CORRENTI, Cesare
Nacque a Milano il 3 genn. 1815 da Giuseppe, di "antica famiglia patrizia" (Massarani, p. 21)e da Teresa Gerenzani.
Le non floride condizioni della famiglia non impedirono che il C. fosse avviato agli studi, che seguì con buoni risultati prima al collegio Longone di Milano poi a Pavia dove, ammesso al collegio Ghislieri, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza laureandosi nel 1837. A Pavia dovette conoscere A. Depretis, di tre anni maggiore, ma studente di giurisprudenza negli stessi anni, cui sarà strettamente legato per tutta la vita. Entrato nella amministrazione del Lombardo-Veneto come alunno d'ordine, poco dopo fu promosso aggiunto e inviato presso la Regia Delegazione di Bergamo; nel 1840 ritornò a Milano essendo stato nominato vicesegretario della Commissione liquidatrice del debito pubblico.
Tradusse le osservazioni e le ricerche effettuate nella sua attività amministrativa in importanti contributi alle riviste lombarde del tempo. Negli Annali di statistica pubblicò, tra l'altro, le Indicazioni storiche e statistiche sulla provincia di Bergamo, che contengono una quantità di elementi utilissimi per conoscere le condizioni sociali, lo sviluppo economico, i sistemi di produzione e di lavoro (1844-45). Per il quinto congresso degli scienziati italiani, organizzato a Milano, preparò una relazione sul lavoro dei fanciulli (1844); offrì, inoltre, a C. Cattaneo informazioni statistiche per le Notizie naturali e civili sulla Lombardia progettate per la medesima occasione. Il C., nonostante questa collaborazione e il reciproco rapporto di stima e amicizia, non entrò nell'orbita del Cattaneo; così come, pur conoscendone il pensiero ed ammirandone molti aspetti, non divenne seguace di G. Mazzini. Appartenne a quel gruppo di giovani tra i quali "si venne accennando il distacco dal cattolicesimo e l'avvicinamento alla forma razionalistica della dottrina del progresso" (Croce, Storia della storiogr. ital. ..., I, p. 26) insieme a Carlo Tenca. La sua inclinazione ad un solido e coerente lavoro culturale è attestata dall'ampio studio su La scuola alessandrina, pubblicato nella Rivista europea del 1845. Il Croce gli ha attribuito anche una rassegna anonima, apparsa nel medesimo periodico, Storia degli studi sulle origini italiche (1846), basandosi su una nota della rivista che indica nel C. il presentatore dell'articolo.
Dopo il 1846 fu tra i milanesi maggiormente impegnati nell'opposizione all'Austria e nella preparazione dell'insurrezione. In relazione con gran parte della gioventù colta, aristocratica e borghese, esercitò, per l'ingegno riconosciutogli, una grande attrazione, senza farsi portatore di un preciso programma politico, ma affermando recisamente l'esigenza di organizzarsi per cacciare l'Austria dall'Italia. Il suo intervento più importante in questa fase fu la stesura del libro L'Austria e la Lombardia (Italia 1847), al quale va assegnato notevole peso nella formazione dell'opinione nazionale e nel quale si trova la più documentata ed esplicita denuncia delle carenze e dei danni dell'amministrazione austriaca allo sviluppo della penisola, alla dignitosa esistenza degli Italiani. Il governo austriaco combatteva nobili sentimenti quali l'amor di patria, la dignità personale, lo spirito di progresso, e pretendeva che ne rimanessero vivi altri.
Mentre il libro aveva una larga diffusione clandestina, tanto che nell'autunno del 1847 dovette prepararne una seconda edizione, il C. poneva mano a compilare un almanacco regolare.
Il primo fascicolo, intitolato Il nipote del Vesta Verde, uscì alla fine del 1847, con la data del 1848, dalla tipografia fratelli Vallardi di Milano. Dopo l'interruzione causata dagli avvenimenti del 1848-49, riprese ad essere pubblicato nel 1850 e continuò fino al 1858, dedicato particolarmente agli operai che "con le fatiche delle braccia pagano così nobilmente il loro tributo alla società". L'almanacco trattò di istituzioni utili al popolo, come gli asili per l'infanzia e le società di mutuo soccorso, offrì nozioni di geografia economica accompagnate da minute statistiche, insegnò l'igiene e l'economia, evidenziò la validità del progresso della scienza e della tecnica. Il C. non era nuovo a queste esperienze; già nel 1837 aveva dato alle stampe il Presagio, una tra le più intelligenti "strenne" diffuse in quel periodo.
