CASA
Il termine c. deriva dal lat. casa, propriamente 'c. rustica', che appare attestato nei documenti medievali solo a partire dal sec. 12° - la significativa variante accasamenta è spesso impiegata insieme a insula per definire i complessi edilizi riferibili a una singola famiglia nobiliare (Broise, Maire Vigueur, 1983, pp. 114-130; Hubert, 1990, p. 170) - e fino al Quattrocento inoltrato sembra utilizzato assai meno frequentemente del termine domus (varianti e diminutivi domuncula, domicella), che continuava a definire, almeno nelle regioni di tradizione culturale latina, l'abitazione urbana. Sotto la denominazione di c. vengono a raccogliersi edifici e strutture tipologicamente assai differenti quanto a dimensioni, distribuzione delle parti interne, numero e disposizione dei vani, materiali costruttivi impiegati, in ragione di numerose varianti, che vanno dall'epoca di costruzione alla tradizione edilizia regionale (a sua volta legata tanto ad aspetti sociali e culturali quanto ad aspetti naturali e climatici), al legame funzionale con le attività produttive o commerciali che vi erano annesse, per giungere infine al diverso status sociale ed economico degli uomini che quegli edifici abitavano.Ne consegue un'evidente difficoltà di trattazione sistematica della tipologia della c. medievale, che emerge anche dalle ricerche fin qui condotte e che risulta di fatto accresciuta dal rapido espandersi delle conoscenze e dalla continua acquisizione di nuovi dati. Già gli ultimi decenni del secolo scorso e i primi anni del Novecento videro la nascita, soprattutto Oltralpe, delle prime trattazioni generali sull'evoluzione dell'architettura domestica nel corso del Medioevo, che limitavano però l'analisi all'edilizia privata delle regioni dell'Europa centrale e mediterranea e ai secoli finali del Medioevo, mirando in definitiva a collegare lo sviluppo delle tipologie abitative con le grandi scansioni stilistiche che caratterizzano la produzione architettonica 'maggiore' (Verdier, Cattois, 1864; Viollet-le-Duc, 1875; Simon, 1902; Stiehl, 1908; per l'Italia: Rohault de Fleury, 1866; Gozzadini, 1877; Lupi, 1901-1903; Schiaparelli, 1908). Nel periodo interbellico, segnato peraltro da una generale ripresa d'interesse per lo studio tipologico della c. medievale nelle diverse aree territoriali europee, l'attenzione degli studiosi finì per appuntarsi su ambiti cronologicamente e geograficamente più circoscritti: esemplare in questo senso è il caso dell'Italia, dove furono proprio le regioni in cui maggiore era la consistenza del patrimonio edilizio conservato, soprattutto di epoca tardomedievale - in primo luogo il Veneto e la Toscana, ma anche il Lazio settentrionale -, a essere al centro di ricerche in qualche caso particolarmente ben documentate (Gallimberti, 1934-1939; Bartalini, 1937; Cucu, 1938; Giovannoni, 1940). Questo processo di specializzazione ha trovato il suo definitivo compimento nel secondo dopoguerra e in particolare a partire dagli anni Sessanta, quando, soprattutto grazie alle ricerche dell'archeologia medievale e all'estendersi delle indagini archivistiche, la base documentaria a disposizione degli studiosi si è enormemente allargata tanto in senso geografico quanto cronologico (De Minicis, 1990).Il contributo fornito dall'archeologia medievale appare a questo proposito assai rilevante almeno sotto due diversi aspetti. In primo luogo, la messa a punto di tecniche e strumenti di ricerca, nonché lo sviluppo di metodi di datazione assoluta dei materiali organici (in particolare la dendrocronologia e la determinazione del radiocarbonio), hanno consentito di ampliare in misura assai considerevole la mole di dati disponibili a proposito degli insediamenti pre e protourbani di epoca altomedievale nelle regioni dell'Europa centrale e settentrionale, che per le loro peculiari caratteristiche costruttive e per la deperibilità dei materiali impiegati (legno, paglia, argilla e muratura di pietra a secco) non hanno lasciato che labili tracce della loro esistenza nella stratificazione del terreno. In secondo luogo, l'affermarsi delle ricerche di archeologia urbana e delle tecniche di analisi stratigrafica degli elevati ha consentito di ampliare in misura assai considerevole, in termini sia quantitativi sia qualitativi, la conoscenza delle unità abitative di epoca medievale (Doglioni, 1988; Parenti, 1988). In questo caso lo sviluppo di metodi di datazione assoluta e relativa dei reperti inorganici e dei materiali da costruzione (mensiocronologia e termoluminescenza applicate ai laterizi; ricostruzione delle sequenze stratigrafiche e definizione di serie tipologiche su base regionale dei singoli elementi architettonici) ha permesso di ovviare alle difficoltà poste da quel continuo processo di restauro, riadattamento e riutilizzo di materiali, murature e spazi, che rappresenta in definitiva il carattere peculiare dell'edilizia abitativa privata del Medioevo (Mannoni, 1984, pp. 399-400; Manacorda, 1985).Altrettanto rilevante appare il contributo offerto alla conoscenza delle tipologie della c. medievale nelle diverse aree regionali dallo sviluppo delle ricerche d'archivio. A fronte di una ovvia scarsità di dati ricavabili dalle fonti storiche tradizionali, le ricerche condotte particolarmente negli ultimi decenni nei fondi archivistici di città e distretti regionali hanno portato in molti casi all'accumularsi di una mole imponente di materiali derivati dall'esame di atti notarili relativi a passaggi di proprietà, a lasciti testamentari, a costituzione di fondi dotali, ecc. (Hubert, 1990). Si tratta di dati del massimo interesse, con descrizioni spesso particolareggiate dei diversi ambienti che componevano l'abitazione - talvolta con accenni alle strutture mobili e all'arredamento -, con indicazioni relative alla struttura familiare e all'attività prevalente degli abitanti e spesso corredati da stime circa il valore dell'immobile o delle sue parti. In qualche caso i registri dei grandi patrimoni immobiliari di privati e di organizzazioni religiose, pur redatti in epoche successive, riportano però piante e schemi planimetrici di c. che risalgono sicuramente, almeno nelle loro componenti essenziali, ai secoli del Tardo Medioevo (per alcuni casi romani: Broise, Maire Vigueur, 1983; Hubert, 1990). A fronte di tale ricchezza documentaria, va però rilevato che si tratta di un'evidenza qualitativamente e quantitativamente disomogenea, che si riferisce ad alcune zone o epoche piuttosto che ad altre e che attende ancora una sua sistematizzazione almeno per aree regionali (Salzman, 1952).
