CASA (IX, p. 255; App. I, p. 374; II, 1, p. 521)
I grandi rivolgimenti economici e sociali seguiti alle due grandi guerre e la diffusa applicazione di nuovi prodotti e nuovi metodi tecnici conseguenti a quella che si può ormai chiamare la seconda rivoluzione industriale, hanno contribuito a delineare quella trasformazione della c. che oggi è in atto in tutto il mondo. Nuove e diverse strutture sociali con specifiche basi di finanziamento edilizio e nuovi termini urbanistici, conseguenti alla necessità di una più stretta collaborazione unitaria pianificata nel quadro dell'attività edilizia, hanno portato, e stanno tuttora portando da un lato ad una più chiara qualificazione architettonica di vecchi tipi edilizî, dall'altro alla creazione di nuove forme.
Nella diffusa accezione anteguerra la c. era pur sempre ancorata, almeno idealmente, all'antica concezione dell'abitazione unifamigliare isolata, realizzata volta per volta su un lotto di terreno che tutt'al più, urbanisticamente parlando, faceva parte di una lottizzazione. Solo il tema della c. per i meno abbienti, richiedendo grossi investimenti programmati da istituti e da enti, imponeva necessariamente lo studio di raggruppamenti e di complessi urbanistici tali da realizzare, dentro un quadro unitario, dei rapporti volumetrici tra gli edifici stessi e tali, in fine, da imporre l'adozione di tipi edilizî a molti piani con divisione orizzontale delle abitazioni.
Persino le case ad abitazioni sovrapposte disposte linearmente lungo il margine stradale - tipo che qualifica l'espressione "moderna" della città ottocentesca - traggono la loro origine da una interpretazione economica dei tipi dell'edilizia popolare, cari alle iniziative dell'illuminismo settecentesco. Esse si sono risolte, urbanisticamente parlando, nelle infinite teorie di isolati completamente chiusi marginalmente, che caratterizzano tutti gli sviluppi urbani dello scorso secolo e della prima metà del presente.
Gli anni susseguenti alla prima guerra mondiale hanno visto tuttavia l'affermarsi, a parziale evasione dalla disposizione in serie chiusa, di alcuni tipi in serie aperta: costruzioni isolate plurifamigliari multipiani a blocco - le cosidette palazzine - e "ville" plurifamigliari. Ma anche questi tipi traevano la loro giustificazione urbanistica da lottizzazioni in serie, impostate su estese zonizzazioni a unico tipo edilizio, che difficilmente permettevano di rispondere ai bisogni della vita urbana organizzata né la esprimevano compiutamente. Per dirla in breve, la città si accresceva - e purtroppo ancora si accresce - di masse edilizie amorfe e inorganiche, non qualificate in quartieri o settori unitarî dotati di rispondenti attrezzature, sì che la c. stessa risultava un elemento a sé stante, anzi che la logica componente di un quadro urbano ragionato e organicamente disposto. Salvo rari casi, tipici dei paesi ad alto livello di coscienza urbanistica, l'insegnamento dell'unità dell'organismo urbano - retaggio del passato storico - era andato perduto per la società della prima rivoluzione industriale.
L'ascesa economica delle classi sociali meno ricche; l'accrescimento dello standard tecnico; l'arricchimento tecnologico dei materiali edilizî, ecc. sono i fattori che hanno reso la costruzione della c. - rispetto ai primi anni susseguenti la prima guerra mondiale - molto più costosa e più complessa, richiedendo essa l'applicazione di maestranze più specializzate e qualificate, insieme con una organizzazione molto più vasta; una progettazione più elaborata tecnicamente; un intervento più grande di capitali per il finanziamento. Di qui la necessità di organizzazione urbanistica sotto tutti i profili: per quanto riguarda gli impianti tecnologici - energia elettrica, fognature, acquedotto, riscaldamento - e per quanto riguarda la distribuzione degli edifici; infine, per quanto concerne la scelta stessa dei tipi edilizî.
