CASSIODORO (Cassiodorus, Flavius Magnus Aurelius Senator)
Chiamato soltanto Senator nei fasti consolari; a cominciare da Paolo Diacono, anche Cassiodorus. Discese da antica famiglia passata dall'Oriente in Italia. L'avo, tribuno e notaro sotto Valentiniano III (425-455), con Carpilione, figlio del suo amico Ezio, fu inviato come legato ad Attila e riuscì a placarlo. Il bisavolo difese la Sicilia e il Bruzio dalle incursioni dei Vandali. Così i C. si affermarono nel Bruzio. Ma quando, tra il 480 e il 490, nacque a Squillace Senatore, nella famiglia era cessata l'opposizione ai barbari. Il padre, sebbene sotto Odoacre fosse comes privatarum et sacrarum largitionum, agevolò, tuttavia, a Teodorico la conquista della Sicilia, di cui era amministratore. Ne ottenne il governo della Lucania e del Bruzio, la carica di praefectus praetorio e, nel 507, il patriziato. Consiliarius del padre, Senatore si orientò verso il re ostrogoto, che gli appariva diverso dagli altri barbari, come colui che voleva la concordia tra Romani e Goti. Un elogio in onore di Teodorico gli guadagnò la stima del re, che lo elevò alla questura per farne strumento della sua politica. Quaestor, consul ordinarius, magister officiorum, ministro per la politica interna, con lo stile pomposo, ampio, C. dava a ogni editto, a ogni lettera che stendeva per il re, colorito, tono, riflesso di romanità. Convinto fautore della politica regia di fusione tra Romani e Goti, a servizio di questo ideale mise C. la sua penna, componendo laudatoriae per re e regine. Morto Teodorico, la chiesa e l'elemento romano ne perseguitarono la memoria; C., invece, con la Historia gothica, esaltò la gloria dei re Goti, longa oblivione celatos, dimostrando ai Romani, fieri della loro nobiltà, che il re goto era di antiqua progenies. Volle con questa opera, riecheggiante saghe e canti, gettare un ponte tra i due popoli. Atalarico ne fu grato a C., conferendogli la prefettura. C. divenne, allora, più potente che mai. Nelle sue mani erano accentrati i più delicati poteri: era magister officiorum, quaestor, praefectus praetorio; ma provvedeva a tutto: erat solus ad universa sufficiens. Nel trambusto della successione salvò lo stato: labore eius - dice Atalarico - actum est ne laboraret imperium. Quando l'Italia meridionale fu minacciata da Giustino, C. fu provinciarum verissimus custos (Variae, IX, 25). Volle rispettata la giustizia: omnia vobis iusta - scriveva ai giudici - omnia moderata promittite (Variae, XI, 7). Ma, mentre egli perseguiva l'ideale d'uno stato basato sulla giustizia, avveniva lo strangolamento di Amalasunta, a lui cara. C. restò, tuttavia, alla corte, consigliando a Teodato remissività verso l'Impero. Ma questo volle la guerra, che portò alla deposizione di Teodato. E C. annunziò ai Goti l'elezione di Vitige avvenuta "per grazia divina e per volontà libera del popolo" e condivise le speranze del sovrano che prometteva ai sudditi un forte regno. Procurava mezzi all'esercito, ne irrobustiva la disciplina, reprimeva moti nel Bruzio e nella Lucania, e vani appelli per la pace lanciava all'imperatore. Allora, sollecitato anche dall'ambizione letteraria, C. pensò di lasciare ai posteri una documentazione della sua attività politica, pubblicando, nel 537, sotto il titolo di Variae, una silloge di lettere scritte per ordine de' suoi re; fonte preziosa per la conoscenza del ministro e dei tempi. Tre anni dopo, Belisario entrò in Ravenna, facendo prigioniero Vitige. C. era, ormai, un superato. Aveva spinto il germanesimo alla fusione con l'elemento