La problematica della c. altomedievale propone essenzialmente due temi fondamentali, legati rispettivamente alle regioni romanizzate del Mediterraneo e a quelle dell'Europa centrale e settentrionale, in cui la romanizzazione, laddove sia effettivamente avvenuta, aveva lasciato tracce assai meno consistenti nella cultura materiale. Nel primo caso, che riguarda principalmente il territorio italiano e, in misura minore, le regioni meridionali della Francia, il problema fondamentale appare essere quello della decadenza e dell'abbandono del modello abitativo greco-romano. I secc. 6°-8° videro infatti, in concomitanza con la crisi complessiva degli insediamenti urbani (Brogiolo, 1984), il progressivo abbandono del sistema residenziale di tradizione romana, basato sulla distinzione tra abitazioni signorili unifamiliari (domus) e abitazioni plurifamiliari destinate ai ceti medi e bassi della popolazione (insulae). I pochi dati archeologici disponibili, riferibili soprattutto alle aree urbane, testimoniano perfino della scomparsa della differenziazione strutturale tra ambienti destinati a funzioni diverse: poveri locali per uso abitativo vennero spesso ricavati dalla suddivisione di quelli che erano stati spazi o edifici pubblici e privati. Due casi italiani oggetto di recenti indagini archeologiche possono costituire un esempio efficace di questo fenomeno: a Luni, antico porto romano sul golfo ligure che ancora nel sec. 6° continuava a svolgere una significativa funzione commerciale, una serie di modeste c. di abitazione con muri perimetrali in muratura a secco e tetti in legno andarono a riempire gli spazi aperti dell'antico foro, riutilizzandone muri e colonnati (Ward-Perkins, 1981); a Siena, probabilmente nel corso del sec. 7°, una semplice capanna in muratura, argilla cruda e legno venne addossata ai resti, riutilizzati in una parete, del muro d'ambito di un edificio monumentale di epoca romana (Santa Maria della Scala, 1991, p. 15, fig. A). Il fenomeno in questione, che pure si riscontra in molti dei grandi centri antichi a partire da Roma (Krautheimer, 1980; Manacorda, Zanini, 1989), non può però essere assolutizzato: al contrario, le poche fonti disponibili per questo periodo testimoniano infatti dell'esistenza di c. private di una certa consistenza volumetrica e materiale, delle quali però, proprio in virtù di quel processo di continuo rifacimento e trasformazione del tessuto dei centri urbani medievali, cui si è accennato, non rimane alcuna traccia archeologica.Il Codex traditionum Ecclesiae Ravennatis, compilato probabilmente alla fine del sec. 10° collazionando materiali e documenti relativi ai secoli precedenti, fornisce alcune preziose informazioni circa l'aspetto generale delle c. dei secc. 7°-10° nelle regioni dell'Italia centrosettentrionale adriatica (Cagiano de Azevedo, 1972). Dal confronto di sommarie descrizioni, desunte principalmente da atti di compravendita, le c. citate sembrano rispondere a un medesimo schema tipologico, almeno negli aspetti fondamentali: si tratta in generale di edifici in muratura, realizzati con materiali di reimpiego (soprattutto laterizi ma anche pietra da taglio) e con un uso estensivo del legno, sia per le suddivisioni interne (pavimenti, solai, pareti, scale) sia, in qualche caso, come materiale da costruzione per i muri perimetrali; non è infatti infrequente il caso di abitazioni realizzate in muratura fino al livello del pianoterra e poi sopraelevate con strutture leggere in legno. Quando la c. era articolata su due piani - e ciò sembra accadere nella maggioranza dei casi citati dal Codex - la distribuzione degli ambienti risultava pressoché costante: al piano terra si trovavano la canapha (una sorta di deposito o magazzino), la coquina (spesso ridotta a un semplice focolare con camino, talvolta però separata dall'abitazione vera e propria per ragioni di sicurezza e forse addirittura in comproprietà tra diversi nuclei familiari) e un balneum (detto in qualche caso anche calidarium: un semplice locale dotato di recipienti fissi o mobili e di un sistema più o meno rudimentale di smaltimento delle acque). Talvolta al piano terra compariva anche un triclinium o una sala, ambiente che deriva sia l'etimo sia la destinazione d'uso dalla stanza centrale tipica delle abitazioni centroeuropee; sala e triclinium non vengono mai citati nello stesso documento e ciò testimonia che si trattava con ogni probabilità di sinonimi che definivano uno stesso tipo di ambiente. Al piano superiore sono documentati il triclinium e i cubicula, evidente retaggio tanto nella denominazione quanto nella funzione delle tipologie abitative di tradizione romana. La struttura della c. poteva essere completata da una sorta d'ingresso (in qualche caso definito, con termine di probabile derivazione bizantina, andron) e spesso da una stalla (stabulum). Alcuni documenti riportano anche una stima della misura dell'appezzamento di terreno che comprendeva la c., il piccolo cortile retrostante e le eventuali pertinenze: si trattava di superfici relativamente estese (in linea generale tra m2 200 e 300) e questo lascia supporre che, almeno per quanto riguarda le abitazioni urbane, le c. citate nei documenti ravennati debbano essere interpretate come appartenenti a una fascia tipologica medio-alta, che poteva coesistere con strutture più modeste del tipo di quelle testimoniate dai ritrovamenti archeologici.In maniera piuttosto diversa si pone invece il problema della c. altomedievale nelle regioni dell'Europa centrosettentrionale, della Scandinavia e delle Isole Britanniche, caratterizzate in quest'epoca da un modello prevalente d'insediamento basato più sul villaggio rurale che non sulla continuità dei centri urbani. Le ricerche archeologiche condotte negli ultimi decenni, particolarmente in Gran Bretagna e nei paesi scandinavi, hanno arricchito in misura assai considerevole la base di dati a disposizione degli studiosi a proposito delle abitazioni dei primi secoli del Medioevo in queste regioni. Anche se non è ancora possibile definire serie tipologiche complete su scala regionale e sovraregionale, si possono però individuarne, almeno in linea generale, i fondamentali elementi caratterizzanti (Ralegh Radford, 1957). Si trattava in linea di massima di semplici edifici a pianta rettangolare più o meno allungata (di lunghezza compresa nella maggior parte dei casi tra m. 8 e 12), con o senza divisioni interne; queste ultime, quando esistevano, non avevano comunque carattere permanente né funzione statica (Addyman, Leigh, Hughes, 1972). Elemento caratteristico di questo tipo di costruzioni sembra essere la loro intrinseca deperibilità: tanto i materiali impiegati (prevalentemente legno e paglia, ma anche, a seconda delle disponibilità in loco, argilla cruda e pietra) quanto le tecniche costruttive (nella maggior parte dei casi l'elemento portante era costituito da pali semplicemente infissi nel terreno) non potevano assicurare la durata della struttura, che assumeva dunque più il carattere di elemento funzionale che non quello di bene economico trasmissibile. Allo stesso quadro riconduce anche il carattere indifferenziato degli ambienti interni: un singolo edificio poteva rispondere contemporaneamente a più funzioni (normalmente, oltre a quella abitativa, anche ricovero per animali, magazzino per la conservazione delle derrate, ecc.); è questo il caso, per es., delle c.d. long houses dell'area celtico-scandinava, edifici di forma grosso modo rettangolare, lunghi spesso oltre m. 20, dove parte dello spazio, indistinto da quello riservato all'abitazione, era probabilmente destinato al ricovero del bestiame.Questa semplice tipologia abitativa ebbe una sua