CAMPANIA
Geografia umana ed economica
di Luigi Stanzione
La tradizionale immagine che vedeva il territorio regionale distinto in due sub-aree abbastanza nettamente differenziate, quella costiera e quella interna, lascia ormai spazio a un disegno più complesso e articolato connotato da alcuni elementi di permanenza, ma anche da importanti segnali di cambiamento. Va infatti attenuandosi il rigido monocentrismo imperniato sul capoluogo regionale, mentre si rafforzano, sia dal punto di vista demografico sia da quello funzionale, tanto gli altri capoluoghi provinciali quanto i centri di rango intermedio, che sembrano delineare una rete urbana maggiormente equilibrata rispetto al passato. Tali fenomeni appaiono significativi soprattutto in alcune zone, quali la prima cintura di Napoli, i Campi Flegrei, la sezione orientale dell'area vesuviana, ma anche le cinture intorno a Caserta e Salerno, e la Piana del Sele.
Dal punto di vista demografico, la C. risulta ancora la seconda regione più popolosa d'Italia, con quasi 5.789.000 residenti al 2004, ma con un rallentamento della crescita particolarmente significativo nell'ultimo ventennio (+3,1% nel decennio 1981-1991 e +1,3 nel successivo). Anche la densità di popolazione (426 ab. per km2) resta la più alta d'Italia, con punte che superano addirittura i 10.000 ab. per km2 in tre casi (Portici con oltre 13.000, Casavatore e San Giorgio a Cremano sopra i 12.000) e livelli compresi fra 5000 e 10.000 per altri 14 comuni, tra i quali la stessa città di Napoli (circa 8500). In tale quadro, si assiste al delinearsi di un processo che vede, con l'esclusione di Caserta, la perdita di popolazione da parte di tutti i capoluoghi provinciali, l'alleggerimento della pressione demografica sui tratti della fascia costiera più densamente popolati e una sostanziale crescita dei centri intermedi rispetto alle aree ancora più interne che, in molti casi, mostrano un'ulteriore diminuzione della consistenza demografica. Tale complessivo riassetto trova spiegazione in una peggiorata vivibilità nelle aree tradizionalmente più popolose, almeno in parte, e nella contemporanea capacità di attrazione di centri che offrono opportunità abitative migliori e meno costose, in un quadro di progressivo miglioramento del sistema dei collegamenti.
Va osservato che il rallentamento della crescita demografica appare maggiormente ascrivibile alla componente migratoria piuttosto che a quella naturale. I tassi di natalità dell'ultimo decennio si attestano su valori decisamente superiori a quelli medi nazionali, anche se tendono a decrescere (da 13 a 10 nati per 1000 abitanti). A partire dalla metà degli anni Novanta del 20° sec.si è registrata una ripresa dei flussi migratori diretti soprattutto verso le altre regioni italiane, sempre meno compensata dai saldi naturali che, per effetto dei più bassi tassi di mortalità, imputabili alla giovane struttura della popolazione campana, si sono mantenuti nel corso dello stesso decennio su livelli costantemente più elevati di quelli italiani. Lo stesso indice di vecchiaia, il più basso a livello nazionale, conferma tali caratteristiche strutturali, dal momento che in C. si attesta su un valore pari a 77 ultrasessantacinquenni ogni 100 persone di età compresa tra 0 e 14 anni, a fronte di una media italiana pari a 131. L'indice di dipendenza, invece, che misura la percentuale di popolazione non attiva (bambini e anziani) su quella potenzialmente attiva, si colloca su dati prossimi a quelli medi (circa 49% al 2001).
