POLLAROLO, Carlo Francesco
POLLAROLO (Pollaroli, Polaroli), Carlo Francesco. – Nacque probabilmente a Quinzano d’Oglio, nella Bassa bresciana, intorno al 1655, da Lucia e da Orazio, organista e compositore di origine lodigiana.
Nella Drammaturgia di Leone Allacci riveduta (1755) e in altre fonti coeve viene sempre dichiarato «bresciano». Si presume che Carlo Francesco fosse il primogenito della famiglia: tre suoi fratelli (Giustina, Ginevra e Paolo, compositore) nacquero tutti a Brescia dopo il 1666, come confermano i documenti della parrocchia dei Ss. Nazaro e Celso (Termini, 1970, pp. 11-17). Nel 1674 Pollarolo sposò Angela Maria Alliati (p. 23); le fedi battesimali registrano a breve distanza di tempo le nascite della figlia Lucia (18 settembre 1675) e del futuro operista Antonio (12 novembre 1676). Non ha fondamento storico la notizia secondo cui il musicista si sarebbe formato alla scuola di Legrenzi (Caffi, 1854): si può semmai ipotizzare che abbia ricevuto gli insegnamenti fondamentali dal padre e da don Pietro Pelli, maestro anche del concittadino Benedetto Vinaccesi.
Attivo dapprima come organista nella chiesa della Pace retta dai padri della Congregazione dell’Oratorio, Pollarolo sostituì diverse volte il genitore nel ruolo di organista in cattedrale, e nel dicembre 1676 gli subentrò definitivamente. Tra i protettori del giovane musicista si annoverava il conte Camillo Martinengo Cesaresco, espressamente citato nell’atto di battesimo del figlio Antonio. Con il favore dell’aristocrazia locale, Pollarolo entrò in contatto con l’Accademia degli Erranti, il maggior cenacolo intellettuale bresciano. Nell’agosto 1678, al teatro degli Erranti, andò in scena Venere travestita, dramma di Giovanni Battista Bottalini con «musica spiritosa del sig. Carlo Francesco Pollaroli organista in questa Cattedrale», primo saggio di una lunga serie di partiture operistiche. Nello stesso tempo il compositore fu occasionalmente chiamato, almeno fino al 1683, a sovrintendere alla musica ai Ss. Nazaro e Celso nelle principali solennità. In seguito alle dimissioni di Pelli, nel febbraio 1680 ottenne la nomina di maestro di cappella in cattedrale. Pochi mesi più tardi, in giugno, presso i padri filippini presentò l’oratorio La fenice «per la frattura miracolosa delle coste di s. Filippo Neri». L’anno successivo divenne capo-musico degli Erranti, anche in questo caso dopo la rinuncia di Pelli per età avanzata. Nel frattempo aveva cambiato più volte residenza in seguito alla nascita di altri sei figli; il continuo allargamento del nucleo familiare indusse il capitolo della cattedrale a concedergli nel 1684 un consistente aumento di salario «a motivo di sostener la sua numerosa famiglia, non avendo come altrimenti mantenersi» (Termini, 1970, p. 34).
Come Pollarolo si sia potuto trasformare da oscuro organista di provincia in un affermato compositore del teatro d’opera veneziano non è del tutto chiaro. Sostenuto da un indubbio talento e spinto dalla necessità di provvedere a tante bocche da sfamare, Pollarolo dovette ben presto intuire che la via del successo passava dai teatri e dalle istituzioni di Venezia. Le prime decisive affermazioni operistiche erano iniziate nella città natale verso la metà degli anni Ottanta. Il già menzionato Bottalini, segretario degli Erranti, compose un dramma di soggetto spagnolo, Roderico, che con la musica di Pollarolo (e con il titolo talvolta mutato in Anagilda) ebbe poi notevole fortuna in diversi teatri.
