Cimitero
Il cimitero è il luogo destinato alla sepoltura dei morti. L'etimologia del termine rimanda al verbo greco κοιμάω, "mettere a giacere, a dormire". Dal punto di vista architettonico, il cimitero definisce lo spazio riservato ai defunti nell'ambito dei territori urbanizzati, sulla base di modalità che in epoche diverse hanno espresso esigenze e consuetudini di integrazione o piuttosto di segregazione della città dei morti rispetto alla città dei vivi.
Non vi è civiltà che non abbia elaborato rituali e codificato pratiche intorno al mistero della morte, quali che fossero la prospettiva religiosa e l'aspettativa di un rinnovo dell'esperienza terrena in questo mondo o in un altro, in forme simili o diverse. Vi sono popolazioni che restituiscono alla natura i corpi dei defunti senza conservarne la memoria attraverso rappresentazioni materiali.
I cadaveri vengono talvolta abbandonati in luoghi esposti agli agenti atmosferici e agli animali predatori che provvedono a consumarli: è il caso dei parsi che, benché esigui nel numero (circa 100.000 in tutta l'India), rappresentano una élite nel paese e professano una religione autonoma che prevede l'esposizione dei morti sulle cosiddette torri del silenzio alla mercé degli avvoltoi; in base allo stesso principio alcuni induisti, con rituali di addio, abbandonano le salme alle correnti del Gange; altri, dopo elaborate cerimonie culminanti con la cremazione, disperdono le ceneri sulla terra o nell'acqua. I siti di esposizione e di dispersione sono luoghi di passaggio, cimiteri provvisori per tutto ciò che nell'individuo è caduco.
Presso altre civiltà, tra cui quelle del bacino del Mediterraneo, dell'Estremo Oriente e dell'America precolombiana, il culto dei morti si avvale sin dalla preistoria di un presidio fisico per la conservazione della memoria dell'individuo e delle sue spoglie: le numerose testimonianze di spazi riservati ai defunti in epoche addirittura anteriori alla definitiva sedentarietà dell'uomo autorizzano l'ipotesi che il rituale dell'inumazione, in concomitanza con altri fattori, abbia contribuito a provocare il suo radicamento stabile nel territorio.
Per quanto riguarda il bacino del Mediterraneo e l'Europa atlantica, l'archeologia ha dimostrato una valida corrispondenza temporale tra la comparsa dell'agricoltura e la realizzazione delle prime sepolture monumentali, costruite con blocchi lapidei di ingenti dimensioni. Si ritiene che tali complessi megalitici diversamente connotati sul piano tipologico - i monolitici menhir e le strutture a dolmen, vere e proprie camere mortuarie variamente articolate in pianta e in alzato - avessero la proprietà di rafforzare la coesione del gruppo, rappresentando un riferimento per le comunità primitive, certificando e legittimando l'appropriazione del territorio nei riguardi di eventuali contendenti. I nascenti culti della divinità si manifestavano spesso in associazione con la venerazione dei progenitori, protettori del gruppo: credenza, questa, tuttora viva presso alcuni popoli, alimentata dall'evidenza di una maggiore fertilità della terra nei pressi delle sepolture.
Con riferimento a un'ampia casistica storica e geografica, va osservato come le pratiche di conservazione che sottendono i riti della sepoltura non risultino generalmente estese all'intero corpo sociale: la produzione tecnica e artistica connessa, pur consentendo - in assenza di una storia scritta - di fare luce sui caratteri precipui e sulle fasi salienti di ogni civilizzazione, viene generalmente riservata agli esponenti delle famiglie egemoni, o addirittura circoscritta a singole personalità di particolare prestigio. Il rango della sepoltura riflette regole e modi propri della struttura sociale. Non sempre, tuttavia, lo spazio dei morti riproduce fedelmente le posizioni e le gerarchie del mondo dei vivi.
Nell'Europa cristiana, per es., l'affermazione dell'identità sociale dell'estinto conosce stagioni alterne, generalmente in opposizione di fase rispetto alla riflessione circa la vanità dei valori terreni. Presso i musulmani, la comune religione è da sempre un fattore omologante e il cimitero è un giardino scandito da lapidi uniformi egualmente orientate, eccezion fatta per i grandi della storia, cui è riservata una sepoltura importante in posizione isolata. Presso i coreani, tradizionalmente agricoltori, le tombe, individuali, sono tumuli ricoperti da un manto erboso e chiusi entro recinti, la cui superficie variabile segnala la differenza nel rango sociale. L'esempio è indicativo di quanto diversamente incida la scelta di modalità intensive o estensive di sepoltura sull'organizzazione globale dello spazio dei vivi.Sul piano simbolico, le credenze relative all'oltretomba influenzano da sempre assai profondamente localizzazioni e strutture dell'ultima dimora.
