CINEMA E WEB.
– Hollywood modello dell’economia neoliberista globalizzata. Cinema e web: l’ideologia della guerra come progresso. Il modello del videogame. La realtà imita il cinema e il web. La distribuzione di film in rete. Dal video domestico alle nuove forme fra intrattenimento e condivisione on-line. Il cinema e il futuro socialmente e culturalmente progressivo del web. Bibliografia
Con l’affermarsi di Internet e in particolare del world wide web – che perfeziona in forma ipertestuale le possibilità di collegamento in rete (link) permettendo l’accesso non sequenziale ai documenti e l’interattività – il cinema e le sue espansioni (televisione, video) vivono una profonda «rimediazione» (Bolter, Grusin 1999), interagendo con le nuove tecnologie e con la nuova economia neoliberista globalizzata, a esse intimamente collegata.
Questa interazione tra cinema e rete dipende in primo luogo dal fatto che l’universo contemporaneo dei media costituisce un tutto, i cui componenti, pur eterogenei tra loro, sono sempre più integrati in virtù della digitalizzazione dei rispettivi segnali. L’era del digitale permette la piena attuazione del principale elemento costitutivo del web, la connessione, favorendo la realizzazione di forme nuove di cooperazione da cui potrà scaturire una nuova qualità nella vita degli esseri umani (Lévy 1994; De Kerckhove 1997).
Rispetto agli altri media, il cinema presenta, nell’interazione con la rete, un elemento peculiare e di considerevole rilievo, coerente con la funzione che al cinema, nel corso della sua storia, è stata attribuita dalle più forti industrie cinematografiche mondiali.
Una funzione che presenta, ben delineate, tre modalità antagoniste tra loro: quella dell’organicità al mercato liberista, quella della propaganda dei regimi dittatoriali (nazismo, fascismo, stalinismo, maoismo) e quella della ricerca di libere vie di sviluppo non immediatamente riconducibili al mercato liberista e alla sua ideologia. Quest’ultima modalità si oppone alle prime due per il suo tendenziale affrancamento dai condizionamenti dei poteri economici che presiedono alle economie in cui le cinematografie interessate si sono trovate o si trovano a vivere.
Hollywood modello dell’economia neoliberista globalizzata. – La peculiarità del rapporto del cinema con il web riguarda il ruolo che nell’attuale virtualizzazione del mercato globale ha svolto il modello economico di Hollywood, la massima industria cinematografica nel mondo. È stato osservato (Rifkin 2000) che l’industria hollywoodiana è stata la prima ad allinearsi alle nuove modalità dell’economia mondiale, in virtù della sua familiarità con il campo del virtuale.
Una prima analogia tra il cinema (e le sue espansioni) e il web è ravvisabile nel ruolo di rilievo che svolgono, all’interno del processo di «smaterializzazione dei beni» caratteristico della nuova economia globale, la spettacolarizzazione e la conseguente mercificazione delle esperienze di vita degli stessi consumatori. Questa spettacolarizzazione trova la sua sede, dalla produzione al consumo, nel nuovo quadro costituito dall’avvento del «ciberspazio», che tende a sostituirsi allo spazio geografico rendendo instabili ed effimere le organizzazioni preposte alla gestione dei nuovi tipi di merci e sostituendo i «processi» alle «strutture» (Rifkin 2000). Si pensi alla presenza sempre più pervasiva del web marketing, del network marketing e dell’e-commerce. Il caso più rilevante di e-commerce, peraltro, è costituito da Amazon, la ventennale azienda di commercio elettronico che ha attuato la virtualizzazione dei processi di vendita, operando via Internet su scala planetaria, in un modo per lo più sconosciuto (non si sa com’è strutturata né il numero dei suoi dipendenti né le loro tipologie contrattuali), ed è divenuta uno dei soggetti economici più importanti dell’intero commercio mondiale, eludendo quanto più possibile il fisco (Rampini 2014). Un’azienda che tra i beni commercializzati annovera i film, e il cui interesse per il mondo della comunicazione e della costruzione del consenso è mostrato dal suo recente acquisto del «Washington post», uno dei maggiori quotidiani statunitensi.
