CURCI, Carlo Maria
Nato a Napoli il 4 sett. 1810 da Vincenzo e Costanza De Ferrante, entrò nella Compagnia di Gesù il 13 sett. 1826, e fu ordinato sacerdote il 1° nov. 1836. Il carattere focoso gli provocò qualche difficoltà, come alcuni rapidi trasferimenti e un breve rinvio dell'incorporazione definitiva nell'Ordine per altro presto superate. Dopo due anni di insegnamento a Lecce, e un anno come predicatore a Faenza, venne richiamato a Napoli dove alternò l'insegnamento dell'ebraico e della Scrittura con la predicazione, svolta con grande successo in varie città, e con la cura spirituale dei reclusi nelle carceri napoletane.
Apparso intanto nel 1843 Il Primato del Gioberti, il C., con altri due confratelli entusiasti dell'opera ne curò un'edizione, stampata a Benevento. Due anni più tardi uscivano però a Bruxelles i Prolegomeni del Primato, secondo il C. "repertorio generale di tutte le accuse antiche e moderne apposte a' gesuiti". All'attacco replicò con moderazione il p. F. Pellico, fratello di Silvio, ma il provinciale di Napoli p. F. Manera scriveva in proposito al generale p. G. Roothaan: "Non sarà mai dato ad una persona sola di rispondere al bisogno. Sarebbe quindi opportuno che alla scrittura posata e grave del p. Pellico... succedesse l'altra... non meno forse stringente e più brillante del p. Curci, nella quale i sali e i frizzi arguti entro i termini del decente sarebbero esca assai efficace... Così... si vedrebbero ne' due estremi della penisola uscire l'una dopo l'altra... due assennate e varie apologie...". Il C. ebbe così via libera, lavorò con la sua solita lena ("Se non fo presto, non fo nulla", confessava ancora nel 1874), e pubblicò a Imola entro il 1845 Fatti ed argomenti in risposta alle molte parole di Vincenzo Gioberti intorno ai Gesuiti.
Dopo aver puntualizzato gli errori di metodo del Gioberti (genericità delle accuse, travisamento dei fatti, apriorismo, sicurezza assoluta di giudizio), il C. lo segue passo per passo, chiarendo obiettivamente la natura dell'ubbidienza gesuitica, il molinismo e il probabilismo, dottrine comuni nell'Ordine, rivendicando il valore dell'educazione impartita dalla Compagnia, il contributo dato in molti settori delle scienze e delle lettere, negando che i gesuiti siano avversari della civiltà moderna. Il successo dell'opera è dimostrato dal rapido seguirsi di dieci edizioni: effettivamente la confutazione è generalmente persuasiva, anche se non mancano punti deboli (come la pretesa neutralità politica dell'Ordine, altrettanto vera in teoria quanto discutibile in pratica, e la validità di una pedagogia in parte superata: lo stesso C. nel 1847 e nel 1849 si sforzò con scarso successo di introdurvi alcuni aggiornamenti).
Esule nel 1848 a Malta e poi a Parigi, lo scrittore, ormai popolare, continuò la sua battaglia contro Gioberti, che nel 1847 aveva pubblicato il prolisso Gesuita moderno. In Una divinazione sulle tre ultime opere di Vincenzo Gioberti, stampata a Parigi nel 1849, il C. riprese e sviluppò alcuni temi di fondo appena sfiorati nel lavoro precedente. In netto contrasto con l'abate piemontese egli sottolineò che il cristianesimo, pur avendo esercitato un influsso sociale positivo, non può ridursi ad una civiltà, e che l'attacco contro i gesuiti nascondeva il tentativo di una riforma sostanziale del cattolicesimo. L'opera venne letta con grande interesse da Pio IX a Gaeta: il papa, fin troppo propenso in quei mesi a scaricare su altri le proprie responsabilità, dimenticando le ampie critiche mosse al Gesuita moderno nei primi mesi del 1848 dal cappuccino Giusto da Camerino, confidò ad alcuni intimi che solo ora gli erano stati esposti i veri pericoli delle dottrine giobertiane.