romano. Ma con l'intervento di Giustiniano questa politica ebbe un aspetto tanto più antipatico quanto più sfolgorante era il programma imperiale. I grandi avvenimenti svalutarono agli occhi di C. l'ideale di potenza e di gloria. Così venne fuori il De anima, che egli aggiunse come libro XIII in appendice alle Variae. Per C. l'anima è rationabilis et immortalis. È luce, perché immagine di Dio. È responsabile del peccato di Adamo, che la chiesa lava col battesimo. Sede degna dell'anima è il capo sphaera pulcherrima; tempio ne è tutto il corpo in effigiem pulcherrimae speculationis erectum, ad res supernas et rationabiles intuendas. Dopo la morte, ai pravi dolor sine fine; ai buoni cuncta tranquilla... serenitas aeterna. Sulla terra non ci sono porpore che eguaglino le reti dei pescatori del Signore: quelle cacciano gli uomini nelle tempeste della società, queste ci portano ad litus aeternae securitatis, che è l'aspirazione nuova di C. Ritiratosi a Squillace, fondò due conventi: uno, semplice eremitaggio su di un colle; l'altro, il vero monastero, a Vivarium, lungo il Pellena. Già, nel 534, aveva proposto al papa Agapito di istituire in Roma una università cristiana. Fallito il tentativo, fece del chiostro un centro di studî. Abate e scrupoloso seguace della regola, volle accanto alla preghiera e al lavoro manuale la lettura dei libri sacri e profani. Istituì una ricca biblioteca con codici di Roma e di Ravenna, e con altri procuratisi mediante grandi spese. Per agevolare lo studio, compose le Institutiones divinarum lectionum o litterarum le quali sostituivano l'opera dei maestri. Oltre le indicazioni relative ai libri della Bibbia, le Institutiones dànno cenni sugli storici cristiani, dei quali è citato per primo Giuseppe, tradotto in latino dagli amici di C. Per correggere errori di trascrizione, consigliava ortografi antichi (Vellio Longo, Curzio Valeriano, Papiriano) e il suo De orthographia; accanto ai libri spirituali, quelli di medicina (Dioscoride, Galeno, Ippocrate, Aurelio Celso). Ma agli studî sacri i monaci di Vivarium giungevano, a differenza di quelli di S. Benedetto, per i gradini degli studî letterarî. Se C. si fece iniziatore di quella teorica letteraria, per la quale le sacre scritture sono anche modelli di stile, d'altra parte affermò che i santi padri non vietano la conoscenza della letteratura profana, la quale aiuta a comprendere la sacra scrittura (Lib. div. litt., 28). Perciò scrisse le Institutiones saecularium lectionum o litterarum, che concernono le arti liberali. Origine e fondamento di esse, la grammatica, per la quale C. attinge, di preferenza, a Donato. Per la rettorica risale a Cicerone, a Quintiliano, a Fortunaziano. La parte più vasta del libro è la dialettica. Suddivisa la filosofia secondo Aristotele, ne dà la definizione: philosophia est meditatio mortis, che più si conviene ai cristiani. Sono poi esposte le categorie, il contenuto del Περὶ ἑρμηνείας, i sillogismi categorici, gl'ipotetici, le definizioni e i luoghi dialettici con le opere di C. andate perdute; i topici. Chiude l'esposizione con notizie sulle opere tradotte in latino. Con le Institutiones e la trascrizione dei codici C. salvò dal naufragio la letteratura dell'antichità e destò negli uomini del Medioevo la curiosità del sapere. Da Alcuino a Rabano di Fulda, da Sedulio Scotto ad Aureliano di Moutier-Saint-Jean, la cultura medievale risente dell'influsso del C. Nel Vivarium dove si spense non prima di 93 anni, C. lavorò per la romanità molto più utilmente che nella corte degli Ostrogoti.