I segnali di vivacità imprenditoriale e culturale che contrassegnano numerose aree urbane regionali appaiono particolarmente significativi se posti in relazione alla situazione di obiettiva difficoltà in cui versa l'area metropolitana di Napoli e l'insieme dei centri intermedi allineati lungo la costa e le direttrici nord e nord-est. I fenomeni negativi che connotano le grandi dimensioni urbane (quali la congestione, la criminalità diffusa, il disagio sociale e abitativo) in questo contesto sono resi ancora più gravi in quanto si associano ad alcuni problemi peculiari. Tra essi spiccano, oltre agli abnormi livelli di densità della popolazione (in alcuni quartieri del capoluogo si superano i 20.000 ab. per km2), una destinazione d'uso degli spazi che sconta anni di assenza o estrema debolezza della pianificazione e che ha prodotto, tra l'altro, sovrapposizioni fra residenze e attività produttive, dismissioni non ancora seguite da interventi di bonifica e riuso (sezioni orientale e occidentale dell'area metropolitana di Napoli), episodi di grave compromissione ambientale. Un'ulteriore aggravante è costituita nella provincia di Napoli dal tasso di disoccupazione più alto d'Italia (sfiora il 31%, quella giovanile è pari addirittura al 71%), che rappresenta il presupposto della diffusione di fenomeni quali l'esistenza di consistenti sacche di lavoro precario o irregolare e la causa prima dell'incidenza della povertà tra le famiglie. In tale quadro, va sottolineato tuttavia l'avvio di un percorso di riqualificazione e risanamento di alcuni fra i più importanti centri storici e, soprattutto, la razionalizzazione in atto nella rete dei trasporti che, a partire dalla realizzazione e dall'ampliamento della metropolitana collinare di Napoli, contribuisce al consolidarsi di un sistema integrato di mobilità su scala regionale, che prevede l'utilizzo combinato di più modalità di trasporto.
Per quanto concerne la struttura produttiva, si segnalano processi di forte trasformazione che hanno riguardato in modo particolare il comparto industriale, caratterizzato, dopo il lungo declino della grande impresa meridionale, dall'esistenza di un fitto tessuto di piccole e medie aziende che hanno dato luogo a formazioni di carattere distrettuale. Nei comparti del tessile e dell'abbigliamento si segnalano Grumo Nevano, Aversa e Trentola Ducenta, tra le province di Napoli e Caserta; Sant'Agata dei Goti e Casapulla, tra Benevento e Caserta; Calitri (Avellino), San Marco dei Cavoti (Benevento), San Giuseppe Vesuviano (Napoli). Le altre specializzazioni riguardano il comparto agroalimentare (Nocera Inferiore e Gragnano, in provincia di Napoli) e quello conciario di Solofra (Avellino). Grava su tale tessuto imprenditoriale la complessiva carenza di servizi alla produzione (nonostante gli addetti a tali comparti siano fortemente cresciuti dalla metà degli anni Novanta), una debole propensione all'innovazione tecnologica e, in alcuni casi, la scarsa capacità di penetrazione dei mercati esteri, nonché il ruolo negativo esercitato dai fattori di contesto.
Le attività di trasformazione in C. occupavano al 2001 circa 224.000 addetti, con un calo del 5,4% rispetto alla precedente rilevazione censuaria. Le maggiori concentrazioni si registravano nelle province di Napoli e Salerno e, sotto il profilo della distribuzione per tipo di attività, nei comparti alimentare, meccanico, elettrico ed elettronico, tessile e dell'abbigliamento. La maggiore diffusione della piccola impresa appare anche frutto delle politiche pubbliche che hanno fatto seguito alla stagione dell'intervento straordinario del Mezzogiorno e che spesso hanno privilegiato l'incentivazione di attività di dimensioni contenute, finanziate nel quadro di strumenti di 'programmazione negoziata' con risorse nazionali e comunitarie.
Il forte peso del comparto alimentare nella struttura manifatturiera testimonia l'importanza che il settore primario ancora riveste nell'economia regionale. Va osservato tuttavia che, sia sotto il profilo occupazionale (il 5% della forza lavoro nel 2004) sia in termini di valore aggiunto (il 3,1% del totale nel 2003), il ruolo del settore agricolo va ridimensionandosi nel corso degli anni e si attesta ormai su livelli di poco superiori a quelli nazionali, ma inferiori a quelli del resto delle regioni meridionali. In parallelo le rilevazioni censuarie hanno evidenziato un calo del numero delle aziende (circa 233.000 al 1996) e una continua riduzione della superficie agricola utilizzata. In crescita appare, invece, il comparto zootecnico, in cui si concentra ormai circa un terzo delle aziende.