La pratica dell'imbalsamazione era prevalentemente riservata, nell'antico Egitto, ai faraoni e agli alti dignitari di corte in forza della loro natura sovrumana: il realismo della ritrattistica statuaria e pittorica, testimoniata dai capolavori collocati nelle tombe, doveva aiutare lo spirito del morto a riconoscere la sua nuova dimora e a riprendere possesso del proprio corpo. Più in generale, la convinzione che all'insepolto fosse precluso l'accesso al mondo ctonio imponeva ovunque l'uso di onoranze funebri culminanti con la sepoltura, dapprima indicata da un cumulo di sassi, poi da edicole, piramidi, costruzioni complesse erette per sfidare l'eternità oltre la durata materiale del corpo, in un'incessante associazione tra durevole e precario, tra stabilità e caducità.
Ogni cultura codifica particolari modalità e regole per la deposizione dei defunti: per es., la civiltà denominata villanoviana, che si sviluppa in alcune aree dell'Italia centrosettentrionale a partire dagli inizi dell'Età del Ferro (10°-9° secolo a.C.), è caratterizzata dalla prevalenza del rituale dell'incinerazione, probabilmente importato dall'Europa settentrionale, su quello dell'inumazione, conforme al costume locale. Si diffondono, già dalla fine dell'Età del Bronzo, le sepolture 'a campi d'urne', tipiche delle tribù germaniche, vere e proprie necropoli sorte come contraltare delle città dei vivi sulle cime dei rilievi più prossimi alle aree abitate, e successivamente sviluppatesi lungo i pendii secondo un andamento approssimativamente radiale; le ceneri dei defunti vengono conservate entro olle fittili chiuse superiormente da ciotole, scodelle ed elmi pileati dello stesso materiale, e quindi deposte entro tombe a pozzetto, talvolta rivestite con lastre di pietra.La tradizione ebraica e successivamente quella cristiana tendono a contrapporre la pratica del seppellire nella nuda terra a quella pagana del sarcofago (da σάρξ, "carne", e ϕάγω, "divorare"), che importa nella dimensione semiologica l'evidenza della decomposizione del corpo. La posizione rannicchiata, tipica di alcune civiltà, sembra alludere a un ciclo che si richiude con il ritorno al grembo della terra-madre, mentre quella supina, che nel tempo prevale nell'Occidente cristiano, richiama la posa più naturale del sonno in attesa di un risveglio. Nel mondo islamico, l'orientamento delle salme nella direzione della città santa, la Mecca, riproduce la tensione spirituale della preghiera dei vivi.
A fronte di credenze e tradizioni così diverse, alcune sorprendenti analogie e ricorrenze nelle realizzazioni dell'architettura funeraria e commemorativa sono probabilmente da correlarsi con le inquietudini e motivazioni profonde che sollecitano la sensibilità dell'uomo dinanzi all'invadenza e ineludibilità del tema della morte. Sul piano meramente figurativo, la persistente predilezione per forme 'a tumulo', che accomuna le più antiche sepolture individuali e collettive, quelle assai più elaborate delle civiltà del Neolitico e quelle di culture costruttive ancor più perfezionate e recenti - l'egizia per tutte - che si avvalgono non di rado di materiali pregiati provenienti da terre lontane, è forse originariamente riferibile al reimpiego della stessa terra di scavo come strato protettivo del sepolcro.
Visibilità e indeperibilità della sepoltura ne sono i comuni corollari. I grandi tumuli di terra che ricoprono le camere mortuarie in legno o pietra ritrovati in Inghilterra (quello di Maiden Castle nel Dorset raggiunge i 550 m di lunghezza ed emerge sul piano di campagna di ben 5 m) sono tra le più antiche testimonianze di sepolture multiple in Europa e risalgono al 6° millennio a.C., coincidente a queste latitudini con la fase di sedentarizzazione dell'uomo.La vasta diffusione che ebbero, nel millennio successivo, i complessi megalitici ipogei 'a camera sepolcrale' (di cui si sono stimati, soltanto nell'Europa centrosettentrionale, dai 40.000 ai 50.000 esemplari) ha contribuito in passato ad alimentare l'equivoco di popoli geneticamente collegati, con riscontri anche in India, a Sumatra, in Giappone e nell'America precolombiana. Taluni di questi sepolcri erano destinati ai bisogni di un'intera collettività o di una famiglia per un certo periodo di tempo. Alcune camere hanno custodito i resti di oltre 200 individui, segnalando l'aspetto corale della celebrazione.
