Vedi CASA dell'anno: 1959 - 1994
CASA
1. - Preistoria. - Il primitivo concetto di c. implica la intenzionale realizzazione di una struttura per ottenere uno spazio coperto, con l'impiego di materiali diversi (legno, pietra, mattoni di fango essiccato, grumi di erba, ecc.). Lo sviluppo dell'abitazione è ovviamente legato alle definite manifestazioni di vita associativa in conseguenza degli insediamenti stabili del Neolitico più antico euro-afro-asiatico, in diretta relazione con il trapasso dall'economia di caccia e raccolta a quella specificamente produttiva dell'agricoltura e dell'allevamento.
L'uso delle grotte come ricovero era comune durante i tempi paleolitici, ma la loro utilizzazione non venne a cessare con l'introduzione delle dimore artificiali, specialmente nelle regioni ricche di cavità naturali, le quali rappresentarono spesso rifugio per comunità culturalmente avanzate durante l'invasione di popolazioni allogene. Tuttavia anche presso gruppi di cacciatori del Paleolitico Superiore sono testimoniati esempî di ricoveri artificiali, anche se questi difficilmente potrebbero rientrare nel concetto di casa. Nelle pianure della Russia meridionale, lontane dalle aree cavernicole del Caucaso e della Crimea, i cacciatori di mammut usarono una sorta di tende con copertura di pelli animali, con piano incavato nel terreno (Gagarino, Kostenki), oppure ambienti scavati profondamente nel suolo e in qualche modo ricoperti (Timonovka).
Scarse sono le testimonianze riguardanti la pianta e la struttura delle abitazioni dei tempi mesolitici, in fase ancora pre-agricola, per quanto numerose tracce capannicole, rappresentate da depressioni nel terreno, siano apparse in vari giacimenti dell'Europa settentrionale e centrale. Le c. delle comunità agricole europee-mediterranee, per contro, già nella 2a metà del III millennio a. C., manifestano definiti orientamenti costruttivi nelle diverse aree di accolturazione. La differente realizzazione del ricovero artificiale è dovuta in gran parte a fattori ambientali e funzionali, ma non è da trascurare l'incidenza che il tipo di organizzazione sociale ebbe ad assumere nel determinare le caratteristiche della casa nel Neolitico più antico. Ad esempio, nell'area mediterranea e nell'Europa a clima temperato, la predilezione della struttura oblunga della c., con tendenza alle grandi dimensioni che raggiungono i 16 metri in Westfalia (Deiringsen-Ruploh) e i 32 metri di lunghezza in Polonia (Brzešč Kujawski), rispecchia, almeno nei casi più appariscenti, l'associazione e la convivenza sotto lo stesso tetto di gruppi umani oltre la limitazione familiare (facendo riferimento a quanto è osservabile in etnografia, esempi di abitazioni collettive sono forniti dai Boro dell'Amazzonia occidentale, i quali coltivano, a gruppi di 50-200, spazî di terreno aperti nella foresta). Sia l'abbattimento degli alberi per guadagnare terreno alla coltivazione (necessità che dovette verificarsi nell'Europa in tempi neolitici), sia la costruzione stessa delle grandi abitazioni collettive, richiedevano il concorso di gruppi numerosi. Così si può ben dire che l'economia agricola, specialmente nei primi tempi della sua affermazione e del suo sviluppo, contribuì al rafforzamento di legami associativi che si riflettono nella concezione dell'abitazione e nella struttura di interi villaggi.
Le comunità che iniziarono alla coltivazione le pianure di loess a N della Sava, estese fino alla Polonia, Germania e Belgio (v. danubiana, civiltà), e particolarmente quelle del gruppo della Bandkeramik (v.) costruirono lunghe ed ampie c. a struttura lignea, con pareti di frascame intonacato di argilla. Specialmente note sono quelle del villaggio di Köln-Lindenthal (Colonia), che si differenziano in due tipi: uno presenta pianta irregolare, con fondo costituito da serie di cavità ricavate nel terreno e che, a causa dell'abbondanza dei resti archeologici, alcuni autori (Buttler) hanno indicato come quello delle autentiche abitazioni presso le comunità danubiane; l'altro tipo mostra una regolare pianta rettangolare (da 10 a 35 m di lunghezza, con una larghezza di 5-7 m) a quanto pare con pavimento sopraelevato di legno, poggiante su pali. Altri autori (Clark) considerano quest'ultimo il classico tipo di casa danubiana meglio osservabile ad Arnsbach (Kassel), attribuendo alle cavità seminterrate, se ricoperte da un tetto, una funzione alternativa o accessoria.
Ma una regolare struttura, a pianta trapezoidale, appare chiaramente nell'Europa centrale tra la fine del III e il principio del II millennio a. C., presso le comunità agricole del gruppo di Rössen (v. ceramica, Preistoria), parallelo al Danubiano II.
Si tratta di c. di grandi dimensioni (che in molti casi superano i 30 m di lunghezza) con ossatura di tronchi d'albero e pali all'interno, sia per sostenere il tetto, sia per creare probabili suddivisioni della vasta area ricoperta. Il tetto era con ogni sicurezza a spiovente sui lati lunghi, mentre si hanno, in qualche caso, testimonianze della presenza di un porticato su uno dei lati, la cui copertura era ottenuta col prolungamento dello spiovente.
Nei vasti territori con culture agricole a ceramica dipinta estesi dai Carpazi al Dniepr, comprendenti Valacchia, Dobrugia, Moldavia, Bessarabia ed Ucraina, le comunità neolitiche usavano parimenti c. lunghe in media 20 m, per quanto i dettagli costruttivi non siano ben chiari. Elementi importanti si hanno invece circa l'aggruppamento e la disposizione delle capanne, che rivelano una concezione pianificatoria del villaggio: così a Kolomysczina (Kiev) dove le c. appaiono disposte radialmente in due circoli concentrici, con le entrate rivolte verso il centro dell'area. Accanto alle c. oblunghe al livello del suolo (o come alcuni ritengono, sopraelevate su pali) dovevano esistere capanne seminterrate munite di portico, quali possono essere ricostruite in base a modelli fittili della cultura di Tripolje in Ucraina e alle evidenze dei recenti scavi. Alcuni modellini di capanne (ad es. quello di Popudnia) sono inoltre interessanti perché mostrano l'attrezzatura interna, con forno costruito in argilla, di un tipo apparso negli scavi non solo nella cerchia della cultura di Tripolje (Vladimirovka), ma in tutto l'ambiente balcanico-danubiano (Vinča); completano l'arredamento una piattaforma cruciforme, macine, e una panchina rettangolare che sostiene grandi olle per derrate.
Scarse testimonianze si possiedono per quanto riguarda la struttura delle abitazioni neolitiche nell'Europa occidentale. In generale si ritiene che l'influenza della c. danubiana a pianta rettangolare abbia determinato le strutture delle abitazioni lacustri della zona alpina. Rapporti con la ceramica di Rössen sono del resto visibili nella civiltà elvetica di Cortaillod (v.), mentre la c. su palafitta, a pianta rettangolare, è chiaramente in uso nel villaggio di Aichbühl, di civiltà danubiana, sulle rive del lago Federsee (Württemberg).
Nel Mediterraneo orientale la tendenza delle più antiche popolazioni agricole è verso la c. oblunga o rettangolare, con soluzioni tecniche dovute all'impiego di materiali realizzabili in quell'ambiente climatico (ad es. i mattoni cotti al sole) ed alla disponibilità di materiale litico; mentre è generalmente in uso la capanna rotonda in altri ambienti neolitici (Puglia, Abruzzo, Valle Padana, Francia meridionale, Iberia). A Creta (Cnosso, v.), un complesso di abitazioni, sotto il cortile centrale del palazzo, si presenta come un aggregato di ambienti rettangolari di cui rimane la parte basale di muretti a secco, mentre la parte superiore doveva essere costruita con mattoni essiccati al sole. La stessa tecnica costruttiva veniva usata nella Grecia continentale fin dal Neolitico A (Tsangli), mentre nel Neolitico B è già diffuso il tipo del mègaron (Dimini, v., Sesklo II, v.), noto in Anatolia alla fine del III millennio a. C. (Troia II), caratteristica costruzione rettangolare costituita da un ambiente principale con una fossa-focolare al centro, preceduto da un portico, e che rappresentò la tipica c. pre-classica dell'ambiente egeo.
La diffusione della c. a pianta rotonda, di piccole dimensioni, che va gradatamente affermandosi tra le comunità europee nella prima metà del II millennio a. C., va posta in relazione col costituirsi di gruppi ad economia extra-agricola, caratterizzati da grande mobilità (trafficanti-guerrieri, razziatori-pastori), che hanno, per così dire, sconvolto la fisionomia sedentaria delle popolazioni agricole. Nella Grecia continentale, l'apparizione tra l'Antico Elladico e il Medio Elladico della c. ad una o due absidi (Rakhmani, Rini, Orchomenos), sarebbe, secondo alcuni (Oelmann), dovuta all'innesto della pianta rotonda su quella rettangolare.
Nell'Europa centrale, la cultura di Altheim (Danubiano III) vede già la riduzione delle dimensioni della c. in piccole capanne a struttura lignea di 4-5 m2. L'Età del Bronzo mediterranea (2a metà del II millennio a. C.), astraendo dalle civiltà egee che hanno condotto ad estrema perfezione la tecnica costruttiva dei grandi palazzi, e ove si consideri nella sua rara singolarità il complesso megalitico di Malta (v.), dimostra che la c. rotonda, costruita alla base con muretti a secco, è l'edificio domestico generalizzato, come, salvo qualche eccezione, si osserva nel villaggio dell'isola di Panarea (v. eolie) e come appare persistente fino ad età storica nei villaggi nuragici di Sardegna (Serrucci, Barumini; v. barumini).
La riorganizzazione dell'economia agricola di fase superiore (con l'impiego dell'aratro) e la stessa tendenza degli insediamenti stabili verso l'urbanizzazione, condussero progressivamente verso un perfezionamento della tecnica costruttiva lignea in Europa, con richiamo quasi costante alla pianta rettangolare (Wasserburg Buchau nel Württemberg) e con realizzazioni strutturali (ad es. l'innesto sui montanti delle pareti a tronchi d'albero sovrapposti) assai ingegnose, come nell'insediamento di Biskupin in Polonia.
Un esempio delle c. dell'Età del Ferro nell'Italia centrale (VIII sec. a. C.), note indirettamente e in maniera convenzionale attraverso le numerose urne a forma di capanna dell'Etruria meridionale e del Lazio, venne offerto qualche anno fa dagli scavi sul Palatino, nel settore del Germalo. La pianta era pseudo-rettangolare con angoli tondeggianti, ed il pavimento era profondamente scavato nel tufo. La posizione dei fori in cui erano infissi i pali indicava chiaramente il sistema della struttura lignea e della copertura sorretta da una trave centrale (il tetto cosiddetto "testudinato" delle urne a capanna). La c. era quasi certamente munita di finestra laterale (quale si osserva nelle urne), ed il suo ingresso era coperto da un portichetto, come appare su un'urna proveniente dai Colli Albani (Campo Fattore).
Bibl.: A. J. B. Wace-M. S. Thompson, Prehistoric Thessaly, Cambridge 1912; W. R. Bryan, Italic Hut Urns and Hut Urn Cemeteries, in Pap. and Monogr. of the Am. Acad. in Rome, IV, 1925; F. Oelmann, Haus und Hof in Altertum, Berlino 1927; W. Buttler, Der Donaulandische und der Westische Kulturkreis der Jüngeren Steinzeit, Berlino 1938; J. D. S. Pendlebury, The Archaeology of Crete, Londra 1939; V. Gordon Childe, Neolithic House-Types in Temperate Europe, in Proceed. of the Preh. Soc., 1949, pp. 77-86; L. Bernabò Brea, Villaggio dell'età del Bronzo nell'isola di Panarea, in Boll. d'Arte, 1951; S. M. Puglisi, Gli abitatori primitivi del Palatino, in Mon. Lincei, XLI, 1951; J. G. D. Clark, Prehistoric Europe, Londra 1952, pp. 129-170; W. C. Blegen, J. L. Caskey e M. Rawson, Troy, Princeton 1953; G. Lilliu, Il nuraghe di Barumini e la stratigrafia nuragica, Sassari 1955.
(S. M. Puglisi)
I paragrafi che seguono espongono i problemi delle singole case urbane di abitazione civile.
Per le case di rappresentanza o residenziali in città o in campagna vedi anche palazzo e villa.
Per quanto riguarda il problema dei quartieri e del loro articolarsi nel quadro delle città v. urbanistica.
2. - Egitto. - L'architettura civile del periodo faraonico non presenta una documentazione abbondante, continua nel tempo e diretta: in massima parte ciò è dovuto al materiale leggero impiegato (mattoni crudi e legname).
I resti di abitazioni dell'Antico Regno si riducono alle rovine di una c. dentro il recinto funerario del re Djoser ed a alcuni cunicoli costruiti per operai nelle adiacenze della piramide di Chefren.
La necropoli di Rīfeh ha restituito una interessante serie di modelli di c. in terracotta, databili fra la VI e la XII dinastia (circa 2350-1778 a. C.).
