più dinamica e articolata, sul piano individuale e collettivo (ancora indistintamente sociale e statale, secondo il carattere dell' "antica società per ceti" illustrata da Otto Brunner), trovavano accoglienza, confusa ma molto produttiva, proprio nel cameralismo di cui stiamo trattando.
4. Il carattere pratico dell''arte di governo' tedesca nella prima età moderna. I problemi dell'assolutismo
Nel cameralismo, inteso come il movimento teorico e pratico che accompagnò la formazione e il consolidamento dello Stato moderno nei principali territori tedeschi (soprattutto in Prussia), l'interesse per gli aspetti concreti, pratici della convivenza sociale ebbe sempre il sopravvento sulle sofisticazioni teoriche. Ciò si vede assai bene a proposito del concetto-chiave dell'intera elaborazione, che funge anche da ponte logico fra la prospettiva più 'costituzionale' della polizia e quella più 'tecnica' della cameralistica. Mi riferisco al concetto di 'sicurezza'. Esso riceve, senza eccezione, da parte degli autori cameralisti, una trattazione d'impronta effettuale, che sembra denunciare un totale disinteresse per i problemi filosofici che il tema pure propone. Alla sicurezza vengono attribuiti contenuti esclusivamente materiali, oggettivi, che quasi prescindono dalla titolarità soggettiva, individuale, umana della corrispondente aspettativa.
Il punto di vista pragmatico prevale sulla preoccupazione di compiutezza sistematica. Ciò viene spesso evidenziato come prova del basso livello di elaborazione teorica del cameralismo, in confronto con le scuole di pensiero che, altrove in Europa, si dedicavano ai problemi della nuova politica. In realtà, il cameralismo sembra rispecchiare, proprio nella sua pragmaticità e ateoreticità, un atteggiamento davvero nuovo e originale della politica occidentale: quello per così dire statistico-induttivo, che ha rappresentato il versante su cui il pensiero politico si è fatto moderno, in sintonia con la grande rivoluzione del pensiero scientifico generale.
Su quel versante sorgono certo le grandi figure che tutti conosciamo, da Machiavelli a Bodin, a Hobbes, a Montesquieu, a Marx. Ma esse vivono anche grazie a un sottobosco fatto di un'infinità di minori, di specie e consistenza diversissima, tutti legati al comune denominatore della praticità del loro interesse per la politica e la società. In particolare, nei territori germanici, in cui misure di buona amministrazione, con particolare riferimento alle tecniche di esazione fiscale e di gestione finanziaria, e intenti di disciplinamento, con particolare riguardo alle tematiche del consenso e dell'obbedienza, trovarono intreccio e composizione variabili.Se allora può essere vero che i cameralisti usavano in maniera confusa i due concetti di sicurezza e di benessere, senza troppo porsi il problema del loro fondamento etico, bisogna però anche riconoscere che ciò che a loro maggiormente premeva era lo scopo reale dello Stato e, di conseguenza, l'ampiezza e l'efficacia della sua azione. Tanto più che era lo stesso diritto naturale a sottolineare che, nel rapporto sudditi-Stato, solo di felicità materiale si doveva comunque trattare.
"Il cameralismo rappresenta, nell'ambito della scienza dello Stato tedesca, le tendenze assolutistiche del potere territoriale, rivestite di teorie economiche in senso ampio", è stato detto (v. Preu, 1983). Forse si potrebbe dire meglio la stessa cosa anche così: nel cameralismo le tendenze assolutistiche dei principi territoriali più attenti alla modernizzazione (crescita dello Stato nei suoi dati oggettivi - burocrazia, esercito, pace sociale - e in quelli relativi alla legittimazione - consenso dei sudditi - i quali erano a loro volta espressamente visti come fini dell'attività statale) trovarono espressione tecnicamente efficace grazie all'adozione di dottrine a impronta economica, amministrativa e finanziaria e grazie alla realizzazione di politiche adeguate allo scopo.
In particolare, il cameralismo fu la traduzione sul piano della teoria politica della grande trasformazione, all'interno del cosiddetto 'assolutismo', dei rapporti fra principe e ceti. Esso infatti rispecchiò in modo consapevole - là dove riuscì ad affermarsi come tendenza vincente - non solo il rafforzamento del principe, in termini di potere d'intervento e di strumenti a disposizione, ma anche l'emergere di una nuova funzione cetuale: quella di un nuovo tipo di servizio pubblico, sostanzialmente incentrato in una burocrazia moderna che esigeva, come proprio specifico, un sistema di formazione altrettanto moderno.