L'affinità delle culture espressive va probabilmente ricondotta all'impiego dei materiali secondo un medesimo principio costruttivo: nelle camere megalitiche sono presenti gli elementi fondamentali del sistema trilitico, consistente in lastre di pietra disposte in verticale sormontate da architravi orizzontali. L'aspettativa di una vita ultraterrena è frequentemente calibrata sulle medesime scansioni e pratiche dell'esistenza comune. In questo senso il rituale ricorrente del banchetto funebre presso il luogo della sepoltura, pur declinato in innumerevoli versioni, va inteso come congedo estremo, che tuttavia predispone al distacco in una prospettiva intima e domestica: oltre la soglia il congiunto, dotato di vivande sufficienti a consentirgli di raggiungere l'oltretomba, è circondato di suppellettili banali, di oggetti di uso quotidiano, e, secondo il rango, di beni preziosi che lo rassicurino durante il viaggio.
Di conseguenza, anche l'ultima dimora esprime spesso caratteri analoghi a quelli delle abitazioni dei vivi: è il caso delle arcaiche sepolture a tumulo della vallata di Talrhemt, nel sud-est del Marocco, assai simili per impianto alle residue abitazioni trogloditiche dell'Atlante attuale, o, nell'Italia centrale, delle tombe sia rupestri sia a tumulo, articolate in camere multiple sullo schema della casa tradizionale; anche le urne funerarie in pietra o in terracotta con coperchio displuviato dette a capanna, proprie di molte antiche civiltà, replicano il tema rassicurante della casa come guscio protettivo.
Le necropoli del mondo antico, tanto in Egitto come in Giordania, come in Etruria, sono vere e proprie 'città analoghe', come suggerisce l'etimologia greca, riservate ai defunti e accuratamente separate da quelle dei vivi, dotate di abitazioni complesse scavate nella roccia o edificate come tumuli lungo le strade. Alle precauzioni di natura igienica, che dettano senz'altro le indicazioni per la sepoltura, si sommano i retaggi di credenze e superstizioni che prescrivono l'esilio dello 'spazio dei morti', articolato a somiglianza di quello dei vivi. Conformemente al tabu del mondo classico, anche i romani usano costruire i loro sepolcri all'esterno delle mura lungo le vie consolari. Qui si allineano costruzioni grandiose, a volte destinate alla memoria di un singolo, e sepolcri più modesti, cippi e steli scolpite con le immagini dei defunti; si ammette un'eccezione soltanto per i bambini, che possono essere sepolti in città nel giardino della casa paterna. I processi di immigrazione nella capitale da ogni parte del mondo conosciuto rendono indispensabile l'adozione di forme di sepoltura compatibili con le esigenze di una popolazione in rapida crescita. La contrazione degli spazi dei morti, nell'ultimo secolo della Repubblica, e più ancora nella fase dell'Impero, riproduce le condizioni di affollamento dei vivi: nelle necropoli 'a colombario', di derivazione etrusca, sulle pareti di tufo di ambienti rozzamente squadrati, semplici edicole incorniciano nicchie sovrapposte entro cui sono collocate le urne funerarie.
2. I cimiteri cristiani
Con l'avvento del cristianesimo mutano le condizioni richieste dai fedeli allo 'spazio per la morte'. Inizialmente essi non danno alcun peso alla sorte del proprio corpo mortale, non fanno differenza tra la sepoltura in una necropoli esistente del tipo a colombario e una tomba privata: successivamente, quando in accordo con le credenze sulla resurrezione la pratica dell'inumazione soppianta definitivamente quella della cremazione, si diffonde l'uso della tumulazione in gallerie e camere sepolcrali, disposte su più piani in modo da sfruttare in profondità la scarsa area disponibile.
Per sottrarre il fedele all'anonimato, consegnandone la memoria di uomo e di cristiano alla posterità, la tomba è resa visibile da un simbolo - l'ancora, la colomba con il ramoscello d'olivo, l'agnello, il pesce, la navicella -, da un'iscrizione, da un ritratto. Sin dal 2° secolo d.C. vengono evidenziate con strutture particolari le tombe dei martiri, santificati dalla morte violenta legata alla professione di fede.