L'estrema polverizzazione aziendale (con superfici agricole utilizzate spesso inferiori all'ettaro), l'insufficiente collegamento con le imprese di trasformazione, nonché lo scarso ricambio della forza lavoro (interessata da un processo di forte senilizzazione, che non risulta compensato dall'innesto di lavoratori extracomunitari) rappresentano alcuni dei principali problemi strutturali del settore. In positivo, invece, si riscontra la presenza di numerose produzioni tipiche, molte delle quali hanno già ottenuto certificazioni di qualità e contribuiscono ad aumentare il crescente interesse verso forme di turismo enogastronomico. Il comparto turistico nel suo insieme ha conosciuto una fase di notevole espansione contraddistinta da un positivo andamento dei flussi in arrivo (ormai dalla seconda metà degli anni Novanta del 20° sec. le strutture ricettive campane registrano oltre 20 milioni di presenze all'anno), dal rafforzamento qualitativo e quantitativo dell'offerta e da una maggiore articolazione dei prodotti turistici. Oltre al già citato segmento enogastronomico (che, tra l'altro, ha favorito l'inserimento delle aree interne e rurali nei circuiti turistici), anche quello crocieristico si sta affiancando con successo ai tradizionali comparti del turismo balneare, termale e culturale (in forte crescita, anche grazie agli interventi di riqualificazione dei centri storici e alla politica di valorizzazione dei numerosi 'grandi attrattori' su cui la regione può contare).
Per ciò che concerne il settore terziario, va segnalata la complessiva tenuta del tessuto di piccoli e piccolissimi esercizi che caratterizza tradizionalmente il commercio in C., anche rispetto all'avanzare di attività di grandi dimensioni quali supermercati e ipermercati, centri commerciali e grande distribuzione specializzata. Il processo di ristrutturazione del commercio in atto su scala nazionale si è rivelato, dunque, almeno finora, meno intenso che altrove, e ciò ha comportato non soltanto aspetti di inefficienza nel sistema della distribuzione, ma anche una più capillare diffusione dei servizi commerciali nel territorio regionale.
Nonostante le difficoltà che contraddistinguono diversi settori produttivi, tra la fine del 20° e gli inizi del 21° sec. l'economia regionale ha avuto un andamento relativamente positivo. Il PIL campano è, infatti, cresciuto a tassi superiori di quelli del Mezzogiorno e dell'Italia, anche se negli ultimi anni rilevati, in concomitanza con la fase di stagnazione economica a livello nazionale e internazionale, si è registrato un considerevole rallentamento della crescita (+1,7% nel 2002, +0,5% nel 2003). Resta invece sensibile il divario con il resto d'Italia e dell'Europa per quanto riguarda il PIL pro capite, che rimane inferiore al 70% della media nazionale e si pone fra i più bassi anche fra le regioni meridionali.
Per quanto riguarda l'ambiente, nonostante la C. sia una delle regioni italiane con la più alta percentuale di superficie protetta, grazie all'istituzione dei due parchi nazionali (del Vesuvio e del Cilento-Vallo di Diano) e di numerose aree protette, parchi e riserve di rilevanza regionale, si lamenta una mancata operatività e una scarsa efficienza di molti organismi di gestione, che riducono il possibile impatto positivo della valorizzazione delle risorse ambientali sulla popolazione e sulle attività economiche. Oltre a una condizione di elevato rischio sismico e vulcanico, la regione sconta la presenza di diffusi fenomeni di degrado e inquinamento, indotti anche dalla fortissima pressione insediativa e delle attività industriali, che riguardano tanto i corsi d'acqua e le coste quanto l'aria e il suolo, caratterizzato da numerosi episodi di dissesto idrogeologico (soprattutto nelle province di Caserta e Salerno). Particolarmente grave appare, inoltre, la situazione relativa alla gestione dei rifiuti, sia urbani sia industriali (la regione è commissariata dal 1995), che ha ormai raggiunto la soglia dell'emergenza sanitaria e ambientale e alimentato pratiche di smaltimento illegale collegate alla criminalità organizzata.