continuità, almeno nelle zone rurali dell'Europa centrosettentrionale e nelle Isole Britanniche, ancora nel corso del pieno Medioevo (Alcock, Laithwaite, 1973; tra i casi più noti vanno ricordati il villaggio inglese di Wharram Percy, nello Yorkshire, e quello francese di Rougiers, in Provenza, dip. Var; Chapelot, Fossier, 1980, pp. 192-215), per svilupparsi in seguito attraverso un processo di differenziazione degli ambienti, con la sala centrale che assunse sempre di più il carattere di ambiente destinato alla preparazione e al consumo dei pasti e la nascita di vani di disimpegno (corridoio, scala), che davano accesso ad altri ambienti con destinazione più specifica (sala, camere, ecc.), distribuiti sia su un solo piano sia su più livelli (Chapelot, Fossier, 1980, pp. 227-228).Assai più difficile è invece ipotizzare una linea evolutiva per gli edifici residenziali privati in contesti insediativi di maggiori dimensioni e negli agglomerati urbani: le profonde trasformazioni urbanistiche intervenute nei secoli successivi hanno infatti cancellato ogni evidenza archeologica riferibile ai secoli finali dell'Alto Medioevo. Fanno eccezione in questo panorama due esempi tedeschi che, se non possono essere assunti a termine di confronto generale, anche a causa della relativa incertezza della loro collocazione cronologica, costituiscono comunque una testimonianza dell'esistenza di un'edilizia abitativa già evoluta e differenziata. Si tratta in particolare del c.d. Graues Haus di Oestrich-Winkel, in Assia (v.) - un edificio ipoteticamente datato al sec. 8°, ma probabilmente da riferirsi nella sua ultima fase al sec. 11°, che presentava al pianterreno una cucina e un magazzino e al primo piano, servito da una scala esterna, una vasta sala con camino e una terrazza - e di una c. in pietra a Magdeburgo, databile probabilmente alla metà del sec. 10°, che conservava al piano terra due stanze con pavimentazione in legno (Nickel, 1959; Cagiano de Azevedo, 1972).
Il fenomeno di generalizzata rinascita delle città, che caratterizza i secoli immediatamente successivi al Mille, segna un punto di svolta determinante nell'evoluzione tipologica dell'abitazione privata. Il progressivo inurbamento di grandi masse di individui provenienti dalle campagne, la nascita e lo sviluppo di nuove specializzazioni artigianali e l'affermarsi dei ceti mercantili contribuirono al sorgere di tipologie abitative diverse, proprie della città e nettamente differenziate - anche nel senso della qualità di vita che potevano offrire - da quelle tipiche della tradizione rurale (Guidoni, 1980, pp. 18-27).Costruite probabilmente in una prima fase in legno (Ambienti, 1987, pp. 22-26) e successivamente, a seconda delle tradizioni locali e della disponibilità di materie prime, in pietra, calcare o laterizi, le abitazioni urbane dei secc. 11°-14° sembrano rispondere, almeno in linea generale, a un impianto tipologico costante. La progressiva rettificazione e regolarizzazione dei tracciati stradali, l'innalzarsi della densità abitativa e il definirsi di aspetti funzionali in qualche misura costanti furono probabilmente alcuni degli elementi che determinarono la nascita della c. medievale detta a schiera. Si trattava di un tipo di edificio che rispondeva a criteri distributivi assai diversi sia da quelli delle abitazioni di tradizione romana (in cui il programma abitativo era assai articolato, ma svolto essenzialmente su di un solo piano) sia da quelli delle abitazioni rurali altomedievali (basate, come si è visto, sull'utilizzo promiscuo di spazi indifferenziati). La c. a schiera medievale prevedeva invece sempre uno sviluppo in altezza su due o più piani (nei documenti romani bassomedievali, per es., si distingueva anche terminologicamente tra domus terrinea, solarata o tegulata, a seconda che si trattasse di c. a uno, due o tre piani; Hubert, 1990, pp. 172-179), con una precisa suddivisione funzionale degli spazi interni. L'abitazione occupava normalmente un appezzamento di terreno rettangolare, disposto con l'asse maggiore perpendicolare rispetto al filo stradale: il prospetto verso la strada era dunque assai stretto e l'edificio si sviluppava in profondità, spesso con ambienti posti in diretta comunicazione tra loro senza ricorrere a vani di disimpegno. Al pianterreno, la zona frontale era frequentemente occupata da una bottega, che si affacciava direttamente sulla strada attraverso un'ampia apertura o un piccolo portico, e che era spesso dotata di un ambiente retrostante, adibito a magazzino o laboratorio. Una seconda porta nella facciata dava accesso alla scala, che serviva i piani superiori: in molti casi, particolarmente nell'Italia centrale, la scala poteva essere semplicemente addossata al corpo della c., sia su di un fianco sia anche in facciata. Al piano o ai piani superiori si trovavano normalmente gli ambienti residenziali (la sala, le camere) e quelli di servizio; in particolare la cucina veniva posta di norma in alto, sia per favorire la fuoriuscita del fumo sia per limitare il rischio di incendi (Chiolini, 1959, pp. 326-331). Laddove la superficie dell'appezzamento lo consentiva, sul retro dell'abitazione si sviluppava un cortile, spesso dotato di pozzo per l'acqua e di pozzo nero per lo scarico dei rifiuti; meno frequente era la disposizione dei vani intorno a una piccolissima corte centrale che fungeva da presa di luce per gli ambienti interni. A parte la grande porta del pianterreno in corrispondenza della bottega o del magazzino, la c. a schiera medievale presentava scarsissime aperture: l'illuminazione dei vani era affidata a poche finestre di piccole dimensioni (le soluzioni formali e decorative potevano essere le più varie e la loro seriazione tipologica costituisce un utile strumento per la datazione) chiuse in una prima fase da semplici imposte in legno e solo più tardi da vere e proprie finestre dotate di vetri.Nel suo complesso, lo schema planimetrico e distributivo della c. a schiera rispondeva egregiamente a molte esigenze diverse: in esso si realizzavano quelle economie di spazio, particolarmente nell'ampiezza dei prospetti frontali, rese necessarie dal sempre crescente popolamento delle città; si risolvevano problemi pratici di non secondaria importanza (riscaldamento, sicurezza), ma soprattutto si realizzava quell'intima unione tra vita domestica e lavoro, che costituiva forse l'elemento più caratteristico delle emergenti classi artigianali e mercantili.In questo senso, l'impianto abitativo a schiera, sorto come conseguenza del rapido sviluppo urbano dei secoli centrali del Medioevo, finì per divenire a sua volta strumento progettuale per la definizione degli spazi destinati all'abitazione privata nelle città di nuova fondazione e oggetto anche dell'attenzione dei trattatisti del primo Rinascimento (Guidoni, 1990, p. 3). Questo fenomeno è testimoniato sia dalla documentazione iconografica - per es. nel caso della c.d. pianta di Talamone, del 1306 (Siena, Arch. di Stato, Caleffo Nero, cap. III, cc. 25-26; Ugolini, 1990), dove i lotti edificabili indicati sembrano ben corrispondere alla tipologia planimetrica della c. tardomedievale