In occasione della ‘prima’ bresciana del 1684, il drammaturgo scrisse: «Dovrai bene ammirare la musica del sig. Carlo Francesco Pollaroli maestro di cappella di questa illustrissima città che sempre più si avvanza nelle sue prodigiose bizzarrie». A Vienna (Biblioteca nazionale austriaca, Mus.Ms. 18103) si conserva la partitura di un oratorio di Pollarolo, La Rosinda: che stando al libretto (senza nomi), sarebbe stato cantato nel 1685 nella cappella dell’imperatrice vedova Eleonora.
Al carnevale 1686 risale il debutto nel veneziano teatro di S. Angelo con Il demone amante, dramma di Matteo Noris. Poco alla volta si crearono le basi perché Pollarolo si stabilisse nella città lagunare, dove, alla fine del 1689, trovò alloggio con la famiglia nei pressi di S. Simeon Grande. Nel 1690 ottenne l’incarico di secondo organista in S. Marco e nel carnevale seguente debuttò nel lussuoso teatro di S. Giovanni Grisostomo con La pace fra Tolomeo e Seleuco, dramma di Adriano Morselli. A coronare questi successi giunse nel 1692 la nomina a vicemaestro di cappella in S. Marco.
L’alacrità del maestro stupì i contemporanei. Nella premessa all’Onorio in Roma (1692) il poeta Giovanni Matteo Giannini scrisse che l’opera venne «ideata in momenti, sceneggiata in ore, verseggiata in meno di un giorno, resa armoniosa dal signor Carlo Polaroli in poco più d’una settimana». Il Corriere ordinario, proprio riguardo al frettoloso Onorio in Roma, scrisse che questo spettacolo aveva superato in plauso e magnificenza qualsiasi precedente rappresentazione giunta sulle scene veneziane. Il dramma portava una dedica al cardinal Pietro Ottoboni, pronipote di Alessandro VIII, noto per il suo mecenatismo musicale. Quando il musicista olandese Jan Alensoon, nel 1724, visitò il prelato nella sua dimora romana del palazzo della Cancelleria, gli si fece incontro il canonico Giuseppe Pollaroli, quarto figlio del compositore, a testimonianza di un rapporto che doveva essere stato molto stretto tra i due uomini.
Nel gennaio 1693 al S. Giovanni Grisostomo una delle recite della Forza della virtù, dramma di Domenico David, fu applaudita dal principe Johann Christian von Eggenberg: si deve probabilmente a lui la presenza di sei partiture di Pollarolo nel fondo musicale di Český Krumlov (oggi conservato a Třeboň). Lo stesso dramma, ribattezzato Clotilda, fornì poi il testo e parte della musica a uno dei primissimi ‘pasticci’ di opere italiane dati a Londra (marzo 1609).
In parallelo a questi successi veneziani Pollarolo ebbe rapporti epistolari con Ferdinando de’ Medici, gran principe di Toscana, protettore di celebri compositori, da Alessandro Scarlatti al giovane Händel: in una lettera del 9 febbraio 1692 (Termini, 1970, p. 73) il compositore gli inviò – non è chiaro se si trattasse delle partiture o soltanto dei libretti – l’Ibraim sultano e l’Onorio in Roma, ma non risulta che questi titoli siano stati rappresentati in quegli anni nel teatro della villa di Pratolino, dove comunque nel 1696 sarebbe andato in scena il Tito Manlio (versi di Noris).
Ferdinando, nella missiva di risposta, parlò di un meritato «applauso universale» (pp. 73 s.). L’operista ebbe contatti anche con Bologna, come confermano due lettere a Giacomo Antonio Perti. Nella prima (12 settembre 1699) Pollarolo richiese al collega bolognese una copia della cantata A voi che l’accendeste, occhi adorati, su un testo che all’epoca era stato più volte intonato da numerosi musicisti, tra cui Alessandro Scarlatti. Nella seconda lettera (1° settembre 1708) accennò invece a un’opera propria non facilmente identificabile, composta forse per il teatro Formagliari a istanza dell’impresario felsineo Giuseppe Filippo Calderini, con la partecipazione della primadonna Margherita Prosdocimi. La partitura della pastorale Le pazzie degli amanti (Vienna, Biblioteca nazionale austriaca, Mus.Ms. 17571) reca una dedica a Carlo III re delle Spagne, cosa che può far pensare che sia stata concepita per la corte catalana del pretendente austriaco al trono di Spagna (1705-11). Fu rappresentata a Rovigo nell’autunno 1711.