Più in generale, ancora parzialmente irrisolti e preoccupanti appaiono i nodi relativi alla sicurezza, sia per quanto concerne la microcriminalità sia per quanto attiene alle forme di criminalità organizzata, che incidono negativamente non soltanto sulla qualità di vita dei cittadini, ma anche sulla competitività della regione in termini di attrattività per gli investitori e per gli stessi flussi turistici. La questione della diffusa illegalità desta vivida preoccupazione dal momento che è fortemente collegata anche a un insieme di fenomeni sociali e produttivi, tra loro interconnessi, che nell'insieme delineano un quadro particolarmente problematico. In primo luogo, l'elevato tasso di dispersione scolastica, che caratterizza in maniera particolare la provincia di Napoli, può rappresentare in molti casi il presupposto per il consolidarsi di una 'cultura dell'illegalità' difficilmente contrastabile in una situazione di debolezza della capacità di incidere dei servizi sociali e delle opportunità lavorative regolari. Un ulteriore elemento di destabilizzazione è costituito dall'esistenza di condizioni diffuse di disagio abitativo. Se è vero, infatti, che la fase più critica seguita all'emergenza determinata dal terremoto del 1980 appare in buona misura superata, è anche vero però che le caratteristiche di vetustà del patrimonio edilizio, gli alti livelli di sovraffollamento e il parallelo incremento dei canoni di locazione e del prezzo degli immobili collocano la regione fra quelle in cui il problema della casa è tuttora particolarmente avvertito. Tale situazione rende difficile anche la possibilità di inserimento dei lavoratori stranieri, la cui presenza è diventata decisamente più significativa negli ultimi anni del 20° sec. (al 2003 il Ministero dell'Interno stima in circa 112.000 i cittadini stranieri nella regione). Questa presenza appare ormai diversificata sia per i luoghi di origine sia per la collocazione nel mercato del lavoro, ma anche per la capacità di incidere nelle trasformazioni del tessuto sociale e territoriale. Fra le fila degli immigrati, ai gruppi maggiormente consolidati dei nordafricani, dei filippini, dei cingalesi e dei senegalesi, si aggiungono quelli provenienti dall'Europa dell'Est (con al primo posto gli ucraini, seguiti da albanesi e romeni) e dall'Asia (Cina e Pakistan). Accanto alle occupazioni tradizionali dei gruppi più radicati (ambulantato, edilizia, agricoltura), emergono, soprattutto per la componente femminile, le attività legate all'assistenza e alla collaborazione domestica, svolte da polacche, ucraine, russe. Un discorso a parte merita la componente cinese, attiva non soltanto nel piccolo commercio, ma anche nella ristorazione, in alcuni specifici comparti produttivi (abbigliamento e pelletteria) e nella distribuzione e vendita di prodotti di importazione.
Bibliografia
La Campania verso il 2000: assetto e sviluppo dopo la fine dell'intervento straordinario, a cura di A. Dal Piaz, Napoli 1995.
La forma e i desideri. Saggi geografici su Napoli e la sua area metropolitana, a cura di P. Coppola, Napoli 1997.
Percorsi a Sud, a cura di L. Viganoni, Torino 1999.
Area metropolitana napoletana: il ruolo delle aree metropolitane costiere del Mediterraneo, a cura di F. Forte, Firenze 2003.
SVIMEZ, Rapporto sull'economia e la società in Campania, Roma 2004.
Situazione politico-amministrativa
Per circa venticinque anni, dal 1970 fino a metà degli anni Novanta, la regione fu governata da giunte di centrosinistra formate da Democrazia cristiana (DC), Partito socialista italiano (PSI), Partito socialista democratico italiano (PSDI), Partito repubblicano italiano (PRI) e, dal 1983, con l'ingresso del Partito liberale italiano (PLI), da giunte di pentapartito. In quegli anni la stabilità dei successi elettorali della DC rappresentò l'elemento di continuità nelle vicende della regione: questo partito, infatti, non subì oscillazioni, attestandosi sempre intorno al 40%. Nel corso degli anni Ottanta fu significativa la costante crescita del PSI, divenuto nel 1990, con il 19% dei voti, il secondo partito della Campania. Alla fine del 1994 si insediò una giunta bicolore costituita da due nuove formazioni politiche: il Partito democratico della sinistra (PDS) e il Partito popolare italiano (PPI).