La standardizzazione e la normalizzazione degli elementi ha portato nel contempo a più diffuse possibilità applicative, sia pure restringendo certe scelte. Si può osservare a questo proposito come, in generale, l'edilizia non abbia fatto molti passi sulla via della prefabbricazione completa della casa, quanto piuttosto su quella della prefabbricazione di moltissimi elementi della composizione - strutture portanti, pannelli di pareti, finestre, porte, bagni, armadî a muro, ecc. - La standardizzazione e la prefabbricazione di tali elementi ha indirizzato la progettazione su una metodologia che, pur limitando le scelte, consente una gamma vastissima di applicazione nella composizione.
Si può dire che la progettazione oggi tende a svolgersi non tanto sulla scala di una c. singola con uno o più alloggi, quanto piuttosto su quella della programmazione di interi gruppi edilizî o di interi quartieri - per non dire di intere città -. L'iniziativa edilizia del singolo diventa sempre meno frequente, sostituita da iniziative imprenditoriali sempre più vaste, alla base delle quali stanno più spesso iniziative cooperativistiche e interventi finanziarî dello stato, di istituti di credito e di enti.
Gli stessi ordinamenti regolamentari edilizî stanno subendo, in conseguenza, una evoluzione che incide sempre più sulla struttura organica della casa. La regolamentazione edilizia, ereditata dalle norme del principio del secolo, interveniva infatti genericamente sul volume degli edifici, assegnando distanziamenti dal margine stradale e dai confini di proprietà, limitando l'altezza massima dell'edificio e il rapporto di copertura del lotto, e tutto ciò in vaste zonizzazioni. Raramente entrava nello spirito di una più completa e profonda composizione urbana e edilizia.
La necessità di interventi edilizî residenziali su grande scala sta tuttora portando ad una normativa ben diversa da quella fin qui seguita e tuttora in atto in molti paesi, atta ad estendere l'intervento progettistico a complessi più vasti di quelli limitati dal lotto o dall'isolato, sì da consentire una più vasta gamma di tipi edilizî nel quadro di comprensorî abbastanza ampî da formare unità di quartiere o, meglio, interi quartieri. Queste più moderne norme di regolamento o, più esattamente, di attuazione dei piani, generalmente precisano varî tipi edilizî nei loro rispettivi volumi, altezze e distacchi, assegnando poi, nei limiti di un determinato comprensorio, la densità territoriale generale massima da raggiungere (rapporto tra la superficie totale del territorio e la cubatura delle costruzioni; oppure rapporto tra la superficie territoriale e la superficie totale dei piani di abitazione) ma lasciando libertà di scelta nella adozione dei tipi nella gamma delle norme per la composizione del quartiere. Le norme operano su base di densità territoriale anziché su base di densità fondiaria, poiché, se con ciò lasciano ai proprietarî dei suoli l'onere degli spazî liberi - strade, giardini, piazze di parcheggio per vetture, ecc. - d'altro lato consentono loro una maggiore libertà nella distribuzione, nei volumi, nella composizione architettonica.
Ne consegue che la c. d'abitazione non è più costretta per gli orientamenti, per gli spazî giardinati, per il numero degli alloggi, e per i volumi agli allineamenti stradali e alla tipologia di una zonizzazione generica e indifferenziata. Ma, all'opposto, può venire inserita in un suo ambiente, commisurata a spazî adatti, servita da appositi accessi, dotata di speciali servizî, orientata a seconda delle necessità climatiche locali, ecc. In tal modo è possibile assegnare a priori, attraverso la densità territoriale edilizia, una determinata densità di popolazione ad un territorio, dentro i giusti limiti richiesti dall'igiene fisica e dall'igiene sociale.
La c. di abitazione si è venuta così configurando in aspetti planimetrici, strutture e volumi compositivi ben diversi da quelli del recente passato. Innanzitutto dobbiamo dire che il tipo di c. con alloggi a divisione orizzontale, a corpo di fabbrica lineare a disposizione chiusa, e ancor più quello a disposizione chiusa con cortile possono considerarsi abbandonati. Persistono solo nei vecchi quartieri dei centri urbani, mentre nella nuova edilizia hanno, semmai, assunto la forma di disposizione chiusa marginale ma svolta intorno a grandi spazî verdi e alberati, di uso comune a tutti gli alloggi. Solitamente tali tipi sono stati sostituiti dal corpo lineare semi-aperto o dal corpo lineare isolato. Ne sono esempî le unità abitative che compongono le nuovissime città in corso di costruzione in Gran Bretagna, soprattutto intorno a Londra (Harlow, Stevenage, Basildon) ed anche qualcuna in Italia.