All'intervento culturale il C. unì la partecipazione ad agitazioni rivolte a provocare la reazione repressiva dell'Austria, come quelle (5 e 8 sett. 1847) in occasione dell'entrata in Milano dell'arcivescovo italiano C. B. Romilli, di cui fu "attore" e che definì "moto disciplinato", destinato a preparare gli spiriti ad affrontare con le armi lo straniero. Le giornate del gennaio '48, in cui le autorità austriache uscirono allo scoperto con l'intento di terrorizzare la popolazione dopo le molteplici manifestazioni di ostilità ricevute, accelerarono il processo di organizzazione del movimento volto a promuovere l'insurrezione, e il C. fu ancora in prima fila. Protagonista fu anche, la sera del 17 marzo, quando venne da Vienna la notizia della rivoluzione: fu il C. a raccogliere gli amici ed a stendere il programma ultimatum, presentato la mattina successiva all'autorità austriaca.
Conclusasi vittoriosamente l'insurrezione, fu nominato segretario del governo provvisorio, e si sforzò di rappresentarvi le richieste democratiche verso la maggioranza moderata, mostrandosi diffidente nei confronti del completo cedimento a Carlo Alberto, proposto dagli aristocratici. Sostenne la tesi, accettata anche dal Cattaneo, che le decisioni relative alla sorte futura della Lombardia dovevano essere rinviate "a guerra vinta", e invitò il Mazzini a collaborare con il governo provvisorio per controbilanciare, con la sua presenza, il peso dei moderati. Dalla fine di marzo ai primi di maggio il C. però modificò il suo atteggiamento, accogliendo le istanze della maggioranza moderata e stilando, il 12 maggio, il proclama che indiceva il plebiscito per l'annessione della Lombardia al Regno di Sardegna, decisione che fu invano e accanitamente combattuta dal Cattaneo. Le ragioni di questa conversione vengono identificate nella sua mancanza di un sistema di idee precise e sicure sull'indirizzo politico da seguire; il C. non aveva particolari orientamenti e convinzioni sulle forme in cui avrebbe potuto concretarsi il moto nazionale.
La conversione del maggio 1848 lo distaccò dai democratici senza, d'altra parte, vincere le diffidenze dei moderati che non mancarono di affiorare quando, dopo la sconfitta piemontese e il ritorno degli Austriaci in Milano, dovette emigrare in Piemonte. Qui divenne membro assai attivo della cosiddetta Commissione per i lavori statistici, creata nel novembre del 1848 con lo scopo effettivo di dirigere il collegamento e la propaganda nelle città lombarde servendosi di comitati locali che, una volta ripresa la guerra, avrebbero diretto l'insurrezione. In questa e in altre attività il C. oscillò tra la conformistica adesione al partito carloalbertista, suggeritagli dai legami con i maggiori esponenti moderati, e la valorizzazione degli ideali democratici, che restavano in sostanza i più sinceri e profondi del suo spirito. Quando scrisse, nel luglio 1849, I dieci giorni dell'insurrezione di Brescia nel 1849, Torino 1849 (della quale il Croce notava anche i pregi letterari), non intese soltanto rendere omaggio ad un episodio glorioso e incitare al proseguimento della lotta per la liberazione della penisola, ma volle anche affermare l'importanza della guerra di popolo e l'esigenza della partecipazione popolare contro chi avrebbe voluto che fosse solo il re Carlo Alberto a muoversi e nessuna arma posta nelle mani del popolo. Nei primi mesi del 1850 preparò la relazione per l'Archivio triennale del Cattaneo sugli avvenimenti milanesi precedenti l'insurrezione del marzo 1848, nella quale non tralasciò di denunciare gli errori e le carenze del partito carloalbertista.