La tipologia è molto varia, tuttavia si possono segnalare alcuni elementi fondamentali: sul davanti, un cortile circondato da un muro basso; al centro del cortile, un bacino; sul fondo, l'edificio residenziale preceduto da un portico a colonne (da 2 a 4) e con soprastruttura a terrazza, in alcuni casi provvista di maniche a vento per l'aerazione. L'interno può essere costituito da uno o più vani. Negli esemplari maggiormente sviluppati, ultimi in ordine di tempo della serie, si nota un piano superiore con loggiato a intercolunni o finestre. Poiché alcuni modelli sono dotati anche di mobilio, si può stabilire che la camera da letto poteva trovarsi tanto al piano-terreno quanto al piano superiore.
Le rovine di una cittadina presso l'attuale villaggio di el-Lahun, costruita ex novo sotto Sesostris II e abitata per poco meno di un secolo, conservano una importante documentazione della c. durante il Medio Regno.
Un muro di cinta a pianta quadrangolare con circa 400 m di lato, delimita il complesso urbano nel quale si notano due quartieri distinti: uno destinato alle abitazioni degli operai, l'altro a quelle degli alti funzionari. Nel quartiere operaio le c. si presentano disposte in file contigue e abbinate, con la parete di fondo in comune: ogni c. poteva disporre di tre-quattro vani con planimetria non uniforme. Sopra un'area di m 240 × 105, superano le 200 unità. Una delle residenze per funzionarî meglio conservata occupa un'area di m 45 × 60, con un complesso di circa 70 vani. Varcata la soglia, a sinistra ci si dirigeva verso i locali di servizio, a destra verso le stanze di rappresentanza e di abitazione. Un primo vestibolo dava accesso ad un lungo corridoio, mentre un secondo vestibolo immetteva in un cortile con portico sul lato S, e gradinata di accesso al terrazzo sul lato N. Dal cortile, due porte conducevano rispettivamente ai due complessi più importanti della casa: gli appartamenti del padrone di casa e quelli delle donne. Il primo gruppo comprende un'anticamera comunicante con una sala quadrata ipostila con 4 colonne, al centro dell'edificio, la quale costituiva, con molta probabilità, la camera da pranzo. Ai lati della sala, la camera da letto, riconoscibile dall'alcova e un salotto ipostilo con 2 colonne che era in comunicazione con i servizi (cucine, bagni). Il ḥarīm occupava l'ala N-O ed era disposto attorno ad un cortiletto peristilo. Altri vani adibiti a magazzini e all'alloggio del personale si allineano lungo i lati N e N-O.
La c. del Nuovo Regno è documentata soprattutto dalle rovine di Tell el-῾Amārnah. Anche nei confronti della capitale di Ekhnaton, costruita ex novo e abitata soltanto per un ventennio, si può distinguere un gruppo di abitazioni modeste e un gruppo di residenze complesse.
Le prime, contigue, constano di un ingresso, di un soggiorno con colonna al centro, e di una parte riservata all'abitazione (2-3 vani). I grandi complessi residenziali, che talora occupano una superficie di poco inferiore ad un ettaro, erano circondati da un muro di mattoni alto circa 3 m, nel quale si apriva l'ingresso principale e altre aperture di servizio. Entro il vasto recinto, una sezione era occupata dal giardino con un laghetto artificiale, una cappella o un chioschetto; le rimanenti sezioni periferiche dagli alloggi del personale, da stalle, scuderie, cucine, magazzini, laboratorî: nella parte centrale, la residenza, costruita sopra un podio di mattoni. In essa si riscontrano alcuni elementi già notati a el-Lahun, sebbene la distinzione tra gli appartamenti del padrone e quelli delle donne non sia altrettanto evidente. Le parti di rappresentanza sono più grandiose e comprendono tre sale ipostile: una da ricevimento, rettangolare, preceduta da vestibolo, una da pranzo, quadrata, e una sala-loggia ad O; la prima poteva avere da 4 a 12 colonne, la seconda ne aveva in genere 4, la terza da 2 a 6. Tali elementi portanti erano di legno ricoperto di stucco. Gli appartamenti intimi comprendevano camere da letto ad alcova, salotti, stanza da bagno con le pareti rivestite di lastre di pietra, spogliatoio, gabinetto con sedile in pietra, ripostigli. Molte c. possedevano una loggia superiore a colonnine. Della decorazione sulle pareti interne si conservano scarsissime tracce. Elemento essenziale di ogni residenza era il pozzo con discesa a gradinata.
Nelle pitture della necropoli tebana sono riprodotte c. a due piani, con finestre e loggiato superiore. Altri complessi di case del Nuovo Regno di tipo medio, con disposizione tripartita (ingresso, soggiorno, abitazione) sono attestati a Deir el-Medīneh e a Medīnet Habu.
Bibl.: A. Erman-H. Ranke, Ägypten und ägyptische Leben im Altertum, Tubinga 1923 pp. 195-230; H. Riche, Der Grundriss des Amarna-Wohnhauses, Lipsia 1932; A. Scharff, Das Grab als Wohnhaus in der ägyptischen Frühzeit, in Sitz. d. Bayer. Akad. d. Wiss. Phil.-hist. Klasse, 1944-46, Heft 6, Monaco 1947; A. Badawy, La maison mitoyenne de plan uniforme dans l'Égypte pharanoique, in Bull. of the Faculty of Arts, Cairo University, XV, 1953, pp. 1-58; J. Vandier, Manuel d'archéologie égyptienne, II, Parigi 1955, pp. 972-995.
(S. Bosticco)
3. - Asia Anteriore. a) Mesopotamia. - La diversità delle tecniche architettoniche che distinguono la parte settentrionale della Mesopotamia (Assiria) da quella meridionale (Babilonia e Sumer) si manifesta anche nella costruzione delle abitazioni private. In Babilonia, e specialmente nel paese di Sumer, la mancanza di pietra e di legname rese quasi esclusivo l'uso dell'argilla (in mattoni crudi o cotti), con tutte le conseguenze e le limitazioni che tale materiale comportava: muri spessi, mancanza quasi totale di aperture, scarsa larghezza dei vani. A ciò si aggiunga, almeno in origine, la particolare struttura economica del paese, prevalentemente agricolo è allevatore, che comportava la presenza di capanne (di canne) più che di vere e proprie c. in muratura. L'Assiria d'altra parte, regione più soggetta alle invasioni e alle influenze dei circostanti "popoli dei monti", partecipò notevolmente alla cultura materiale di tali popolazioni, iraniche, armene e anatoliche; in particolare ne adottò il sistema costruttivo a base di pietra e di legname, pur integrandolo coi mattoni di argilla. Questo duplice sistema costruttivo non influì tuttavia sulla pianta delle abitazioni private; queste presentano, fin dalla più alta antichità, uno schema abbastanza uniforme che non subì radicali cambiamenti fino al termine della civiltà mesopotamica, mantenendosi per circa quattro millennî.
A proposito della pianta della c. mesopotamica è opportuno accennare a una teoria, particolarmente cara all'Andrae, che, sviluppata da V. Müller (vedi bibliografia), gode tuttora ampio credito. Secondo tale teoria vanno distinti due diversi tipi di abitazione, entrambi a pianta rettangolare, a seconda della posizione dell'entrata: uno, più comune nella Babilonia, con l'ingresso al centro del lato lungo; il secondo più diffuso nel N, con due varianti: una ha l'ingresso al centro del lato corto, l'altra all'estremità del lato lungo. Tali differenze di pianta, ravvisabili specialmente nei templi (che in Mesopotamia ripetono il motivo della c.), sarebbero dovute addirittura a popolazioni etnicamente diverse. Un aggiornato esame del materiale non consente tuttavia di accettare la teoria suddetta; per i templi il tipo "babilonese" non è che uno sviluppo secondario del secondo tipo, che si manifestò quando il fondo della cella venne separato dal resto (antecella) mediante un muro (H. Frankfort, Art Archit. Anc. Orient, Harmondsworth 1954, pp. 54-55); i templi più antichi, inoltre, essendo forniti di più entrate (talvolta persino su tutti e quattro i lati) non possono essere ricondotti allo schema suddetto. Passando alla c. privata, il carattere astratto della distinzione si rivela ancora maggiormente: le più antiche abitazioni in muratura, risalenti al V millennio a. C., appaiono già composte da più stanze, le cui piante appartengono indifferentemente all'uno o all'altro dei tipi ricordati.
Le abitazioni più antiche della Mesopotamia meridionale (Sumer) ci sono note indirettamente, attraverso le riproduzioni che di esse ci sono pervenute sui sigilli o su altri oggetti.
Tra la fine del IV e l'inizio del III millennio a. C. esisteva già una netta distinzione sociale che si rivela anche nell'uso delle abitazioni; da un lato un ambiente campagnolo, verosimilmente costituito dalla popolazione autoctona sottomessa dai Sumeri; dall'altro la società cittadina, dominata dagli ultimi arrivati, i Sumeri, che portarono con loro dai monti un diverso sistema costruttivo. Le abitazioni della campagna erano costituite da capanne di fasci di canne, talvolta con rivestimento di argilla, a pianta circolare o ellittica, con copertura a cupola (sorretta da un palo centrale) o ogivale; questo tipo di abitazione, in uso ancora oggi nella regione, è caratteristico della bassa Mesopotamia e quindi veramente autoctono, essendo strettamente legato alle condizioni ambientali in cui sorse. Le c. (e i templi) delle città erano invece costruite in mattoni e legname, con finestre, tetto piatto, pianta quadrangolare; tali abitazioni, che nell'uso del legno rivelano la loro origine straniera, settentrionale, possono sicuramente essere messe in rapporto con i Sumeri; lo dimostra, oltre alla considerazione che esse sono in rapporto con la classe (e la popolazione) dominante del paese, il fatto che l'originario pittogramma sumerico per "casa" (é = "casa") non riproduce il profilo della tenda aperta su tre lati (come riteneva l'Andrae il quale considerava una forma più evoluta dello stesso segno), bensì la facciata piatta di un edificio piuttosto alto, nella quale è evidente il disegno formato dalle travi lignee e dai mattoni. Questo è infatti il tipo di edificio riprodotto da alcuni modellini, rinvenuti a Susa (ora a Parigi) e altrove, a forma di vaso o di doppio vaso; la loro forma cilindrica non è dovuta, come si ritiene generalmente, alla pianta circolare della c., ma semplicemente allo scopo pratico degli oggetti stessi (cfr. E. Heinrich, Bauwerke, ecc., in bibliografia). Accanto a questi due tipi di abitazione, che dal III millennio in poi coesistono l'uno accanto all'altro, ne conosciamo un terzo, riprodotto su un vaso frammentario di steatite: si tratta di un edificio quadrangolare, simile alle odierne abitazioni dei Curdi, il cui tetto piatto è sostenuto da pilastrini in modo da formare, al di sopra del muro vero e proprio, una specie di galleria coperta. Questo tipo di c., che sembra attestato anche in epoca tarda, è di provenienza orientale: la figura di uno zebù (animale raffigurato molto spesso sui sigilli protostorici della valle dell'Indo) posta accanto alla c. nel vaso suddetto, ci riporta all'ambiente indiano, col quale del resto i Sumeri erano in rapporti commerciali.
Nella Mesopotamia settentrionale, dove le fondamenta in muratura (pietra o argilla) degli edifici consentono l'osservazione delle loro più antiche tracce, troviamo resti di abitazione risalenti al 4800 a. C. circa (datazione con radio-carbonio; v. esplorazione archeologica).