Diffusa applicazione ha avuto il tipo isolato a blocco, sia a disposizione del tutto chiusa intorno alla colonna della scala, sia a disposizione aperta stellare, sviluppato spesso in altezza.
Gli esempî proposti dalla Svezia tendono ad avere grande diffusione, specialmente in Francia ed in Italia, nei nuovi quartieri sorti per l'iniziativa degli enti preposti all'edilizia sovvenzionata.
La disposizione a c. a schiera, a divisione verticale, che un tempo sembrava destinata tipicamente ai ceti operai, sta assumendo nuovi sviluppi in sostituzione dell'abitazione in casetta isolata. Invero, le casette unifamigliari affiancate a schiera sono sempre state un importante elemento del quadro urbano inglese, danese, tedesco, insieme alla casa unifamigliare isolata. Nel recente dopoguerra anche in Gran Bretagna la casa isolata, tipica del paesaggio urbano e suburbano, tende ad essere sostituita, nelle nuove impostazioni urbanistiche, dalla casa a schiera e dalla casa a blocco a divisione orizzontale. Possiamo infine dire che il tipo unifamigliare isolato persiste ancora grandemente solo negli Stati Uniti d'America e, in generale, in alcuni paesi a cultura anglosassone. Ma anche qui le nuove emergenti economiche e tecniche stanno proponendo e imponendo le soluzioni compositive a corpi lineari aperti o semiaperti e a blocco.
La c. unifamigliare isolata, il cosiddetto "villino", è diventato un lusso. Già in molti paesi (Italia, Francia) aveva da tempo abbandonato il carattere unifamigliare per assumere quello di casa plurifamigliare, conservando solo la denominazione di villa o villino. In Italia, oggi, generalmente il "villino" costituisce niente altro che una c. a blocco ad alloggi sovrapposti a divisione orizzontale e a carattere semintensivo: in particolare a Roma e a Napoli, in seguito a interpretazioni sempre più larghe delle norme edilizie riguardanti lo specifico tipo del "villino", quest'ultimo ha assunto la veste di edilizia addirittura intensiva, con una densità edilizia territoriale superiore a 6500 m3 per ettaro, con gravi inconvenienti dovuti alla concentrazione (deficienza di spazî liberi, mancanza di parcheggi, difettosa insolazione, ecc.). Possiamo dire che la c. isolata unifamigliare va riducendosi all'espressione della c. per vacanze.
La c. a blocco, di notevole altezza, ha avuto recenti sviluppi applicativi in Francia e più ancora in Italia. Ma dobbiamo osservare come, nel nostro Paese, tale tipo, più che essere guidato da una normativa urbanistica atta a creare le condizioni obiettive necessarie a formare gli spazî indispensabili, è scaturito da una non controllata speculazione del suolo urbano. Nascono così nelle nostre città, grandi e piccole, a Milano come ad Ascoli, a Torino come a Rimini, a Catania come a Campobasso, a Vicenza come a Ivrea, altissimi edifici che rispondono quasi esclusivamente ad iniziative singole di sfruttamento di particolari condizioni del mercato dei suoli a danno della organicità e della funzionalità della struttura urbana, sì che trascinano con sé ed esasperano altri problemi della vita cittadina, quali la difficoltà circolatoria, l'igiene, il paesaggio urbano, ecc.
Per accennare ad alcuni elementi della composizione di pianta degli alloggi, diremo come vada accentuandosi sempre di più la concentrazione nell'interno del corpo di fabbrica dei servizî igienici, illuminati e ventilati artificialmente; come si tenda ognor più a ridurre gli spazî, quali i corridoi, un tempo destinati al disimpegno dei vani; come i locali di soggiorno tendano a diventare il cuore dell'abitazione, prolungandosi all'esterno con gli spazî delle terrazze; come cucina e stanza da pranzo tendano a fondersi, in conseguenza della carenza di personale di servizio; come le attrezzature fisse (armadî a muro, ripostigli, guardaroba) tendano a concedere maggiore spazio alle stanze da letto, un tempo ridotte ad una dimensione appena sufficiente.
