Figlio (n. 454 circa - m. 526) di Teodemiro re degli Ostrogoti della stirpe degli Amali. Succeduto al padre (474), sconfitto il re degli Eruli Odoacre (493), divenne sovrano del regno ostrogoto in Italia. Il suo governo fu improntato alla pacificazione tra Ostrogoti e Romani e a una serie di interventi tesi a risollevare i territori sottoposti alla sua sovranità dal degrado in cui versavano in seguito alla crisi economica e sociale maturata durante la tarda età imperiale.
Inviato in giovanissima età a Costantinopoli come ostaggio (462), ebbe modo d'istruirsi e di conoscere la civiltà greco-romana. Tornato presso il suo popolo (472), sconfisse il re dei Sarmati occupando Singidunum (Belgrado); divenuto re e si stanziò nella Mesia Inferiore. Prese parte alle guerre dell'Impero e fu insignito da Zenone del titolo di patrizio. Seguirono con l'imperatore relazioni oscillanti, finché T. ottenne di recarsi in Italia per cacciarne l'erulo Odoacre. Partito (488) con un forte esercito e tutto il suo popolo, vinse prima i Gepidi, poi, sull'Isonzo e a Verona, le altre truppe di Odoacre, che fu costretto infine (489) a chiudersi in Ravenna, mentre buona parte del suo esercito passava a Teodorico. Ma ben presto i barbari e molti Romani, delusi e scontenti, assunsero un atteggiamento incerto, il che indusse T. a ritirarsi a Pavia. Battuto Odoacre un'altra volta sull'Adda (490), T. assediò Ravenna. Odoacre, dopo aver resistito tre anni, capitolò; T., che prima gli aveva offerto di dividere il dominio, sospettando di lui l'uccise. Divenuto padrone d'Italia, raggiunse con l'imperatore un accordo sul suo riconoscimento solo nel 498. T. mantenne l'antico ordinamento romano: ai Romani erano assegnate quasi tutte le cariche civili; ai Goti rimanevano tutti gli uffici militari; nell'amministrazione della giustizia, il popolo romano era giudicato da cognitores, mentre i Goti erano giudicati dai capi militari; in tutte le cause poteva intervenire il re ed emettere giudizi non contemplati dalla legge. Durante il suo governo si ebbe un rifiorire dell'agricoltura, in conseguenza anche di bonifiche, mentre invece la pesante tassazione deprimeva il commercio. Fu dato incremento all'edilizia, restaurando le antiche costruzioni a Roma e innalzandone di nuove, specialmente a Ravenna. Consolidatosi al potere, T. si sforzò di assicurare la pace, all'interno con provvedimenti volti a promuovere l'intesa e la convivenza tra Goti e Romani, all'esterno con un'abile politica di matrimoni e di accordi con Visigoti, Burgundi, Vandali, Turingi, Eruli, tenendo però a far riconoscere dagli altri barbari la propria superiorità come rappresentante in Occidente dell'imperatore. Ma a poco a poco queste alleanze si andarono allentando: entrato in guerra (509) contro i Franchi, che avevano attaccato i Visigoti di Spagna, li sconfisse ad Arles, annettendo all'Italia la Provenza; in seguito anche i Burgundi e i Vandali ruppero le buone relazioni. Benché ariano, mantenne sempre ottimi rapporti con il vescovo di Roma. In occasione della doppia elezione papale del 498, intervenne attivamente nella questione tra Lorenzo e Simmaco. Quando (518) avvenne la riconciliazione tra la Chiesa romana e quella greca, la posizione di T. divenne difficile, perché i rapporti tra l'aristocrazia senatoria italica e Costantinopoli si fecero di nuovo più stretti. Il matrimonio della figlia Amalasunta con Eutarico, ostile ai Romani, rese più tese le relazioni tra i due popoli. Alla morte di Eutarico i rapporti fra T. e i Romani si distesero, ma presto rinacquero i sospetti: il magister officiorum Boezio e suo suocero Simmaco, capo del senato, furono accusati di complotto con l'imperatore d'Oriente Giustino I, imprigionati e uccisi. Il contrasto con l'elemento romano fu accentuato dalla pubblicazione dell'editto di Giustino contro gli ariani (probabilmente verso la fine del 524). T. ordinò al papa Giovanni I di recarsi a Costantinopoli per indurre Giustino a ritirare l'editto (525). Irritato per l'esito non del tutto positivo del viaggio di Giovanni I, fece gettare il papa in prigione, dove morì (526). Privo di eredi maschi, T. lasciò come suo successore il giovanissimo nipote Atalarico.
A T. è stato in passato attribuito il corpo di leggi chiamato editto di T., pubblicato per la prima volta da P. Pithou (1579) sulla base di due manoscritti in seguito andati persi. Fu attribuito a T. perché all'interno vi si presupponeva l'osservanza dello ius publicum e delle leges romanae, e perché le norme vincolavano sia i Goti sia i Romani, conformemente alle direttive che T. aveva notoriamente seguito nell'emanare il proprio editto; le ricerche di P. Rasi, G. Vismara, H. Nehlsen hanno ormai di fatto quasi del tutto escluso questa paternità teodoriciana, lasciando però ancora incerta non solo l'attribuzione, ma anche il luogo e l'età di redazione dell'editto (pur se si propende per Teodorico II re dei Visigoti). Il testo consta di 154 capitoli, preceduti da un proemio e seguiti da un epilogo. Il testo è in genere attinto dalle costituzioni del Codice teodosiano o dalle Novelle posteodosiane, e, per gli iura, dalle Sententiae di Giulio Paolo, ma con forma propria. Nessuna influenza sicura di diritto germanico; notevoli le tracce di diritto volgare. La questione della data di compilazione è stata molto discussa ed è, naturalmente, in relazione all'attribuzione.