CHIESA
Quando Gesù (Mt. 16, 18) disse a Simone figlio di Giona: "Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversus eam", dichiarò solennemente che intendeva creare in forma stabile la sua assemblea di fedeli, ovverosia la comunità di quanti credevano in lui, incentrandola nella persona, appunto, di Simone. Con un gioco di parole molto innocente e molto chiaro, chi riceve tale consegna è contestualmente soprannominato da Gesù 'Roccia', che in aramaico è maschile, come maschile è il nome comune 'roccia', mediante il quale viene evidenziata la solidità del fondamento della nuova creazione. Poiché la ecclesia era un'assemblea, si può rimanere sorpresi che Gesù dica che la sua Ecclesia intendeva 'costruirla'. Ma la metafora si spiega con l'intento di continuare la figura della 'roccia' come fondamento. Proseguendo nello stesso stile, la potenza di Satana, che si sarebbe scatenata contro l'assemblea dei credenti in Cristo senza riuscire a prevalere su di essa, viene configurata come le 'porte dell'inferno', simbolo monumentale della città infernale nella sua interezza.Così, nel solo passo del Vangelo in cui ricorre il termine ecclesia, almeno nel senso di assemblea dei fedeli del Cristo (in Mt. 18, 17, lo si ritrova, ma piuttosto nel senso di assemblea dei residenti nella stessa città), passo di estrema importanza e problematicità per il riferimento al ruolo riservato a Simone-Pietro, viene già adombrato, per amor di metafora, il senso ulteriore di ecclesia come edificio, come 'casa di Dio' non edificata spiritualmente nei cuori degli uomini, ma costruita materialmente dalle loro mani.Già in età apostolica e subapostolica, mentre persisteva l'uso di ecclesia nel senso di 'assemblea' (anche profana) e si affermavano sempre più i nuovi significati cristiani del termine, attestati dai due passi evangelici citati (da un lato l'assembleacomunità dei credenti, dall'altro l'insieme dei fedeli di una stessa città o regione: insomma, la Chiesa universale e le chiese particolari), ecclesia viene detto anche il gruppo di fedeli che si riunisce abitualmente in un'abitazione privata, da cui sono stati tolti i mobili più ingombranti, ma che era dotata - poiché si trattava di consumarvi un pasto in comune - di una tavola e di sedie: è questo οἶϰοϚ τῆϚ ἐϰϰλησίαϚ, questa 'casa della c.', che diventa presto, senz'altro, la c. (H. Leclercq, s.v. Eglises, in DACL, IV, 2, 1921, coll. 2279-2399).Se si è risaliti alle origini, è perché la storia della c. come edificio, anche dopo che questa accezione del termine si era affermata nell'uso, non può prescindere in alcuna delle sue fasi successive dalla storia della Chiesa come istituzione. Lo stesso vale, anche se in misura minore, per questa seconda storia nei confronti della prima, ciò che non deve sorprendere solo che si tenga conto del fatto che Gesù ha immaginosamente configurato la sua ecclesia come un edificio costruito su un solido fondamento. Come esempio di questa interconnessione possono essere richiamate di passaggio le conseguenze che la presa di distanza del cristianesimo rispetto al giudaismo ha avuto anche sotto il profilo che ora interessa. Scrive E. Renan (Marc Aurèle et la fin du monde antique, Paris 1883, p. 540), con una forzatura non priva di efficacia: "Se il cristianesimo fosse rimasto giudaico, solo l'architettura vi si sarebbe sviluppata, così come è accaduto per i musulmani; la Chiesa sarebbe stata, come la moschea, una grande casa di preghiera, ecco tutto. Ma, trasportato fra i popoli amici dell'arte, il cristianesimo è diventato una religione così artistica quanto poco lo sarebbe stato se fosse rimasto fra le mani dei giudeo-cristiani".Dopo che i cristiani, in seguito all'editto del 313, uscirono (come suol dirsi impropriamente) dalle catacombe, l'esistenza - incerta o, comunque, mal documentata per il periodo precedente, e ora invece sicura, a cominciare dalle numerose fondazioni risalenti all'imperatore Costantino - di edifici ormai spesso grandiosi, adibiti espressamente al culto cristiano, e il precisarsi di una loro tipologia specifica che, benché con varianti significative, li distingueva in blocco da tutti gli altri tipi di edifici esistenti, costituiscono uno dei principali temi di ricerca dell'archeologia cristiana, reso arduo dalle trasformazioni radicali, che le c. costruite nei secc. 4° e 5°, per le quali è prevalso nell'uso il termine di basiliche (v.), hanno subìto in seguito.Ereditando la forma 'basilica' dalla Tarda Antichità come modello consolidato e diversificato di c.