Nella località di Giarmō, le c. sono composte da più stanze, quadrangolari, talvolta con forno annesso; le pareti sono in terra battuta (pisé), mentre il pavimento è costituito da argilla pressata posta sopra uno strato di canne. Contemporanee o di poco posteriori sono le c. di Tell Maṭṭārah, parimenti costituite da più stanze, di cui una sensibilmente più grande delle altre. Manca ancora, come del resto a Giarmō, il cortile centrale. Al IV millennio risalgono le c. del XV strato di Tepe Gaura, località a S-E di Khorsābād (Assiria); esse presentano una pianta molto regolare, quasi simmetrica, cosa notevole data la loro alta antichità; tanto più che le abitazioni posteriori, datate intorno al 3000, sono alquanto più irregolari e hanno pareti più massicce delle precedenti. Le c. constano di diversi vani disposti intorno a un cortile centrale, secondo lo schema che rimarrà caratteristico della Mesopotamia (specialmente meridionale) fino all'epoca più tarda; mentre le fondamenta sono in pietra, i muri sono di mattoni di argilla, rinforzati e resi più elastici verosimilmente con travi di legno. Un aspetto più rudimentale si riscontra nelle c. di Tell Arpashiyya; negli strati più antichi le abitazioni sono piccole, formate da poche stanze, senza cortile centrale, col pavimento in terra battuta; i muri sono leggeri, costituiti da un solo strato di mattoni; talvolta la profondità di una stanza non supera i 2 metri. Negli strati più recenti, corrispondenti al periodo di Tell Ḥalaf (seconda metà circa del IV millennio), le c. sono più ampie, con pareti in terra battuta dello spessore di quasi mezzo metro; manca tuttavia, anche qui, il cortile centrale. Più cortili si trovano invece in un modellino, in terracotta, di c. trovato a Mari; la mancanza di copertura non rende però del tutto sicura questa identificazione; potrebbe trattarsi di un complesso di sole stanze, come quelle che compongono un edificio contemporaneo al modellino (metà del III millennio). La mancanza di un cortile centrale caratterizza anche le c. di Eshnunna (odierna Tell Asmar) nel periodo accadico (fine del III millennnio); troviamo invece un'ampia stanza centrale, con focolare e varie stanze minori intorno; in un caso, nella cosiddetta "casa dell'arco", su tale stanza si aprono quattro ingressi a vòlta. Particolarmente notevole, nelle c. di Eshnunna, l'esistenza di piccole finestre, difese da un graticcio di legno o di terracotta; tali finestre corrispondono a locali adibiti a magazzino. Non si conosce la copertura di tali abitazioni, ma è probabile che fosse costituita da un tetto piatto discontinuo, posto cioè a diversi livelli. Dello stesso periodo si conosce anche una bella c. di Assur: la pianta è molto regolare; le stanze, tutte molto allungate, si dispongono intorno a un cortile centrale rettangolare; l'euritmia e la simmetria che caratterizzano l'arte di questo periodo (v. accadica, arte) si riscontra così anche nella pianta di tale edificio. Il tipo classico della c. mesopotamica, con cortile centrale, è ormai fissato definitivamente, e gli edifici successivi di Shuruppak (odierna Fara), risalenti al periodo della III dinastia di Ur (fine del III - inizio del II millennio a. C.), quelli press'a poco contemporanei dell'Assur antico-assira e di Ur ne ripetono il modello: stanze intorno al cortile, ingresso sul lato N, in modo da avere il vento fresco d'estate; la stanza principale è sul lato S; le pareti, in mattoni crudi su fondamenta di pietre o di mattoni cotti, sono internamente imbiancate a calce, talvolta ravvivate da colori; dei canaletti provvedono allo scolo delle acque. Una particolare menzione spetta alle c. di Ur dell'inizio del II millennio; la pianta, pur rispecchiando il solito schema, si adatta alle esigenze del terreno libero; il cortile, intorno al quale si aprono fino a 13-14 stanze, è pavimentato, ed è preceduto da un vestibolo; una scala interna conduce al piano superiore le cui stanze danno su un ballatoio coperto. In alcune c. è stata trovata una piccola cappella: in fondo a una stanza il pavimento è sollevato di uno strato di mattoni, e qui si trova un altarino, pure di mattoni, di fronte a una nicchia ricavata nella parete.
Nei periodi successivi, da quello di Hammurapi in poi, la c. mesopotamica non subì cambiamenti radicali; quando le condizioni economiche e politiche di una città erano più fiorenti (come nell'Assur neo-assira e nella Babilonia caldea), anche le abitazioni acquistavano maggiore respiro, divenendo più ampie e più curate nei particolari; talvolta, in quelle più signorili, al cortile principale (ormai sempre presente) se ne aggiungevano altri minori, ugualmente circondati da stanze. Nei quartieri popolari invece, le c. si susseguivano l'una all'altra senza ordine, per cui la pianta si presenta molto irregolare. Da notare che ancora in epoca neo-assira (primi secoli del I millennio a. C.), mentre la c. cittadina ha di regola il tetto piatto, nelle campagne era diffuso un tipo di abitazione con copertura a cupola; su un rilievo assiro da Ninive si vede infatti un gruppo di c., di cui alcune a tetto piatto, altre con cupola; tuttavia le costruzioni che compaiono in tale rilievo presentano altre particolarità (alcune sembrano alti silos, altre hanno specie di torri) che non sono state ancora adeguatamente studiate, onde sarà bene accettare questo documento con riserva (fig. 552).
b) Palestina. - La regione siro-palestinese, punto d'incontro fin dall'età più remota delle varie culture provenienti dal settentrione, dall'oriente e dall'occidente, rivela le diverse componenti della sua civiltà anche nei tipi delle abitazioni private che si succedettero in essa. Accanto alle popolazioni nomadi o semi-nomadi che hanno la tenda per c., oggi come alcuni millennî fa (i rilievi assiri dell'inizio del I millennio a. C. ce ne fanno conoscere alcuni esemplari), vivevano in Palestina popolazioni sedentarie che già all'inizio del Neolitico, come hanno rivelato i recenti scavi di Gerico, abitavano in edifici stabili, almeno parzialmente in muratura.
Le più antiche abitazioni neolitiche di Gerico finora note presentano una pianta circolare che fa pensare a capanne più che a vere e proprie c.; del resto tale tipo di edificio era in uso ancora diversi millenni più tardi, come dimostra un'urna funeraria da Ugarit, databile al II millennio a. C., dalla forma, appunto, di una capanna. In un secondo momento, sempre in epoca neolitica, prevalse a Gerico la c. a pianta rettangolare: i resti rivelano fondamenta in pietra, ma le pareti dovevano essere di terra battuta o di mattoni crudi. Successivamente ricompare la pianta circolare: un palo sosteneva il tetto, come si vede in un modellino di c. trovato in Gerico stessa; il diametro di queste abitazioni circolari variava da un metro e mezzo a tre. Per l'Età Calcolitica (IV millennio) i più importanti rinvenimenti sono quelli di Teleilāt (Tulailāt) Ghassūl; le c. di questa località sono impostate su una pianta rettangolare e le varie abitazioni danno su un cortile molto irregolare; pur nella loro rozzezza, le abitazioni di Teleilāt Ghassūl sono disposte in modo meno ristretto che a Gerico. Le pareti, di mattoni crudi poggianti su fondamenta di pietra, erano in alcuni casi decorate con pitture, tuttora in parte conservate. Una sola stanza costituiva l'abitazione, che solo in pochi casi era ampliata da un secondo ambiente di minori dimensioni. A questo periodo risale anche un altro tipo di abitazione testimoniato da un'urna cineraria a forma di c. trovata a Khedera (Khudairah): la c., di pianta rettangolare, ha il tetto displuviato e poggia su basi; questo tipo, completamente estraneo all'Asia Anteriore, rivela interessanti legami culturali, se non etnici, con la civiltà danubiana. Nella prima Età del Bronzo (III millennio) compare un nuovo tipo di abitazione: Beisan, Megiddo, Gerico, ῾Ai e altre località hanno rivelato, negli strati dell'inizio del III millennio, case a pianta rettangolare, costituite da una stanza piuttosto allungata, preceduta da una specie di vestibolo e seguita da un ambiente a forma di abside. Anche questo tipo rimane isolato nell'architettura dell'Asia Anteriore, mentre presenta affinità con edifici della cultura mediterranea orientale (un esempio di c. absidata è stato notato a Troia I a, quindi press'a poco contemporaneo a quelli palestinesi). A Fār῾a Shellāl la c. absidata presenta un'interessante variante: più che un'abside vera e propria si ha un lato obliquo con angolo molto arrotondato. Fin da questo periodo si fa sentire inoltre l'influenza politica e culturale egiziana: a Tell el-Fār῾a si sono trovati esempi di c. egiziane.
La caratteristica c. palestinese si fissa solo durante la media Età del Bronzo (II millennio), e rimarrà praticamente immutata fino all'età ellenistica. Si tratta in sostanza del tipo già comparso a Teleilāt Ghassūl (abbiamo visto che tutti gli altri successivi hanno un'origine straniera): stanze quadrangolari dalla forma più o meno irregolare, con un cortile in posizione eccentrica; le case più ricche si differenziano dalle altre solo per le dimensioni e per una maggiore regolarità nella pianta delle singole stanze e dell'insieme.
Caratteristiche sono le c. di Tell el-῾Aggiūl e quelle, più ricche, di Tell Beit Mirsim: ogni c. ha la propria cisterna, e l'esistenza di scale, a Tell Beit Mirsim, fa supporre la presenza di un secondo piano; è molto probabile che, come si desume da raffigurazioni egiziane, le c. di questo periodo, almeno le più grandi, avessero finestre. Notevole è inoltre il pilastro che sorgeva presso a poco al centro del cortile; si ritiene che esso servisse per sostenere una copertura, probabilmente di materiale leggero. Nell'Età del Ferro (dal 1200 a. C.) la Palestina attraversò una fase di decadenza, dovuta alle distruzioni delle nuove popolazioni (Israeliti e Filistei) che si installarono sul suo territorio e alle loro lotte reciproche; il tipo della c. rimane quello ormai usuale, ma mancano gli esemplari più ricchi dell'epoca precedente. Compare invece un nuovo tipo di abitazione (se pure non si tratta di altro edificio), caratterizzato dalla disposizione dei vani: tre stanze allungate disposte parallelamente, e sul fondo una stanza analoga disposta in senso trasversale. Il dominio assiro prima e quello persiano poi introdussero infine nuovi tipi di c., ripresi dal paese dominante.
c) Siria e regioni circostanti. - Mentre per la Siria propriamente detta le nostre conoscenze riguardanti la c. non risalgono oltre la metà circa del II millennio a. C., l'Anatolia orientale, con la stazione neolitica di Yümüktepe (presso Mersin in Cilicia) e con quelle calcolitiche di Ahlatlibel, EtiyokuŞu e AliŞar, ci rivela le c. del IV e del III millennio. Le caratteristiche fondamentali che distinguono l'architettura anatolica e siriana da quella mesopotamica appaiono già in epoca preistorica: parte inferiore degli edifici in pietra, mancanza del cortile centrale, assenza della pianta circolare.
Il tipo caratteristico della c. anatolica si forma nel II millennio: in origine la c. constava di due sole stanze, disposte preferibilmente lungo un asse; quella minore conteneva il focolare; successivi ampliamenti erano possibili mediante l'aggiunta al nucleo iniziale di altri complessi analoghi. In questo periodo, testimoniato dagli strati più antichi di Boǧazköy, non si ha traccia di cortile; questo compare invece verso la prima metà del millennio, con una disposizione caratteristica: ampio quanto la lunghezza complessiva della c., la quale viene ad assumere un andamento trasversale. Questo tipo è testimoniato già a Kültepe, dove si trovava la colonia mercantile assira; le c. avevano probabilmente un secondo piano. Non mancano tuttavia esempi di c. diverse: la c. di Boğazköy presso la Porta dei Leoni, con la sua pianta quasi quadrata e una stanza a forma di L, una c. di AliŞar con una serie di stanze formanti quasi una coda, altre c. a Boğazköy e ad Alaca.
Nel II millennio i soli resti di c. in Siria sono quelli di Alalakh (odierna Tell Açana); le abitazioni di questa città hanno in comune con quelle anatoliche alcune caratteristiche, quali il sistema costruttivo e la mancanza del cortile centrale, ma se ne discostano per una più regolare disposizione delle stanze, raggruppate intorno ad un ambiente centrale, coperto, di maggiori dimensioni. All'inizio del I millennio, mentre sono praticamente inesistenti i resti di c. anatoliche, le c. siriane delle città siro-hittite (Zincirli, KarkamiŞ, Tell Ḥalaf) mostrano il permanere del tipo architettonico siriano, con una sola innovazione nell'ambiente centrale, sviluppato più nel senso della larghezza che della profondità.
Bibl.: Mesopotamia. - Trattazioni generali: B. Meissner, in M. Ebert, Reallexikon der Vorgeschichte, V, 1926, pp. 212-13; W. Andrae, Das Gotteshaus und die Urformen des Bauens im alten Orient, Berlino 1930, p. 60 ss.; V. Müller, Types of Mesopotamian Houses, in Journal of American Oriental Society, LX, 1940, pp. 151-80; E. Heinrich, Moderne arabische Gehöfte am unteren Euphrat und ihre Beziehungen zum "Babylonischen Hofhaus", in Mitteilungen der Deutschen Orient-Gesellschaft, LXXXII, 1950, pp. 19-46; W. Andrae, Das Werden der Bauform, in Festschrift für Carl Weickert, Berlino 1955, pp. 81-86; E. Heinrich, Bauwerke in der altsumerischen Bildkunst, Wiesbaden 1957. Singole localit. - Babilonia: O. Reuther, Die Innenstadt von Babylon (Merkes), Lipsia 1926, pp. 41-122; id., Das babylonische Wohnhaus, in Mitteilungen der Deutschen Orient-Gesellschaft, LXIV, 1926, pp. 1-32; Shuruppak(Fara): E. Heinrich-W. Andrae, Fara, Berlino 1931, pp. 8-17; H. Franckfort, Tell Asmar: Private Houses, in Oriental Institute Communications, 17, Chicago 1934, pp. 1-22; Tell Arpashiyya: M. E. L. Mallowan-J. Cruikshank Rose, Excavations at Tall Arpachiyya, 1932, in Iraq, II, 1935, pp. 1-178; Tepe Gaura: E. A. Speiser, Excavations at Tepe Gawra, I, FIladelfia 1935; A. J. Tobler, Excavations at Tepe Gawra, II, Filadelfia 1950; Ur: L. Woolley, Ur of the Chaldees, Harmondsworth 1950, p. 126 ss.; Tell Maṭṭarah: R. J. Braidwood e altri, Matarrah. A Southern Variant of the Hassunian Assemblage, Excavated in 1948,in Journal of Near Eastern Studies, XI, 1952, pp. 1-75; Assur: C. Preusser, Die Wohnhäuser in Assur, Berlino 1954; Mari: A. Parrot, in Ill. London News, 1955, 2, pp. 227-29.