Si comprende quindi facilmente come il C., tornato a Napoli alla fine del 1849, venisse accolto con simpatia dall'Antonelli e da Pio IX, e che l'idea di un periodico, destinato a chiarire i principi fondamentali della civiltà cristiana, e a giudicare sotto questa luce gli avvenimenti e le pubblicazioni contemporanee, fosse immediatamente fatta propria dal papa, che l'impose al riluttante generale p. Roothaan, tornato anch'egli dall'esilio ed arrivato a Napoli alla metà di gennaio del 1850. Il progetto era in aria da tempo, senza che il C. ne fosse al corrente. Venutone a conoscenza, questi se ne impadronì, ne specificò i lineamenti, seppe guadagnare alla causa Pio IX: egli può dunque a ragione esser considerato il fondatore della Civiltà cattolica, il nome che la rivista assunse.
Il p. Roothaan, pur assecondando in pieno la volontà del papa, non nutriva però troppa fiducia nel C., proclive alla polemica e portato a considerare il periodico come opera sua, non della Compagnia: gli mise perciò a fianco altri gesuiti a suo avviso più equilibrati, come il p. L. Taparelli, il p. M. Liberatore e il p. A. Bresciani, e volle che articoli e decisioni fossero approvate collegialmente. Il C. in ogni modo mostrò eccezionali capacità organizzative, stabilendo in poche settimane non solo il programma definitivo della rivista, da lui esposto nel primo numero, ma creando dal nulla la rete capillare necessaria alla diffusione rapida ed universale del periodico, e inondando la penisola di un manifesto programmatico in 120.000 copie, cifra altissima per quei tempi.
Più tardi, nelle Memorie della Civiltà cattolica, il C. racconterà le difficoltà superate: una rivista destinata "per tutta l'Italia", che voleva essere considerata "come indigen[a] da Susa insino a Malta, e da Nizza insino a Trieste", doveva traversare quattro Stati, subire numerose revisioni da parte di varie dogane non sempre disinteressate, trovare mezzi di trasporto celeri e regolari in un'epoca in cui mancava un servizio postale stabile ed esteso a tutta l'Italia. Paradossalmente, proprio l'organizzazione di una rivista che avrebbe difeso ad oltranza il potere temporale, attribuendo le aspirazioni nazionali ad una minoranza settaria, portava inconsciamente il C. a descrivere obiettivamente i fattori storico-politici che rendevano necessaria l'unificazione. Si aggiunsero le angherie del governo napoletano, fautore di una severa censura preventiva, sospettoso in genere della cultura, spaventato dalla professione fatta dalla Civiltà di rispetto per tutte le forme di governo che avessero "legittimità nell'essere e... giustizia nell'operare".
Nonostante i timori del C. e dei suoi collaboratori, che a Roma la libertà della rivista sarebbe stata limitata in misura non inferiore che a Napoli, nel settembre 1850 era deciso il trasferimento nella capitale pontificia. Gravi conseguenze ebbe, nel 1854, la stampa, in numero limitato di copie, delle Memorie della Civiltà cattolica. Primo quadriennio, scritte dal C., che accennavano chiaramente alle difficoltà frapposte dal governo napoletano. Il lavoro cadde nelle mani della polizia borbonica, e provocò un'autentica tempesta: divieto della rivista nel Regno, allontanamento dei gesuiti da vari uffici pastorali a Napoli, e, pro bono pacis, esilio del C. a Bologna dal dicembre 1854 al luglio 1857.
Questi aveva continuato a seguire da lontano la sua creatura, che, ormai in mano di altri, andava assumendo un diverso tono. Al suo ritorrio. ebbe l'impressione di non godere più della fiducia dei suoi antichi collaboratori: di qui lamentele, visite di superiori incaricati di ristabilire l'armonia, periodi sempre più frequenti in cui il C. si ritirava in una casa vicino a Roma. Dopo il 1864 la sua collaborazione alla Civiltà diminuì sensibilmente, per cessare del tutto all'inizio del '66: in una relazione inedita sulla situazione della Compagnia in Italia, datata 12 nov. 1865, il C. si lamentava amaramente che la rivista fosse "divenuta strumento di private propensioni", e ne prevedeva prossima la fine.
Comunque, fra il 1850 e il 1866 pubblicò sulla Civiltàcattolica oltre duecento articoli e note (alcuni dei quali ristampati a parte e tradotti), passando liberamente da un argomento all'altro: il tono era però sempre identico, fortemente conservatore e duramente polemico, sia che trattasse della questione romana o della questione sociale, della stampa, un male ormai inevitabile, degli asili infantili (riprendendo la discussione sorta fin dal loro primo apparire nel 1828), degli avvenimenti del giorno. Più moderato si mostrò invece sia nella querelle sull'usonelle scuole cattoliche dei classici pagani, sollevata dal Gaume, sia nell'interpretazione del Sillabo, a proposito del quale egli riaffacciò la distinzione fra tesi ed ipotesi.