Ma questa sua intermediazione si tradusse nell'immagine che del C. tracciava il Tommaseo, dopo una sua visita a Venezia nel giugno 1848: "uomo in cui la disinvoltura de' modi simulava schiettezza d'animo e prontezza di mente, contento di sé come sogliono i grassi e i giornalisti novelli. Il quale, essendo del governo di Lombardia, e facendosi amico a repubblica, diceva di avere infino all'ultima notte combattuto fieramente co' propri pensieri, e ceduto per necessità amara" (Venezia negli anni 1848 e '49, a cura di G. Gambarin, II, Firenze 1950, p. 65).
Conclusasi la guerra dopo la sfortunata ripresa della primavera del 1849, il C. si dedicò in Piemonte ad un'intensa attività pubblicistica collaborando a La Donna italiana, alla Rivista contemoporanea, L'Italia economica, e successivamente al Progresso che fu l'organo ufficiale dei profughi lombardi. Si avvicinò allora alla Sinistra parlamentare, spintovi dall'inclinazione democratica e dall'amicizia rinsaldata nell'esilio piemontese col Depretis. Assieme al quale ed a G. Robecchi nel 1854 diede vita al Diritto, che ebbe un posto abbastanza importante nel giornalismo italiano, nel decennio di preparazione e dopo l'Unità. Ma questo suo schieramento durò soltanto fino alla partecipazione sarda alla guerra di Crimea, quando si discostò nettamente dai suoi compagni, a favore della politica del Cavour che, proprio in quel momento, stava ricevendo i più decisi attacchi da parte della Sinistra. Egli giustificò questo nuovo mutamento politico facendo "della guerra di Crimea anche una guerra ideologica, l'Europa contro la Russia, la civiltà contro la barbarie, la libertà contro l'eroismo della servitù" (Chabod, p. 467). Proprio in quegli anni il C. stava raccogliendo il materiale e stendendo alcune parti di una Storia della Polonia che nel 1855, forse perché sopraffatto dagli impegni politici, interruppe.
L'accostamento al Cavour, che non gli risparmiò critiche severe, non turbò i suoi rapporti col Depretis, che rimasero saldissimi, e neppure quelli con l'Estrema democratica cattaneana e mazziniana; nel 1857 fu incaricato dal Cavour d'intervenire presso Mazzini perché non gli creasse difficoltà con l'organizzazione del moto di Genova. Oggetto di rilievi fu il suo voto favorevole in Parlamento (era entrato nella Camera subalpina nella seconda legislatura, quale rappresentante di Stradella, la città del Depretis) alle leggi eccezionali di polizia proposte dal Cavour nel 1858, e si giustificò adducendo l'esigenza inderogabile di un rigore estremo nel controllo dell'ordine pubblico per non vanificare i risultati dell'azione politica e diplomatica in corso. Ancora una volta veniva in luce che la preoccupazione fondamentale del C. era quella di raggiungere l'indipendenza e l'unità nazionale, sul cui altare potevano essere sacrificate altre convinzioni. Il primo ministro piemontese si servì della sua opera soprattutto nel 1859, alla vigilia della guerra per la liberazione della Lombardia; il C. predispose infatti un memoriale sulle condizioni del LombardoVeneto nel 1858-59, che inviò al Cavour il 28 genn. 1859 e che costituisce un'analisi storica precisa della situazione amministrativa del Regno assoggettato all'Austria con le proposte dell'assetto futuro dopo la liberazione (Memoriale, in Il carteggio Cavour-Nigra dal 1858 al 1861, II, La campagna diplomatica e militare del 1859, Bologna 1961, pp. 271 ss.). La preoccupazione, affiorata nel Memoriale, che la Lombardia venisse snaturata nelle sue tradizionali istituzioni, riemerse nell'articolo Finis Longobardiae, pubblicato il 12 genn. 1860 dal giornale moderato milanese La Perseveranza, nel quale respingeva i criteri di rigido accentramento proposti dal Cavour. Ciò dovette accentuare una diffidenza di fondo, mai del tutto scomparsa, del primo ministro piemontese; il 20 genn. 1860, mentre si trattava la formazione del governo con la partecipazione dei lombardi, S. Jacini riferiva a G. Massari che il Cavour aveva affermato "che a Correnti non avrebbe affidato nemmeno il governo di Moncalieri" (G. Massari, Diario dalle cento voci, 1858-60, Bologna 1959, p. 470).