Palestina. - Buone trattazioni sulle c. di questa regione si trovano nelle seguenti opere generali: P. Thomsen, in M. Ebert, Reallexikon der Vorgeschichte, V, 1926, pp. 206-12; A.-G. Barrois, Manuel d'archéologie biblique, I, Parigi 1939, pp. 82 ss., 244-77; W. F. Albright, The Archaeology of Palestine, Harmondsworth 1949 (traduzione italiana 1957); M. Avi-Yonah-S. Yeivin, Qadmoniyyot arṣennu ("Le antichità del nostro Paese"), Tel-Aviv 1955. Sulle c. di derivazione assira: R. B. K. Amiran-J. Dunayevsky, The Assyrian Open-Court Building and its Palestinian Derivativs, in Bulletin of the American Schools of Oriental Research, 149, 1958, pp. 25-32 (con una nota di W. F. Albright, p. 32). Per Gerico, i cui scavi continuano tuttora, si vedano i rapporti annuali nella rivista Palestine Exploration Quarterly.
Siria e regioni circostanti. - R. Naumann, Architektur Kleinasiens von ihre Anfängen bis zum Ende der hethitischen Zeit, Tubinga 1955, pp. 311-44.
(G. Garbini)
4. - Grecia e Creta. - Si è data particolare importanza alla trattazione della c. greca considerando che solamente in Grecia si forma il tipo della abitazione borghese che, attraverso le varianti di età romana, determina lo schema della casa di abitazione moderna nel mondo occidentale.
L'architettura domestica in Grecia, se pure all'inizio in forme semplici e in tecnica rudimentale, è attestata dalla line del periodo neolitico e dalla prima Età del Bronzo. In numerose località della Grecia continentale, insulare e microasiatica, sono presenti abitazioni di due differenti tipi: circolare e rettangolare.
Capanne circolari sono attestate di preferenza nella Grecia settentrionale (Sesklos, Orchomenos), ma sono numerose anche nelle regioni meridionali (Lerna, Korakou, Asine e Tirinto; in quest'ultima la c., forse di un capo, presenta una straordinaria e poderosa struttura circolare con muri concentrici separati da stretti corridoi, distrutta poi dal successivo insediamento miceneo). Questo tipo è meno frequente invece nelle Cicladi, sulle coste dell'Asia Minore ed a Creta. In queste c. che vedono impiegati o mattoni crudi o pali di legno su basso zoccolo di pietre, il tetto è conico, come si può vedere da alcune urne votive dello stesso periodo (l'urna di Amorgo, ad es. [v. cicladica, arte], o l'urna di Milo che presenta un gruppo di capanne unite in un complesso circolare).
L'altro tipo di c. a pianta rettangolare si sviluppa lentamente ponendo al centro dell'ambiente una fila di colonne di legno a sostegno del tetto, arricchendosi di un portico o vestibolo sulla fronte e di uno o due vani più piccoli sulla parte posteriore, originando una struttura che continuerà poi sino al periodo ellenistico sia nelle costruzioni templari, sia in quelle domestiche. I più antichi esempi di questo tipo di abitazione rettangolare o mègaron sono attestati da prima sulla costa microasiatica (Termi a Lesbo, Troia) e successivamente con qualche variante in Tessaglia (Tsangli e Dimini), in Beozia (Orchomenos ed Eutresis) e in Peloponneso (Lerna, Korakou, Asine). In tutte queste c. il tetto è sempre a doppio spiovente, di legno e strame, ma talvolta (come il recente trovamento a Lerna) anche di tegole. Il tetto sopra il portico antistante è invece a terrazza; si determina così tra i due tetti uno spazio triangolare vuoto che contribuisce all'illuminazione della sala e all'uscita del fumo del focolare. Talvolta il lato di fondo del mègaron può essere curvo, determinando così un'abside (Olimpia, Asine).
A Creta invece, dopo le primitive forme semplici e irregolari (Magazà, Vasiliki), è attestato, di regola, il tipo di c. a mègaron, ma con alcune differenze caratteristiche: innanzi tutto il tetto non è mai a doppio spiovente ma sempre a terrazza; la sala col focolare al centro è preferibiimente quadrata, e presenta quattro colonne poste ai quattro angoli dell'eschàra, che reggono il tetto, aperto in corrispondenza per l'uscita del fumo. Il mègaron sul lato breve di facciata presenta tre aperture tra due pilastri, che immettono in una corte che funziona da pozzo di luce. Questa struttura si trova anche nei palazzi cretesi e in alcune c. tardo-elladiche (Amnisos, Nirou-Khani, Tilissos) dove però numerosi altri ambienti di minori dimensioni si dispongono intorno alla sala principale.
Nella Grecia continentale invece la c. che continua il primitivo mègaron giunge in età micenea a una formulazione complessa e raffinata, corrispondente alla descrizione di Omero. A Micene, ad esempio, tra le case simili nell'impianto generale, è la "C. delle colonne" che meglio illustra le particolarità della c. omerica. Essa presenta al centro un'ampia corte (αὐλή) con un porticato intorno (αἴϑουσα) un complesso principale (δῶμα) costituito da un vestibolo (πρόδομος) una sala rettangolare (μέγαρον) con al centro il focolare (ἐσχάρα) e un piccolo complesso domestico (ϑάλαμος). Ma oltre a ciò la "c. delle colonne" presenta altre particolarità che non solo corrispondono, ma contribuiscono anche a chiarire alcuni accenni in Omero: qui infatti il mègaron presenta sul lato orientale una piccola porta che immette in un lungo e stretto corridoio mediante il quale si raggiungono le scale che conducono al piano superiore, adibito ad appartamento delle donne. Si tratta rispettivamente, cioè, dell'ὀρσοϑύρη (v. Eth. Magnum, 634, 1), della λαύρη e del κλίμαξ (Od., xxii, 126-138) e il quartiere femminile al secondo piano, come è indicato da Omero (Il., vi, 288; Od., xviii, 206; xxi, 5 ss.; xxiii, 1), ma per lo più erroneamente interpretato dai commentatori che lo ponevano o dietro o a lato del mègaron, ma sempre sullo stesso piano, mentre l'esistenza di un piano superiore è attestata anche nei palazzi (v. ad esempio la corrispondenza degli elementi "omerici" notati per la "C. delle colonne" a Micene presente anche nel complesso di rappresentanza nel palazzo di Nestore recentemente scoperto a Pylos).
Nel periodo che segue la distruzione dei palazzi e sino al VII sec. l'architettura domestica appare molto povera, per lo più realizzata con materiali facilmente deperibili. Si nota da tutte le testimonianze pervenuteci la costante mancanza di un progetto costruttivo: singoli ambienti infatti sorgono isolati o formando agglomerati confusi; non si nota alcuna distinzione funzionale tra i varî ambienti, e neppure la ricerca di una conveniente esposizione.
Nessun tipo di c. predomina: vani rettangolari o quadrati infatti si possono notare a Festos (Creta) e Asine (Argolide); circolari ed ellissoidali ad Eleusi (Attica). Un esempio di c. ovoidale, senza divisioni interne di ambienti, è attestato ad Atene (v.), sul pendio N dell'Areopago: il pavimento è in terra battuta; accosto al muro gira una panca costruita in pietre rozzamente connesse, i muri erano probabilmente in mattoni crudi. Data la scarsità dei resti architettonici, si può dedurre un'idea della architettura domestica e templare di questo periodo da alcuni modellini votivi in terracotta da Perachora, Argo (Heraion), Corinto, Samo e Lem no. Generalmente il tetto era a doppio spiovente, su vani rettangolari e talvolta anche absidati, spesso preceduti da un portico con tetto a terrazza e con due pilastri sulla fronte tra il prolungamento dei lati lunghi del vano.
Nel periodo arcaico (VII e VI sec.) si nota un progredire nell'architettura domestica, mentre però manca ancora qualsiasi idea di sistemazione urbanistica: le c. si addossano occupando ogni minimo spazio libero e originando agglomerati fitti e disordinati. Rare sono ora le c. ellittiche o absidate attestate nel periodo precedente; sono invece rettangolari, piccole, composte di due o tre ambienti contigui; la corte quasi sempre manca, o è molto piccola. La tecnica di costruzione (i materiali usati sono ancora i mattoni crudi intonacati su zoccolo di calcare) è più accurata e solida, tanto che i muri portanti possono reggere anche un secondo piano raggiungibile mediante scale situate esternamente. Solo alla fine del VI sec. si potranno cogliere i preannunci alle caratteristiche del periodo seguente, dove verrà ricercata in maggior misura luce, aereazione, comodità.
Esempi di c. arcaiche molto semplici sono nella Grecia continentale: una a Delfi, nella Marmarià, presso il tempio più recente di Atena Pronaia; alcune, posteriori di qualche decennio, ad Egina, presso il pròpylon del santuario di Aphaia, probabilmente residenze del clero. Simili sono alcune c. nell'isola di Creta (Drero, Latò, Festos) e di Lemno (Efestia), come pure in Sicilia (Megara Hyblea e Monte Casale presso Siracusa). Ma accanto a questo tipo di c. che possiamo chiamare a mègaron - dove generalmente a un vano ampio ne seguono uno o due più piccoli - coesiste e si afferma in Grecia nel VI sec. un secondo tipo, che presenta al centro un'ampia corte circondata di colonne su tre lati, primi esempi del tipo di c. a peristilio che si svilupperà nel secolo seguente e si affermerà solo nel periodo ellenistico. Le prime manifestazioni di questa architettura appaiono inizialmente in Attica: si tratta dell'edificio situato sotto la thòlos, nell'agorà di Atene (v.), in vero edificio pubblico (luogo di riunione dei Pritanima che, proprio per la sua particolare funzione, rispecchia caratteristiche precipue dell'architettura domestica. L'altro edificio è situato a Vouliagmeni, presso il santuario di Apollo Zoster: si tratta probabilmente della residenza sacerdotale e mostra rifacimenti avvenuti nel secolo seguente.
Differente è invece la concezione architettonica nella Grecia orientale a Vouni, nell'isola di Cipro (v.); il cosiddetto palazzo nella sua fase primitiva presenta una pianta in completo accordo con le concezioni siriane; caratteristiche infatti del palazzo sono la simmetria, l'assialità e la frontalità; dall' ingresso monumentale, attraverso un'ampia sala e vestibolo, si accede a una corte che presenta porticato e colonne ellittiche su tre lati; sul quarto lato è una lunga sala-loggiato, simile alla pastàs di Olinto del secolo successivo.
Sulla costa microasiatica, Larissa sull'Hermos, alla fine del VI sec. presenta un complesso di costruzioni di notevoli ordine e monumentalità: contrariamente alle concezioni architettoniche della Grecia continentale, qui si avverte il gusto per la facciata e l'amore per una disposizione scenografica che include anche spazi vuoti con funzione architettonica: così è l'antico palazzo, di influsso completamente orientale, con un'ampia facciata a portico tra due bastioni sporgenti: si nota qui lo stesso spirito che si avvertirà solo, molto tempo dopo, nell'architettura pergamena. Però accanto a questo, un'altra costruzione domestica presenta i caratteri più spiccati dello stile costruttivo greco: si tratta del cosiddetto mègaron provvisto di un portico con due pilastri tra le ante mediante cui si accede a una sala rettangolare allungata provvista di focolare, dietro cui stanno due vani più piccoli.
Sebbene le c. del V e dell'inizio del IV sec. non siano mai eccessivamente ampie e lussuose, pure si comincia ad avvertire il desiderio di decorare e abbellire il luogo di abitazione. Dalle fonti letterarie abbiamo accenno della bellezza delle c. dei cittadini più noti: Demostene (Olynth., iii, 25-29) ricorda le abitazioni di Aristide e Milziade; Plutarco (Alk., 16) nota come il pittore Agatharchos fosse stato incaricato da Alcibiade di decorare le pareti della sua casa. Ma le due innovazioni precipue del V sec. consistono: in una sistemazione urbanistica razionale, che si riscontra specie nelle città sorte intieramente in questo periodo (in modo particolare ad Olinto) e nella disposizione dei vani nell'interno della c., in modo da costituire dei complessi di locali con funzione affine, indipendenti dagli altri complessi.