Diremo ancora come la necessità di offrire nello stesso edificio varî tipi di alloggio di vario numero di stanze abbia permesso lo studio di strutture modulate, le quali concedono una notevole libertà di pianta.
La "unità di abitazione" realizzata da Le Corbusier a Marsiglia (v. casa, App. II, 1, p. 523) ha avuto, sempre da parte dello stesso architetto, due notevoli repliche, a Nantes e a Berlino, nonché imitazioni in paesi del Sud America.
Alcuni dei notevoli protagonisti dell'architettura hanno contribuito a realizzare, in occasione della mostra dell'edilizia di Berlino (1957), nel quartiere Hansa, molti interessanti tipi edilizî, facendo così, in certo modo, il punto sulla situazione. Dalla quale appare che, se il tema architettonico della c. d'abitazione sta raggiungendo una maggiore e più coerente qualificazione nel quadro della tecnica, il vero problema di oggi è quello di una più stretta aderenza compositiva al quadro urbanistico generale: gli spazî urbani, il finanziamento, le strutture sociali. Vedi tav. f. t.
Disciplina giuridica (App. II, 1, p. 525).
Premesse: fonti costituzionali. - Secondo l'art. 47 Cost. italiana la Repubblica favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione. L'interesse dello stato per il settore dell'edilizia privata si esprime tuttavia con una serie di interventi che vanno al di là di quanto prescrive l'art. 47 Cost. Lo stato moderno pone nell'ambito dei suoi fini l'accertamento del fabbisogno edilizio della popolazione allo scopo di assicurare a ogni cittadino, mediante gli opportuni mezzi e interventi, un alloggio adeguato. In questo senso il problema della casa rientra tra i compiti che l'art. 3 secondo comma della Costituzione attribuisce alla Repubblica per "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana".
Situazione edilizia. - I dati ufficiali più recenti della situazione delle abitazioni in Italia risalgono al censimento 4 novembre 1951; dati ai quali possono essere paragonati quelli relativi al 31 dicembre 1958 desumibili dalla relazione parlamentare sul bilancio del ministero dei Lavori pubblici per l'esercizio finanziario 1959-60. La situazione che ne risulta è la seguente:
Se ne ricava un indice di affollamento riferito alla popolazione presente, per alloggio di 4,28 nel 1951 e di 3,99 nel 1958 e per vano di 1,35 nel 1951 e di 1,23 nel 1958.
Secondo i dati forniti dalla Associazione Nazionale fra gli Istituti Autonomi per le Case Popolari, il fabbisogno edilizio nazionale per eliminare le abitazioni improprie e la coabitazione, al 31 dicembre 1958 sarebbe stato di 335.000 alloggi con 1.065.000 vani, ciò che avrebbe comportato la diminuzione dell'indice di affollamento per vano da 1,23 a 1,21. Per mantenere l'indice di affollamento nel limite di 1,20 a vano in relazione all'aumento annuo della popolazione e alla esigenza del graduale rinnovamento del patrimonio edilizio è stato indicato un programma decennale per la costruzione di 1.300.000 vani all'anno.
Intervento dello stato. - L'interesse dello stato nel settore dell'edilizia allo scopo di assicurare la realizzazione dei fini previsti dalla Costituzione (artt. 3 e 47) si è espresso negli ultimi anni attraverso due fondamentali tipi di interventi: la proroga delle locazioni e l'incentivo della sovvenzione o della esenzione fiscale per la ricostruzione delle case danneggiate dagli eventi bellici, per l'incremento dell'edilizia privata, specie popolare, e per la costruzione di case per i senza tetto.
a) La proroga delle locazioni degli immobili urbani già disposta in base alla legge 10 maggio 1955, n. 368, è stata prorogata, con l. 21 dicembre 1960, n. 1521, sino al 31 dicembre 1964 (o alla scadenza consuetudinaria). Essa tende a sottrarre agli alti canoni della speculazione edilizia i cittadini non dotati di un alloggio proprio e che abbiano stipulato il contratto di locazione in epoca anteriore al 10 marzo 1947. La legge 10 maggio 1955, n. 368, aveva disposto tuttavia un graduale aumento dei canoni per le locazioni prorogate, salvo che per le abitazioni di infimo ordine o quando i conduttori versassero in determinate condizioni di povertà.