Intanto, a Venezia, il compositore, sempre impegnato in nuovi drammi per i teatri della città, dal 1696 assunse anche l’incarico di maestro all’Ospedale degli Incurabili. Probabilmente in questa veste musicò un consistente numero di oratorii latini, coltivando in parallelo anche il genere del mottetto solistico. Il 7 febbraio 1703, il libretto del Venceslao (Zeno) dato al S. Giovanni Grisostomo poteva celebrare la «ventesima […] fatica» di Carlo Pollarolo «in questo solo teatro»: computo scrupoloso. In quegli anni il maestro bresciano fu, con Marc’Antonio Ziani, il più ricercato operista di Venezia, come confermano le citazioni del suo nome in Der angenehme Betrug oder der Carneval von Venedig, Singspiel di Reinhard Keiser (Amburgo 1707, atto II, scena 6) e nella coeva satira Il carnovale di Bartolomeo Dotti. Di fatto, la carriera del musicista aveva conosciuto una sola battuta d’arresto nel 1702, quando partecipò senza fortuna al concorso per il posto di primo maestro in S. Marco: fra i contendenti c’erano anche Antonio Lotti e Benedetto Vinaccesi, ma si impose Antonio Biffi, che sarebbe rimasto in carica per un trentennio, togliendo così ogni chance ai rivali.
Il doppio incarico istituzionale di vicemaestro in S. Marco e di maestro agli Incurabili limitò le possibilità di pur brevi spostamenti in altre città: nel 1709 per ben due volte le autorità veneziane gli negarono il consenso di recarsi a Roma, per poi finalmente concederlo su probabile insistenza del cardinale Pietro Ottoboni. Nel carnevale 1710 il maestro fu infatti a Roma, su invito del porporato, per musicarne il dramma di soggetto storico Il Costantino pio, nonché la pastorale L’amor per gelosia; la rappresentazione del Costantino nel palazzo della Cancelleria si valse di eccellenti cantanti, delle scene di Filippo Juvarra, di carri trionfali e giochi di gladiatori. In ogni caso, diverse opere di Pollarolo vennero create in teatri fuori di Venezia, a Brescia, Verona, Vicenza (nel 1712 Peribea in Salamina inaugurò il teatro delle Grazie), Mantova, Milano, Genova, Pratolino, Bergamo, Rovigo, Ferrara, Reggio, oltre alle già menzionate Roma e Bologna.
Negli ultimi anni gli furono commissionate cantate celebrative: Fede, Valore, Gloria e Fama (1716) rese onore al conte Giovanni Battista Colloredo, ambasciatore austriaco a Venezia, mentre Il pescatore disingannato (1721) accompagnò le nozze del figlio di costui con Eleonora Gonzaga. Nel carnevale 1719 Pollarolo compose l’ultima sua opera per Roma, Astinome, dramma di un «Accademico Quirino» (teatro Capranica): il libretto lo definisce «maestro giubilato nella Ducal Cappella di Venezia». Risale a questa occasione il disegno a penna di Pier Leone Ghezzi che lo ritrae al clavicembalo. Nonostante la malattia che lo colpì negli ultimi sei mesi di vita, Pollarolo riuscì a portare a compimento Arminio (Antonio Salvi), andato in scena al teatro di S. Angelo nel novembre 1722.
Il musicista si spense a Venezia il 7 febbraio 1723, nella casa di Corte Ca’ Correr, parrocchia di S. Simeon Grande, dove risiedeva dal 1712, ed ebbe sepoltura in S. Maria di Nazareth, agli Scalzi.
Secondo lo scrittore coevo Johann Christian Nemeitz, il maestro sarebbe morto a settant’anni, ma questa età si deve considerare approssimata per eccesso.