Olinto, nella penisola calcidica, presenta un complesso di più di cento c., costruite nel V sec., che presuppongono un accurato progetto sia costruttivo che urbanistico: le strade sono disposte ortogonalmente e determinano degli isolati formati ognuno da dieci c., che si aggruppano in due lotti di cinque, ciascuno separato da un vicolo di aereazione e drenaggio. Nell'interno di ogni singola c., può variare la disposizione degli ambienti, ma rimangono fisse alcune caratteristiche, determinate da regole ben precise di esposizione: ad esempio, la corte è sempre situata nella parte meridionale della c. e presenta sul suo lato settentrionale un lungo portico con direzione E-O (παστάς) e dietro le ampie sale di soggiorno (διαιτητήρια), che si aprono con larghe porte sulla pastàs e presentano quindi un'esposizione a S, in modo da beneficiare al massimo di luce e calore e di volgere invece il dorso ai venti freddi settentrionali. Si avverte in ciò la realizzazione degli insegnamenti urbanistici di Hippodamos di Mileto (v.) e igienici della scuola di Ippocrate, di cui si coglie l'eco anche in Senofonte (Memorab., iii, 8, 9) e in Aristotele (Econ., i, 6, 7). In via generale, la c.-tipo di Olinto si presenta divisa idealmente in due parti: nella parte N è l'appartamento (οἶκος) che consta di una sala rettangolare, di altri due vani minori su un lato e i servizî; esso si affaccia sulla pastàs, portico-loggiato per lo più a due piani affacciantesi sulla corte, generalmente quadrata e lastricata. Sul lato orientale della corte è disposto lo ἀνδρών, sala per banchetti, fornita di letti e tavoli, adorna di decorazioni pittoriche e musive, preceduta da un vestibolo. Sul lato occidentale del cortile è, invece, un ampio locale con funzione di magazzino, comunicante direttamente sia con la strada che con la corte. Un altro magazzino, per lo più adibito alla conservazione di derrate alimentari, è invece ad E della pastàs. Le varianti di disposizione interna dei vani rispetto alla pianta descritta sono determinate dalla posizione della c. nell'isolato; così, quando l'ingresso è sul lato meridionale dell'abitazione, immette direttamente nella corte; quando invece si trova sul lato N, conduce alla corte mediante un lungo e stretto corridoio. I materiali impiegati ad Olinto sono i mattoni crudi su zoccolo di calcare. Le c. esternamente si presentano monotone, con facciate lisce interrotte raramente da piccole finestre: tutti gli ambienti prendono luce essenzialmente dal cortile interno. Un secondo piano è attestato, ma solo su alcune parti della c.: generalmente sui vani del lato settentrionale. La decorazione consiste in pitture parietali a semplici bande e in mosaici pavimentali, generalmente bicolori, raramente policromi, con disegni per lo più lineari. Dall'uso di apporre l'atto di acquisto nel vestibolo, conosciamo anche il prezzo di alcune c.: si deduce, logicamente, che le variazioni di prezzo erano determinate dalla differenza di posizione: così una abitazione nei pressi della piazza era valutata a più di 5000 dracme mentre i prezzi delle c. poste nella depressione tra le due colline su cui sorge Olinto si aggiravano intorno alle 1200 dracme. Una maggior ricchezza e libertà nell'impianto presentano, sempre ad Olinto, le ville (del Commediante, ad esempio, della Buona Fortuna, ecc.): si nota in entrambe la presenza di un'ampia corte a peristilio, ancora rara nel V sec., ma frequente poi nei secoli successivi. Maggior ricchezza in queste ville anche degli elementi decorativi, specie nel mosaico che presenta qui, per la prima volta, scene mitologiche nella tecnica a sassolini, con vivace policromia.
Gli stessi principî essenziali nella costruzione di edifici domestici vengono impiegati contemporaneamente ad Atene, che però presenta una sistemazione urbanistica ancora arcaica: nel quartiere di abitazione a S dell'Agorà e a O dell'Areopago, le c. si aggruppano nel più gran disordine, occupando le superfici irregolari determinate dall'intrico di strade e vicoli. Uno degli esempi più interessanti presenta un piano iniziale della prima metà del V sec., successivamente modificato: la c. si componeva originariamente di dieci vani disposti intorno a una corte situata a S; anche qui, come ad Olinto, nella, parte N stavano gli ambienti di soggiorno, l'òikos. I muri sono in pòros e calcare nella parte inferiore. A Dystos, in Eubea, una ampia c. ben conservata rientra nel tipo di c. ora esaminate, sebbene con differenze notevoli, determinate per lo più dall'altura isolata e rupestre su cui sorge. Le strutture sono possenti; i muri sono per la completa altezza di calcare locale grigiastro, nella tecnica poligonale; si presenta con muri chiusi all'esterno mentre si articola internamente. Mediante un lungo corridoio con due porte, si accede a una corte di dimensioni notevoli su cui si apre una lunga e stretta pastàs; una corte più piccola disimpegna l'altra metà della casa.
Altre c. più semplici sono attestate in questo stesso periodo a Corinto, Sparta, Amphipolis, Mozia (Sicilia).
A Vouni (Cipro, v.), si operano verso il 450, sotto il diretto influsso della Grecia continentale, alcune sostanziali modifiche al palazzo arcaico: la facciata viene ora intesa come il fondo della c.; la sala del monumentale ingresso viene ora trasformata in mègaron affacciantesi sulla corte. Alla corte ora si accede da N attraverso un vano con funzione di vestibolo. A Larissa sull'Hermos si costruisce di fronte al mègaron un'ampia corte con colonne su tutti e quattro i lati. In entrambi gli esempi di Vouni e Larissa si coglie già la tendenza, che verrà poi sviluppata nel periodo seguente, di fondere nella stessa costruzione i tipi separati della c. a mègaron e della c. con corte centrale.
Dal IV al II sec. la c. si va facendo sempre più ampia, comoda, lussuosa, e le città presentano una sistemazione urbanistica che si adatta di volta in volta al genere di località in cui sorgono.
Colofone, in Asia Minore, offre un esempio di città agricola del IV sec.: l'abitato non si presenta disposto regolarmente come ad Olinto, ma si dispone assecondando le diseguaglianze del terreno, e neppure la disposizione degli ambienti nell'interne della c. ricorda la razionalità di Olinto, pur conservandosi anche qui i principi essenziali: l'aggruppamento dei vani intorno al cortile, la disposizione a settentrione dell'òikos e l'indipendenza dell'andròn posto ad E-S-E della corte. Secondo la pianta più diffusa dalla strada si accede direttamente al cortile, irregolare nei contorni e di dimensioni variabili, in cui sono sempre presenti il pozzo e l'altare. L'òikos consiste di regola in una sala rettangolare che si apre sulla pastàs ed è affiancato ad E da due vani più piccoli intercomunicanti e con apertura indipendente sulla pastàs. L'andròn presenta la caratteristica di un piano superiore a cui si accede mediante una scala posta esternamente: l'ambiente del piano superiore, adibito ad uso degli ospiti o della servitù, corrisponde al πύργος spesso menzionato dalle fonti (ad es. Demostene, xlvii, 56); più tardi invece col termine pỳrgos verrà indicata qualsiasi c. a più piani. Gli altri vani comunicanti con la corte sono ambienti generici; molto rari sono i servizi igienici. Non è attestato l'impiego di mattoni crudi: si nota invece l'uso di calcare locale in pietre squadrate, con maggior accuratezza agli angoli e in corrispondenza delle aperture (porte e finestre). Dalla seconda metà del IV sec. c. ampie e signorili, per lo più con cortile a peristilio completo, sono attestate anche nella Grecia settentrionale. Un esempio di villa lussuosa è la c. recentemente scavata (scavi 1957, inediti) a Pella, Macedonia, con ampie sale decorate di mosaici policromi disposte intorno alla corte. Ancora in Macedonia, un poco più recente (fine IV-inizio III sec.) è il cosiddetto palazzo di Palatitza-Vergina, che presenta un'amplissima corte di 16 colonne di lato intorno alla quale si dispongono regolarmente ambienti, per lo più quadrati, di dimensioni maggiori sul lato O. Alla corte si accede da un ingresso monumentale, posto al centro del lato orientale del palazzo, seguito da una grande sala rettangolare. Infondata è l'ipotesi del Lawrence che riconosce in questo vasto edificio una palestra e nel vano circolare posto a sinistra dell'ingresso un ambiente per bagni caldi. Anche in Epiro (Ammotopos) si sono rinvenute c. del periodo ellenistico, tutte provviste di una corte interna, sfornita però di portici e colonne, anche su uno o due lati.
Gli esempî migliori di architettura domestica del III sec. sono quelli forniti dalla città di Priene (Asia Minore) che presenta una pianta urbanistica regolare, determinata da strade poste ortogonalmente e da isolati rettangolari.
Manca però la rigorosa uniformità presente ad Olinto: le c. di Priene (v.) variano in grandezza, e varia anche la pianta sebbene anche qui l'òikos, sempre posto a N, si componga nello stesso modo già notato a Colofone. Secondo la posizione della c. nell'isolato, l'ingresso comunica con la corte o direttamente o mediante un corridoio; le corti sono di preferenza circondate da portici, altri ambienti con funzionalità varia si dispongono agli altri lati del cortile. Manca a Priene l'andròn; si sostituisce con la sala maggiore dell'òikos che continua così la funzione dell'antico mègaron. Nelle c. più grandi e lussuose si distinguono due parti simili ma ben distinte: probabilmente corrispondono all'andronìtis e gynaiconìtis descritti da Vitruvio. Le costruzioni sono in calcare locale, in una accurata tecnica isodomica, specialmente in facciata. Raramente è attestato un piano superiore; quando c'era, era probabilmente in mattoni crudi. La copertura era a doppio spiovente solo sull'òikos; a semplice tettoia sugli altri vani. La pianta delle c. di Priene in definitiva non presenta nessuna soluzione o disposizione nuova: manca un ben calcolato progetto che preveda la costruzione in tutte le sue particolarità; analogo criterio appare anche nel complesso di c. che compongono l'isolato.
Lo stesso criterio si può notare, ancora un secolo dopo, a Delo (v.), dove le c. si affollano fitte in quartieri attraversati da strade e vicoli tortuosi, irregolari.
In entrambi i quartieri sino ad oggi scavati (ad oriente presso lo stadio, e a meridione, presso il teatro) le c. occupano ogni spazio disponibile, addossandosi, intersecandosi, determinando quindi anche vani di forma irregolare. Il numero dei vani e la superficie delle c. è variabile: la C. del Diadumeno, ad es., raggiunge i 958 m2 di superficie, con 17 vani; non mancano però piccole c. di soli due ambienti. In tutte è sempre presente la corte, preferibilmente circondata su tutti i lati da portici a colonne. Il primo esempio del III sec. è la C. di Kerdon, ma in seguito, nel II sec. è molto diffusa la c. a peristilio, preferibilmente con colonne doriche, raramente ioniche, per lo più di marmo e talvolta di calcare ricoperto in stucco; il numero delle colonne varia da quattro a dodici. Una grande cisterna è posta al di sotto della corte il cui lastricato poggia su archi o vòlte; il tetto è in pendenza sulla corte in modo da convogliare le acque nella cisterna. L'òikos anche a Delo è posto di norma a settentrione e, per accrescere ulteriormente l'esposizione a S, si nota usato l'espediente di alzare il portico settentrionale: si tratta del cosiddetto peristilio rodio, perché adottato a Rodi nel II sec. Solo in alcune c. (ad esempio nella C. della Collina) si nota la presenza della pastàs. Spesso si hanno due ingressi contigui: uno mediante un vestibolo porta alla corte, l'altro conduce, per mezzo di scale, al piano superiore: si tratta in questi casi di due appartamenti indipendenti. Piani superiori infatti sono molto frequenti a Delo; il miglior esempio di c. signorile a tre piani è la C. delle Erme recentemente scavata. Anche qui, come sempre in Grecia, manca il gusto per la facciata movimentata e monumentale: l'unico ornamento consiste in un architrave sopra la porta principale, sorretto da due capitelli su mensole. I tetti appaiono preferibilmente a terrazza o tettoia nelle c. del quartiere del teatro, a doppio spiovente nelle case situate presso lo stadio. I materiali usati nelle costruzioni sono il gneiss e la pietra schistosa, successivamente intonacati; marmo e granito per le colonne e le decorazioni architettoniche. Le c. più lussuose, oltre a una notevole ricchezza di arredamento, presentano anche abbondanza di decorazione pittorica, musiva e scultorea. E proprio in questo rapporto, tra architettura e elementi decorativi si nota la caratteristica precipua dei costruttori delî: è sensibilissimo infatti il gusto di armonizzare e sottomettere sempre la decorazione alla struttura architettonica, e d'altra parte, però, di calcolare già l'elemento decorazione nel progetto iniziale: si continua cioè l'indirizzo attestato nelle costruzioni alessandrine del III sec. La decorazione pittorica parietale su stucco è lineare nel disegno e ricca in tonalità; statue sono frequenti in nicchie o sotto i portici, mosaici policromi decorano le sale più importanti o le corti. Nell'insieme l'architettura delia offre l'idea di c. ampie, luminose e confortevoli; rari però sono i servizi igienici.
Le case a peristilio sono comuni ovunque dopo il III sec. Si ritrovano a Pergamo, a S dell'Altare e a N dell'agorà; sono attestate a Camiro (Rodi), a Thera, a Thasos, sebbene in rifacimenti posteriori; il tipo ritorna a Nippur (Mesopotamia) in unione con elementi derivati dall'architettura babilonese, a Dura Europos e a Palmira. Il tipo della pianta appare poi uguale nelle linee essenziali anche nelle regioni più occidentali, come ad esempio a Glanum in Provenza.