-edificio, il Medioevo che, per convenzione, si fa principiare con il sec. 6°, avrebbe, da un lato, provveduto a diffondere questo modello oltre l'area mediterranea, nel cui ambito si era dapprima venuto formando, e moltiplicato, dall'altro, le funzioni specifiche cui le c. - costruite dovunque in numero crescente dopo i secoli di stagnazione, soprattutto il sec. 7°, che videro il duro trapasso da un'età all'altra - erano chiamate ad adempiere, nel contesto di una realtà ecclesiale sempre più articolata. Per l'indubbia connessione che, come s'è detto, collega la storia della c. come edificio alla storia della Chiesa come istituzione, si imporrebbe a questo punto una trattazione che rendesse conto dei modi e dei limiti in cui questa connessione si è realizzata, almeno in riferimento agli episodi più salienti. Perché, se non mancano i casi in cui, in particolare, le innovazioni liturgiche e le sempre mutevoli esigenze della cura animarum hanno suggerito l'adozione di tipologie architettoniche nuove o parzialmente nuove, altre volte l'innovazione costruttiva si è prodotta indipendentemente da novità intervenute nella destinazione e nell'uso di un determinato tipo di edificio sacro, rimasto ad adempiere, con veste mutata, alla sua antica funzione.In questa sede ci si limiterà a porre le premesse generalissime di un discorso che può trovare svolgimento adeguato solo in molte distinte voci di questa Enciclopedia. In sostanza, tali premesse offrono una classificazione sommaria dei tipi di c.-edificio cui lo sviluppo della Chiesa-istituzione ha dato vita nei secoli dell'età di mezzo, limitatamente però alle funzioni cui essi assolvevano o, se si vuole, alla loro configurazione canonistica, prescindendo quindi del tutto dalle forme in cui si sono materialmente concretizzati.Le c. medievali si dividono anzitutto, salvo eccezioni, in due grandi categorie: quelle a cui facevano capo l'organizzazione territoriale dei fedeli e quelle degli ordini regolari.Nella prima categoria occupano il primo posto le c. cattedrali, annesse all'episcopio, o dimora del vescovo, così dette perché ospitano la sua cattedra (v.) o trono. Le cattedrali (v.) segnano il vero punto di continuità, quanto alla loro funzione, rispetto alle basiliche tardoantiche. Se il vescovo sovrintende a una provincia ecclesiastica e assume il titolo di metropolita o arcivescovo, la sua c. viene detta metropolitana; se il vescovo è il primate di un'intera regione, la sua c. viene detta primaziale; patriarcale, se il vescovo occupa una delle poche sedi cui spetta questo titolo d'onore.Originariamente, la c. cattedrale godeva del privilegio di avere, al suo interno o in un apposito edificio, costruito accanto a essa, il battistero (v.), il fonte battesimale, unico in un primo momento per l'intera diocesi. Con il tempo, e soprattutto mano a mano che progrediva la cristianizzazione delle campagne - il cristianesimo era nato e si era dapprima diffuso con una forte impronta cittadina -, si avvertì il bisogno di disseminare nel territorio altri fonti battesimali. Ebbero così origine le parrocchie, non solo rurali, ma anche cittadine, con le relative c. parrocchiali. In esse veniva impartito il battesimo e si doveva provvedere in genere all'ufficiatura liturgica e alla cura animarum. Quando la c. parrocchiale è officiata da un collegio di chierici, e non da un solo sacerdote, è chiamata c. collegiata. Benché attestata anche per gli ultimi secoli del Medioevo, la collegiata è caratteristica soprattutto della Chiesa post-tridentina.Anche in Italia esistono c. parrocchiali, ma, almeno in una larga parte del territorio italiano, la parrocchia nacque dal frazionamento di una forma precedente di decentramento diocesano: la pieve. A partire dai secc. 7°-8°, dapprima in Toscana, si trova infatti documentata