5. La 'concezione amministrativa' nello Stato di polizia. Burocrazia e università
"Nella prima metà del XVIII secolo si sviluppò, nelle università tedesche, una combinazione disciplinare di nuovo tipo delle scienze dello Stato, a partire da diverse discipline scientifiche, sia vecchie che nuove [...]. Esse si organizzarono sulla base del nuovo interesse per lo Stato, come realtà storico-empirica" (v. Bödeker, 1985). Ciò dipese, oltre che da motivi inerenti alla storia interna della scienza, anche dall'ammodernamento dell'università stessa, con la fondazione delle nuove sedi di Halle nel 1694 e di Göttingen nel 1737.
La ristrutturazione ebbe effetti duraturi, che si consolidarono pienamente nel XIX secolo. Essa riguardò in particolare il diritto statale a impronta giusnaturalistica e la statistica, ma toccò direttamente anche il cameralismo e, per suo tramite, l'intero studio della politica ("dall'arte di governo alle scienze dello Stato": v. Schiera, 1968). Si può dire che si compì, a cavallo fra XVII e XVIII secolo, il superamento della tradizionale politica dell'aristotelismo tedesco (v. Dreitzel, 1970), prevalentemente attenta ai problemi dell'apparato di potere, della sua organizzazione, dei suoi diritti e della sua conservazione, a favore di una nuova politica pratica, concretamente interessata alle riforme interne dello Stato del benessere dell'assolutismo illuminato. Ciò si collegava appunto al problema della formazione dei nuovi impiegati dello Stato e, più in generale, alla centralità degli studi politico-amministrativi per il processo in corso. Al punto che si può cogliere il nesso fra cameralismo, rinnovamento universitario e modernizzazione della società e dello Stato nei maggiori territori germanici nella "costituzione della burocrazia come ceto accademico di Stato".Il problema cruciale dello Stato territoriale in formazione era quello finanziario, che si traduceva in quello fiscale, a sua volta collegato, dalla parte dei sudditi, con i temi della produzione e del benessere. Accanto a questa prima linea - che imponeva adeguati interventi di sostegno dello Stato, secondo i principî mercantilistici - se ne muoveva una seconda, dominata dal tema della guerra, vero e proprio sbocco obbligato per Stati in forte crescita com'erano quelli germanici nel periodo successivo alla pace di Vestfalia. Anche quest'aspetto di politica estera della formazione statale rimandava a temi mercantilistici: si pensi alla politica demografica, da una parte, e a quella protezionistica dall'altra. Basta d'altronde rifarsi a Gustav Schmoller per avere un quadro dei motivi di ordine economico, oltre che politico, che stavano alla base della trasformazione dei 'territori' in 'Stati' (v. Schmoller, 1898).
Tutto ciò si tradusse in uno sforzo di perfezionamento dell'apparato principesco e statale, di controllo e di sostegno dell'economia e dell'amministrazione. Si affermò la 'formula' tipica dell'assolutismo, in cui la legittimazione di tipo carismatico del comando del sovrano si intrecciava con legittimazioni di tipo utilitaristico, ispirate al criterio del temperamento - spesso della subordinazione - degli interessi individuali (solitamente rappresentati, in base all'antico principio della 'consociazione', attraverso i 'ceti') con quelli collettivi (incarnati, secondo il principio della 'signoria', nel principe e nel suo apparato). Fu così che la burocrazia diventò la principale funzione organizzativa di uno Stato che trovava la propria ideologia più compiuta, almeno in Germania, in una sorta di 'concezione amministrativa', in cui la dottrina giusnaturalistica dei mezzi e dei fini, dei diritti e dei doveri, in ultima analisi della 'felicità', correva in parallelo con la multiforme dottrina del cameralismo, come fusione, teorica e pratica, di ordine e di benessere.