Bibl.: P. Monceaux, in Dict. Ant., II, 1895, p. 337 ss., s. v. Domus; B. C. Rider, The Greek House, Cambridge 1916; P. Zancani-Montuoro, in Enc. It., IX, 1931, p. 257 s.; H. Fyfe, Hellenistic Architecture, Londra 1936; D. M. Robinson, in Pauly-Wissowa, Suppl. VII, 1940, c. 228 ss., s. v. Haus; D. S. Robertson, A Handbook of Greek and Roman Architecture, Cambridge 1943; R. E. Wycherley, How the Greek Built Cities, Londra 1949; W. B. Dinsmoor The Architecture of Ancient Greece, Londra 1950; R. Martin, L'urbanisme dans la Grèce antique, Parigi 1954; A. W. Lawrence, Greek Architecture, Harmondsworth, 1957. Per la bibliografia specifica si rimanda a D. M. Robinson, in Pauly-Wissowa, cit. Si aggiunga (dal periodo neolitico al miceneo): Micene: S. E. Basset, in Am. Journ. Arch., XXIII, 1919, p. 288 ss.; V. Müller, in Am. Journ. Arch., XLVIII, 1944, p. 342 ss.; A. J. B. Wace, Mycenae, Princeton 1949 e id., in Journ. Hell. Stud., LXXI, 1951, p. 203 ss.; G. E. Mylonas, Ancient Mycenae, Londra 1957, p. 70 ss.; Pylos: C. W. Blegen, in Am. Journ. Arch., XLIII, 1939; Bull. Corr. Hell., LXXIX, 1955, p. 247 ss.; LXXX, 1956, p. 279 ss.; Ill. London News, 1954, p. 86 e 1956, p. 256 ss.; (periodo arcaico): Megara Hyblea: F. Villard, in Mél. arch. et hist., LXIII, 1951, p. 29; Atene: H. A. Thompson, in Hesperia, Suppl. IV, 1940, p. 15 ss.; I. Th. Hill, The Ancient City of Athens, Cambridge 1953, p. 48 ss.; H. A. Thompson, The Athenian Agorà (Guide to the Excavations), Atene 1954; Vouliagmeni: F. D. Stavropulos, in Ephemeris, 1938, p. i ss.; Vouni: E. Gjerstad, The Swedish Cyprus Expedition, Stoccolma, IV (2), 1948, p. 231; (periodo classico): Olinto: G. E. Mylonas, The Oecus Unit, in Exc. at Olynthus, XII, 1946; R. E. Wycherley, in Am. Journ. Arch., LX, 1951, p. 23 ss.; J. W. Graham, in Hesperia, XXII, 1953, p. 196 ss. e XXIII, 1954, p. 321 ss.; Atene: R. S. Young, in Hesperia, XIX, 1950, p. 202 ss., fig. 11; (periodo ellenistico): Colofone: L. B. Holland, in Hesperia, XIII, 1944, p. 123 ss.; Palatitza: K. A. Rhomeos, in Ephemeris, 1953-4, p. 141 ss.; A. W. Lawrence, Greek Architecture, Harmondsworth 1957, p. 306, nota 3 al cap. 23; E. Vanderpool, in Am. Journ. Arch., LXI, 1957, p. 284 ss.; Ammotopos: N. G. L. Hammond, in Ann. Br. School Athens, XLVIII, 1953, p. 135 ss.; Delo: R. Vallois, L'arch. hell. et hellenist. à Délos, Parigi 1944, p. 205; N. M. Condoleon, Guida di Delo, Atene 1950, p. 68 ss. (in greco); J. Delorme, in Bull. Corr. Hell., LXXVII, 1953, p. 444 ss.; Glanum: H. Rolland, Fouilles de Glanum, Parigi 1946, p. 65 ss.
(L. Guerrini)
5. - Etruria. - La mancanza di una sufficiente documentazione diretta rende assai problematica la nostra conoscenza della c. etrusca che resta limitata a quanto si è potuto dedurre dai pochi resti di fondazioni finora rinvenuti (Marzabotto, Vetulonia, Tarquinia e Veio) e da analogie e confronti con i più antichi schemi della c. romana (a detta degli autori latini derivata da quella etrusca) e con le tombe, ipogee e rupestri (specialmente a Cerveteri e nel Viterbese e Grossetano) per l'imitazione che in esse si fa delle case.
La relativa abbondanza e la varietà della documentazione indiretta ha provocato discussioni e opinioni discordi, complicate da testimonianze di carattere letterario finora non convalidate dai reperti archeologici (cfr. la comune tradizione delle fonti antiche concordi nell'attribuire agli Etruschi l'invenzione dell'atrio [v.] e, in particolare, dell'atrio tuscanico, e la mancanza di resti sicuri, nel territorio etrusco, di c. ad atrio).
Allo stato delle nostre conoscenze, ci si trova di fronte ad una certa varietà e complessità di tipi, in gran parte di "ricostruzione", che escludono l'esistenza di una c. etrusca per eccellenza. Per cui, ammesso che dalla forma più semplice della capanna, di cui resta il ricordo nelle urne cinerarie villanoviane, la c. dovette passare al tipo costituito da un unico ambiente rettangolare, coperto con tetto a doppio spiovente (cfr. urnetta bronzea da Civita Castellana al Museo di Villa Giulia e molte tombe rupestri), occorre osservare che fin da epoca antica questo tipo dovette arricchirsi ed evolversi con l'aggiunta di ulteriori elementi. Primo fra tutti un secondo ambiente intimamente connesso col primo (di cui si ritroverebbe il ricordo nelle tombe più antiche, a due celle in asse, come ad esempio la Tomba Campana di Veio, fine VII sec. a. C.).
Le successive evoluzioni dovettero portare la c. etrusca a caratterizzarsi in due espressioni distinte: una a sviluppo verticale e l'altra a sviluppo orizzontale, che possono essere messe in relazione con il diverso addensarsi della popolazione in zone diverse della stessa città e con il differente grado sociale e le possibilità economiche dei cittadini. Troppo esigui i resti di fondazioni trovati a Veio, benché fra i più antichi (sec. VII a. C.?); piccole e povere le c. di Vetulonia, senza ordinamento regolare di ambienti e raggruppamenti preordinati; molto importanti, benché in area periferica, si presentano invece i resti di Marzabotto (sec. V-IV a. C.) come la più notevole testimonianza del tipo di c. a sviluppo verticale. Dall'accostamento di queste c. sarebbero nate le caratteristiche insulae di Marzabotto formate di abitazioni modeste a pianta rettangolare e con almeno un piano superiore, con pareti probabilmente di mattoni crudi su intelaiature di legno, e riunite insieme, ma indipendenti fra loro, attorno ad un ampio cortile comune. La copertura di questo tipo di c. dovette forse essere a terrazza come possono testimoniare alcune tombe rupestri a tetto piano (cfr. a Norchia, Blera, ecc.). Un'urna, forse da Chiusi, al museo di Berlino ci offre, semplificato, il modello di un palazzetto a due piani.
Per quanto riguarda il tipo di c. a sviluppo orizzontale, data la scarsezza di resti monumentali, è necessario cercare elementi che ci illuminino sulle sue caratteristiche, nelle tombe (e specialmente in quelle della necropoli di Cerveteri, VI-V sec. a. C.). Da questa documentazione si può ricostruire un tipo di abitazione che si avvicina ai dati tramandatici dagli antichi. Accanto ad una semplice e forse originaria disposizione di vani attorno ad un ambiente centrale, si hanno forme più complesse in cui, nell'espressione schematica più tipica, è dato notare: un corridoio scoperto di accesso; un ambiente centrale, probabilmente anch'esso scoperto, sul quale si aprono due vani laterali; un grande ambiente sul fondo, esteso longitudinalmente, coperto a doppio spiovente o con soffitto a cassettonato, in comunicazione con due o tre stanze anche esse coperte con tetto a doppio spiovente.
Numerose sono le varianti di questo tipo, soprattutto nelle articolazioni e nell'abbondanza del numero degli ambienti, con esempî che arrivano fino alle forme più complesse desumibili dalla Tomba François di Vulci (2a metà sec. IV a. C.) e dalla Tomba dei Volumni di Perugia (metà sec. II a. C.).
In questo tipo di c. etrusca, alcuni hanno voluto riconoscere il principio della c. italica o pompeiana, sviluppatasi, stando alla tradizione, addirittura sotto la spinta di preponderanti contributi etruschi. In particolare, il corridoio di accesso e l'ambiente centrale riscontrato nelle tombe potrebbero corrispondere al vestibolo e all'atrio, il vano trasversale alle alae e la stanza di fondo al tablino della c. ad atrio tipica.
Purtroppo, al di fuori delle ideali corrispondenze con le tombe, non si hanno per l'Etruria testimonianze sicure e dirette di vere e proprie c. ad atrio ed in particolare ad atrio tuscanico e tetto compluviato pur se tutti e due i nomi (atrium tuscanicum) sembrano riferirsi direttamente agli Etruschi e se indizî monumentali se ne possono ritrovare nella tarda Tomba della Mercareccia a Tarquinia (sec. III-II a. C.) e in qualche urna funeraria.
Sempre dalle tombe e dalle urne è dato altresì riscontrare la presenza del tetto displuviato, indirettamente, da alcuni soffitti di tombe a Tarquinia e Cerveteri, e più direttamente da tombe rupestri e urne, in particolare chiusine.
Un'idea degli esterni delle c. nel loro aspetto complessivo, è data quasi esclusivamente dalle facciate delle tombe rupestri (a Blera, Norchia, Sovana, ecc., fra il VII e il III sec. a. C.) e da alcune urne, tutte provenienti da Chiusi, con tetto displuviato e larga gronda o con un caratteristico loggiato esterno sotto il tetto, retto da colonnine e pilastrini tuscanici, e mura a bugnato.
Le tombe offrono, particolarmente a Cerveteri, una documentazione precisa per gli elementi architettonici, e persino per i tipi di arredamento e per i mobili, fino agli oggetti e agli utensili riprodotti negli stucchi policromi della ceretana Tomba dei Rilievi.
Bibl.: J. Durm, Baukunst d. Etrusker u. Römer, Stoccarda 1905; E. Fiechter, in Pauly-Wissowa, s. v. Römisches Haus; P. Ducati, Storia dell'arte etrusca, Firenze 1927; G. Patroni, Architettura preistorica generale ed italica. Architettura etrusca, Bergamo 1941; M. Pallottino, Etruscologia, IV ed., Milano 1957. Inoltre: F. Studniczka, Das Wesen des tuskanischen Tempelbaus, in Die Antike, IV, 1928, p. 178 ss.; R. Bianchi Bandinelli, Sovana, Firenze 1929; id., in Enc. It., s. v.; A. Gargana, La casa etrusca, in Historia, VIII, 1934, p. 204 ss. Si veda inoltre la bibl. citata a proposito delle singole voci tecniche e topografiche.
(R. A. Staccioli)
6. - Roma. - Notevole varietà di tipi, cui si aggiungono fenomeni di carattere urbanistico e sociali diversi a seconda delle epoche e, infine, difficoltà derivanti da relativa scarsezza o abbondanza di documentazione, complicano il disegno schematico della descrizione e dello svolgimento della c. romana.
Il punto di partenza è rappresentato dall'antica capanna italica di cui restano scarsi avanzi sul terreno e ricordi in edifici particolari e tradizionali (come nel tempio di Vesta del Foro), conosciuta attraverso la documentazione delle urne cinerarie.
Soltanto da questi indizî è possibile pensare che la primitiva capanna divenuta quadrangolare, abbia dato luogo a una costruzione fondata sulla presenza di due elementi nei quali sarebbe da riconoscere il principio dei successivi atrio e tablino.
Una successiva evoluzione dovette condurre la c. ad articolarsi intorno ad un ambiente centrale, scoperto, ma protetto da una tettoia, circondato da ambienti disposti sui lati e sul fondo.
Arricchitasi di elementi quali un ampio vestibolo d'ingresso e due ali e designata con il nome di atrium (Varr., De lin. Lat., v, 161; v. atrio) questa c. viene caratterizzandosi come dimora delle classi patrizie.
Presente a Roma per concorde testimonianza delle fonti classiche, la c. ad atrio trova oggi la sua più completa documentazione a Pompei, secondo uno schema tratto dalla cosiddetta C. del Chirurgo (sec. IV-III a. C.) risultando così composta: una porta (ostium) sulla strada, spesso preceduta da un vestibulum e seguita da uno stretto corridoio di accesso (fauces); una corte centrale (atrium), coperta all'intorno dalle quattro falde del tetto spiovente verso l'interno (compluvium) in modo da convogliare le acque piovane in un bacino sottostante al centro dell'atrio (impluvium) da dove si raccolgono in una cisterna sotterranea; alcune stanze di alloggio (cubicula) disposte attorno all'atrio e due ambienti aperti (alae, v.) alle sue estremità; una sala principale in fondo all'atrio, di contro all'ingresso (tablinum) fiancheggiata da uno o due ambienti minori e da un corridoio di passaggio all'orto-giardino alle spalle della c. (hortus).
Le varianti e le modifiche portate a questo schema sono poche, consistendo soprattutto nei diversi procedimenti di copertura dell'atrio (Vitruvio vi, 3, 1 ss. - distingue cinque tipi diversi di atrio), nel modo di raggruppare gli ambienti minori attorno ad esso e, infine, nell'aggiunta di elementi quali i vani che vengono a disporsi talvolta ai lati dell'ingresso, sulla strada (tabernae), e gli ambienti elevati al di sopra del tetto compluviato (cenacula).