questa circoscrizione ecclesiastica minore, che aveva spesso una vasta estensione, anche se ben più estese erano le parrocchie d'Oltralpe, ritagliate in diocesi a loro volta molto più grandi di quelle italiane. Pieve era anche l'edificio che ospitava il fonte battesimale, detto altresì c. pievana, o plebana, o plebanale. La c. pievana era affidata a un collegio di chierici (come sarebbe stato poi nelle collegiate) e aveva soggette a sé numerose c. minori (oratori, cappelle), la cui trasformazione in c. pievana fu sempre ostacolata. L'organizzazione per pievi, che ebbe il suo culmine nei secc. 9° e 10°, si diffuse in modo prevalente nell'Italia centrosettentrionale, anche se studi recenti hanno spostato il limite meridionale dell'area di diffusione di esse fino a raggiungere, nelle regioni tirreniche, il Salernitano e il Cilento e, nelle adriatiche, il territorio del principato longobardo di Benevento (Violante, 1977; 1990).Dopo la proliferazione delle c. battesimali nel territorio (parrocchie, pievi), la c. cattedrale cui queste facevano capo, e che aveva perso così il monopolio del rito del battesimo, prese a chiamarsi, per meglio distinguersi dalle c. dipendenti, c. matrice, o c. madre (Fonseca, 1984).Un posto a sé fra le c. con giurisdizione territoriale e quelle degli ordini regolari occupano le c. nelle quali al legame con il territorio si sostituì, almeno nel momento in cui vennero fondate, il legame personale con un individuo che ne aveva promosso la costruzione, destinandole a un uso privato, da cui era assente la prospettiva, centrale nelle chiese di cui si è parlato finora, della cura animarum su base territoriale e che costituiscono l'asse portante della Chiesa secolare. Fra questa altre c. spiccano, e fanno in qualche modo parte a sé, le c. inglobate nel palatium (in questo caso, meglio, cappelle, v.) di un principe laico o di un vescovo, o variamente comunicanti o attigue a esso, che vengono dette perciò palatine.Numerosissime dovunque nell'Europa medievale furono le c. private, fondate da laici su terreno di loro proprietà. Oltralpe, dove le c. battesimali diverse dalle cattedrali erano state fino dall'inizio c. parrocchiali (non pievane, come in Italia), si registra su ampia scala il fenomeno per cui a c. di fondazione e di diritto vescovile si affiancarono ben presto, con le stesse funzioni in materia di cura animarum, chiese in origine private. In prosieguo di tempo la stessa distinzione giuridica fra le due categorie andò attenuandosi fino a scomparire del tutto, anche perché le c. parrocchiali di fondazione vescovile finirono con il privatizzarsi anch'esse. Questo fenomeno, che anche in Italia, dove pure persisteva la più vasta circoscrizione pievana, accompagnò il passaggio dalla signoria fondiaria alla signoria territoriale, o di banno, segnò al contempo il declino delle altre c. private, che, non essendo padronali, non subirono tale trasformazione. Mentre quelle che venivano, per così dire, promosse, cominciarono ad avere dai primi decenni del sec. 12° un proprio popolo di fedeli e un proprio territorio.Le c. degli ordini regolari comprendono anzitutto le c. abbaziali, le c., cioè, annesse a un tipo particolare di monastero, la abbazia (v.), termine con il quale non si indica solo l'istituzione in sé, ma anche, come accade per buona parte della terminologia in oggetto, il complesso, talvolta imponente, degli edifici (compresa quindi, o addirittura in primo luogo, la c.), che si richiedono per l'articolato e ordinato svolgimento della vita della comunità monastica, presieduta da un abate, che risiede stabilmente fra quelle mura. Di norma, le c. abbaziali e in genere quelle monastiche non avevano cura d'anima, indipendentemente dal fatto che fossero soggette all'ordinario diocesano, oppure ne fossero esenti.Ben più numerose delle abbaziali sono le semplici c. monastiche, anch'esse legate all'esistenza di una comunità di monaci, talvolta piccola o minima. Quando, a cominciare dalla riforma del monachesimo benedettino promossa dall'abbazia di Cluny (v.), il concetto di ordine monastico passa dal primitivo significato di pura e semplice osservanza, da parte di più monasteri, della