Intanto andava maturando nel polemista intransigente una nuova coscienza. L'avvenimento decisivo fu Porta Pia, che mostrava la debolezza intrinseca di quella cieca fiducia nella provvidenza, che anche egli aveva difeso nell'articolo Le due Rome (1861). Ne La caduta di Roma per le armi italiane considerata nelle sue cagioni e nei suoi effetti, uscito a Firenze un mese dopo il 20 settembre, il C. oscilla fra lo sgomento per quanto è accaduto, e la fiducia nella provvidenza che permette il male a fin di bene, ma ammette senza mezzi termini, contro molti intransigenti, che il potere temporale non sarebbe più risorto. Per il momento tuttavia, inaugurando agli inizi del 1871 la Società romana per gl'interessi cattolici, il C. non vedeva altra tattica possibile al di fuori della separazione più completa dalla società contemporanea, per resistere alle pressioni ambientali e prepararsi alle lotte di domani. Pur colpito da molte critiche e costretto a qualche momentanea concessione ai tempi, egli ribadì nella prefazione ad un nuovo lavoro, Sopra l'internazionale (Firenze 1871). la sua convinzione dell'impossibilità di una restaurazione: persuasione espressa con cautela unita a chiarezza, anzi alla fiducia nei vantaggi della nuova situazione, nella Ragione dell'opera premessa alle Lezioni esegetiche e morali sopra i quattro Evangeli (Firenze 1874). L'anno dopo, nel giugno 1875, il C. inviò direttamente al papa, in via riservata, una nuova stesura della Ragione dell'opera, da premettere alla seconda edizione delle Lezioni. Partendo dal presupposto dell'impossibilità del ristabilimento del potere temporale, e delle conseguenze negative del non expedit e dell'opposizione al nuovo stato di cose, proponeva questa soluzione: sciolte le Camere, il nuovo Parlamento eletto con la partecipazione massiccia dei cattolici avrebbe dichiarato di considerare il re come autorità data da Dio non dal popolo, di voler impedire efficacemente leggi contrarie alla religione e alla morale, di creare al papa condizioni tali che gli permettessero di restare a Roma come sovrano "non pur di Roma, ma dell'Italia". Pio IX considerò la proposta come un'"insolenza", e ne proibì la pubblicazione, che invece avvenne, senza che il C. vi prendesse parte alcuna, nella Rivista europea del febbraio-marzo 1877, e successivamente in altri giornali: la stampa liberale, come la Gazzetta d'Italia del 6 luglio, giudicò negativamente le proposte, che non mancavano di una certa ingenuità.
A questo punto le cose precipitarono. Il nuovo generale della Compagnia, p. P. Beckx, chiese una ritrattazione, che il C. non volle dare. Fallì presto la mediazione di alcuni gesuiti amici dello scrittore, perché l'interessato ritrattò una formula conciliante e dignitosa propostagli dai suoi confratelli, considerata sufficiente anche dal Vaticano, e non accettò di essere inviato àll'estero. Il 22 ott. 1877 il generale gli comunicava le dimissioni dall'Ordine, da lui chieste il 16 ottobre.