In più di quarant’anni, dal 1678 al 1722, Pollarolo scrisse non meno di novanta drammi per musica, in gran parte per i teatri di Venezia, in primis per il S. Giovanni Grisostomo. Questo dato da solo attesta la centralità del compositore nella storia del teatro d’opera italiano dell’epoca. Il musicista ebbe occasione di collaborare con i massimi autori drammatici del momento (salvo diversa menzione, i drammi citati qui a titolo di esempio furono dati di carnevale al S. Giovanni Grisostomo): il prolifico ed estroso Noris (Catone Uticense, 1701), l’ambizioso Girolamo Frigimelica Roberti con le sue paludate tragedie in cinque atti (La Rosimonda, 1696), l’arcadico precursore David (Amor e dovere, Venezia 1697), il riformatore Zeno (Il Faramondo, 1699, ed. in facsimile, Milano 1987; Gl’inganni felici, S. Angelo, autunno 1695, ed. in facsimile a cura di H.M. Brown, New York-London 1977), senza dimenticare Adriano Morselli (L’Ibraim sultano, 1692), Giulio Cesare Corradi (Gl’avvenimenti d’Erminia e di Clorinda sopra il Tasso, SS. Giovanni e Paolo, 1693), Agostino Piovene (Publio Cornelio Scipione, 1712), Francesco Silvani (Semiramide, 1714), Domenico Lalli (Farnace, S. Cassiano, 1718). I soggetti trattati spaziano dalla storia antica alla mitologia, dalle favole pastorali alle pièces esotiche come Il colore fa la regina (Noris; 1700), ambientato in «Cambagia, dove nasce il Sole». Altrettanto significativo l’elenco dei cantanti di grido impegnati nele opere di Pollarolo: Santa Stella (moglie di Antonio Lotti), Margherita Salicola, Diamante Scarabelli, Francesco Antonio Pistocchi, Maria Domenica Pini, Antonio Borosini, Vittoria Tesi, Francesco Bernardi detto il Senesino, e infine Faustina Bordoni (futura moglie di Johann Adolf Hasse) che debuttò diciannovenne nell’Ariodante (dramma di Salvi, autunno 1716; ed. in facsimile, Milano 1986).
Le fonti musicali superstiti coprono meno di un terzo dell’ampia produzione drammatica di Pollarolo, che annovera melodrammi, oratorii, serenate, pastorali, intermezzi e cantate. A livello morfologico i componimenti tardosecenteschi di Pollarolo presentano ancora alcune «cavate», per poi dare, con il nuovo secolo, un rilievo quasi esclusivo all’aria con il da capo secondo differenti tipologie (Strohm, 1991, p. 44). Nel 1709 John Galliard, che curò la traduzione inglese del Parallèle des italiens et des françois di François Raguenet, attribuiva al maestro bresciano l’introduzione delle ariette all’unisono (cfr. The musical quarterly, 1946, p. 424). Variegata l’orchestrazione: tra gli strumenti obbligati via via prescritti in opere e oratorii ricorrono violino, violoncello, flauti, oboi, trombe, cornetto e clavicembalo concertante. Nella Sinfonia dell’Onorio in Roma si osserva una scrittura per archi a cinque parti, con impiego della viola tenore, secondo modalità per certi aspetti analoghe alla coeva tradizione francese. Effetti d’eco, canti e suoni fuori scena, arie senza bassi, contrapposizioni foniche nello stile del concerto grosso arricchivano il ventaglio delle soluzioni a disposizione del drammaturgo musicale. Può darsi che certe opere di Domenico Gabrielli e di Perti abbiano offerto dei modelli per le combinazioni strumentali di Pollarolo, spesso singolari e innovative. Sul piano dello stile, l’arco si estende dal linguaggio di Giovanni Legrenzi e Carlo Pallavicino a quello delle nuove generazioni (Francesco Gasparini, Tomaso Albinoni, Antonio Vivaldi), con una vocalità che, caso per caso, poteva essere modellata su melodie semplici e orecchiabili oppure su lunghe e acrobatiche colorature.