Quando con Costantino l'istituzionalizzazione del cristianesimo (4° secolo d.C.) concede piena visibilità ai fedeli, l'investimento simbolico più appariscente dell'imperatore non riguarda la creazione di edifici pubblici destinati alle pratiche religiose comuni, ma consiste nella realizzazione di alcuni edifici funerari riservati alla sepoltura dei fedeli su terreni di sua proprietà, nei pressi delle catacombe e delle tombe dei martiri più venerati. I primi monumenti, in accordo con l'usanza pagana, sono edificati fuori città, lungo le vie consolari, come il cimitero di san Lorenzo sulla via Tiburtina, adiacente alla tomba del martire, e quello detto di san Sebastiano sulla via Appia, dedicato alla memoria degli apostoli Pietro e Paolo. A partire da tale periodo, lo spazio dei morti risulta assai più dilatato rispetto al passato per la diffusione della pratica della sepoltura: cimiteri comuni, all'aperto o disposti in una sala coperta riconducibile al tipo della basilica pagana (i cosiddetti coemeteria subteglata), affiancano le catacombe.
Alla differenziazione tipologica degli edifici adibiti alla sepoltura fa da contrappunto l'uniformità del requisito fondamentale: quello di una tomba ad sanctum, presso il corpo del martire venerato di cui si chiede l'intercessione, periodicamente ricordato con servizi e banchetti funebri. Quando ciò non è possibile, le salme sono disposte intorno all'abside del cimitero coperto, o eventualmente sub stillicidio, ossia sotto lo spiovente del tetto lungo i muri esterni, per godere dei benefici dell'acqua piovana resa benedetta dal luogo consacrato. In molte basiliche cimiteriali il presbiterio, le navate laterali e talvolta anche quella principale, sono rapidamente occupati da più strati di sarcofagi o di salme interrate, spesso avvolte soltanto da un lenzuolo o da una rustica stuoia.
Con il tempo le sepolture vengono poste in atrio, davanti alla chiesa, o infine in circuitu ecclesiae, ossia nello spazio circostante recintato da un muro o da un portico. Presto anche le chiese intra muros esigono le spoglie di un santo da venerare: dalle primitive sedi si traslano in città alcune reliquie dei martiri per conservarle sotto l'altare maggiore. Molti impianti cimiteriali extraurbani vengono abbandonati per quelli che vanno sorgendo nei centri abitati, spesso anche intorno alla cattedrale. L'etimologia della parola cimitero rinvia alla concezione di uno spazio che troverà stabilmente collocazione 'al lato della chiesa'; in questo luogo consacrato il sonno dei cristiani simboleggia l'attesa di uno status diverso: la stretta vicinanza fisica alle pietre della chiesa e alle reliquie dei santi esprime il senso collettivo di tale attesa. Sul piano tipologico, la suggestione di questa disposizione darà forma nei secoli a venire a una modalità di sepoltura che, pur con varie articolazioni, si è conservata sino ai nostri giorni. Il Concilio di Braga, nel 563, inaugura con un canone la serie dei divieti alle sepolture all'interno delle chiese, ammettendole solo lungo i muri esterni. Vengono codificate le eccezioni: i santi, il clero, i fondatori e i benefattori, che accompagnano la richiesta di una sepoltura ad ecclesiam - che dal 12° secolo soppianta la consuetudine ad sanctum - con l'intesa di una ricca prebenda, tramite legato testamentario, ai parroci e ai vescovi delle città o agli abati dei grandi monasteri in aperta campagna. L'oblazione con cui ci si garantisce uno spazio interno alla chiesa, non assimilabile a un contratto d'acquisto in quanto svincolato da un regime di diritto, rientra tra quelle che i testi citano come laudabiles consuetudines. Anche nel cimitero esterno, dove la sepoltura è gratuita, ci si adopera per avere almeno un cenotafio nel portico.Le differenze di ceto si riflettono sulle modalità di inumazione: ai nobili e ai maestri delle arti liberali spetta l'abito mondano, mentre i poveri sono interrati nudi, chiusi in un sacco o avvolti in lenzuoli, nel prato interno al recinto senza un ordine particolare. Successivamente, forse in occasione delle ricorrenti epidemie, vengono scavate grandi e profonde fosse comuni dove le salme sono deposte in più strati e sommariamente coperte sino alla saturazione totale. Quando lo spazio scarseggia si riesumano le ossa più antiche e si traslano altrove, spesso nei sottotetti del portico o della chiesa.