Successivamente all'introduzione del sistema maggioritario nella legislazione elettorale nazionale (1993), le elezioni del 1995 furono condotte sulla base di una nuova legge elettorale che prevedeva l'attribuzione del 20% dei seggi con un criterio maggioritario. Le consultazioni videro il successo della coalizione di centrodestra guidata da A. Rastrelli, esponente di Alleanza nazionale (AN), e costituita da Forza Italia-Polo popolare (18,9% dei voti), AN (18,3%) e Centro cristiano democratico (CCD; 9,8%), che si aggiudicò 36 seggi su 60. La coalizione di centrosinistra, costituita da PDS (19,5% dei voti), Partito della rifondazione comunista (PRC; 9,3%), Patto dei democratici (un gruppo di ex socialisti che ottenne il 5,5% dei voti), Federazione dei verdi (2,9%) e PRI (1,1%), ottenne 20 seggi. Il PPI si presentò da solo conquistando l'8,1% dei voti e 4 seggi. Nel gennaio 1999, la giunta di centrodestra presieduta da Rastrelli fu sfiduciata da parte di alcuni ex esponenti della maggioranza passati all'opposizione e confluiti nell'Unione democratica per la Repubblica (UDR, divenuto nell'aprile 1999 UDEUR, Unione democratici per l'Europa). Dopo un acceso scontro tra gli schieramenti in aula, fu varata la giunta di centrosinistra presieduta da A. Losco (UDR) e sostenuta da PDS, PPI, Verdi, socialisti, Partito dei comunisti italiani (PdCI) e UDR.
Le elezioni del 2000, in cui per la prima volta era stata introdotta dalla legge costituzionale 22 nov. 1999 l'elezione diretta del presidente della regione, fecero registrare il successo della lista di centrosinistra Con Bassolino, guidata da A. Bassolino e formata da Democratici di sinistra (DS; 14,2% dei voti), PPI (10,5%), UDEUR (7%), I democratici (5,3%), Socialisti democratici italiani (SDI; 4,4%), PRC (3,8%), Rinnovamento italiano-Dini (2,9%), Federazione dei verdi (2,8%), PdCI (1,6%), PRI (1,1%), che si aggiudicò 38 seggi su 60. La lista di centrodestra Per la Campania (Forza Italia 20,9%; AN 11,2%; CCD 5,6%; Partito democratico cristiano 3,3%; Cristiani democratici uniti, CDU, 2,9%; Movimento sociale-Fiamma tricolore 0,7%, Socialista socialdemocratico 0,6%; Lega sud 0,1%) ottenne 22 seggi. Il nuovo presidente della regione Bassolino, esponente campano dei DS, era già stato eletto sindaco di Napoli nel dicembre 1993, battendo al ballottaggio la candidata di centrodestra A. Mussolini con il 55,6% dei voti, e riconfermato nel novembre 1997 in occasione del primo turno elettorale con il 72,9% dei voti.
Nelle elezioni dell'aprile 2005 Bassolino, candidato alla presidenza della regione per la lista di centrosinistra L'Unione con Bassolino, si aggiudicò la guida della regione al primo turno con il 61,6% dei voti, mentre la coalizione da lui guidata conquistava 38 seggi. I partiti della lista di centrosinistra ottenevano rispettivamente: La Margherita 16%, DS 15,3%, UDEUR Popolari 10,3%, SDI-Unità socialista 5,4%, PRC 4,1%, Federazione dei verdi 3,5%, PdCI 2,7%, Italia dei valori-Lista consumatori 2,3%, Repubblicani 1,4%. La lista di centrodestra denominata Per la Campania, guidata da I. Bocchino (34,4% dei voti), conquistava 22 seggi così ripartiti: Forza Italia 11,9%, AN 10,6%, Unione dei democratici cristiani e democratici di centro (UDC) 6,7%, Nuovo PSI 2,9%.