Nelle prime elezioni dopo la proclamazione del Regno fu eletto deputato al Parlamento italiano nel collegio di Abbiategrasso; in quelle del 1865 fu eletto in uno dei collegi di Milano, e confermato fino al 1886, quando gli fu contrapposto G. Colombo, esponente del moderatismo lombardo, che prevalse. Pur appartenendo alla Destra, mantenne una posizione abbastanza indipendente e inclinò sempre ad accostarsi al Centrosinistra, finché, nel 1876 passerà alla Sinistra, la cui leadership era stata assunta dall'amico Depretis. Intransigentemente laico, in ciò simile al Cattaneo, fu nemico delle alleanze dei moderati con i clericali.
Nei primi anni dopo l'Unità il rilievo politico e parlamentare del C. fu abbastanza limitato e scarsi gli interventi degni di ricordo. Nel 1865 fu relatore sull'esercizio delle strade ferrate e, confermando la sua coerenza liberistica, si pronunciò per l'esercizio privato contro quello statale. Nel 1866 fu relatore della Commissione parlamentare incaricata di esaminare i disegni di legge per il riordino del bilancio: espresse la sua contrarietà per le misure proposte dal ministro Scialoja, e riaffermò l'esigenza di un programma di autonomia comunale e provinciale e di decentramento delle funzioni dello Stato.
Il 17 febbr. 1867 B. Ricasoli lo comprese nel ministero, formato dopo la crisi successiva al divieto ministeriale delle riunioni di protesta contro il progetto di legge sulla libertà della Chiesa e liquidazione dell'asse ecclesiastico, che parte dell'opinione pubblica aveva ritenuto troppo favorevole alla Chiesa. Proprio per dimostrare che le accuse di cedimento dello Stato nei confronti della Chiesa erano infondate, il Ricasoli chiamò ad un ministero delicato quale quello dell'Istruzione Pubblica un uomo come il C., che era al di sopra di qualsiasi sospetto. Il ministero ebbe esistenza così breve (il Ricasoli si dimetteva il 4 aprile) che il C. non ebbe modo di esprimere il suo orientamento. Da rilevare, in quel periodo, il suo contributo alla fondazione della Società geografica italiana che, fin dalla costituzione, preparerà la politica coloniale italiana e della quale il C., fautore della espansione coloniale, fu presidente.
Nella crisi dell'ottobre 1867, che si concluse con la formazione del ministero Menabrea, ebbe una parte considerevole in appoggio al fallito tentativo del Cialdini. Ma quando il Menabrea fu costretto a dimettersi (il governo cessò il 14 dic. 1869) fu affidato al Lanza il compito di formare un ministero che raccogliesse i dissidenti della Destra e della Sinistra, e il C., che era tra i primi, fu chiamato di nuovo alla Istruzione Pubblica, che tenne per due anni e mezzo prendendo iniziative di notevole importanza.
Fu fautore della scuola elementare obbligatoria e, di conseguenza, gratuita, mentre la scuola secondaria avrebbe dovuto essere concepita unitariamente, con insegnamenti obbligatori ed insegnamenti facoltativi, connessi questi ultimi agli interessi degli alunni e all'indirizzo di studi universitari che intendevano seguire. Tra le materie facoltative, il C. poneva anche il latino, essendo suo proposito limitare il carattere accentuatamente classico che era stato imposto alla scuola italiana dalla legge Casati del 1859. Per l'istruzione universitaria, prevedeva una riduzione delle facoltà ma un potenziamento di quelle che sarebbero rimaste sul piano delle attrezzature scientifiche e sperimentali.
Numerosi furono i suoi interventi in questo periodo, con decreti e con circolari, per indirizzare la scuola italiana verso l'obiettivo che si era prefisso. Si preoccupò del reclutamento degli insegnanti e del loro trattamento economico, e presentò disegni di legge per la costituzione di un Monte pensione per i maestri elementari e per il miglioramento degli esami di licenza liceale, propose riforme ai programmi d'insegnamento dei ginnasi-licei, sollecitò la partecipazione dei docenti al dibattito sulle riforme.
