Psichiatra e antropologo italiano (Verona 1835 - Torino 1909); docente di psichiatria a Pavia (1862), direttore dell'ospedale psichiatrico di Pesaro (1871), fu ordinario a Torino di medicina legale e igiene pubblica (1876), di psichiatria (1896) e infine di antropologia criminale (1905). Predilesse i temi di medicina sociale: le sue ricerche sul cretinismo, sulla pellagra e in particolare gli Studi per una geografia clinica italiana (1865) furono fonte, tra le più importanti, della legislazione sanitaria italiana; tuttavia gli studî che dettero a L. una notorietà tutta particolare furono quelli di antropologia criminale, materia di cui è considerato l'iniziatore. L., partendo da una concezione materialista dell'uomo, cercò di spiegare con anomalie fisiche (caratteri degenerativi lombrosiani) la degenerazione morale del delinquente: L'uomo delinquente studiato in rapporto alla antropologia, alla medicina legale ed alle discipline carcerarie (1876) è l'opera che contiene i fondamenti di questa nuova scienza. Le sue idee ebbero larga diffusione specie fra sociologi e giuristi, favorendo la nascita della cosiddetta scuola positiva del diritto penale. Le tesi di Enrico Ferri e di altri influenzarono poi lo stesso pensiero di L. che, accanto ai fattori individuali, sottolineò nelle sue ulteriori ricerche l'importanza dei fattori sociali. Particolarmente nota la sua opera Genio e follia (1864).