La c. ad atrio, chiusa tutt'intorno da alte mura continue quasi senza finestre, si rinnova nel corso del II sec. a. C. con l'aggiunta di una seconda parte che, inserendosi fra gli ambienti dell'atrio e l'orto dietro il tablino, le conferisce maggiore estensione nel senso dell'asse e maggiori possibilità di sviluppo.
È il complesso del cosiddetto peristylium, di influenza ellenistica, che aggiunge un giardino ornamentale (viridarium) all'orto e più spesso lo sostituisce, a volte completato da una piscina o da una fontana, circondato da quattro ali di portico a colonne e arricchito di ambienti ai lati e soprattutto sul fondo in cui, generalmente, tre ampie sale vengono a ripetere da questa parte la tipica disposizione del tablino e delle ali in fondo all'atrio.
Descritta da Vitruvio (vi, 3 ss.), documentata a Roma sia pur attraverso tarde sopravvivenze d'età imperiale (cfr. framm. 543 della pianta marmorea di Roma antica) e a Ostia (cfr. le quattro domus contigue sotto la cosiddetta Schola del Traiano, R. IV, is. V, n. 6 e caseggiati annessi), anche la c. ad atrio e peristilio trova attualmente a Pompei le sue più caratteristiche espressioni al punto da essere convenzionalmente definita c. "pompeiana" (cfr. per tutte la C. di Pansa). Questa raggiunge il massimo della raffinatezza e della complessità durante gli ultimi tempi della Repubblica quando la c. si svolge spesso per tutta l'estensione dell'isolato, con più atri, anche due peristili, appartamenti sussidiarî bagni, biblioteche e altri ambienti che nel nome (oecus, procoeton, triclinium, diaeta, apotheca, exedra, xystus...) denotano l'origine ellenistica. Il centro della vita domestica si sposta allora dall'atrio al peristilio e, benché talvolta vi si conservino la parte rustica e i servizi, la parte anteriore della c., attorno all'atrio, diventa quasi esclusivamente di rappresentanza.
Contemporaneamente allo sviluppo della c. ad atrio e peristilio, soprattutto a Roma per il fenomeno sempre crescente dell'urbanesimo, si assiste ad una graduale evoluzione dei vecchi schemi di abitazione verso forme nuove, determinate dall'atrofizzarsi della c. patrizia e dal frazionarsi della domus in appartamenti d'affitto che, all'unità primitiva, sostituiscono la coabitazione di più famiglie.
Si sviluppa in tal modo e si moltiplica la c. di tipo verticale che finisce col prevalere, segnando le premesse della c. imperiale e relegando sempre più la c. ad atrio e quella ad atrio e peristilio unicamente per abitazioni molto signorili; case altissime e mal costruite, in quartieri popolari e miseri sono ricordate dagli scrinori romani (Vitr., i, 8, 17, 38, 43; Plin., Nat. hist., iii, 67; Mart., xii, 20; i, 117, 7).
Designate dagli autori antichi con il nome di insulae (in contrapposizione alle domus per una sola famiglia) queste abitazioni di affitto hanno ambienti a piantetreno adibiti a botteghe, tabernae, con retrobottega e soppalchi di abitazione aperti con poche finestre su strette viuzze e, più ampiamente, su piccoli cortili interni che sono spesso semplici pozzi di aria e di luce. Piccole scale di legno conducono a fragili soprelevazioni o a veri e propri piani superiori (uno o due) in parte in muratura e per il resto in opera cementicia con intelaiature di legno, con piccoli appartamenti di due o tre stanze collegate spesso da ballatoi, frequenti anche all'esterno, maeniana (v. balcone) e in tal caso spesso coperti e chiusi. Le facciate sono molto irregolari e frazionate, i tetti ampi e sporgenti. Fra gli esempi più sigmficativi cfr. la cosiddetta c. "a graticcio" di Ercolano (v.), is. III, nn. 13-14-15 e, inoltre, a Pompei alcune c. del quartiere presso l'anfiteatro, a Ostia la c. nella via di Diana e a Roma, nella sopravvivenza del periodo imperiale, il framm. 524 della già ricordata "Pianta marmorea".
Nell'età imperiale, pur continuando a sussistere tutti i tipi precedenti, il rinnovamento dell'organismo tradizionale della c. italico-romana ed ellenistico-romana, sia nella pianta che nell'alzato, giunge alle sue estreme conseguenze. Vi concorrono il decadimento delle famiglie patrizie ed il progressivo livellamento economico della popolazione, il più accentuato urbanesimo e la conseguente mancanza di spazio e l'alto costo delle aree fabbricabili.
Abbandonato così decisamente qualsiasi legame con gli schemi tradizionali e adottando su larga scala il principio dello sviluppo verticale nasce ora la c. romana vera e propria (fine del I-II sec. d. C.).
Essa è caratterizzata dal tipo di abitazione intensiva, e quindi da un accentuato sviluppo di piani, e dall'importanza che viene ad assumere il cortile, grande e spesso porticato, talvolta anche con tabernae e botteghe artigiane, che, oltre a servire di aerazione e di illuminazione, diviene l'organo di raccordo di tutti gli elementi della casa. Questa, costruita per intero in muratura, con pareti di notevole spessore e facciate in cortina laterizia non intonacata, si innalza per quattro o cinque piani fino a superare i 15 metri di altezza (secondo massimi variabili, stabiliti da apposite leggi) con numerosi appartamenti che un largo uso di scale in muratura rende il più possibile indipendenti fra loro. Ogni appartamento raggruppa da tre a cinque stanze, coperte a vòlta nei primi due piani, con travature di legno e soffitto a incannucciata in quelli superiori, e senza particolari caratteristiche struttive nell'interno. Le finestre sono numerose e grandi, disposte piuttosto simmetricamente e spesso suddivise in bifore e trifore; frequente, specialmente al primo piano, la presenza di ballatoi e balconi (v.) lignei o in muratura; e non rare le terrazze agli ultimi piani. Ma la copertura terminale è comunemente a solaio e tetto con tegole e coppi. Naturalmente, numerose sono le varianti, ad esempio i pianterreni con tabernae aperte sulla strada oppure con portici a pilastri o con veri e propri appartamenti, e i grandi palazzi signorili a cortile porticato.
Caratteristico è l'accostamento di più corpi di abitazioni, ma con porte d'ingresso e scale distinte, che dà luogo a quei complessi caseggiati di cui sono esempi fra i più completi quelli cosiddetti "del Serapide" e "degli Aurighi" (R. III, is. X, nn. 1-3) ad Ostia (la quale è, per questo periodo, la principale fonte delle nostre conoscenze dirette, accanto alle testimonianze degli scrittori, come Giovenale, Marziale, Tacito, il Digesto, ecc.) ma fortunatamente rintracciabili a Roma stessa (cfr. gli avanzi ai piedi del Campidoglio sotto l'Aracoeli).
Gli accostamenti si spingono a volte fino a blocchi di insulae riuniti in caseggiati multipli che arrivano a formare unitari complessi architettonici e urbanistici (cfr. il gruppo delle cosiddette "case a giardino", pure a Ostia - R. III, is. IX - in cui diversi isolati costituiscono i lati di un ampio quadrilatero delimitante un'area al centro della quale sorgono blocchi di isolati) mentre, accanto a questi complessi, più modeste realizzazioni completano le testimonianze della preoccupazione di ricercare soluzioni urbanisticamente e socialmente funzionali (cfr. le cosiddette "casette-tipo", pure ostiensi - R. III, is. XXI e XIII - tutte circondate da strade, a uno o due piani e con appartamenti tutti uguali).
Lo schema tradizionale della casa a sviluppo orizzontale rimase costante nella parte orientale dell'Impero, accanto ad alcuni esempî di case a sviluppo verticale con uno o più piani (Asia, Egitto); nelle province settentrionali esso fu adattato alle condizioni climatiche di quei paesi.
È probabile che un processo di urbanizzazione analogo a quello verificatosi a Roma abbia determinato la costruzione di c. ad abitazione intensiva in quelle grandi metropoli dell'Impero (Alessandria, Antiochia, Atene, Corinto, Efeso, Smirne, ecc.).
Nel corso del IV sec. d. C. accanto alle abitazioni intensive, si notano alcune c. a sviluppo orizzontale che possono essere messe in relazione a fenomeni di ordine sociale (il riemergere di poche famiglie di alti magistrati e di grandi proprietari terrieri) documentate a Roma (c. sotto la chiesa dei SS. Giovanni e Paolo) e ad Ostia (cfr. le c. "del tempio rotondo", "delle colonne", "della Fortuna Annonaria"). Questo tipo di c. orizzontale, senza presentare una pianta canonica (perché spesso frutto di adattamenti di edifici preesistenti), torna ad essere raccolta attorno ad una corte, per lo più con colonne e pilastri, da cui gli ambienti ricevono aria e luce; una sala maggiore predomina sulle altre, la c. è isolata per tutti i lati con muri esterni senza finestre. Nei particolari, specialmente architettonici e decorativi, numerose sono le modificazioni e le aggiunte come ninfei, aule absidate, sale colonnate, esedre ecc., in parte provenienti da schemi da tempo passati alle ville e in parte dai sempre nuovi influssi dell'Oriente ellenistico.
Bibl.: Per la bibl. generale si vedano i paragrafi precedenti. Inoltre: G. Patroni, L'origine della domus, in Rend. Acc. Lincei, V, XI, 1902, p. 467 ss.; E. Fiechter, Das italische Atriumhaus, in Festgabe H. Blümner, Zurigo 1914, p. 210 ss.; G. Calza, La preminenza dell'insula nella edilizia romana, in Mon. Ant. Lincei, XXIII, 1915, p. 541 ss.; id., Le origini latine dell'abitazione moderna, in Architettura e arti decorative, III, 1923-1924, p. 5 ss.; id., La casa romana, in Capitolium, V, 1929, p. 529 ss.; A. Müfid, Stockwerkbau der Griechen und Römer, Istanbuler Forschungen, I, Berlino-Lipsia 1932; R. C. Carrington, The Ancient Italian Townhouse, in Antiquity, VII, 1933, p. 133 ss.; A. Boethius, Remarks on the Development of Domestic Architecture in Rome, in Am. Jour. Arch., XXXVIII, 1934, p. 158 ss.; Ph. Harsh, The Origins of the "insula" at Ostia, in Mem. Am. Ac. Rome, XII, 1935, p. 9 ss.; F. Noack-K. Lehmann Hartleben, Baugeschichtliche Untersuchungen am Stadtrand von Pompeji, Denkmäler antiker Architektur, II, Berlino-Lipsia 1936; G. Lugli, Aspetti urbanistici di Roma antica, in Rend. Pont. Acc., XIII, 1937, p. 73 ss.; A. Boethius, Appunti sul carattere razionale e sull'importanza dell'architettura domestica di Roma imperiale, in Scritti in onore di B. Nogara, Città del Vaticano 1937, p. 12 ss.; G. Calza, Contributi alla storia dell'edilizia nell'impero romano, le case ostiensi a cortile porticato, in Palladio, V, 1941, p. i ss.; P. Ziçans, Uber die Haustypen der Forma Urbis, in Acta Instituti Romani Regni Sueciae, 5, Opuscula Archaeologica, 2, 1941, p. 188 ss.; G. Lugli, Il valore topografico e giuridico dell'insula in Roma antica, in Rend. Pont. Acc., XVIII, 1941-42, p. 191 ss.; id., Nuove osservazioni sul valore topografico e catastale dell'insula in Roma antica, in Rivista del Catasto e dei servizi tecnici erariali, n. s., I, 1946; A. Boethius, Roman and Greek Town Architecture, in Göteborg Högskolas Arsskrift, LIV, 1948, p. 14 ss.; G. Becatti, Case ostiensi del tardo Impero, in Boll. d'Arte, XXXIV, 1948, p. 102 ss.; p. 197 ss.; A. Boethius, Notes from Ostia, in Studies Presented to D. M. Robinson, I, S. Louis 1953, p. 440 ss.; A. Maiuri, Oecus Aegyptius, in Studies Presented to D. M. Robinson, I, S. Louis 1953, p. 423 ss.; A. Boethius, Die hellenisierte italische Stadt der römischen Republik, in Skrifter Utgivna av Senska Institutet i Athen, 4, II, 1953, p. 172 ss.; A. Wotschintzky, Hochhäuser im antiken Rom, in Innsbrucker Beiträge für Kulturwissenschaft, III, 1955, p. 151 ss.; G. Girri, La taberna nel quadro urbanistico e sociale di Ostia, Roma 1956.
Sulle c. di Roma e di Ostia che formano il nucleo di questa trattazione si vedano le seguenti opere generali: G. Lugli, Roma antica. Il centro monumentale, Roma 1946; G. Calza, G. Becatti, I. Gismondi, G. de Angelis d'Ossat, H. Bloch, Scavi di Ostia, I, Topografia generale, Roma 1953; A. M. Colini, G. Gatti, G. Carettoni, L. Cozza, La pianta marmorea di Roma antica (Forma Urbis), Roma (in corso di pubblicazione).
Si veda inoltre la bibl. citata a proposito delle singole voci tecniche e topografiche.