Rimasto sacerdote, lo scrittore volle innanzi tutto esporre pubblicamente le sue ragioni (Il moderno dissidio fra la Chiesa e l'Italia considerato per occasione di un fatto particolare, uscito a Firenze ai primi del 1878). L'elezione di Leone XIII gli aprì uno spiraglio di speranza (fu ospite qualche giorno in Vaticano del fratello del papa, l'ex gesuita poi cardinale G. Pecci; ebbe il permesso di dire la messa in privato; partecipò alle riunioni di casa Campello, in vista della fondazione di un partito cattolico, subito sfumato). Svanite però le sue speranze, egli formulò, in modo frammentario e non organico, un autentico piano di riforma della Chiesa, contenuto nella trilogia La nuova Italia e i vecchi zelanti, studi utili ancora all'ordinamento dei partiti parlamentari (Firenze 1881); Il Vaticano regio, tarlo roditore della Chiesa cattolica, studi dedicati al giovane clero ed al laicato credente (Firenze-Roma 1883); Lo scandalo del Vaticano regio duce la Provvidenza buona a qualche cosa; brevi note onde l'autore di quello valedice a siffatte polemiche (Firenze 1884). Tutte e tre le opere vennero subito messe all'Indice e., dopo la pubblicazione della seconda, il C. venne sospeso a divinis per non essersi sottomesso. Leone XIII, in una lettera del 28 ag. 1884 all'arcivescovo di Firenze mons. E. Cecconi, riassunse la vicenda deplorando la condotta dell'autore che, per altro, conosciuto il documento pontificio, il 14 settembre dello stesso anno ritrattava pubblicamente quanto nei suoi scritti si trovava di contrario alla fede, alla morale, alla disciplina ed ai diritti della Chiesa. Il papa rimproverava al C. soprattutto la pretesa (allora quasi inconcepibile) di giudicare e criticare quanto deciso dalla suprema autorità ecclesiastica, e di attribuire al pontefice la responsabilità del dissidio, dando l'apparenza di giustificare la guerra mossa alla Chiesa.
Effettivamente, nocquero al C. il tono aspro e polemico, ma soprattutto le circostanze del tempo. Si spiega così la serie di risposte, uscite in quegli anni, anche ad opera di alcuni suoi ex confratelli, con l'impostazione e lo stile tipico del momento.
La sua ecclesiologia, più vicina a quella di J. A. Möhler che a quella bellarminiana (Chiesa come popolo di Dio più che come società perfetta), trae ispirazione prossima da autori come Rosmini e Audisio, ma soprattutto dal contatto con la realtà viva, dall'ansia di salvare l'Italia dall'indifferentismo: pericolo che egli, predicatore e confessore, non studioso puro, avvertiva profondamente. L'incondizionato rispetto per la tradizione dogmatica si unisce alla certezza che la fede implica anche un confronto critico coi nuovi problemi che la storia continuamente pone. Del resto accanto ad elementi immutabili incontriamo nella Chiesa strutture variabili col tempo: i primi, anche se antichi, nulla hanno perduto del loro valore, le altre possono essere divenute vecchie, inutili, e se non cadono da sé vanno rimosse. Il rinnovamento non consiste dunque in un semplice ritorno alle origini, ma in un adattamento ai tempi, promosso dal basso ed attuato dall'alto, prova della credibilità della Chiesa, che non teme di denunziare e riconoscere i propri errori.
In questo spirito il C. insorge contro il Vaticanoregio ("la corte regale e la regale curia costituitesi intorno al Pontefice", con tutte le caratteristiche delle corti, adulazione, carrierismo, ostinazione nel difendere metodi anacronistici, limitazione dell'effettiva libertà del pontefice). A quest'autorità incline al dispotismo, circondata da un apparato burocratico trionfalistico, occorre sostituire un governo fondato sullo spirito di umiltà e di servizio, aperto alle voci della base. La Chiesa darà così esempio di povertà, senza rimpiangere il potere temporale e le ricchezze perdute, eliminando inutili pompe, e di sincerità, rispettando il pluralismo di opinioni senza coprirlo con un'unanimità fittizia, imposta dall'alto.
La riorganizzazione della Curia impone la nomina di persone capaci e meritevoli, non di incapaci giunti al vertice per un fatale meccanismo. Contrario alla centralizzazione, il C. difende poi l'autorità e l'autonomia dei vescovi, non è alieno da una certa partecipazione dei laici alla loro elezione, auspica una riforma dei seminari, riducendone il numero per elevare il livello del corpo docente, imponendo come condizione di ammissione la licenza liceale, dando una formazione aperta alla discussione, curando - come aveva suggerito Rosmini - la stretta unione fra scienza e pietà.