6. La storia del cameralismo nella storia costituzionale tedesca dopo la pace di Vestfalia. Il primo cameralismo austriaco e il cameralismo accademico
È però necessario presentare una definizione circoscritta del cameralismo, volta non a rintracciare le origini storiche di questa o quella moderna scienza sociale (si tratti dell'economia, della scienza delle finanze o della scienza dell'amministrazione), ma a cogliere le ragioni dell'autonomia storica del fenomeno cameralista in quanto tale. Ciò è possibile solo con riferimento alle condizioni storico-costituzionali della Germania all'uscita dalla guerra dei Trent'anni. Esse sono caratterizzate dall'intensificazione delle funzioni sovrane nei territori, mediante un progressivo distacco di diritti sovrani dalla plenitudo potestatis imperiale e, per converso, mediante una ridefinizione in termini statal-territoriali dello stesso Impero. Si trattò di un processo originale, compiutosi prevalentemente 'nelle cose', a partire da fatti spesso contingenti, ma urgenti e incisivi. La dimensione, legislativa e amministrativa, ma anche scientifica, in cui ciò avvenne fu quella della 'polizia', in cui si condensò lo sforzo dei principi territoriali per rafforzare il proprio 'Stato', al di fuori della cappa protettiva dell'Impero. Sul piano economico ci si mantenne, inizialmente, nel vecchio fiscalismo a cui si affiancò, ispirato a motivi più esterni, il mercantilismo imperiale (v. Bog, 1959). Ciò si tradusse in una produzione scientifica di rilievo, ispirata ancora al modello imperiale, ma già orientata al suo superamento: con essa si può far iniziare a pieno titolo la storia del cameralismo.
Johann Joachim Becher (1635-1682), Philipp Wilhelm Hörnigk (o Hornick) (1638-1712) e Wilhelm Schröder (1640-1688) sono normalmente considerati esponenti del cameralismo tedesco e in particolare del primo troncone di quel cameralismo 'austriaco' che troverà la sua maggiore espressione, nella seconda metà del XVIII secolo, nell'opera di Sonnenfels.
Nel Politischer Discurs von den eigentlichen Ursachen des Auf- und Abnehmens der Städt, Länder und Republiken (Discorso politico sulle cause reali della crescita e decadenza delle città, paesi e repubbliche), apparso nel 1668 a Francoforte, Becher riconosce il collegamento fra le esigenze economiche del suo tempo e i diversi aspetti della vita dello Stato, ma è troppo mercantilista per attribuire a esso l'attenzione autonoma che merita, al di là del dato economico. Egli dà per scontati i profili istituzionali della macchina statale, concentrandosi sui problemi di ordine economico e finanziario. Ma in tal modo le sue proposte non riescono a sfuggire a un'eccessiva astrattezza, che d'altra parte non è che il riflesso della gracilità politica e amministrativa dell'Impero, a cui Becher guarda.
Nell'Oesterreich über alles, wann es nur will (Austria sopra tutti, quando solo lo vorrà), del 1684, di Hörnigk, la contraddizione insita nel mercantilismo imperiale raggiunge il suo punto di rottura. L'accentuazione della presenza storica dell'Austria in quanto tale, intesa ormai come Stato autonomo, non si accompagna infatti a una consapevolezza adeguata delle misure di carattere politico-costituzionale da adottare, risolvendosi invece in una generica denuncia di quegli Stati territoriali tedeschi - in primo luogo la Prussia - che divengono sempre più sordi al richiamo imperiale.A ciò reagisce solo parzialmente il terzo cameralista austriaco di quest'epoca, Schröder che, nella sua Fürstliche Schatz- und Rent-Cammer (La camera del tesoro e della rendita del principe), del 1686, cerca di indicare i mezzi necessari per creare le condizioni di cui sopra, puntando correttamente sul binomio principe-problema finanziario. Neppure a lui riesce però di trovare una sintesi efficace fra il piano politico-amministrativo e quello economico-finanziario, ancora risolto in termini fiscalistici.