italiana - sia dalla documentazione archivistica - per es. nell'atto di fondazione della 'terra nuova' di Giglio Fiorentino, del 1350 (Friedman, 1988, p. 388ss.; Guidoni, 1990, p. 4), nel quale si arrivava a prescrivere la qualificazione estetica (altezza e materiali delle facciate, aspetto delle coperture) del fronte delle c. prospicienti la pubblica via - sia infine dai resti, che sono ancora oggi leggibili, degli impianti urbanistici bassomedievali della Toscana centrale (Parenti, 1990).Strettamente legata dal punto di vista funzionale alle esigenze della classe sociale emergente nel mondo tardomedievale, la tipologia della c. a schiera si ritrova diffusa in tutta l'Europa, sostanzialmente immutata nelle sue linee essenziali ma con importanti varianti regionali tanto nella scelta dei materiali quanto nelle soluzioni costruttive e ornamentali. Condizioni ambientali e scelte di carattere tecnico-costruttivo - tra cui, particolarmente nell'area germanica, l'impiego prevalente di materiali deperibili quali il legno (v. Architettura in legno), responsabile tra l'altro di una sensibile carenza, in alcune regioni, di edifici conservati - determinarono gli aspetti peculiari dell'edilizia residenziale privata nelle diverse regioni europee. È il caso per es. del tipico impianto planimetrico nelle c. realizzate a Fachwerk, in cui la tecnica costruttiva imponeva un continuo allargamento della superficie dell'abitazione nel procedere verso l'alto, determinando il caratteristico progressivo aggetto delle facciate; o ancora del forte rialzo dei tetti lignei a doppio spiovente nelle regioni dell'Europa settentrionale, più esposte a manifestazioni climatiche particolarmente violente. Assai interessante dal punto di vista tipologico appare lo sviluppo che il modello dell'abitazione a schiera assunse nell'Inghilterra tardomedievale, dove si registra il parallelo svilupparsi di due schemi distributivi nettamente distinti e basati rispettivamente su un andamento parallelo od ortogonale rispetto all'asse stradale. Nel primo caso, gli ambienti principali (rispettivamente botteghe al pianterreno e sala e camere al piano nobile) si disponevano su di un unico asse affacciato sulla via con un cortile retrostante; nel secondo caso lo stretto corpo dell'edificio si sviluppava ortogonalmente alla strada, fino a raggiungere una profondità di oltre m. 30, con stanze disposte su di una sola fila e su più piani servite da uno stretto corridoio esterno che dava accesso al vano delle scale (Pantin, 1962-1963).Alla grande omogeneizzazione che caratterizza, almeno negli elementi essenziali, l'edilizia residenziale privata dell'Europa centrosettentrionale, fa riscontro una maggiore articolazione nella regione mediterranea, dove la tipologia della c. a schiera viene arricchita da soluzioni dettate anche da particolari condizioni sociali ed economiche. Caso esemplare è quello di Venezia, in cui anche gli edifici di abitazione sembrano risentire in misura rilevante del particolare ruolo di crocevia economico e culturale che la città ricoprì nei secoli finali del Medioevo. Accanto a un'edilizia minore, che conservava caratteri strutturali e formali sostanzialmente analoghi a quelli del resto delle città italiane, a Venezia si affermò nel corso dei secc. 12° e 13° un tipo di insediamento residenziale strettamente legato alle fiorenti attività commerciali della città. Si trattava di un particolare assetto urbanistico dettato dal giustapporsi di nuclei edificati distinti, ciascuno legato a una delle ricche famiglie mercantili e costituito da una serie di edifici (residenza padronale, servizi, magazzini, alloggi dei dipendenti) organizzati intorno a una corte centrale (Maretto, 1960). La c. padronale, che aveva il suo affaccio principale sul canale, era sempre organizzata su due piani (talvolta era presente anche un ammezzato) e su due assi principali. La zona frontale presentava un solo grande ambiente trasversale sia al piano terra (portico) sia al piano nobile (grande sala aperta in una loggia che si estendeva spesso lungo tutta la facciata); la parte retrostante era invece organizzata secondo uno schema longitudinale tripartito in cui trovavano posto, al piano terra, magazzini e ambienti di servizio e al piano nobile gli ambienti residenziali. In una fase successiva (secc. 14°-15°) la c. detta gotica, tipica dell'edilizia veneziana del Tardo Medioevo, appariva interamente organizzata secondo uno schema tripartito longitudinale, con un profondo ambiente centrale che, tanto al piano terra quanto a quello nobile, si affacciava sia sul prospetto principale sia su quello posteriore, fungendo al tempo stesso da ambiente di rappresentanza e da accesso per gli ambienti residenziali e di servizio; in facciata il portico e la loggia tipici della fase precedente erano sostituiti rispettivamente da una o due 'porte d'acqua' e da una polifora riccamente decorata (Maretto, 1960).
A differenza di quanto accadeva nelle regioni del Mediterraneo occidentale, nell'area bizantina si registra, almeno ancora per tutto il sec. 6°, una continuità delle forme abitative di tradizione ellenistico-romana, sia per quanto concerne la domus, sia per quel che riguarda l'insula, sia infine nel caso delle abitazioni rurali (Kirilova-Kirova, 1971).L'esistenza di grandi insulae a più piani, almeno in alcune delle grandi città dell'impero, è testimoniata sia dalle fonti sia da significativi resti archeologici. In questo senso debbono infatti essere interpretate alcune disposizioni imperiali, risalenti all'epoca di Leone I (457-474) e di Zenone (474-492), che miravano a regolamentare sia l'altezza massima sia le tecniche di costruzione dei grandi caseggiati urbani al fine di limitare il rischio d'incendi e i danni da essi derivanti (Dagron, 1974, pp. 525-530). Allo stesso quadro rimandano inoltre alcune sparse notizie contenute nei papiri egiziani dei secc. 6° e 7°, che attestano in quell'epoca l'esistenza di c. a quattro piani anche in località relativamente minori quali Arsinoe in Egitto (Luckhard, 1914, p. 39). Gli scavi archeologici recentemente condotti ad Alessandria hanno poi riportato alla luce resti significativi dei grandi caseggiati urbani destinati all'abitazione degli esponenti delle classi artigianali della città. Il contesto meglio conservato, quello della c. detta D (Rodziewicz, 1984, pp. 66-127) - che presenta diverse fasi edilizie che giungono fino alla seconda metà del sec. 6° o agli inizi del successivo -, è costituito da una serie di sale disposte su più piani intorno a una corte centrale lunga e stretta, con zone specificamente destinate al riposo, alle riunioni e alle pratiche igieniche, secondo un modello che continua quello che sembra essere il prototipo della c. di abitazione collettiva dell'Egitto romano. Solo nell'ultima fase di vita della struttura, agli inizi del sec. 7°, si assiste a una sua parziale trasformazione, nel senso di una frammentazione degli spazi che ben si accorda con il progressivo impoverimento della città alla vigilia della conquista araba.Un processo analogo di continuità e trasformazione, testimoniato peraltro anche nelle fonti antiche (Kriesis, 1960), si può leggere nel caso delle lussuose domus urbane monofamiliari. La presenza di questa tipologia abitativa è attestata sia nelle città di tradizione ellenistica che presentano una fase di urbanizzazione in epoca protobizantina sia nelle città fondate ex novo nei primi secoli dell'impero. Esempi paradigmatici in questo senso possono essere rispettivamente quelli di Apamea (Siria) e di Caričin Grad (Iustiniana Prima, in Serbia). Ad Apamea un numero rilevante di residenze signorili sorte nella fase di massima fioritura economica e sociale della città, tra il sec. 2° e il 3°, continuarono a essere utilizzate nella loro propria funzione ancora nel corso del sec. 6°, quando Apamea divenne uno dei centri amministrativi più importanti della regione costiera della Siria (Balty, 1989). Esempi particolarmente significativi di questo fenomeno sono la c. delle Mensole (Balty, 1984) e la c. del Cervo (Donnay-Rocmans, Donnay, 1984), dove le strutture e i piani pavimentali di epoca classica vennero restaurati - sostituendo in qualche caso pavimentazioni in opus sectile ai mosaici pavimentali ormai deteriorati - conservando però tutti le soluzioni formali e funzionali proprie di quel tipo di edificio residenziale. La vitalità del tipo della domus ancora in età giustinianea è inoltre testimoniata da alcuni esempi di nuove fondazioni, tra cui quello della c.d. villa urbana di Iustiniana Prima, la nuova capitale dell'Illirico settentrionale fatta edificare da Giustiniano all'inizio del suo regno. In questo caso si trattava di un edificio costruito ex novo ma che riprendeva, almeno nelle linee essenziali della distribuzione degli ambienti e nella ricchezza dell'apparato decorativo, il tipo classico della residenza articolata intorno a un ambiente scoperto centrale, parzialmente circondato da portici (Kondič, Popovič, 1977, pp. 91-93).Analoga continuità tipologica tra il mondo antico e quello protobizantino si riscontra infine nel caso delle abitazioni rurali, come dimostrano gli scavi e le ricerche archeologiche condotte in Romania e in Siria. Nella regione rumena sembra infatti affermarsi, già nel corso del sec. 4°, un tipo di edificio a due piani con diversi ambienti disposti intorno a un cortile centrale che sembra rimanere in uso ancora per tutto il sec. 6° fino alla caduta della dominazione bizantina (Condurachi, 1971, pp. 174-175; 1975). In Siria invece, e in particolare nella regione del Belus dove si sono conservati ben leggibili nelle loro strutture essenziali numerosi villaggi, sembrano affermarsi in epoca tardoantica e protobizantina due distinti modelli di abitazione: uno relativamente più ricco, che riprende, pur senza conservarne la regolarità, gli schemi distributivi della c. disposta intorno a un cortile centrale porticato su uno o più lati (è il caso, per es., di alcuni edifici di Serjilla), e un secondo, di sviluppo spaziale più limitato, costituito da uno o più ambienti indipendenti e non differenziati a seconda del loro uso prevalente (Tchalenko, 1953-1958, I, p. 343ss.).Il periodo compreso tra la metà del sec. 6° e gli inizi del 7°, che segna un passaggio cruciale nella storia dell'impero bizantino, costituisce anche un momento di svolta per quanto concerne la continuità delle tipologie abitative e, in ultima analisi, del modello urbanistico classico (Ellis, 1988). In tutte le città periferiche dell'impero si assiste infatti a un fenomeno di progressivo impoverimento, di crescita dell'insicurezza e di complessiva ruralizzazione della vita urbana, e a tale contesto debbono essere riferiti i numerosi casi di reimpiego di edifici, ambienti e materiali che caratterizzano questa fase. Le testimonianze archeologiche in tal senso sono più che evidenti: a Palmira (Siria) le c. di un quartiere bizantino occupavano un intero settore della grande via colonnata, reimpiegandone portici e colonne come materiali da costruzione (Michałowski, 1963, pp. 41-60); ad Apamea le grandi domus urbane che erano state mantenute in uso fino alla metà del sec. 6° vennero trasformate, suddividendone gli ambienti e gli spazi aperti per ricavare nuovi alloggi e depositi (Balty, 1989); a Iustiniana Prima, sul finire dello stesso secolo, abitazioni, stalle e magazzini vennero ricavati tra i portici della monumentale piazza circolare e negli ambienti della c.d. villa urbana (Kondič, Popovič, 1977, pp. 177-184); nelle città fortificate lungo il limes danubiano l'impellente necessità di offrire un rifugio alle popolazioni delle campagne, sottoposte alla minaccia slava, determinò la costruzione di abitazioni assai semplificate, con struttura a traliccio di legno e tetto di paglia (Milosević, 1987).Assai più scarni sono le notizie e i dati archeologici disponibili per studiare l'evoluzione della c. nel periodo medio e tardobizantino, particolarmente per quanto riguarda Costantinopoli e le altre grandi città dell'impero. Meglio noti sono invece gli sviluppi dell'architettura domestica nelle regioni della Grecia e della costa egea dell'Asia Minore, soprattutto sulla base delle ricerche archeologiche condotte ad Atene (Frantz, 1961), a Corinto (Scranton, 1957), a Mistrà (Orlandos, 1971) e a Pergamo (Rheidt, 1990).Per quanto concerne il periodo mediobizantino, i dati disponibili riguardano soprattutto i secc. 10°-12°, che videro, pur nel conservarsi delle peculiari tradizioni costruttive delle diverse regioni, l'affermazione di una tipologia residenziale sostanzialmente unitaria: si trattava sempre di abitazioni che si sviluppavano intorno a un cortile centrale più o meno ampio, che appare fiancheggiato su uno o più lati da una serie di semplici ambienti rettangolari, a un solo piano, separati o comunicanti tra loro, ciascuno dei quali sembra destinato ad assolvere una specifica funzione nella vita domestica o lavorativa (stanze per il riposo, cucina, magazzino, laboratorio, ecc.). L'elemento che maggiormente caratterizzava questo tipo di abitazione - che rimaneva essenzialmente rurale anche quando era impiantata, come nel caso di Atene, immediatamente a ridosso della cinta di mura dell'agorá - era certamente il muro che circondava il cortile lungo i lati sui quali non erano disposti gli ambienti. L'abitazione veniva così a qualificarsi come uno spazio isolato dall'esterno, con il quale comunicava solo attraverso uno stretto portale ricavato nel muro di cinta, mentre tutte le finestre degli ambienti si aprivano direttamente sul cortile interno. Si trattava di una tipologia di chiara tradizione mediorientale, già attestata, per quanto riguarda l'epoca protobizantina, nella Siria settentrionale, dove trova una continuità fino a oggi; ad ascendenze siriane sembra anche rinviare un ulteriore tipo di abitazione individuato a Corinto e caratterizzato da un grande ambiente centrale a pianta rettangolare, a sua volta suddiviso in due parti da una sorta di diaframma trasversale poggiante su due colonne (Scranton, 1957, pp. 128-131).A una cultura materiale e architettonica più articolata e non esente da contatti con il mondo occidentale vanno invece ricollegate le due principali tipologie edilizie individuate da Orlandos (1971) sul sito di