Si eliminerà così l'assurdità di avere un elevato numero di sacerdoti, soprattutto nelle regioni più povere, a cui non corrisponde un adeguato numero di pastori preparati al loro compito: si avrà insomma un clero più pastorale e meno secolare, ma insieme dedito allo studio per superare con minor difficoltà la solitudine e il celibato: problema che il riformatore pone con estrema sincerità, sino a chiedersi se non sia possibile una duplice classe di sacerdoti, celibi e sposati. Anche i religiosi devono comprendere che la loro sopravvivenza dipende largamente dalla loro capacità di rispondere alle nuove esigenze della società. Il C. avverte anche la necessità di una promozione del laicato, che deve affrontare le lotte politiche, in un partito di cattolici, non in un partito cattolico, aperta contraddizione. La liturgia dovrebbe tentare di attenuare gli inconvenienti dell'uso di una lingua sconosciuta alla massa, per divenire strumento efficace di catechesi, e curare un'impostazione più cristocentrica della pietà. Non mancano poi accenni efficaci al rispetto della coscienza (la persona umana ha diritto a non subire coazioni esterne nei suoi rapporti con Dio), ad un'accettazione delle libertà moderne (prima tanto criticate dal C. nella Civiltà!), al superamento dell'identificazione fra Chiesa e cultura europea.
Questo programma - che anticipa in vari punti alcuni aspetti del Vaticano II - pur nella sua genericità e nell'incapacità di risolvere un'antinomia fondamentale (la Chiesa deve essere distaccata dal mondo, ma insieme inserita in esso per fermentarlo), presenta i tratti di un genuino riformismo, soprattutto per la sincera fedeltà alla Chiesa, e la forte comunione con la tradizione biblica a patristica.
Come esegeta, nonostante i suoi commenti a vari libri del Vecchio e Nuovo Testamento, il C. presenta oggi un interesse puramente storico: egli è tipico esponente di un'esegesi ancora incapace di rispondere adeguatamente alla sfida lanciata dalla scuola di Tubinga. Maggiore attenzione merita l'evoluzione da lui subita nei confronti della questione sociale. Se negli articoli sulla Civiltà e nell'Internazionale egli descrive in modo semplicistico il socialismo, come scatenamento di brutali passioni, e non trova altra soluzione che la rassegnazione e la carità, nel saggio sul "socialismo cristiano" (Firenze 1885) l'analisi è sufficientemente serena ed obiettiva, nonostante il carattere farraginoso, e le molte digressioni non solo sul duello e sul militarismo, ma anche sulla cronologia biblica.
Il C. analizza chiaramente le cause, le conseguenze, i rimedi della questione sociale. Questa nasce dalla rivoluzione industriale, dalla libera concorrenza (frutto di un'utopistica concezione di un'umanità non ferita dal peccato originale), dalla soppressione delle corporazioni, dalla coscienza che gli operai hanno acquisito della propria dignità. Frutti inevitabili del sistema attuale sono il pauperismo, l'alienazione del lavoratore davanti alla macchina, la pace armata fra padroni e operai. I rimedi efficaci sono da un lato un risveglio religioso delle due parti, dall'altro il ristabilimento dell'associazionismo operaio, una concezione morale e non materiale dei salario, tale da assicurare all'operaio ed alla sua famiglia una condizione di vita degna di un uomo, il superamento della divisione fra capitale e lavoro con l'azionariato operaio o la creazione di cooperative di produzione, un codice del lavoro. Il C. si mostra molto più informato, obiettivo, coraggioso della maggior parte dei cattolici del tempo.
Il C. fu sincero, pieno di ottime intenzioni e di zelo, pronto a pagare di persona, dotato di un'acuta sensibilità storica rara in quell'epoca, ma insieme suscettibile, accentratore, instabile, troppo sicuro di sé, portato alla polemica radicale, qualche volta un po' ingenuo. Si spiega così come tutta la sua vita sia stata una battaglia, ed abbia presentato l'esempio, per altro non unico nel secolo scorso, di un'evoluzione da un estremo all'altro. Ma l'opera da lui fondata e poi abbandonata ha mostrato una vitalità sorprendente, e molte delle sue idee sulla questione romana, sulla questione sociale, sulla riforma della Chiesa ne fanno un autentico precursore.
Il 29 maggio 1891 fu nuovamente ammesso nella Compagnia; morì a Careggi, presso Firenze, l'8 giugno dello stesso anno.