Insieme con Boezio, C. è tra i più importanti scrittori che trattarono di musica nel sec. VI. I suoi scritti costituiscono altrettanti anelli di congiunzione fra le teorie musicali dell'antichità e quelle medievali. C. non reca elementi nuovi alla sistematica musicale dei suoi tempi, ma di questa raccoglie e ordina sapientemente tutto il vasto materiale, con lo scopo di completare la sua opera scientifica ai servigi della teologia. Considera pertanto gli aspetti dell'effectus musicae secondo concetti proprî al cristianesimo (si legga al riguardo C. stesso, in Variae, II, 40, lettera di Teodorico a Boezio; Mon. Germ. Hist., XII, p. 60 segg.). Riguardano particolarmente la storia della musica i seguenti scritti di C.: a) De musica, in De artibus ac disciplinis liberalium artium, scritta tra il 550 e il 562; b) Expositio in Psalterium; c) l'epistola: Boetio patricio Theodoricus Rex.
Edizioni: Quella generale del Migne, Patr. Lat., voll. 69-70; Chronica, in Abhandl. der philol.-hist. Classe d. k. Sächs. Gesell. d. Wissenschaften, III, 1861, p. 549 e in Mon. Germ. Hist., Auct. Antiquiss., XI, Chron. min., II, 1894, pp. 109-161; Variae e Orationum reliquiae, in Mon. Germ., Auct. amiquiss., XII, 1894; Institutiones divinarum lectionum, in Mon. Germ., Auct. antiquiss., XI, 1894, pp. 39-41; Institutiones saec. lect., c. 1 (De grammat.), in Keil, Gramm. lat., VI, p. 210-216; c. 2 (Reth.), in C. Halm, Reth. lat. min., Lipsia 1863, pp. 495-500. Il De musica anche in Gerbert, Scriptores, I.
Bibl.: A. Thorbecke, Cassiodorus Senator, Heidelberg 1867; A. Franz, M. Aurelius Cassiodorus Senator, Breslavia 1872; L. Schmidt, Gesch. d. deutschen Stämme bis zum Ausgang der Völkerwanderung, I, Berlino 1904, p. 1; Manitius, Geschichte d. lateinischen Literatur im Mittelalter, I, Monaco 1911, p. 36 segg.; L. M. Hartmann, Geschichte Italiens im Mittelalter, I, 2ª ed., Gotha 1923; G. Romano, Le dominazioni barbariche in Italia, Milano s. a. Su particolari aspetti della figura e atti della vita di C., vedi: I. Ciampi, I Cassiodori nel V e nel VI secolo, Imola 1876; T. Hodgkin, The letters of Cassiodor, Londra 1886; G. Minasi, M. A. Cassiodoro Senatore, Napoli 1895; P. Lehmann, Cassiodorstudien, in Philologus, LXXI (1912); J. Sundwall, Abhandlungen zur Geschichte des ausgehenden Römertums, Helsingfors 1919; M. Schanz, Geschichte der römischen Literatur, IV, ii, Monaco 1920, p. 92 segg.; F. Schneider, Rom und Romgedanke im Mittelalter, Monaco 1926; G. A. Punzi, L'Italia del VI secolo nelle "Variae" di Cassiodoro, Aquila 1927; L. Schmidt, Cassiodor und Theoderich, in Hist. Jahrb., XLVII (1927), p. 727 segg.
Per la dottrina musicale: W. Brambach, Die Musikliteratur des Mittelalters, Lipsia 1883; K. Schmidt, Quaestiones de musicis scriptoribus romanis imprimis Cassiodoro et Isidoro, Darmstadt 1899; H. Abert, Zu Cassiodor, in Sammelbände der Internat. Musikgesellschaft, III (1901-02); G. Pietzsch, Die Klassifikation der Musik von Boetius bis Ugolino von Orvieto, in Studien zur Geschichte der Musiktheorie im Mittelalter, I, Halle 1929.