Mistrà e databili nell'ambito del 13° secolo. In entrambi i casi si trattava di edifici a pianta rettangolare allungata, generalmente a due piani, con copertura a tetto a doppio spiovente e posti lungo il pendio di una collina; quella che variava era invece la disposizione sul terreno: nel primo caso si trattava di c. disposte parallelamente alla linea di pendenza, nel secondo di edifici posti invece trasversalmente. Ciò comportava, particolarmente per gli edifici in linea, l'adozione di robuste sostruzioni, talvolta su più piani, che definivano una piattaforma su cui poggiava il corpo della c.; le abitazioni erano comunque sempre caratterizzate dalla presenza di ampi terrazzi o balconi, poggianti direttamente sulla sostruzione o sorretti da file di archetti su mensole.La soluzione degli sporti aggettanti su mensole sembra caratterizzare anche l'architettura tardobizantina di Costantinopoli, che non è però testimoniata da monumenti conservati sicuramente databili, quanto piuttosto dalla traccia che questi hanno lasciato nella tradizione edilizia locale così come la si coglie in esempi dei secc. 16° e 17° (Beylié, 1903; Kirilova-Kirova, 1971).
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I termini più correntementi usati in arabo per designare la c. sono bayt e dār, il cui significato etimologicamente esprime concetti spaziali differenti. La prima parola, da una radice semitica riferita sia alla dimora o tenda dei nomadi sia alla c. dei sedentari, designa uno spazio coperto dove si può passare la notte - e anche, nell'uso corrente moderno, una stanza all'interno della c. -; la seconda, che ha la stessa radice di dāra ('circondare'), configura uno spazio delimitato da muri o da costruzioni o anche da tende di nomadi disposte in modo da comprendere al loro interno un ambito di terreno scoperto.Prototipo della c. è considerata nel mondo islamico la c. di Maometto a Medina, di cui la tradizione permette di conoscere la forma e le vicende costruttive. Terminata nel 2 a.E./623 e demolita successivamente per lasciare spazio al santuario, sorgeva su un terreno aperto e non urbanizzato: un muro di recinzione alto ca. cubiti 7 (m. 3,5), costruito in mattoni di argilla seccati al sole, delimitava uno spazio di forma quadrata di ca. cubiti 100 (m. 50) di lato. All'esterno del lato orientale del recinto, ma con l'apertura verso l'interno, si allineavano le abitazioni delle mogli del Profeta: "Quattro case in mattoni d'argilla, con stanze spartite da rami di palma impastati con fango e cinque case con rami di palma impastati con fango non divise in stanze. Sulle porte c'erano tende nere di crine [...] Il tetto si poteva toccare con la mano" (Ibn Sa῾d, in Creswell, 19692, p. 6). Lungo i lati nord e sud del recinto furono costruiti in diversi momenti due portici sostenuti da tronchi di palma e coperti da rami di palma e fango, che servivano tra l'altro da riparo notturno ai più poveri tra i seguaci di Maometto.Lo schema di abitazione di cui è esempio la c. del Profeta a Medina corrisponde a una tipologia abitativa molto diffusa fino quasi all'epoca moderna in tutte le regioni del mondo mediterraneo, soprattutto in ambito non urbano; esso prefigura inoltre, nella sua struttura essenziale scandita in uno spazio centrale a cielo aperto e in uno periferico costruito, un tipo di abitazione di carattere urbano in seguito molto diffuso nei territori islamici. Pur non essendo esclusivo del mondo musulmano (la stessa disposizione caratterizza la c. greca a peristilio e uno dei tipi della c. romana, e si ritrova anche nell'Egitto antico e nel mondo punico), questo tipo di architettura domestica "sembra offrire alla vita musulmana il suo quadro ideale. Esso si adatta naturalmente alla concezione patriarcale della famiglia per cui costituisce un ambiente chiuso [e] favorisce il segreto con cui il musulmano circonda la sua vita privata" (Marçais, 1965, p. 116). Senza sottovalutare i fattori genericamente sociologici, non devono tuttavia essere dimenticati quelli climatologici, che hanno favorito l'affermazione e la diffusione di questo tipo di abitazione in regioni caratterizzate da temperature miti o elevate e con ridotta o scarsa piovosità.Fanno ricorso allo schema appena descritto alcune costruzioni del periodo omayyade, non rappresentative peraltro di una tipologia abitativa corrente, trattandosi di dimore riservate ai sovrani e alla loro corte. È il caso, tra gli altri, del complesso di Qaṣr al-Khayr al-Sharqī (Siria), costruito dal califfo Hishām nel sec. 8°, dove è riconoscibile - all'interno di un recinto minore - una serie di unità abitative indipendenti, quasi identiche l'una all'altra, disposte intorno a uno spazio quadrangolare a cielo aperto su cui si affaccia la maggior parte dei vani che compongono le unità. Nello stesso modo, ma seguendo uno schema di distribuzione generale più irregolare, dovuto alla preesistenza di strutture romane, il palazzo omayyade di ῾Ammān - nella ricostruzione parziale permessa dalle ultime campagne di scavo degli anni Settanta - mostra il ricorso a un'analoga organizzazione degli spazi destinati all'abitazione: diverse unità abitative sono allineate simmetricamente rispetto a un asse di percorso longitudinale, che divide in due parti il complesso e che conduce dall'ingresso principale alla sala del trono. Ciascuna di esse unità ha un accesso diretto a partire dall'asse del palazzo ed è formata da un cortile quadrangolare, delimitato da un portico su pilastri, su tre lati del quale sono allineate le stanze, con apertura sul cortile centrale.Molto rari sono gli esempi conosciuti di abitazioni urbane di carattere popolare risalenti al primo periodo islamico: uno di questi è l'impianto di una c. di età omayyade a Gerasa (Giordania), costruita probabilmente dopo il terremoto del 658 e distrutta intorno alla metà dell'8° secolo. Nelle tecniche di costruzione si riscontra una sostanziale continuità con il periodo bizantino; retaggio di civiltà precedenti, con molta probabilità, sono anche alcuni allineamenti murari dovuti all'uso di fondazioni del periodo romano. La c. omayyade di Gerasa, in prossimità del decumanus meridionale - sotto uno dei cui portici si apriva l'ingresso principale -, ne è separata da una fila di botteghe; gli ambienti dell'abitazione - che in alcune parti poteva anche avere un secondo piano, di cui tuttavia non rimane traccia - sono disposti lungo i lati est e ovest di un cortile irregolare e sono costituiti da stanze di diversa forma e dimensione. Un elemento ricorrente, che sembra corrispondere all'organizzazione familiare del periodo, è costituito dall'unione di due ambienti comunicanti, il primo aperto sul cortile - probabilmente dedicato alle attività diurne -, il secondo con accesso dal precedente e senza finestre, usato per dormire. Ambienti più spaziosi erano probabilmente destinati a usi collettivi, mentre non è stata identificata la cucina. L'unica installazione igienica della c. è un canale di scolo coperto, che attraversa il cortile andando a terminare all'esterno sul decumanus.A Samarra, fondata dagli Abbasidi nella prima metà del sec. 9° a poche decine di