In questa situazione il cimitero non è più esterno alla città dei vivi, ma chiuso tra le case. Nel Medioevo la sua funzione è chiaramente indicata dalla presenza di ossa affioranti ed è sottolineata con emblematiche scritte e rappresentazioni figurate nei sottoportici, o attraverso altre efficaci forme di comunicazione visiva (gli ossari ricavati nei sottotetti del Cimitero degli Innocenti di Parigi agiscono come memento mori). In virtù di uno statuto particolare, il recinto consacrato garantisce immunità ai perseguitati dalla legge in cerca di protezione nei confronti del potere laico. Vi si stabiliscono inoltre alcuni penitenti che, in omaggio a un principio di mortificazione della carne, si costruiscono una casupola tra le fosse o si installano sotto le arcate dei portici; vi sono infine costretti in domicilio coatto i condannati dal tribunale a essere 'murati' nel camposanto, spesso anche donne, non esistendo carceri femminili. Nel cimitero si praticano impunemente traffici illeciti, si semina e miete il grano, si pascola il bestiame, si organizzano giochi, balli e assemblee. Ma il cimitero è soprattutto punto di ritrovo e luogo di passeggio, meta di pellegrinaggi, sede di funzioni religiose e di feste civili.
Sino al 15° secolo, in occasione di fiere e mercati, sotto le volte dei portici-ossari si installano banchi di vendita. Il fuoco visivo del recinto è la croce dell'osanna, punto di riferimento delle cerimonie della Settimana Santa e luogo deputato all'amministrazione della giustizia, che con pochi altri modesti simboli commemora i defunti. Non è quindi un caso che l'impianto tipologico del recinto costituisca un modello per la realizzazione delle maestose piazze maggiori in cui, in epoca rinascimentale e barocca, si trasferirà la scena ufficiale della vita cittadina.
Questa strana e brulicante promiscuità tra sacro e profano, tra vita e morte, segna profondamente e lungamente gli spazi cittadini in una generale prospettiva dello stare al mondo che non rigetta la fine dell'uomo come altro da sé, ma tenta di neutralizzarla con le pratiche quotidiane. L'iconografia della 'danza macabra' (cadavere), molto diffusa dal 14° secolo soprattutto nell'Europa settentrionale, abbraccia in un folle girotondo i morti e i vivi, che sono colti in atteggiamento di sorpresa ma non di terrore. L'insegnamento morale riguarda a un tempo l'incertezza dell'ora della morte e l'uguaglianza degli uomini dinanzi a essa. Con il tempo, invece, viene prevalendo un'immagine iconografica almeno altrettanto antica, ma assai meno tranquillizzante, quella del 'trionfo della morte', personificata da uno scheletro alla guida di un carro nell'atto di stroncare la vita con una falce.
Nel 16° e 17° secolo, nel clima della Controriforma, la morte diventa uno strumento amministrato sapientemente come cerimoniale spettacolare, come atto pubblico esemplare, ma soprattutto come esercizio spirituale in omaggio a uno dei motivi fondamentali del Concilio di Trento: la vita presente come preparazione all'aldilà. Vi è in questa ossessione un risvolto che ha il valore di un ammonimento e di una mobilitazione alla fede - alcuni conventi dei Cappuccini ospitano nelle proprie catacombe, frequentate dai vivi, i resti mummificati dei confratelli e dei laici in abito da città - e un risvolto convenzionale, che fissa procedure e stereotipi di comportamento nel momento estremo: l'iconografia addita negli attori della scena modelli di pietà, di rimpianto, di attesa di una vita ultraterrena.
Con l'inizio del Settecento, sotto la spinta della nascente cultura illuminista, si risveglia un'antica sensibilità nei riguardi della dicotomia tra mondo dei vivi e mondo dei morti. La promiscuità, sostenuta da ragioni tradizionali e sentimentali, risulta inaccettabile alla luce delle nuove ricerche in campo sanitario che correlano la diffusione delle malattie ai miasmi dei cimiteri: ma in maniera spontanea, per esigenze di spazio, era già iniziata la costruzione di cimiteri che non rispondevano più al requisito di adiacenza alla chiesa parrocchiale. L'antico tabu della sepoltura ad ecclesiam è apertamente rigettato dalle élite intellettuali e dalle stesse sfere ecclesiastiche, che non riconoscono valore ai formalismi inutili e alle pratiche superstiziose.