L'aumento dei canoni, per le locazioni ad uso abitazione o attività professionale ed artigiana prorogate, è stato nel quinquennio 1955-60 del 20% annuo, ridotto al 10% quando trattavasi di immobili locati per la prima volta dopo il 31 ottobre 1945 e fino al 10 marzo 1947, ed elevato al 100% nel caso - da accertarsi di volta in volta dal pretore - di contratto eccessivamente oneroso per il locatore, tenuto conto delle condizioni economiche del conduttore o del profitto che il conduttore trae dall'esercizio di attività nei locali locati. In ogni caso al termine del periodo di proroga previsto dalla legge il canone non doveva superare di 40 volte quello dovuto anteriormente all'entrata in vigore del d. l. 12 ottobre 1945, n. 669, e del doppio il canone iniziale, se trattavasi di contratti di locazione stipulati tra il 31 ottobre 1945 e il 10 marzo 1947.
Con la l. 21 dicembre 1960, n. 1521, i canoni degli immobili destinati ad abitazione sono stati aumentati nelle misure e con le modalità della legge del 1955, mentre per gli immobili destinati a uso diverso dall'abitazione, l'aumento è stato fissato nella misura annua del 25%, calcolato sul canone dovuto al 31 dicembre dell'anno precedente. Sono però esclusi dalla proroga, a decorrere dal 30 settembre 1961, gli immobili di lusso e quelli destinati a uso diverso dall'abitazione, eccettuati però i locali nei quali si eserciti dal conduttore un'attività professionale o artigiana o commerciale organizzata col lavoro proprio, dei familiari e di non più di cinque dipendenti.
L'intervento dello stato per la proroga dei contratti di locazione conserva, nonostante la lunga durata del regime vincolistico, natura temporanea e tende negli ultimi anni a diminuire le distanze tra il settore delle locazioni vincolate e quello delle locazioni libere.
b) La politica di incentivo all'edilizia è il secondo tipo di intervento dello stato nel settore edilizio, specialmente rivolto all'incremento della costruzione di case popolari, o diretta o attraverso appositi istituti di diritto pubblico: è questo un tipo di intervento che deve considerarsi permanente secondo i fini ed i compiti proprî dell'attività statale. L'incremento edilizio specie nel settore delle abitazioni interessa lo stato sotto un duplice profilo: in relazione alla politica di benessere a favore dei cittadini per assicurare ad ogni famiglia un alloggio sano e decoroso possibilmente in proprietà, in ogni caso ad un canone di locazione equo; ed in relazione alla politica della piena occupazione, perché l'industria edilizia - rispetto ad altri settori industriali - consente un notevole assorbimento di mano d'opera con una minore richiesta di capitale fisso in rapporto al volume della produzione. Nel quadro di un coordinamento delle iniziative pubbliche e private ai fini sociali e dell'incremento produttivo (art. 41 terzo comma della Costituzione), l'intervento dello stato per l'incremento edilizio assume quindi una funzione regolatrice degli investimenti ed è particolarmente indicato nelle situazioni congiunturali di recessione dell'attività degli altri settori industriali.
Secondo la relazione parlamentare presentata sul bilancio del ministero dei Lavori pubblici per l'esercizio 1959-60, gli investimenti nell'edilizia sono stati complessivamente, dal 1952 al 1958, di 4.915 miliardi con il seguente andamento:
La ripartizione degli investimenti in percentuale fra edilizia sovvenzionata ed edilizia privata in media è stata pari all'11,2% per la sovvenzionata e all'88,2% per la privata.