chilometri a N di Baghdad, le indagini archeologiche hanno messo in luce, non lontano dalla moschea Malwiyya, un gruppo di abitazioni di carattere popolare in cui si nota una tipologia ricorrente. Costruite con mattoni crudi o cotti e con l'uso di gesso o fango come legante, le c. abbasidi di Samarra rispettano uno schema distributivo caratterizzato da un ingresso coperto che conduce, dalla strada su cui la c. si apre, a un cortile rettangolare accuratamente pavimentato. I lati del cortile sono per lo più in rapporto 3:2, con i lati più lunghi in direzione N-S. Nelle abitazioni più vaste un portico trasversale con tre aperture, probabilmente arcuate in origine, dà accesso, all'estremità meridionale del cortile, a un īwān (spazio quadrangolare coperto da una volta e chiuso soltanto su tre lati) che si apre verso N ed è fiancheggiato da due stanze che si affacciano sul portico: in questo insieme (portico, īwān e sale laterali), definito da al-Mas῾ūdī ḥīrī ('alla moda di Ḥira'), in genere una delle stanze laterali dà accesso al resto dell'abitazione, che in alcuni casi sembra costituire una zona separata e strettamente riservata alla famiglia. Come è stato fatto notare (al-Janabi, 1982-1983, p. 313), questa disposizione corrisponde a una tradizione diffusa nell'architettura preislamica della Mesopotamia, dove - a Hatra e in esempi dell'architettura tardoassira - si ritrovano sia lo schema portico-īwān sia una simile distribuzione degli spazi intorno al cortile. Spesso le c. di Samarra possiedono un bagno pavimentato con bitume e - più raramente - un sirdāb sotterraneo (camera fredda fornita di un sistema di ventilazione). La parte inferiore delle pareti delle stanze, fino a un'altezza di m. 1 ca., era decorata con pannelli di stucco scolpiti con grande ricchezza di motivi geometrici o floreali, secondo una tecnica molto diffusa nell'epoca abbaside in tutta la regione mesopotamica; con il medesimo tipo di materiali erano decorati anche le cornici delle porte e i pilastri.Pur non rispettando gli stessi orientamenti di Samarra, in alcune abitazioni del sec. 9° di al-Fusṭāṭ (Vecchio Cairo) si ritrova un'organizzazione generale abbastanza simile: su uno dei lati di un cortile di forma rettangolare - di dimensioni variabili in relazione all'importanza della c. - è disposto un portico il cui prospetto è formato da tre aperture separate da due pilastri. In corrispondenza dell'apertura centrale più larga è situato, al di l'a del portico, un īwān fiancheggiato da due sale laterali di dimensioni più modeste. Lo stesso schema ḥīrī si riscontra, in alcuni casi, anche sul lato opposto del cortile, mentre lungo gli altri lati si aprono i vari ambienti della c., a volte anch'essi a forma di īwān. Una delle caratteristiche innovative dell'īwān di al-Fusṭāṭ è la frequente presenza lungo le pareti di nicchie a fondo piatto che potevano contenere un letto o un divano; un altro carattere proprio delle c. di al-Fusṭāṭ - almeno delle c. di una certa importanza - è la presenza al centro del cortile di un bacino di fontana (faskiyya), alimentata da un pozzo che serviva a riempire un serbatoio situato a un livello più alto.Ad al-Fusṭāṭ le abitazioni potevano essere fornite di sistemi per captare i venti e rinfrescare le principali stanze della c.; di queste strutture (malqaf), a volte vere e proprie 'torri dei venti' - molto frequenti nell'edilizia abitativa dei secoli successivi, al Cairo come in altre città del mondo islamico, in particolare a Baghdad, in Iran e nei paesi del golfo Persico -, rimangono descrizioni dell'inizio del sec. 13°, che parlano degli alti ventilatori delle c. di al-Fusṭāṭ "aperti a tutti i venti" (῾Abd al-Laṭīf, in Petherbridge, 1978, p. 203).Dai pochi esempi noti dei secoli successivi, in particolare dell'epoca fatimide, sembra essersi affermato al Cairo un tipo di abitazione caratterizzato da un cortile centrale cruciforme, le cui estremità sono occupate in maniera alterna da un īwān e da una profonda nicchia con uno shadirwān, piccola fontana che attraverso un piano inclinato e un canale a cielo aperto fa giungere l'acqua a un bacino situato al centro del cortile.Accanto alle c. del tipo fin qui descritto, destinate alle classi più agiate della popolazione, nel Cairo medievale si incontravano abitazioni collettive a diversi piani, a cui già accennano le descrizioni della città di al-Iṣṭakhrī e di al-Muqaddasī (sec. 10°). I nuclei abitativi che componevano questi edifici avevano uno spazio molto ridotto; si trattava di c. da affittare (rab῾), come quelle citate in un passo della descrizione del Cairo di Nāṣir-i Khusraw (Sefer Nameh), del sec. 11°: "a Miṣr [Cairo] c'è un gran numero di case dove si trovano camere da affittare. La superficie di questi edifici è di trenta ārish, e ciascuno di essi può contenere trecentocinquanta persone". Pur se appartenenti a un'epoca più recente, sono rappresentativi di questa tipologia i tre grandi complessi costruiti da Qāytbāy (sec. 15°) e da al-Ghūrī (sec. 16°) vicino a Bāb alNaṣr e alla moschea di al-Azhar, dove i rab῾ sono situati ai piani superiori, mentre a pianterreno si trovano magazzini per il commercio (wakālāt), disposti intorno a un grande cortile centrale.Altri tipi di abitazione nell'Egitto medievale sono noti tramite descrizioni di viaggiatori o documenti delle fondazioni pie (wakfiyya) dell'epoca: accanto alle capanne di fango (bayt tīn) viste da ῾Abd al-Laṭīf all'inizio del sec. 13° sull'isola di al-Rawḍa e alle c. a più piani con grandi finestre aperte verso N, si incontrano abitazioni a due piani senza cortile interno, probabilmente, dunque, aperte anch'esse verso l'esterno.Con il tempo la grande dār a cortile centrale, dimora domestica delle classi più elevate del Cairo, andò trasformandosi sinché il suo centro non fu più il cortile a cielo aperto, già presente nelle prime abitazioni di al-Fusṭāṭ, ma una sala rettangolare interamente chiusa (qā῾a), in cui l'aria e la luce penetravano unicamente da un lucernario (mamraq) posto sul soffitto al centro della stanza. L'esempio più antico di questa grande sala di apparato - la stanza più riccamente ornata e decorata, usata per ricevere gli ospiti o in occasione di feste - rimonta, secondo Creswell (19692), alla fine del regno dei califfi fatimidi (sec. 12°) e successivamente assume un'importanza destinata a permanere nelle abitazioni cairote fino al 19° secolo. La qā῾a, che è stata interpretata come un patio coperto, conserva la struttura e la funzione distributiva del cortile: nella sua forma più ricorrente si compone di una parte centrale a pianta quadrangolare (dūrqā῾a) - a volte arricchita dal bacino di una fontana (per es. nella qā῾a ῾Uthmān Katkhudā, della prima metà sec. 14°) - su due lati opposti della quale, a un livello leggermente superiore, si aprono due īwān, di dimensioni non necessariamente identiche.Tra gli esempi conosciuti di abitazioni medievali delle regioni più orientali del mondo islamico è la c. delle Ceramiche a lustro di Ghaznī (Afghanistan), così chiamata dal tipo di materiale fittile che vi è stato trovato nel corso degli scavi. Dalla fondazione difficilmente databile, ma abitata con