Nelle proposte più radicali e anticlericali precedenti la Rivoluzione francese, la morte è un ostacolo incongruo da esorcizzare: se ne vuole scarnificare il cerimoniale riconoscendole soltanto il valore di passaggio obbligato. Benché mai applicato nella sua interezza, un decreto del Parlamento di Parigi del 1763, che pure manteneva al servizio funebre svolto in casa o in chiesa tutta la sua importanza religiosa, prevedeva il trasferimento all'ultima dimora, fuori città, come un semplice adempimento formale, privato di ogni carattere sia familiare sia ufficiale, svolto quotidianamente e collettivamente da addetti municipali. Il dibattito sviluppatosi nella Francia prerivoluzionaria, che ha lasciato ponderose tracce in memorie, petizioni, inchieste e disposizioni legislative, condusse alla chiusura per motivi di igiene dei cimiteri intra moenia e a penose traslazioni notturne.
Le norme emanate dal decreto napoleonico del 23 pratile dell'anno XII (12 giugno 1804), relative alle pratiche e ai luoghi della sepoltura, ebbero presto o tardi ripercussione in tutti i paesi d'Europa: con i nuovi adempimenti si fusero le tradizioni ebraica e cristiana della sepoltura in terra e l'eredità pagana del sarcofago e dell'arca marmorea e riprese vigore l'antica consuetudine della segregazione extraurbana dello spazio dei morti. Contestualmente, la simbologia funeraria si spostò su alcune immagini archetipiche fortemente idealizzate, allo scopo di allontanare, con l'astrazione e la perfezione dei volumi, l'idea della corruttibilità del corpo, di sostituire alla rappresentazione dell'umanità individuale quella dell'unità cosmica: la sfera come immagine della terra madre; la cavità al suo interno come immagine del caos; la piramide come immagine del sonno.
L'architettura illuminista si cimenta con progetti di monumenti funebri, tombe, cenotafi, in cui si intrecciano la commemorazione, la celebrazione dell'Essere e l'utopia, e con disegni di immense necropoli che illustrano il tema dell'uguaglianza della condizione umana dinanzi al comune destino. La vegetazione è generalmente assente, in omaggio al pregiudizio igienico che 'gli alberi trattengono i miasmi'; ma forse, se è vero che il ciclo della natura è altrettanto caduco di quello dell'uomo, qui risiede una più sottile ragione connessa all'intento di pietrificazione simbolica dello spazio.Il cimitero moderno emerge come nuovo tipo architettonico, come spazio specializzato nell'ambito dell'urbanizzazione, sollecitando una codificazione di principi nella trattatistica dell'epoca.
Nei Principi di architettura civile, del 1781, F. Milizia prescrive che il cimitero sia "un ampio ricinto quadrato, o di qualunque altra figura curva, o mistilinea, circondato internamente da portici con archi scemi, o co' piedritti a bugne vermicolate: genere d'ornamento analogo alla corruzione de' corpi umani. Sopra i muri del ricinto nel fondo de' portici fingansi consimili arcate, nello sfondato delle quali contengansi i cenotafi delle famiglie benemerite della patria, e al di sotto sieno delle catacombe particolari per la loro sepoltura. Al di sopra de' portici sieno delle logge per le ossa dei fedeli [...].
Nel mezzo dell'atrio si innalzi una piramide rustica, entro di cui sia una cappella sepolcrale". Nel mondo anglosassone, ancor prima della Riforma, si era affermato un tipo di cimitero del tutto diverso da quelli dell'Europa continentale: le tombe, generalmente disposte intorno a una chiesa, non ne invadono le mura né la soffocano con sepolcri ravvicinati. L'ultima dimora è intesa come un parco che non risponde a criteri geometrici, ma asseconda la natura. I sepolcri sono raggruppati o isolati, sparsi sotto gruppi di alberi o dispersi su un prato, segnalati da una modesta iscrizione. È il mito della 'metempsicosi vegetale', del ritorno alla terra.