Da ciò si desume che, dal 1954 al 1958, sono state superate, come quantità di investimenti, le previsioni dello schema decennale di sviluppo dell'economia e del reddito (il cosiddetto Piano Vanoni), ma diverso è stato il rapporto dell'edilizia sovvenzionata con orientamento economico e popolare e dell'edilizia privata con prevalente orientamento verso i settori di abitazioni ad alto reddito. Infatti, contro la media dell'edilizia sovvenzionata dell'11,2%, il Piano Vanoni propone da un minimo del 51,5 ad un massimo del 64% di investimenti nell'edilizia economica e popolare comunque sovvenzionata dallo stato.
Legislazione. - Gli strumenti legislativi di cui lo stato dispone per la politica di interventi nel settore edilizio riguardano la riparazione e la ricostruzione di case danneggiate dalla guerra; gli investimenti diretti dello stato per la eliminazione delle abitazioni malsane; gli investimenti sollecitati dallo stato con sovvenzioni od esenzioni fiscali.
a) Ricostruzioni delle abitazioni distrutte dagli eventi bellici: la legge 25 giugno 1949, n. 409, innovando ed integrando rispetto al d. l. 10 aprile 1947, n. 261, ha autorizzato la concessione di un contributo del 4% annuo per 30 anni sulla spesa riconosciuta ammissibile per la ricostruzione, entro il 31 dicembre 1960, di fabbricati distrutti in conseguenza degli eventi bellici. Tale contributo è elevabile al 5% nei comuni dove si sia verificata una distruzione superiore al 75% dei vani preesistenti agli eventi bellici. Il contributo in capitale nella misura dell'8% è riservato alle ricostruzioni in comuni poveri con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti o che comunque abbiano un coefficiente di distruzione bellica superiore al 75%. Il d. l. 10 aprile 1947, n. 261, aveva previsto anche l'attuazione di piani di ricostruzione da attuarsi dai comuni o, in via integrativa, dallo stato.
b) Investimenti diretti dello stato: la legge 9 agosto 1954, n. 640, prevede l'investimento di 25 miliardi annui sino all'esercizio finanziario 1960-61 per la costruzione di case popolari da assegnarsi in locazione o con patto di futura vendita alle famiglie allocate in abitazioni improprie e malsane (grotte, baracche, scantinati, edifici pubblici, ecc.). Gli alloggi costruiti sono trasferiti in gestione agli Istituti Autonomi per le Case Popolari o alla giunta UNRRA-Casas. Scopi analoghi persegue la legge 21 marzo 1958, n. 299, che dispone il finanziamento per il risanamento dei "Sassi" di Matera.
c) Investimenti sollecitati dallo stato: gli strumenti più importanti a questo riguardo sono la legge 28 febbraio 1949, n. 43 e successive modificazioni (piano Fanfani), la legge 2 luglio 1949, n. 408 (piano Tupini), la legge 10 agosto 1950, n. 715 (legge Aldisio); nonché le agevolazioni tributarie contenute nel r. d. 28 aprile 1938, n. 1165, e nella legge 2 luglio 1949, n. 408. La legge 28 febbraio 1949, n. 43 (piano Fanfani), prorogata dalla legge 26 novembre 1955, n. 1148, prevede la costituzione di un fondo gestito autonomamente dall'INA-Casa, dotato di personalità giuridica e formato da un contributo pari allo 0,60% delle retribuzioni versate dai dipendenti comunque qualificati dell'industria, del commercio, del credito, delle assicurazioni nonché delle amministrazioni dello stato o degli enti pubblici territoriali o istituzionali, a cui deve aggiungersi il contributo dell'1,20% delle retribuzioni stesse versate dai datori di lavoro, ivi comprese le amministrazioni dello stato. Secondo la nuova legge di proroga 26 novembre 1955, n. 1148, il contributo dello stato è fissato in 12 miliardi annui sino all'esercizio 1962-63.
Gli alloggi costruiti con tali fondi sono assegnati per metà in affitto e per metà in proprietà, con contratto di vendita che consente il passaggio di proprietà con il pagamento dell'ultima rata del prezzo. Anche gli assegnatarî in locazione possono però chiedere il riscatto dell'alloggio (art. i n. 3 legge 26 novembre 1955, n. 1148). Gli alloggi sono assegnati a lavoratori scelti tra coloro che, pagando da almeno un anno i contributi INACasa, ne abbiano fatto domanda. La costruzione degli alloggi può altresì essere promossa da cooperative dipendenti da un'azienda o amministrazione pubblica. Al 31 dicembre 1958 il totale degli alloggi costruiti attraverso la gestione INA-Casa ammontava a 177.463, di cui 146.384 relativi al primo settennio (1949-56) per circa 1.100 miliardi di investimenti.