Il C. confermò, nella sua permanenza alla Istruzione Pubblica, l'atteggiamento laico che aveva caratterizzato tutta la sua opera. Durante la sua attività governativa vennero soppresse le facoltà teologiche; cercò di sottoporre al controllo governativo (r. d. 20 giugno 1871) gli educandati femminili della Sicilia, che erano rimasti sotto il patronato dei vescovi. Infine, nel disegno di legge per il miglioramento economico degli insegnanti, introdusse la soppressione dei direttori spirituali nei ginnasi, suscitando un'ondata di critiche e l'accusa di anticlericalismo: l'opposizione della Destra fu tale da convincere il Lanza a togliere dal disegno di legge l'articolo. Ma la Sinistra lo ripresentò come emendamento ed il Lanza, preso tra due fuochi, ritirò l'intero progetto di legge. Al C. non rimase che dimettersi (17 maggio 1872). Caddero, in tal modo, anche gli altri disegni di legge che il C. aveva presentato, tra cui quello sull'istruzione elementare obbligatoria che, come preciserà in un'occasione successiva, aveva incontrato l'opposizione clericale che temeva la diffusione delle scuole laiche a scapito di quelle ecclesiastiche.
Il 18 marzo 1876 il C. fu uno dei protagonisti della rivoluzione parlamentare che segnò la caduta della Destra e l'avvento della Sinistra. Ottenne infatti che il Centro, del quale era il più qualificato esponente, votasse contro il governo ponendolo in minoranza. Da questo momento strinse ancor di più i legami col Depretis, di cui fu il consigliere più ascoltato nei primi anni della Sinistra al governo: fu lui che preparò il discorso pronunciato nel 1876 dal Depretis a Stradella che costituì il primo programma di governo della Sinistra (Morandi, La Sinistra..., p. 88 e Appendici I e II). Il suo passaggio alla Sinistra non fu indenne da critiche e da commenti negativi da parte dei suoi amici che videro nella sua nomina a primo segretario di Sua Maestà per l'Ordine Mauriziano la ricompensa ottenuta per aver mutato di schieramento.
Dal 1876 in avanti egli rimase, comunque, nell'ombra; il suo astro politico declinava e, dopo alcune fortunose elezioni, cadde definitivamente nel 1886; fu fatto però subito senatore, per intervento del Depretis.
Nel 1881, scrivendo al Cairoli, il C. aveva riaffermato le sua convinzione che l'elevazione del paese potesse avvenire soltanto attraverso l'istruzione: "scuole popolari e armi intelligenti. L'elettore esca dalla scuola, la scuola sia militare, cittadina, cristiana". (cfr. Chabod, p. 290). Nel 1884 "ritornava su un altro tema che gli era stato particolarmente a cuore, l'espansione coloniale, e scriveva le famose parole: "L'Africa ci attira indicibilmente" (cfr. C. Correnti, pref. a A. Cecchi, Da Zeila alla frontiera del Caffa, I, Roma 1885, p. 7).
Irrimediabilmente minato dal cancro al viso, morì il 4 ott. 1888 nella sua villa di Solcio, nel comune di Lesa (prov. Novara), sul lago Maggiore. Nel 1929 la salma fu trasportata nel famedio del cimitero monumentale di Milano.