Il cimitero-parco, scoperto e apprezzato nell'età romantica anche nei paesi latini, vi aveva di fatto già cittadinanza a partire dagli anni della Riforma protestante nel caso di individui che, avendo aderito a movimenti considerati eretici, si vedevano esclusi dalla chiesa e respinti dai cimiteri cattolici.La concezione 'eroica' di matrice illuminista e quella paesaggistica anglosassone, che inaugurano rispettivamente la tradizione del cimitero-museo e quella del parco-passeggiata disseminato di tombe, punteggiato da gruppi di alberi e da finte rovine, tendono a stemperare il proprio radicalismo in favore di soluzioni più equilibrate.
L'esempio più notevole di questa sintesi è rappresentato dal Père-Lachaise, realizzato a Parigi su un terreno collinare (1804) in conformità al programma di acquisizione dei terreni e di dislocazione territoriale di tre cimiteri municipali immediatamente a ridosso della cerchia urbana.
La presenza dei sepolcri di alcuni uomini illustri qui traslati doveva costituire un efficace richiamo per la società ottocentesca e rappresentare un nucleo significativo di memoria in cui riconoscere la propria storia civile. Qui, la natura sembra conciliarsi definitivamente con lo spazio cimiteriale e il giardino sembra assumere il compito di esprimere un nuovo culto dei morti, eroico o familiare.
Il progetto originario dosava sapientemente componenti naturali ed episodi architettonici attraverso una moltiplicazione delle reciproche visuali: aree sistemate a boschetto, in omaggio al paesaggismo anglosassone, costituivano un elemento di forte suggestione ambientale, mentre viali alberati curvilinei fiancheggiati da sepolcri replicavano l'immagine urbana della promenade.
Con gli anni, il meccanismo della concessione perpetua, che di fatto legittima in linea familiare una forma di occupazione dei suoli cimiteriali in tutto simile alla proprietà privata, intacca l'equilibrio paesaggistico del Père-Lachaise: i sepolcri individuali cedono il posto alle cappelle monumentali, veri sacrari familiari a cui i ceti emergenti consegnano la rappresentazione del proprio status, attraverso scelte architettoniche personalizzate.
L'idea di decoro borghese, che nel celebrato e affollato cimitero di Parigi sopravvive alla densificazione, viene completamente soffocata in altre realizzazioni sulla scorta della pressione della rendita fondiaria, che pretende di destinare i suoli urbani a funzioni ben altrimenti redditizie, ma soprattutto in relazione a processi di mercificazione vera e propria delle pratiche connesse al servizio funebre, affidate a operatori interessati a speculare sulle nuove esigenze delle città sempre più popolose.Dalla seconda metà del 19° secolo tutti i grandi centri urbani avvertono la necessità di individuare localizzazioni periferiche per i cimiteri, anche ponendosi in aperto contrasto con consuetudini radicate. Se l'opinione pubblica riesce talvolta a bloccare le decisioni dell'autorità, l'esilio dello spazio dei morti è un processo ormai inarrestabile.
4. Tipologie contemporanee
Nel corso del 20° secolo la riflessione teorica sembra riproporre la passata distinzione tra cimitero-città, per cui il progetto si presenta come occasione di realizzare il sogno di una città analoga, costruzione sospesa tra realtà e immaginazione, e cimitero-giardino, che rinsalda il legame simbolico tra la natura e la morte: tradizioni, queste, che intrattengono con la morte un rapporto non univoco, ma senz'altro propenso alla sua accettazione. Una terza tradizione, che fa capo ai sacrari militari delle guerre mondiali, sterminati e monumentali luoghi di sepoltura collettiva per celebrare le vittime della morte di massa, si innesta su quelle sopra ricordate, portando in dote una meditazione sull'assurdo.
Nel cimitero moderno, un vincolo perentorio è rappresentato dall'osservanza di alcune norme distributive e 'prestazionali', come la distanza dai centri abitati.
Nel nostro paese, in concomitanza con l'aumento dell'età media e il generale processo di invecchiamento della popolazione, le stime del fabbisogno futuro inducono le autorità a consentire ristrutturazioni mirate alla migliore utilizzazione delle strutture esistenti, ammettendo la densificazione e promuovendo la pratica della cremazione.
