Carlomagno
. Nato nel 742, da Bertrada e dal ‛ major domus ' Pipino il Breve, divenuto nel 751 re dei Franchi, successe al padre nel 768, ma solo dopo la morte del fratello Carlomanno (771) poté raccogliere l'intera eredità paterna.
Condusse una serie di campagne per lo più vittoriose contro Bavari, Sassoni, Frisoni, Slavi, Avari, Arabi (di Spagna), Bretoni, Longobardi; dal 774 re dei Franchi e dei Longobardi, il 25 dicembre dell'800, nella basilica di San Pietro, fu incoronato imperatore da papa Leone III; morì ad Aquisgrana nell'814.
Nel cielo di Marte, C. fa coppia con Orlando (Pd XVIII 43), nella schiera di beati cui appartiene Cacciaguida, che, oltre a quei due, chiama per nome anche Giosuè, Giuda Maccabeo, Guglielmo d'Orange, Renoardo, Goffredo di Buglione e Roberto il Guiscardo. Tutti personaggi grandemente famosi in vita - precisa Cacciaguida (vv. 31-33) -, tanto che ogni poeta potrebbe trarre da essi una ricca materia di canto: a cominciare dallo stesso Cacciaguida, le cui gesta D. aveva cantate poco prima (Pd XV 139-148), evidenziando quella qualità di combattente per la fede, che è il dato biografico comune ai sunnominati e giustifica il tono di " appello o rassegna militare " (Sapegno) assunto dal brano.
L'accostamento di C. a Orlando, suggerito o, per meglio dire, imposto a D. dal maggiore ciclo epico medievale, serve, dunque, ad acclimatare il leggendario sovrano franco fra i compagni di beatitudine di Cacciaguida. Benché molto parziale, deformata e direttamente connessa con un episodio d'importanza solo secondaria, tutt'altro che fortunato dal punto di vista militare, come la spedizione in Spagna del 778, l'immagine di C. come intrepido campione della cristianità contro gl'infedeli, che prese la sua forma convenzionale nella Chanson de Roland, aveva dietro di sé una tradizione assai remota: nel 1095, mentre predicava a Clermont la crociata per la liberazione della Terrasanta, Urbano Il invitò i suoi ascoltatori ancora riluttanti a prendere ad esempio la " probitas et magnitudo Karoli Magni " (Roberto il Monaco).
Prima che nella sua sede propria (il cielo di Marte), la coppia C. - Orlando aveva già fatto un'apparizione in If XXXI 16-18, là dove il suono del corno di Nembrot, il " robustus venator " di Gen. 10, 9, responsabile - secondo la tradizione patristica accolta da D. - della costruzione della torre di Babele, viene paragonato allo squillo uscito dal corno di Orlando a Roncisvalle (cfr. Chanson de Roland 1753-1767), quando / Carlo Magno perdé la santa gesta. Anche qui D. coglie l'occasione per ricordare di passaggio che i paladini di C. (gesta sta per " fratellanza d'armi ") combatterono e morirono per la fede.
In Pd VI 94-96, nel lungo discorso di Giustiniano, C. ritorna, questa volta da solo, in un contesto che non è più epico, bensì storico, o - se si preferisce - di una storicità diversa, di tipo giuspubblicistico (la restaurazione dell'impero) e non più etico-religioso (la crociata!), ma risolto senza residui in un coerente disegno politico-religioso di carattere provvidenziale e portata universale. L'impresa di C. qui considerata è la relativamente agevole spedizione in Italia del 773-774, quando il sovrano franco, intervenendo a sostegno del Papato, aggredito dal dente longobardo, e assoggettando definitivamente il regno di Pavia, scongiurò la minaccia che da secoli gravava sulla Chiesa di Roma: una vittoria, che D. dice già conseguita sotto le ali dell'aquila, simbolo dell'autorità imperiale, in quanto costituì, chioseremmo noi, la premessa e, al tempo stesso, la legittimazione di ciò che sarebbe accaduto il giorno di Natale dell'800. Per valutare appieno il posto che la spedizione italiana di C. viene ad assumere all'interno della visione di D., basterà dire che questa impresa dell'aquila segue immediatamente, nell'ordine, la condanna a morte di Gesù, considerata come un atto dell'Impero romano, e la conseguente distruzione di Gerusalemme ad opera di Tito (a far vendetta corse / de la vendetta del peccato antico, vv. 92-93).
In apparente contraddizione con Pd VI 93-96 è il passo di Mn III X 18-20, dove D. confuta la tesi secondo cui il fatto che C. fosse stato chiamato in Italia e avesse ricevuto la dignità imperiale dal papa, non obstante quod Michael imperabat apud Constantinopolim, aveva creato un precedente nel senso che omnes qui fuerunt Romanorum Imperatores post ipsum, et ipsi advocari Ecclesiae sunt et debent ab Ecclesia advocari. D. si limita infatti a replicare che usurpatio... iuris non faci/ ius, cita come controprova del suo assunto le ‛ usurpazioni ' compiute dall'imperatore Ottone I a danno del Papato (nelle persone di Leone VIII e Benedetto V), non nega però che, nel caso di C., una usurpatio da parte del papa ci fosse stata. Ma va tenuto presente che D., in questa sede, si proponeva solo di demolire dialetticamente le argomentazioni di quanti sostenevano che ‛ l'autorità dell'Impero dipendeva dall'autorità della Chiesa ' (Mn III IV 1): e poiché l'implicita accettazione della premessa dei suoi avversari (c'era stata un'usurpazione) gli consentiva di segnare un punto a suo favore nella discussione con loro (un'usurpazione non produce diritto), D. non esitava a battere questa strada, anche se in cuor suo poteva continuare a nutrire il convincimento (non importa qui se espresso o ancora da esprimere in Pd VI 93-96) che la venuta di C. in Italia e la sua incoronazione imperiale avessero avuto regolarmente luogo sotto il segno dell'aquila. Piuttosto è da osservare che in Mn III X 18 D. afferma esplicitamente che C. ha ricevuto la dignità imperiale da papa Adriano I: un errore di fatto che, seguito a breve distanza dall'altro, secondo cui, al momento dell'incoronazione imperiale di C., il ‛ basileus ' era un non meglio precisato Michele (la responsabilità del duplice errore risale probabilmente a Vincenzo di Beauvais e a Tolomeo da Lucca), sta a dimostrare che D. aveva un'informazione piuttosto imprecisa su questi avvenimenti e che quindi anche Pd VI 93-96 va inteso alla lettera, nel senso che D. doveva essere convinto che l'incoronazione imperiale di C. (per mano di Adriano I) avesse avuto luogo subito dopo la caduta del regno longobardo di Pavia.
Bibl. - Su C. in genere si vedano L. Halphen, Charlemagne et l'empire carolingien, Parigi 1947, 57-223; D. Bullough, Le siècle de Charlemagne (trad. fr.), ibid. 1967. Su D. e il ciclo carolingio: K. Vossler, Mediaeval Culture; An Introduction to D. and his timer (trad. ingl.), II, 1929, 31-32. Per altre interpretazioni di Mn III X 18-20: Zingarelli, Dante 699; D.A., Monarchia, a c. di G. Vinay, Firenze 1950, 257 n. 4.