È il riferimento alle condizioni politico-costituzionali prussiane a offrire una base più solida alla storia del cameralismo. Dopo la rifondazione del potere del principe a opera di Federico Guglielmo, il Grande Elettore (1620-1688), mediante la creazione di un esercito stabile, la sottrazione progressiva delle finanze ai ceti organizzati e la creazione di una burocrazia fedele, fu Federico Guglielmo I (1688-1740) a perfezionare l'opera con un ben preciso programma politico. Il cuore della nuova struttura costituzionale consisteva nel Regierung aus dem Kabinett (governo di gabinetto), che consentiva al principe di decidere la sua politica con grande indipendenza dal tradizionale controllo dei ceti, grazie al ricorso massiccio ai suoi consiliarii camerales. Nient'altro che questo significa la nascita settecentesca del cameralismo in Prussia: l'affermazione del principio per cui l'amministrazione e il corrispondente apparato burocratico sono legati esclusivamente al principe, e la conseguente necessità di apprestare funzionari tecnicamente esperti dei più moderni strumenti di gestione dello Stato, in primissimo luogo quello finanziario e quello di polizia. La prima cattedra di cameralistica, creata a Halle nel 1727, fu affidata a Simon Peter Gasser (1676-1745) che due anni dopo, nel 1729, pubblicò un libro di testo dal titolo Einleitung zu den öconomischen, politischen und Cameral-Wissenschaften (Introduzione alle scienze economiche, politiche e camerali): è il primo esempio di quel 'cameralismo accademico' che costituisce il tratto più caratteristico dell'intero cameralismo germanico. Dopo una critica ai giuristi accademici, capaci solo di preparare avvocati, affamatori del paese, Gasser espone, nell'introduzione, i suoi pensieri sul contenuto della nuova disciplina, prendendo le distanze sia nei confronti delle trattazioni troppo teoriche (com'era, a suo avviso, il famoso Teutscher Fürstenstaat - Stato principesco tedesco - di Veit Ludwig von Seckendorff), come di quelle invece troppo specialistiche e pratiche (del tipo del Compendium oeconomicum di Rohr). Purtroppo i suoi spunti non trovano poi traduzione in pratica, poiché la trattazione dei ventidue capitoli di cui consta l'opera si svolge secondo i canoni tradizionali di una suddivisione tematica fra l'economia agraria (in modo non molto diverso dall'uso della Hausvaterliteratur) e il fiscalismo di cui s'è appena parlato per il primo cameralismo austriaco.Un passo verso una più precisa autonomia scientifica è compiuto da Justus Christoph Dithmar (1677-1737) che, nel 1731, pubblica una Einleitung in die öconomischen, Policey- und Cameral-Wissenschaften (Introduzione alle scienze economiche, di polizia e camerali), destinata ad avere grande fortuna per la sua chiarezza didattica. L'economia supera i confini agrari e la scienza di polizia riguarda l'intero governo del principe: in mezzo si situa la scienza camerale in senso stretto, che si occupa delle entrate statali non solo in senso fiscalistico, di loro massimizzazione, ma anche quanto al loro impiego "per il mantenimento della comunità". Il cuore del sistema camerale è però costituito dalla scienza di polizia, in cui sono incardinati i due motivi della felicità e dell'autorità, basi della "società civile" e "vita e anima dello Stato".
7. Il cameralismo scientifico: Zincke, Justi e Sonnenfels. Verso le nuove scienze dello Stato
Se Dithmar è il principale esponente di una vasta schiera di cameralisti pratici, Georg Heinrich Zincke (1692-1768) è colui che meglio ne porta a compimento il quadro sistematico appena abbozzato. Nella sua prima opera, Grundriss einer Einleitung zu denen Cameral-Wissenschaften (Compendio di una introduzione alle scienze camerali), del 1742-1743, la cameralistica appare divisa in due parti principali: la 'polizia economica', con cui si apre ufficialmente in Germania il cammino verso la moderna politica economica, e la 'scienza camerale e delle finanze', che ancora detiene il ruolo preminente all'interno del cameralismo e viene definita come "scienza pratica atta non solo a fondare, aumentare e mantenere i mezzi di un grande signore e di uno Stato, ma anche ad amministrarli per il bene del principe e dello Stato". Una giustificazione più articolata di ciò viene fornita da Zincke nella monumentale Cameralisten-Bibliothek (Biblioteca del cameralista), del 1751-1752, in cui scienza di polizia e scienza delle finanze appaiono fuse in una teoria dinamica dell'amministrazione che da una parte si traduce nella constatazione che "un governante ha bisogno di esperti e abili cameralisti", mentre dall'altra dà al cameralismo una dimensione comprensiva, in termini sistematici e scientifici, dell'intero processo economico e sociale collegato al funzionamento dello 'Stato di polizia'. Questo risultato si compie, grazie all'eliminazione di ogni rimando 'filosofico' financo alla felicità, negli Anfangsgründe der Cameralwissenschaft (Fondamenti iniziali della scienza camerale) del 1755. Qui il vero tema è quello del Vermögen, del patrimonio statale, inteso come l'insieme dei beni materiali su cui si fonda la vita della società e al cui mantenimento devono concorrere, in una rete di diritti e doveri reciproci, sia i sudditi che il principe.