Nonostante ciò, la tipologia cimiteriale è forse quella che nel panorama contemporaneo risente dei minori condizionamenti di carattere formale. Ogni realizzazione può intendersi come il manifesto di una poetica, di una ricerca fortemente intrisa di motivazioni etiche, ideologiche e sentimentali; dalle soluzioni planimetricamente bloccate, che richiamano alla mente le città di nuova fondazione, alle soluzioni aperte, organiche, siano esse mimetiche o dialogiche nei riguardi dello spazio naturale; dalle suggestioni estranianti dell'ossessione ripetitiva o del monumentalismo schiacciante a quelle propense alla meditazione intima e nostalgica del 'piccolo è bello' e a quelle fortemente individualistiche. Quale che sia il linguaggio architettonico adottato, il tema del recinto, del diaframma interno-esterno, del rapporto con la città dei vivi è ineludibile.
Allo stato attuale, tra i più importanti fattori di discrimine tra società cumulative e società ripetitive o 'stazionarie' va considerato l'atteggiamento di fronte alla circostanza della morte. Presso alcuni popoli primitivi, dove il tempo non si connota come attesa in una prospettiva di miglioramento, ma è semplice allontanamento da una condizione di giovinezza che investe l'individuo, il gruppo, il mondo conosciuto, l'uomo affronta apertamente e senza ambiguità lo statuto della morte. Nel ricercare una forma di risarcimento rispetto alla perdita del congiunto o del componente del gruppo, l'individuo può allora disporsi ad assimilarne forze e poteri, attraverso pratiche spesso cruente, oppure pretendere una riparazione consistente nel ripristino della situazione originaria, per es. attraverso la sostituzione di un vivo nel ruolo sociale del defunto. In ogni caso, comunque, ciò si verifica all'interno di una concezione che vede la morte come necessario contrappunto di un principio vitale, come pegno indispensabile di un rinnovo rituale della struttura sociale, come fattore di stabilità del suo ordinamento, come antidoto al suo declino: una convinzione, questa, che si manifesta tanto nei miti di rigenerazione quanto nei rituali apotropaici.
Nelle società occidentali, l'uomo tiene da sempre in maggior conto il proprio interesse a lungo termine. Eppure, nell'ultimo secolo qualcosa è profondamente cambiato: in passato la morte era un fatto sociale e pubblico, a cui tutto il gruppo partecipava e reagiva solidalmente per poi riprendere lentamente il corso delle proprie vicende. Per i moderni costumi occidentali, la manifestazione del dolore è imbarazzante, la pubblicizzazione del lutto è insostenibile.
Simmetricamente, le pratiche intese a prolungare la vita, compreso l'accanimento terapeutico di fronte alla malattia, sembrano inscriversi in un tentativo più o meno consapevole di rimozione.
Gli attuali comportamenti oscillano tra l'adesione alla tradizione cattolica delle esequie solenni e la tentazione di allinearsi con il gelido rigore anglosassone, che prescrive un rituale accelerato, imperniato sulla soppressione del lutto, sulla semplificazione dei funerali, sulla cremazione dei corpi e la dispersione delle ceneri. In ogni caso, la presenza di un servizio capillare e specializzato nella gestione del momento estremo tende a sollevare i congiunti dalle pratiche pietose, spostando altrove, esternamente alla dimora del defunto, la sua preparazione estrema.
Questa sollecitudine delle imprese funebri assume in certi casi il carattere di uno strappo violento, di una vera espropriazione della pietas dei familiari.
C'è da chiedersi se la marginalità della morte, anticipata nel secolo scorso dalla espulsione dei suoi spazi fuori delle mura urbane, sia un carattere precipuo della modernità.
Alcune pratiche pietose si manifestano spontaneamente o sopravvivono solo nei circoscritti recinti dell'imprevedibile non occupati dagli specialisti: per es., in molti paesi mediterranei è invalso recentemente l'uso di segnare il luogo in cui è avvenuto un incidente d'auto con lapidi o croci in tutto analoghe alle sepolture vere e proprie. Queste testimonianze di pietà familiare che invadono lo spazio pubblico, esternando un dolore che chiama forme fugaci di solidarietà, trattengono la cifra impalpabile della sacralità in una sorta di cimitero virtuale. Esse sembrano possedere tutti i paradigmi di quel processo di consacrazione rituale dello spazio che, tradizionalmente, mobilitava l'intera collettività: l'insistenza sul nesso tra avvenimento e sito autorizza a nominare e a consacrare quest'ultimo come 'luogo', affrancandolo dalla contiguità spaziale e dalla sequenza temporale del paesaggio urbanizzato, a ritagliare un hic et nunc imperniato sia sugli aspetti della ripetitività rituale connessa al culto dell'estinto, sia su quelli che colgono la singolarità dell'evento nel dettaglio della biografia personale.
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