caste
Gruppi sociali rigorosamente chiusi
Il termine deriva dalle lingue spagnola e portoghese, nella quale casta significa "razza" o "stirpe". Esso indica più in generale un gruppo sociale rigorosamente chiuso e separato, che può essere identificato da una comune origine o da legami di parentela, secondo l'originario significato della parola, oppure da una professione o da un'occupazione condivisa
Di regola, l'appartenenza a una casta determina il rango dei suoi membri, il loro specifico valore sociale, a cui si lega normalmente una serie articolata di privilegi che possono essere positivi (per le caste superiori) o negativi (per le caste inferiori). Tale appartenenza è per lo più regolata dalla nascita, è garantita dall'endogamia, vale a dire da matrimoni tra individui che appartengono al medesimo gruppo, ed è giustificata da tradizioni considerate a vario titolo sacre. Queste tradizioni legittimano più in generale veri e propri sistemi di caste, che nel loro insieme costituiscono il corpo sociale.
Il concetto di casta presenta diverse affinità con il concetto di ceto (per esempio la nobiltà), anche se le barriere che separano le caste sono assai più rigide di quelle proprie dei ceti. Entrambi i concetti vengono spesso contrapposti dagli studiosi al concetto di classe, che indica in genere un gruppo di soggetti che condividono una medesima situazione professionale ed economico-sociale, senza per questo essere legati al gruppo stesso da vincoli di natura formale, sacrale, rituale o religiosa.
Mentre, dunque, i sistemi di caste e le società per ceti sono caratterizzati da un sostanziale immobilismo, le società di classe ‒ tipiche del mondo emerso tra Settecento e Ottocento dalla rivoluzione industriale ‒ sono invece segnate da una rilevante mobilità sociale.
Il sistema delle caste si è radicato in svariate forme nei diversi contesti storici e sociali. È tuttavia in India (v. anche India, storia della) che esso si è sviluppato nella sua forma più caratteristica e compiuta, in stretta associazione con la religione induista (induismo), che ha stabilito la sacralità e l'inviolabilità di quel sistema. Esso ha con ogni probabilità le sue origini nell'invasione dell'India da parte di popolazioni indoeuropee intorno al 2° millennio a.C. e nelle differenze razziali tra gli invasori e i dominati.
Il sistema delle caste fu istituzionalizzato gradualmente lungo tutto il corso del 1° millennio a.C., quando emerse la suddivisione fondamentale tra le quattro caste dei sacerdoti (brahmana), dei guerrieri (ksatriya), dei mercanti e degli artigiani (vaisya), dei servi (sudra). A esse si aggiunse, al grado più basso della scala sociale, la casta degli intoccabili (paria), a cui erano riservate le mansioni e le prestazioni più umili e degradanti. Tra questi gruppi ‒ cui si apparteneva per nascita e che vennero in seguito articolandosi in un complicato sistema di sottocaste ‒ regnava una rigida separazione, che quasi sempre era espressa da divieto del contatto (oltre che della mobilità) tra le caste.
Il sistema indiano delle caste era più in generale giustificato e legittimato dai precetti etici e religiosi dell'induismo, fondati sulla dottrina della reincarnazione. Tali precetti, infatti, affidavano all'individuo il compito di assolvere e rispettare esclusivamente i doveri della propria casta di appartenenza, facendo dipendere proprio dal rispetto dei doveri di casta la possibilità di una successiva rinascita e reincarnazione in una casta superiore.
Fattore potentissimo per legittimare la conservazione delle gerarchie sociali, difficilmente compatibile con le più elementari forme di mobilità proprie delle società moderne, il sistema indiano delle caste è stato abolito per legge dopo la realizzazione dell'indipendenza dell'India (1947). Tuttavia ha continuato anche in seguito a esercitare una profonda influenza sugli equilibri della società indiana, soprattutto nel mondo rurale.