Si consolida così una giustificazione sempre più materiale della funzione sovrana, che ha come corollari l'incremento e il perfezionamento della burocrazia, da una parte, e il disimpegno del suddito da ogni partecipazione meno che indiretta alla vita politica dall'altra.
Più in là di tanto, lungo la strada dell'unità disciplinare, neppure la speculazione successiva poté andare, perché l'esigenza di investigare a fondo i singoli settori dell'amministrazione (dello Stato) prese il sopravvento sull'esigenza di fondazione teorica unitaria del cameralismo come scienza globale dello Stato. D'altra parte lo stesso sviluppo costituzionale presentava ormai priorità diverse: dopo quelle del riconoscimento dell'unità, politica e amministrativa, del potere, prendevano sempre più piede quelle del supporto tecnico ai diversi comparti in cui esso si svolgeva. Va notato - a conferma del collegamento esistente fra evoluzione della riflessione teorica e processo costituzionale - che, a quel punto, le condizioni tedesche (ma prussiane in particolare) e austriache si erano molto ravvicinate. Anche perciò si può parlare, dalla metà del secolo in poi, di un cameralismo germanico, in cui le due esperienze trovano espressione comune.
Ne è un esempio Johann Heinrich Gottlob Justi (1717-1771), con cui si realizza il passaggio dal cameralismo accademico a quello scientifico che Zincke aveva iniziato. Influenzato sia dalla Vienna teresiana che dalla Berlino di Federico il Grande, egli sa cogliere l'esistenza di una "scienza fondamentale [...] di tutte le scienze dello Stato", ma è più precisamente interessato alle discipline pratiche dello Stato, alle 'scienze di governo' (Regierungswissenschaften), entro cui l''economia di Stato' (Staatswirtschaft, come s'intitola una sua opera del 1755) occupa il ruolo di coordinamento, di guida, di impulso dello Stato per stimolare l'economia del paese. Il salto in avanti consiste nel fatto che per Justi la 'scienza dell'amministrazione' non si presenta più come scienza globale dello Stato, come per Zincke, ma come una branca autonoma, accanto ad altre, all'interno di 'scienze dello Stato', dotate di autonomia.
La Cultivierung esterna e interna del paese e la cura per il tenore di vita materiale e spirituale dei sudditi costituiscono i temi propri della scienza di polizia, intesa come insieme delle regole relative agli "affari interni del paese" e in particolare alla "felicità della comunità". Questo è il risultato a cui Justi perviene nei Grundsätze der Polizeywissenschaft (Principî fondamentali della scienza di polizia) del 1756. Con Justi il cameralismo è diventato scientifico, nel senso che ha trovato in se stesso la propria ragion d'essere, al di fuori di ogni riferimento di tipo filosofico, morale o politico.Con Joseph von Sonnenfels (1733-1817), principe dei cameralisti austriaci, il discorso si chiude del tutto. L'antica unità di ordine e benessere si spezza in un bipolarismo disciplinare che vede da una parte (nella restante scienza di polizia) i problemi della sicurezza interna dello Stato e dall'altra quelli relativi alla produzione economica. Come terzo polo, a sé stante, permane la scienza delle finanze, in senso sempre più tecnico e strumentale.
Si tratta naturalmente sempre di tre scienze dello Stato, che però non hanno più alcun bisogno di una loro interdipendenza e sistemazione unitaria, allo scopo di fondare, teoreticamente e praticamente, uno Stato ancora in formazione. Di fronte allo Stato ormai strutturato, si va facendo strada l'avvertenza di una realtà storica nuova, caratteristica della storia più recente dell'Europa: quella della 'società civile' non più intesa come sinonimo dello Stato (come recitava l'antica formula della societas civilis sive status), ma concepita come insieme degli interessi privati e comunitari dei cittadini, presi come singoli o riuniti in gruppi sociali.
La via tedesca di questa consapevolezza 'moderna' è diversa sia dalla via inglese che da quella francese, eppure non è meno interessante, anche perché, fra l'altro, prescinde dal passaggio rivoluzionario. Anche per quella via, grazie al cameralismo, è passato il cammino che, nel corso del XIX e del XX secolo, porterà alla trasformazione delle scienze dello Stato in scienze sociali. (V. anche Amministrazione, scienza della; Amministrazione pubblica).
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