Il piano Tupini (legge 2 luglio 1949, n. 408), che ha avuto vigore sino all'esercizio finanziario 1958-59, prevede la corresponsione di un contributo del 4% sui mutui delle somme ritenute ammissibili per la durata di 35 anni a favore di enti e di società cooperative che costruiscono case economiche popolari per l'assegnazione agli aventi diritto o ai proprî soci. Assegnatarî possono essere solo coloro che non abbiano già in proprietà altro alloggio idoneo nel luogo di residenza. La concessione del contributo dello stato è condizionata alla stipulazione del contratto di mutuo con un istituto di credito.
La legge Aldisio (legge 10 agosto 1950, n. 715) prevede la costituzione di un "fondo per l'incremento edilizio" che consente, tramite gli istituti di credito fondiario ed edilizio, la concessione a privati e cooperative di mutui del 75% del costo effettivo dell'area e della costruzione ad un interesse non superiore al 4% entro il termine di 35 anni per la costruzione di case di tipo economico. Le anticipazioni e le condizioni relative alle concessioni dei mutui sono regolate da apposite convenzioni tra il ministero del Tesoro e gli istituti di credito.
Complessivamente il piano Tupini e la legge Aldisio hanno consentito dal 1949 al 1958-59 l'investimento edilizio di circa 621 miliardi con un ammontare di contributo dello stato di 24 miliardi e 872 milioni.
Le agevolazioni tributarie riguardano l'esenzione per 25 anni dalle imposte sui fabbricati per le abitazioni non di lusso, l'esenzione dall'imposta proporzionale di registro per l'acquisto delle aree occorrenti per la costruzione dei fabbricati ad uso di abitazione, nonché l'esenzione dalla imposta di consumo sui materiali da costruzione. Infine è accordata la riduzione della metà della imposta di registro per la vendita degli immobili entro quattro anni dalla loro ultimazione e dalla dichiarazione della loro abitabilità.
Riscatto degli alloggi. - Il Parlamento con legge 21 marzo 1958, n. 447 ha delegato il governo ad emanare il testo delle norme occorrenti per disciplinare la cessione in proprietà a favore dei richiedenti degli alloggi di tipo popolare non assegnati in proprietà.
Nell'esecuzione di tale delega il governo con d. P. R. 17 gennaio 1959, n. 2, ha consentito il riscatto volontario, che si opera su richiesta dei 7 decimi degli inquilini degli edifici costruiti a cura dello stato o degli enti pubblici che presiedono all'edilizia popolare, o comunque con il contributo dello stato.
Organi di coordinamento dell'attività edilizia. - Il ministero dei Lavori Pubblici presiede all'attività edilizia privata e al coordinamento dei relativi fini ed alle concessioni dei contributi. Sussistono, tuttavia, una serie di enti che hanno competenza specifica in materia edilizia in forza delle rispettive leggi istitutive. Così in ogni provincia esistono Istituti Autonomi per le Case Popolari, che sono enti dotati di personalità giuridica pubblica distinta da quella dello stato, anche se il loro presidente è di nomina ministeriale. Tali enti godono di una autonomia patrimoniale che consente loro di acquistare aree di edificazione, contrarre mutui, assegnare alloggi con o senza il contributo dello stato. Funzioni analoghe, anche se in un settore più limitato, esplica l'INCIS (Istituto Nazionale Case Impiegati dello Stato). Uno sviluppo particolare hanno avuto infine l'INA-Casa e le cooperative edilizie. Per il coordinamento dell'attività edilizia svolta da tutti questi enti con il concorso dello stato fu istituito con d. P. R. 25 gennaio 1954 un apposito Comitato da cui è nato un Comitato per l'Edilizia Popolare (CEP) con il compito di attuare, con la collaborazione degli enti che si occupano di edilizia popolare, quartieri o città satelliti nelle principali città italiane.