Pollarolo era peraltro considerato, accanto a Gasparini e Vinaccesi, uno dei migliori organisti e clavicembalisti veneziani (p. 432). Gli sono attribuite varie composizioni per tastiera, per lo più denominate Sonata o Capriccio, di fatto corrispondenti alla tipologia della fuga monotematica. Tra le Sonate da organo di varii autori (a cura di Giulio Cesare Arresti, [Bologna] 1697 circa) ve n’è una «del Pollaroli di Venezia», che andrà senz’altro identificato con il nostro autore (il dedicatario della raccolta, monsignor Antonio Vidman, vicelegato di Bologna, aveva in precedenza ricevuto l’omaggio dei già citati Avvenimenti di Erminia e Clorinda del 1693): ripubblicata nel primo Novecento da Luigi Torchi, questa composizione lascerebbe presagire la vitalità di un concerto di Vivaldi (Apel, 1985). Secondo una suggestiva ipotesi, il manoscritto DD.53 di Bologna, dedicato in gran parte a opere per tastiera di Johann Caspar Kerll, conterrebbe numerose pagine attribuibili a Pollarolo (Silbiger, 1991).
Dei numerosi figli di Carlo Francesco, Antonio (Brescia, 12 novembre 1676-Venezia, 30 maggio 1746), per molti anni maestro di coro all’Ospedaletto di Venezia, fu un fecondo autore di opere e di oratorii; fra l’altro, intonò per primo la Griselda di Zeno (Venezia, S. Cassiano, carnevale del 1701), ma ai contemporanei la sua musica dovette parere fin troppo simile a quella del padre. Del resto, intorno agli anni Venti del secolo, i profondi mutamenti del gusto musicale decretarono il rapido declino della fortuna di entrambi i compositori.
Ad Anversa nel 1708, sotto il titolo Parnasso celeste, fu stampato un libro di «concerti sacri a voce sola con tre e quattro stromenti del sig.r Polaroli opera prima»: probabile ristampa fiamminga di un’edizione italiana perduta, è stato ipoteticamente attribuito ad Antonio (cfr. scheda descrittiva in Antwerpse muziekdrukken, 1996).
Per l’elenco dettagliato delle opere dei due Pollarolo, con relative fonti, cfr. The New Grove Dictionary e Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Alle opere teatrali di Carlo Francesco ivi citate va aggiunto Alarico re de’ Goti (Verona 1689).
Fonti e Bibl.: Quinzano d’Oglio, collezione privata: G. Gandino, Alveario cronologico (primi anni del Settecento), c. 381 (in T. Casanova, La carriera dell’organista Orazio Polaroli, in L’Araldo nuovo di Quinzano, IV (1996), 32, pp. 3 s.); Bologna, Museo della musica, K.044.1.063, K.044.2.177 (due lettere di C.F. Pollarolo a G.A. Perti); J. Galliard, A Comparison between French and Italian music (trad. annotata dall’originale francese di F. Raguenet, 1702), London 1709, ed. moderna in Musical Quarterly, XXXII (1946), pp. 424, 432; J.Ch. Nemeitz, Nachlese besonderer Nachrichten von Italien, Leipzig 1726, p. 49; Drammaturgia di Lione Allacci accresciuta e continuata, Venezia 1755, passim; B. Dotti, Satire, Ginevra 1757, p. 101; F. Caffi, Storia della musica sacra nella già cappella ducale di San Marco in Venezia dal 1318 al 1797, I, Venezia 1854, pp. 326 s. (a cura di E. Surian, Firenze 1987); H.C. Wolff, Die venezianische Oper in der zweiten Hälfte des 17. Jahrhunderts, Berlin 1937, pp. 99-102; O. Termini, C.F. P.: his life, time, and music with emphasis on the operas, diss., University of Southern California, Los Angeles (Cal.), 1970; R. Strohm, Italienische