Tra le opere posteriori al 1877, oltre a quelle citate, cfr. Lettera confidenziale del p. C. a Pio IX, Roma 1877 (estratto dal giornale Il Popolo romano); Le virtù domestiche ossia Il libro di Tobia esposto in 18lezioni dette in Roma nel 1871 ed in Firenze nel 1873 da C. M. C. S. I. e precedute da un discorso sopra le attinenze della famiglia, Firenze 1877; Paralipomeni del moderno dissidio..., Firenze 1878; Il Nuovo Testamento volgarizzato ed esposto in note esegetiche e morali, Torino-Roma-Firenze 1879-80; Il Salterio volgarizzato dall'ebreo ed esposto in note esegetiche e morali, preceduto da un'introduzione sullo studio dei salmi, Torino-Roma-Firenze 1883; Sei conferenze dette in Roma nelle altrettante domeniche della quaresima del 1883, Roma 1883; Di un socialismo cristiano nella quistione operaia e nel conserto selvaggio dei moderni stati civili, Firenze-Roma 1885; Sopra il "Socialismo cristiano": lettera del comm. L. Bodio con preambolo ed osservazioni dell'autore di quello, Firenze-Roma 1885; Opere bibliche dal giugno 1874alfebbraio 1883, 5 voll., Roma-Torino-Napoli 1887-90; Lezioni esegetiche e morali sopra Giuseppe in Egitto, Torino 1890; Lezioni esegetiche e morali sopra il libro di Tobia, Torino 1890; Memorie utili di una vita disutile serbate a servizio dell'Italia cristiana uscente il 1890, Firenze 1891; Uno scritto inedito del P. C., in La Rassegna nazionale, XIV (1892), pp. 3-18; N. M. G., Qattordici lettere del sac. C. M. C., ibid., pp. 395-407.
Fonti e Bibl.: Per le fonti inedite si vedano a Roma l'Arch. della Curia generalizia della Compagnia di Gesù, Neap., 4, I; 5; 6, I, VI; 7; 8, II; 9, VII; Ibid., Rom., 29, X 64; 29, XIII, XVI; 36, I; 37, II; 38, V (fra cui due inediti dei C.: Sopragli studi teologici nella C. di G.; Alcune poche considerazioni sopra lo stato presente della Compagnia in Italia da comunicarsi unicamente ai nostri superiori e ad alcuni dei più antichi professi. Roma 12nov. 1865); Ibid., Gioberti, 1, I-VIII; Ibid., Civiltà cattolica, 1, I-VIII; Ibid., Reg. Neap., II; Ibid., Reg. Rom., VI-VIII (lettere dei generali Roothaan e Beckx al C.; nel vol. VII cfr. anche lettera di Beckx a Kleutgen, 1° nov. 1870); Ibid., Reg. interinale C, foglio 201; Arch. della Civiltà cattolica, Carte Curci; Arch. della provincia romana della Compagnia, B-3-I a (Primo progetto della Civiltà cattolica); D, 4, XXV. dimissioni dalla Compagnia del C. (istruzioni sul comportamento da seguire da parte dei gesuiti); D, 7/3 (La questione romana all'Assemblea francese nell'ottobre 1849, forse autografo); B, 28, II, lettere del p. Ricasoli al provinciale romano del 1873 e del 1876 con notizie sul C.; Arch. della provincia napoletana della Compagnia, manoscritto inedito del IV volume di M. Volpe, Igesuiti nel Napoletano (notizie sulla fondazione della Civ. catt.); Arch. Segreto Vaticano, Segreteria di Stato, rubr. 165, 1848-50, 42, f. 36; rubr. 3, 1891, 4-5 (reazioni della base al Vaticano Regio, sua condanna, carteggio in proposito tra il Vaticano e l'arciv. di Firenze mons. Cecconi); Ibid., Sacra Rituum Congreg. Romana... beatificationis... servi Dei Pii IX, III, De scriptis, Romae 1962, Appendix ad Elenchum scriptorum, n. 2422 (nota di Pio IX sulla lettera del C. con cui presentava la Ragione dell'opera, e minuta di risposta, 20 sett. 1875, oggi introvabile; Arch. di Stato di Firenze, Affari Esteri, 2448 (dispacci del ministro Bargagli sulla controversia fra il Vaticano e Ferdinando II a proposito della Civ. catt., 1° e 9 dic. 1854); Arch. di Stato di Napoli, Min. Pubbl. Istruz., fascio 506; Min. di Polizia, pand. a 1848-51, esped. 