stessa regola (ordo) a quello, tuttora in uso, di una struttura gerarchizzata di più comunità monastiche, la distinzione fra c. abbaziale e c. monastica cessò dall'essere un riflesso della differenza, per così dire, quantitativa fra i due diversi tipi di stabilimenti monastici cui esse andavano annesse, per distinguere, nel caso per es. di Cluny, l'imponente c. della casa madre dalle c., talvolta esse pure tutt'altro che modeste, delle dipendenze cluniacensi, o priorati, così chiamati dal nome del capo di queste comunità (priore), sottoposte all'autorità di un unico abate.Sempre nell'ambito delle c. degli ordini regolari esistono, infine, le c. annesse ai conventi dei nuovi Ordini mendicanti, sorti nel sec. 13°, che prendono il nome di c. conventuali. A differenza degli altri ordini regolari, quelli mendicanti tendevano a insediarsi di preferenza nelle città e, in particolare, i frati domenicani si mettevano ben presto in aperta concorrenza con le c. parrocchiali per avere parte nella cura delle anime. Anche se non tutte le c. conventuali hanno grandi dimensioni, una visione panoramica dall'alto della Bologna di oggi è, per es., sufficiente a dimostrare come gli stabilimenti chiesastici dei Mendicanti fossero concepiti in proporzioni tali da ospitare, in occasione delle prediche dei loro celebrati predicatori, il popolo che frequentava le parrocchie cittadine e la stessa c. cattedrale.I vari tipi di c.-edificio sono tutti ampiamente rappresentati nei secc. 6°-14°, ma sono al tempo stesso presenti anche oggi, a eccezione della c. pievana. I loro appellativi possono perciò essere indifferentemente attribuiti a una costruzione risalente a quei secoli, a una costruzione in tutto e per tutto di età successiva, oppure ancora a una costruzione medievale che ha subìto in seguito una trasformazione anche radicale, che può averne mutato la destinazione originaria, restando immutata la dedicazione. In un passo della Geschichte der Stadt Rom in Mittelalter (1859-1872), F. Gregorovius osserva a tale riguardo che, fino dalle origini, i cristiani usavano ristrutturare le loro c. senza rispettarne le proporzioni originarie, come avveniva invece per i templi pagani.La nomenclatura che è stata illustrata ha un'origine chiaramente canonistica, ma ha piena cittadinanza storiografica, anche se non sempre, per la continuità ininterrotta che caratterizza la vita della Chiesa anche sotto questo riguardo, l'ingresso nell'uso dei singoli termini è databile con assoluta certezza. Ma, a parte il fatto che ciò che è documentabile solo a partire da un dato momento può benissimo risalire a molti anni addietro, va anche detto che gli anacronismi in questo campo sono, entro certi limiti, tollerabili e, comunque, largamente praticati.Diverso è il caso di tipo di c.-edificio come la c. fortificata o la c. di pellegrinaggio, e altri se ne potrebbero aggiungere, che, pur rimandando a un uso particolare dell'edificio (almeno per ciò che concerne il secondo dei due esempi) e non alla sua struttura, hanno invece una chiara connotazione storiografica e non anche canonistica.
Bibl.: P. Toubert, Les structures du Latium médiéval. Le Latium méridional et la Sabine du IXe siècle à la fin du XIIe siècle (BEFAR, 221), Roma 1973, II, p. 789ss.; C. Violante, Pievi e parrocchie nell'Italia centrosettentrionale durante i secoli XI e XII, "Atti della 6° Settimana internazionale di studio, Milano 1974", Milano 1977, pp. 643-799; C.D. Fonseca, ''Ecclesia Matrix'' e ''Conventus civium'': l'ideologia della cattedrale nell'età comunale, in La pace di Costanza 1183. Un difficile equilibrio di poteri fra società italiana ed Impero, "Atti del Convegno, Milano-Piacenza 1983", Bologna 1984, pp. 135-149; Pievi e parrocchie in Europa dal medioevo all'età contemporanea, a cura di C.D. Fonseca, C. Violante, Galatina 1990; C. Violante, L'organizzazione ecclesiastica per la cura d'anime nell'Italia settentrionale e centrale, ivi, pp. 203-224; C.D. Fonseca, ''Matrix Ecclesia'' e ''Civitas'': l'omologazione urbana della cattedrale, in Una città e la sua cattedrale: il duomo di Perugia, "Atti del Convegno, Perugia 1988", Perugia 1992, pp. 73-84.G. Arnaldi