Opernarien des frühen Settecento: 1720-1730, II, Köln 1976, pp. 198-200; O. Termini, Stylistic and formal changes in the arias of C. F. P. (ca. 1653-1723), in Current Musicology, 1978, n. 26, pp. 112-124; Id., C.F. P.: follower or leader in Venetian opera?, in Studi musicali, VIII (1979), pp. 223-272; W. Apel, Storia della musica per organo e altri strumenti da tasto fino al 1700, III, Firenze 1985, pp. 1012 s.; H. Saunders, The repertoire of a Venetian opera house (1678-1714): the Teatro Grimani di San Giovanni Grisostomo, diss., Harvard University, Cambridge (Mass.), 1985, ad ind.; E. Selfridge-Field, Pallade Veneta: writings on music in Venetian society 1650-1750, Venezia 1985, ad ind.; M. Talbot, Music and the poetry of Antonio Ottoboni (1646-1720), in Händel e gli Scarlatti a Roma, a cura di N. Pirrotta - A. Ziino, Firenze 1987, pp. 367-437; A. Silbiger, 17th-century keyboard music, in Music and Letters, LXXII (1991), pp. 351-353; R. Strohm, L’opera italiana nel Settecento, Venezia 1991, pp. 31-49; K. Vlaardingerbroek, Faustina Bordoni applauds Jan Alensoon: a Dutch music-lover in Italy and France in 1723-4, in Music & Letters, LXXII (1991), pp. 536-551; M.T. Rosa Barezzani, Caratteri melodici e ruoli strumentali nelle opere di C.F. Pollaroli, in Liuteria e musica strumentale a Brescia tra Cinque e Seicento, II, a cura di R. Cafiero, Brescia 1992, pp. 297-332; I. Alm, Catalog of Venetian librettos at the University of California, Los Angeles, Berkeley 1993; N. Dubowy, P. e Ziani a Verona: annotazioni in margine a tre partiture ritrovate, in Seicento inesplorato, a cura di A. Colzani - A. Luppi - M. Padoan, Como 1993, pp. 511-535; L. Chvátilová - L. Švestka, The Eggenbergs and their operatic interests, in The baroque theatre in the Chateau of Český Krumlov, Praha 1993, pp. 39-45; C. Sartori, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, Indici, I, Cuneo 1993, pp. 435 s.; M. Talbot, Benedetto Vinaccesi: a musician in Brescia and Venice in the age of Corelli, Oxford 1994, ad ind.; Antwerpse muziekdrukken. Vocale en instrumentale polyfonie (16de-18de eeuw), catal. a cura di L. Guillo, Antwerpen 1996, pp. 92 s.; S. Franchi, Drammaturgia romana, II (1701-1750), Roma 1997, pp. 70, 97, 148; G. Rostirolla, Il ‘Mondo novo’ musicale di Pier Leone Ghezzi, Milano 2001, pp. 97, 288 s.; The New Grove dictionary of music and musicians, XX, New York 2001, pp. 37-40; I. Alm, Winged feet and mute eloquence: dance in seventeenth-century Venetian opera, in Cambridge Opera Journal, XV (2003), pp. 229, 253, 257, 259, 262-264, 270, 277-280; P. Fabbri, Il secolo cantante, Roma 2003, ad ind.; J. Scarpa, Una dinastia di napoletani all’Ospedaletto da Traetta a Cimarosa, in Musik an den venezianischen Ospedali / Konservatorien vom 17. bis zum frühen 19. Jahrhundert, a cura di H. Geyer - W. Osthoff, Roma 2004, pp. 295-297, 304; Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Personenteil, XIII, 2005, coll. 732-738; P.G. Gillio, L’attività musicale negli ospedali di Venezia nel Settecento, Firenze 2006, ad ind.; L. Maňourová, ‘La forza della virtù’ and other operas by C.F. P. surviving in Český Krumlov, in Hudební věda, XLIII (2006), pp. 229-256; E. Selfridge-Field, A new chronology of Venetian opera and related genres, 1660-1760, Stanford 2007, ad indicem.