127, vol. 6; Ibid., fascio 17, esp. 354, vol. 65; Ibid., fasc. 891, esp. 57, vol. 19, a. 1854; Ibid., fasc. 928, esp. 70, vol. 87, a. 1855; Roma, Biblioteca del Senato, lettere del C. alla nipote Francesca Sofio Curci, Rari, 41: I, dattiloscritto (314 lettere 1848-1891), II, pubblicato da E. Martire col titolo Lettere sulla questione romana(1874-1891), Roma 1938 (centosei lettere 1874-1891): l'edizione per le vicende del Martire andò perduta e l'unico esemplare reperibile è conservato in questa biblioteca. Quanto alle fonti edite, per alcuni momenti della vita del C. (sottomissioni alle condanne, riammissione finale nella Compagnia) cfr. Civ. catt., s. 12, VII (1884), pp. 482 s., 736-739 (lettera di Leone XIII all'arciv. Cecconi e lettera del Cecconi al clero fiorentino); s. 12, VIII (1884), pp. 105 s. (sottomissione dei C.); s. 14, XI (1891), pp. 102-105 (riammissione nella Compagnia e morte); per le opere del C., fino al 1877, cfr. C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de .Jésus, II, Bruxelles-Paris 1891, coll. 1735-1740. L'elenco tuttavia non è completo, mancano sedici titoli); per i duecentoundici articoli o note apparse sulla Civ. catt. cfr. G. Dei Chiaro, Indice generale della Civiltà cattolica (aprile 1850-dicembre 1903), Roma 1904, alle voci Cavour, Congressi politici, Dominio temporale dei papi, Francesco II, Italia, Mazzini, Napoli, Pace, Parlamentarismo, Pio IX, Questione romana, Regicidio, Rivoluzione, Roma, Sicilia, Sovranità temporale, Toscana (tutte relative alla questione romana); America, Austria, Cattolicesimo, Cronaca, Messico, Rimini (relative agli avvenimenti contemporanei); Questione sociale, De Foresta, Francia, Mendicità, Tolleranza (tutte intorno a vari aspetti della questione sociale); Classici pagani, Latino, Pedagogia, Scuole (sull'insegnamento nei suoi vari aspetti); Congressi scientifici, Libertà, Principi (sul Sifiabo e sulle libertà moderne); Civiltà cattolica, Giornalismo, Opinione, Stampa, Revue des deux mondes (sulla stampa); Asili d'infanzia, Case di correzione, Frate, India, Lotto e Lotterie, Missioni; oltre a varie recensioni, ricordate sotto il nome dei singoli autori (Capecelatro, Newman, Renan, Tommaseo ... ). Per le polemiche sollevate dalla trilogia del 1881-84, cfr. G. Martina, La questione di Roma nell'opinione degli storici cattolici negli ultimi cento anni, in Grandi problemi della storiografia del Risorgimento, Atti del XLVIII Congresso di storia del Risorgimento italiano, Mantova, 26-29 sett. 1976, Roma 1978, p. 131, n. 49. Quanto alla bibliografia critica si vedano P. Pirri, La Civ. catt. nei suoi inizi e alle prime prove, in La Civ. catt., 296 (1924), 2, pp. 19-33; Id., La Civ. catt. e l'assolutismo politico. Ricordi, ibid., pp. 219-231, 397-406, 505-513; L. Dal Pane, Il socialismo e le questioni economiche nella prima annata della Civ. catt., in Studi in onore di G. Luzzatto, III, Milano 1950, pp. 26-148; P. Droulers, Question sociale, Etat, Eglise dans la "Civ. catt." à ses débuts, in Chiesa e Stato nell'Ottocento, Miscellanea in onore di P. Pirri, Padova 1962, pp. 123-147; C. Piccirillo, Le "idee nuove" del p. C. sulla questione romana, ibid., pp. 606-657; G. De Rosa, Storia del movimento cattolico in Italia, I, Bari 1966, pp. 114-120; A. Ferrua, Il primo progetto della "Civ. catt.", in La Civ. catt., 318 (1971), 3, pp. 258-267; G. De Rosa, Civiltà cattolica, 1850-1945, Antologia, I, San Giovanni Valdarno 1971, pp. 9-65 (Introd.); G. Mucci, La riforma della Chiesa nel pensiero di C. M. C. (1809-1891). Contributo allo studio del riformismo italiano dell'Ottocento, Roma 1972; G. Martina, Pio IX (1846-1850), Roma 1974, pp. 63-70, 180-189, 366, 369, 423-434, 547 s.; G. Mucci, Libertà carismatica e riforma della Chiesa: il caso C., in Rassegna di teologia, XVI (1975), pp. 136-154; Id., La riforma della Chiesa come autocritica operativa, ibid., XVII (1975), pp. 155-169.