Fonti e Bibl.: Oltre al rinvio agli Scritti Scelti in parte ined. o rari, a cura di T. Massarani, I-IV, Roma 1891-94, sufficienti queste sommarie indic.: T. Massarani, C. C. nella vita e nelle opere, Roma 1890; G. Visconti Venosta, Ricordi di gioventù. Cose vedute o sapute, Milano 1904, pp. 38-42; C. Morandi, La formaz. culturale e politica di C. C., in Annali di scienze polit., IX (1936), pp. 125 ss.; Id., L'azione polit. di C. C. nel '48, ibid., XIII (1940), pp. 1-56; K. R. Greenfield, Econ. e liberalismo nell'Ottocento. Il movimento nazionale in Lombardia dal 1814 al 1848, Bari 1940, pp. 72, 256, 264 s., 296, 327, 367, 442; C. Morandi, La Sinistra al Potere, Firenze 1944, passim;B. Croce, Storia della storiografia ital. nel sec. XIX, Bari 1947, 1, pp. 26, 52, 290 s.; II, pp. 12, 15 ss.; F. Valsecchi, L'alleanza di Crimea, Milano 1948, p. 450; A. Pietra, Le lettere di C. C. a Benedetto Cairoli nel Museo del Risorgimento di Pavia, in Boll. della Soc. Pavese di st. patria, n. s., III (1950), pp. 121-29; F. Chabod, Storia della politica estera ital. dal 1870 al 1896, I, Le premesse, Bari 1951, pp. 275, 285, 290, 467, 521, 614, 685; D. Visconti, L'azione di C. C. come ministro, in Nuova Riv. storica. XXXVIII (1954), 1, pp. 162-181; G. Carocci, A. Depretis e la politica interna ital. dal 1876 al 1887, Torino 1956, passim;D. Bertoni Iovine, La scuola ital. dal 1870 ai giorni nostri. Roma 1958, pp. 73, 82. 86, 139, 143; A. Tamborra, Cavour e i Balcani, Torino 1958, pp. 34, 208, 247; R. Battaglia, La prima guerra d'Africa, Torino 1958, pp. 95-103, 116, 120, 123 s.; A. Santoni Rugiu, Il professore nella scuola italiana, Firenze 1959, pp. 130-133; I periodici popolari del Risorgimento, a cura di D. Bertoni Iovine, Milano 1959, pp. XXIII, CXXIV-CXXXIX; II, pp. 95, 110; F. Venturi, Esuli russi in Piemonte dopo il '48, Torino 1959, pp. 25-33, 51, 65 s.; G. Salvemini, I partiti politici milanesi nel secolo XIX, in Scritti sul Risorgimento, a cura di P. Pieri - C. Pischedda, Milano 1961, pp. 29 ss., 35-49, 52-59, 88 s.; Carteggi di Cavour. Cavour e l'Inghilterra, Bologna 1961, II, pp. 196-97; Atti della Commissione Giulini per l'ordinamento temporaneo della Lombardia, a cura di N. Raponi, Milano 1962, pp. 281 ss. (riproduce in appendice l'indirizzo degli Italiani di Lombardia alla Congregazione centrale steso dal C.); C. Dossi, Note azzurre, a cura di D. Isella, Milano 1964, ad Indicem; Il Parlamento nella storia d'Italia, a cura di G. Carocci, Bari 1964, pp. 110 s., 137, 139; F. Fonzi, Crispi e lo Stato di Milano, Milano 1965, pp. 4, 116, 132; La insurrezione milanese del marzo 1848. Memorie di C. C., a cura di L. Ambrosoli, Milano-Napoli 1969, pp. 3-56; M. Brignoli, C. C. e l'Unità di Italia, Milano-Varese 1971; M. Carazzi, La società geografica italiana e l'esplorazione coloniale in Africa (1867-1900), Firenze 1972, ad Indicem; P. Pisa, C. C. e il dibattito sulla laicità dell'insegnamento, in Rassegna storica del Risorgimento, LXIII (1975), pp. 212-229; S. La Salvia, Giornalismo lombardo: gli "Annali universali di statistica" (1824-1844), I, Roma 1977, pp. 86, 99, 262. 288, 294, 464; E. Rotelli, L'alternativa delle autonomie. Istituzioni locali e tendenze politiche dell'Italia moderna, Milano 1978, pp. 74, 76-78; F. Della Peruta. Il giornalismo dal 1847 all'Unità in La stampa italiana del Risorgimento, Bari 1979, pp. 138, 479, 495, 517, 528; V. Castronovo, Stampa e opinione pubblica nell'Italia liberale, in La stampa italiana nell'età liberale, Bari 1979, p. 30; E. De Fort, Storia della scuola elementare in Italia, I, Dall'Unità all'età giolittiana, Milano 1979, pp. 18, 67, 70, 76, 79, 87-88; M. Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Torino 1980, pp. 70, 181 s., 186-88.