(R. A. Staccioli)
7. - Impero parthico e sassanide. - Numerosi ritrovamenti di materiale ellenistico nel Medio Oriente testimoniano l'apporto della cultura greca in quel territorio dopo la conquista di Alessandro Magno: lo schema urbanistico a pianta ortogonale di Dura Europos e di alcuni quartieri di Seleucia sul Tigri mostra una chiara derivazione dalle esperienze urbanistiche ippodamee. La fondazione, avvenuta alla metà del III sec. a. C., del regno parthico determinò l'abbandono progressivo della cultura greca, elaborata in forme originali alle quali non mancò l'apporto di motivi tradizionali mesopotamici ed achemènidi.
L'andamento urbanistico delle città parthiche può indicare la differenza di struttura politica tra il mondo orientale e quello occidentale: queste città presentano infatti una pianta circolare caratterizzata da un palazzo feudale, attorno al quale si raccolgono le abitazioni dei sudditi. Le città di fondazione seleucide come Dura Europos e Seleucia sul Tigri si dovettero adeguare alle nuove condizioni politiche mutando la pianta di alcuni edifici e trasferendo i centri amministrativi e religiosi vicino al palazzo del governatore parthico.
La costituzione aristocratica del regno parthico, non permette di definire una pianta canonica per le c. di abitazione: esse infatti non sono altro che la ripetizione in scala minore dei grandi palazzi, caratterizzati da un cortile centrale (di origine mesopotamica) sul quale si affacciano uno o più ambienti di rappresentanza, divisi in nuclei separati destinati ai servizi, al soggiorno delle donne, alle stalle, ecc. La tecnica costruttiva di questo periodo non presenta particolari caratteristiche almeno per quanto riguarda le case. Esse si aprono sulle strade mediante un ambiente ristretto spostato su uno degli angoli dell'edificio; tipico in tutte le abitazioni è un ampio cortile, utilizzato per disimpegno ed aerazione, che presenta sul lato opposto a quello dell'ingresso un ambiente quadrangolare aperto sulla fronte. I tetti, cui si accede per mezzo di una scala, sono piani e dovevano essere abitabili, almeno nella buona stagione, per mezzo di tende.
A Dura Europos le c. parthiche, che mantennero la loro pianta in età romana sino alla distruzione della città, derivano, nello schema generale, dalle grandi abitazioni signorili caratterizzate dal cortile centrale sul quale si aprono una o più stanze aperte sulla fronte. Nelle abitazioni più ricche i quartieri per le donne sono separati dal resto dell'abitazione. Le finestre che danno sulla strada sono piccole e dovevano servire per aerazione più che per illuminazione, a questa provvedeva il cortile centrale.
L'architettura sassanide riprende ed elabora gli elementi parthici accentuando il motivo degli ambienti aperti sul cortile centrale. A volte la pianta del cortile e degli ambienti che lo circondano e che si aprono su di esso è ripresa nelle singole stanze che presentano una o più nicchie le quali determinano uno schema architettonico ricco di chiaroscuri e di soluzioni ambientali. Caratteristiche di questo andamento sono alcune abitazioni tardo-sassanidi di Ctesifonte.
Gli elementi dell'architettura domestica parthica e sassanide ebbero una notevole importanza nella determinazione di una pianta diversa da quella greco-romana, che sviluppatasi anche in ambienti periferici come Dura Europos e Taxila, e ripresa nel mondo islamico, determinò lo schema della c. di abitazione araba.
Uno studio delle abitazioni parthiche e sassanidi non è possibile senza quello dei palazzi dello stesso periodo (v. palazzo); questi pur derivando in alcuni elementi dall'architettura ellenistica e romana (in modo particolare per l'uso di elementi curvilinei e per la decorazione delle facciate) e dall'architettura mesopotamica (per la disposizione del cortile centrale e per gli elementi decorativi) elaborarono piante e decorazioni originali che anticiparonà motivi comuni all'architettura di palazzo tardo-romana, medievale e bizantina.
Bibl.: Opere generali: O. Reuther, Parthian Architecture, in A. U. Pope-Ph. Ackerman, A Survey of Persian Art from Prehistoric Time to the Present, I, Oxford 1938, p. 411 ss., 428 ss.; id., Sāsānian Architecture, in op. cit., I, pp. 493 ss., 547 ss.; H. J. Lenzen, Architektur der Partherzeit und ihre Brückenstellung zwischen der Architektur des Westens und des Ostens, in Festschrift für Carl Weickert, Berlino 1955, p. 121 ss.
Opere particolari: Seleucia: L. Watermann, Preliminary Report upon the Excavations at Tel Umar, Iraq Suppl., I, Ann Arbor 1931; Dura Europos: M. Rostovtzeff, Dura-Europos and Its Art, Oxford 1938, p. 48 ss., p. 143, n. 29 con bibl. prec.; aggiungi: The Excavations at Dura Europos, Preliminary Report, VII-IX, New Haven 1939-1952; Assur: W. Andrae-H. J. Lenzen, Die Partherstadt Assur, Lipsia 1933; Hatra: W. Andrae, Hatra, I-II, Lipsia 1908, 1912; Ctesifonte: O. Reuther, Die Ausgrabungen der Deutschen Ktesiphon-Expedition im Winter 1928-29, Berlino 1930; E. Kühnel, Die Ausgrabungen der zweiten Ktesiphon Expedition, Berlino 1933; Taxila: J. Marshall, Taxila, I-III, Cambridge 1951.
(A. Giuliano)
8. - Estremo Oriente. - In Estremo Oriente la costruzione di una c. non è considerata soltanto un atto materiale, ma riveste anche significato religioso. Spesso intervengono norme precise a determinare il luogo e l'orientamento dell'abitazione. Ad esempio nell'antica India era prescritto di non aprire l'ingresso delle c. a O, poiché l'O è la regione dei morti, e di non allineare due aperture sullo stesso asse, perché non sia possibile "attraversare la c. con lo sguardo". E in Cina, fin dall'epoca protostorica, ogni dimora deve esser costruita in modo che l'asse principale sia diretto dal S verso il N.
In Cina, all'infuori di rarissime eccezioni, si hanno ruderi e costruzioni soltanto posteriori al 900 d. C., e ciò rende difficile potere stabilire gli elementi e i caratteri dell'architettura cinese nei tempi antichi; però, tenendo presente il senso di conservazione e di riproduzione dell'antico caratteristico dell'architettura cinese, si può dedurre che studiando l'architettura esistente si studia l'antica (v. cinese, arte). Lo stesso principio metodologico può essere esteso, con una certa approssimazione, allo studio della c. d'abitazione in India.
La conoscenza che abbiamo delle abitazioni nell'antica India deriva dai bassorilievi che le raffigurano e dai testi che ci indicano le regole materiali o religiose che dovevano essere osservate nella costruzione: il terreno scelto deve esser piatto, erboso, al riparo da inondazioni ma in prossimità di una sorgente. Bisogna invece guardarsi dall'edificare in quei luoghi dove attecchiscano piante spinose o dove si trovino formicai, ecc. Quando la località è scelta, tocca a un astrologo indicare il giorno fausto in cui conviene gettare le fondazioni. La c. va divisa in due parti: quella interna, dove troveranno posto gli appartamenti delle donne, e quella esterna dove si trattano gli affari. La c. deve esser cintata: con un muro di pietra o di mattoni, con uno steccato in legno comune o in bambù, con un fossato. Accanto all'abitazione, un giardino dove cresceranno fiori, legumi e alberi da frutto.
Per la costruzione si impiegheranno soprattutto legno, bambù, giunco, corda o erba. Ma il legno non può esser tolto da qualsiasi specie di alberi, e quando l'esemplare da abbattere è stato scelto, bisogna compiere speciali cerimonie. Il tetto verrà ricoperto di tegole, di paglia, o di foglie. In città, le c. avranno tutte la facciata sulla strada principale, mentre la parte posteriore darà su un vicolo.
I bassorilievi di Sanchi e di Bharhut ci mostrano case dove il pianterreno era probabilmente usato come bottega o come stalla per il bestiame; il piano destinato all'abitazione era sostenuto da pilastri e contornato da una stretta veranda protetta da una balaustra. Gli scavi a Harappa e Mohenjo-Daro (v.) rivelarono l'esistenza di abitazioni del III millennio a. C. con c. costruite e stanze pavimentate. Le c. di campagna, più semplici, avevano un solo corpo di costruzione a un piano, ed erano ricoperte sia con una cupoletta, sia con un tetto a spioventi.
Più tardi la c. indiana si differenzierà in qualche particolare, a seconda delle regioni dove sorge, ma, ad eccezione delle c. di campagna più povere, che sono vere e proprie capanne, l'abitazione sarà sempre composta di stanze disposte intorno a un cortile: camera degli uomini, camera delle donne, stalle, granai. La pianta si fa più complicata quando sia destinata ad ospitare una famiglia numerosa o nelle abitazioni dell'aristocrazia. In quest'ultimo caso il numero dei cortili si moltiplica. Nell'India del S e a Ceylon, dove le c. sono abitualmente coperte di paglia, le stanze sono separate dal cortile a mezzo di una larga veranda coperta dove si lavora. Sulla costa del Malabar, i tetti sono inclinati, con ampî bordi destinati a far defluire l'acqua lontano dai muri di fango. Nel Panjab, invece, le c. hanno tetti piani a terrazza, dove gli abitanti dormono durante la bella stagione. Nelle altre regioni dell'India del N i tetti sono di paglia, di tegole o di argilla impastata con ramaglia e compressa.
Anche in Cina la c. si sviluppa intorno al cortile. L'abitazione della Cina antica ci è nota grazie alle sculture in pietra dove viene rappresentata e grazie alle piccole riproduzioni di c. in terracotta che venivano depositate nelle tombe. La pianta è pressappoco la medesima sia per le abitazioni cittadine che per le fattorie di campagna. Gli edifici si dispongono sui tre lati di un cortile cui si accede mediante un ingresso aperto a S. Di fronte a questa porta, in fondo al cortile, una costruzione di forma allungata sorge sopra una terrazza. Questa terrazza aveva in origine lo scopo di porre la c. al riparo dalle inondazioni, ma ne divenne in seguito un elemento essenziale anche all'infuori di quella necessità. L'edificio principale è abitualmente diviso in tre navate trasversali da colonne cilindriche. La sala centrale è destinata a ricevere, le altre due stanze servono da abitazione; l'angolo S-O è la parte di maggior riguardo: li si collocano le tavolette degli antenati, e lì abita il capofamiglia: mentre il lato N-E è la parte meno apprezzata, e in quella direzione si costruiscono vani supplementari quando ciò sia necessario. Sugli altri due lati del cortile sorgono padiglioni privi di terrazza dove alloggiano i familiari di minor conto.
Nelle abitazioni dei ricchi si costruiscono altri padiglioni sul davanti e sul retro dell'edificio principale. I primi sono riservati agli ospiti e ai figli sposati, i secondi alle donne e ai figli i quali possono anche abitare nella costruzione centrale, cui si accede mediante scale strette e ripide collocate in genere all'esterno.
L'abitazione cinese ha conservato in ogni epoca la medesima pianta, grazie all'immutabile valore della tradizione. Gli edifici sono generalmente composti di una struttura in legno che sostiene il tetto; tra le colonne figurano muri di mattoni o di fango che non hanno funzione portante. I tetti sporgenti, coperti di tegole, sono generalmente incurvati nella Cina del S.; mentre nel N paiono più semplici. La terrazza su cui poggia l'edificio principale è costruita in mattoni o pietra. Le facciate hanno una sola apertura: la porta, composta da un tetto a perpendicolo retto da due colonne al di sopra di un vasto portale. Questo, nelle c. modeste. Nelle abitazioni più importanti si tratta di un vero e proprio padiglione rettangolare con un tetto a punta e una facciata aperta, fornita di colonne, e una grande porta che si apre sul muro di fondo. Gli elementi decorativi - rivestimenti, ornamenti pittorici e scultorei introducono una nota di varietà che sottrae la costruzione a quell'aspetto uniforme che la persistenza della tradizione potrebbe attribuirle.
Nella Cina del N esistono abitazioni sotterranee scavate nel loess sul margine di profonde vallate. Talvolta innanzi alla grotta è stato costruito un muro, o un piccolo edificio, ovvero l'abitazione non è più sotterranea, e in tal caso la costruzione è soltanto addossata alla roccia, che fa da muro di fondo.
Gli scarsi elementi a nostra disposizione non permettono di ricostruire gli schemi della c. nell'antico Giappone e nell'Asia sud-orientale.
Bibl.: E. Biot, Le Tchou li, ou rites de Tchou, Parigi 1851; C. Puini, Le origini della civiltà dell'Estremo Oriente, Firenze 1891; Couvreur, Li ki, ou mémoires sur les bienséances et les cérémonies, Parigi 1899; A. Choisy, Histoire de l'architecture, I, Parigi 1899; F. Benoit, Manuel d'histoire de l'art. L'architecture. L'Orient, Parigi 1912; P. Brown, History of Indian Architecture, I, Bombay, s. d.; B. Rowland, The Art and Architecture of India2, Harmondsworth 1956; L. Sickmann-A. Soper, The Art and Architecture of China, Harmondsworth 1956; R. A. Stein, in Journal Asiatique, CCXLV, 1957, pp. 37-74.
(J. Auboyer)