molta probabilità fino all'inizio del sec. 13°, la c. mostra l'uso di diversi materiali da costruzione: dalla pietra per le fondamenta ai mattoni cotti e a una specie di cocciopesto per la pavimentazione, con prevalenza, tuttavia, dei mattoni di terra seccati al sole, che formano la quasi totalità delle strutture murarie; diversi strati di uno spesso intonaco argilloso, dipinti in bianco di calce o in rosso, ne ricoprivano le pareti. L'edificio è del tipo a cortile interno: un lungo vestibolo coperto a volta conduce dall'ingresso a un cortile quadrangolare, sul quale si aprono direttamente - disposti senza una particolare ricerca di simmetria - gli ambienti della casa. In uno di questi, sul lato orientale, è possibile riconoscere un īwān, mentre i resti di due rampe di scale dimostrano l'esistenza di un piano superiore, di cui tuttavia non rimangono tracce appartenenti alla costruzione originaria.Nello spazio culturale iranico, a cui la c. di Ghaznī appartiene, una tipologia di abitazione, che sembra essere stata particolarmente diffusa nel periodo medievale, vede disposti intorno al cortile centrale quattro īwān, secondo uno schema cruciforme che si incontra anche in edifici non strettamente destinati all'abitazione. Esempi di questa tipologia sono stati ritrovati a Shahr-i Ghulghula e nei quartieri residenziali privati del palazzo di Lashkarī Bāzār (Afghanistan).A Sīrāf, un importante centro mercantile che fiorì sulla costa iraniana del golfo Persico tra i secc. 9° e 11°, diversi edifici di abitazione, messi in luce dalle ricerche archeologiche, mostrano il ricorso allo schema usuale della c. con un cortile interno, intorno al quale sono distribuite le stanze senza il passaggio intermedio di un portico. La presenza di rampe di scale interne ha fatto ipotizzare in alcuni casi che si trattasse delle c. a molti piani descritte da al-Iṣṭakhrī (sec. 10°). Lungo il perimetro di alcune costruzioni esistevano, a intervalli regolari di m. 2 o 3, semicolonne o pilastri a sezione rettangolare addossati al muro esterno, con funzione strutturale o decorativa.Nei rari resti di edilizia civile attribuibili, in Iran, al periodo selgiuqide sembra permanere lo schema distributivo basato sulla sistemazione al centro di un cortile quadrangolare, sui cui lati si aprono larghi īwān, mentre il resto degli ambienti che formano l'abitazione è distribuito senza un particolare ordine; è il caso di un palazzo di Bam tradizionalmente attribuito alla seconda metà del 13° secolo. A Rayy, che a partire dal sec. 9° fu una delle grandi città del mondo islamico, le decorazioni in stucco che ornavano le abitazioni del periodo selgiuqide ne attestano la ricchezza. Appartiene alla stessa epoca e alla stessa città un lussuoso ḥawżkhāna scoperto negli anni Trenta: si tratta di un ambiente a pianta ottagonale, coperto da una cupola, al centro del quale si apre una piscina.Nell'Occidente islamico il modello dell'abitazione a corte centrale persiste attraverso tutto il periodo medievale; gli esempi messi in luce dagli scavi archeologici in Ifrīqiya e nel Maghreb centrale, a Sabra-Manṣūriyya, non lontano da Kairouan, e ad Ashīr (sec. 10°), alla Qal'a dei Banū Ḥammād (sec. 11°) e a Sadrata (secc. 10°-12°) rivelano la disposizione degli ambienti di abitazione intorno a cortili di forma regolare.Nelle città principali del Maghreb, da Tripoli al Marocco, non si conservano abitazioni altomedievali, ma si può affermare che - con varianti dimensionali dovute al tipo di localizzazione all'interno della compagine urbana e alla classe sociale degli abitanti - la tipologia prevalente attraverso i secoli era quella della c. a patio centrale, come attestano i più antichi esempi rimasti, risalenti al sec. 14° e non databili con maggior precisione.A Fez - una delle città islamiche più studiate dal punto di vista dell'edilizia civile - in epoca merinide e saadiana (secc. 14°-17°) si può distinguere, all'interno di questa tipologia, tra c. a un solo livello ed edifici provvisti di un piano superiore. Alla prima categoria appartengono abitazioni di dimensioni minori, che, davanti alle stanze principali - a volte lungo tutto il perimetro del cortile -, posseggono, in generale, un portico sostenuto da pilastri ai quattro angoli del patio. Completano la c. alcuni ambienti di servizio, come la cucina, la dispensa e la scuderia. Il secondo tipo di c. differisce dal precedente soprattutto per la dimensione: vi si trovano uno o diversi portici nonché stanze per la servitù e si possono a volte distinguere appartamenti estivi e invernali. Appartengono a questa seconda categoria le grandi residenze di dignitari, notabili e facoltosi commercianti, ispirate ai palazzi principeschi, imitati nella ricchezza della decorazione e nell'uso di materiali nobili; molto spesso queste dimore non dispongono, attorno al cortile, di un numero di stanze superiore a quello delle abitazioni borghesi ma possiedono dipendenze in cui si moltiplicano gli spazi per gli ospiti e per i membri della famiglia, ambienti destinati alla servitù, residenze secondarie ed eventualmente un giardino interno (rawḍa). Ciò che oggi rimane di queste grandi dimore urbane è spesso soltanto il nucleo di una proprietà molto più vasta, che poteva raggiungere la dimensione di un intero quartiere.In ambito ispano-musulmano le ricerche archeologiche (in particolare sui siti di Bayyāna, Siyāsa e nella prov. di Granada) hanno permesso di classificare gli esempi di c. medievale, sinora messi in luce, in un tipo elementare e in un tipo complesso. Si tratta in tutti i casi di abitazioni a patio, che corrispondono alla tipologia già analizzata e che si differenziano principalmente per la loro minore o maggiore estensione, per la gerarchizzazione degli spazi di servizio, per la ricchezza della decorazione e soprattutto per l'assenza o la presenza di una specializzazione funzionale degli ambienti che le compongono.In ambito magrebino e andaluso gli scavi sistematici di abitati medievali sono un fatto molto recente (oltre alle zone già citate si possono aggiungere gli scavi di Qāṣr al-Saghīr e di Belyūnes, in Marocco, di Hunayn in Algeria e di Ajdabiya in Libia) e in diversi casi le pubblicazioni scientifiche sulle indagini archeologiche fanno ancora riferimento a risultati e analisi preliminari.Come si è visto, il tipo di abitazione di cui si possiede la documentazione più completa è quello delle classi medie ed elevate: scarse sono le informazioni sulle c. delle classi più povere, che tuttavia costituivano la maggior parte della popolazione urbana. Si può immaginare, per analogia e sulla scorta delle testimonianze di epoche più recenti, che anche nel periodo medievale esistessero nelle città del mondo islamico quartieri di abitazioni precarie, costruite con materiali scadenti, come gli hawsh delle città siriane, palestinesi, egiziane e higiazene noti dalle descrizioni dei secoli scorsi: si trattava in generale di alloggi costituiti da un numero molto ridotto di ambienti, distribuiti attorno a uno spazio comune e situati spesso nei sobborghi della città e all'esterno delle mura.
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