Insieme ad Amazon, nel campo dell’e-commerce un posto di rilievo spetta a iTunes, applicazione multimediale di proprietà della Apple, che attraverso il suo negozio virtuale (store) commercializza file musicali, video e film. In questa nuova realtà il modello organizzativo aggiornato dello studio hollywoodiano è stato lo standard cui hanno guardato i nuovi settori strategici del mercato contemporaneo, come quello informatico e quello scientifico (Rifkin 2000).
Così la «fabbrica dei sogni», che un tempo fiancheggiava e stimolava la ricerca di beni materiali, è divenuta il modello su cui si organizza la nuova economia, che dei beni virtuali fa i nuovi oggetti del desiderio. Si pensi alla spettacolarizzazione praticata oggi da un vasto numero di giovani, anche bambini, mediante la creazione di propri canali personali su YouTube in cui postare i propri video. Trasformazione che è, per ora, l’ultimo stadio di un percorso iniziato molto tempo fa. Da quando esiste, il cinema hollywoodiano dei generi, veicolando l’American way of life, ha programmaticamente veicolato nel mondo l’ideologia del capitalismo liberista. Oggi, nel pieno del processo di globalizzazione, assistiamo quindi al proseguimento di una linea di tendenza che da sempre è il filo conduttore dell’industria hollywoodiana.
Cinema e web: l’ideologia della guerra come progresso. – Ma l’ideologia capitalista neoliberista, che per tradizione trova nel cinema hollywoodiano il principale veicolo di diffusione e fidelizzazione, non si limita a quel livello superficiale, coinvolgendo livelli più profondi, che coincidono con una precisa visione dell’uomo. Una concezione che sembra spogliare il liberismo contemporaneo dalle molteplici componenti che lo hanno dialettizzato e temperato nel corso della sua storia e lo riduce alle nude formule di Thomas Hobbes: «Bellum omnium contra omnes» e «Homo homini lupus». È quanto ci mostra l’ampia produzione di film hollywoodiani di guerra degli ultimi trent’anni, che perseguono complessivamente la diffusione di quell’ideologia, talvolta temperata da considerazioni umanitarie che devono tuttavia arrestarsi di fronte alla sua sostanza più profonda, analogamente a quanto accade in generale alla comunicazione negli Stati Uniti (Chomsky, Herman 1988).
Ciò che unifica questi film è la presenza di un motivo che oggi, dopo la caduta del muro di Berlino e il conseguente venir meno di ogni velo legato a considerazioni di opportunità propagandistica, può essere riassunto così: all’incontro con l’orrore si deve reagire operando con ogni mezzo, non ultima la guerra, per aprire nuove strade al futuro e per consolidare il potere dell’unico vero ordine, che è la protezione di queste dinamiche vitalistiche attuata negli Stati Uniti. La pervasività di questo messaggio ideologico è evidente nell’intera storia del cinema hollywoodiano e agisce oggi esplicitamente sia nel cinema sia nei mezzi di comunicazione e nel web. Ne sono esempi recenti due opere di registi di successo, entrambi premi Oscar (il secondo cinque volte), uscite nel 2014: la serie televisiva The knick, di Steven Soderbergh, e il film American sniper, di Clint Eastwood.
The knick sfrutta il successo delle numerose serie mediche anglosassoni degli ultimi vent’anni ed è prodotto da Sky, la piattaforma più nota in Italia per i più diversi consumi televisivi, anche cinematografici, recentemente collegatasi, mediante il servizio Sky Go, con sistemi operativi che permettono la visione via Internet dei suoi canali su computer, tablet e smartphone.
La volontà di diffusione di questi prodotti risponde al criterio di ottimizzare gli utili veicolando l’ideologia che quell’ottimizzazione rappresenta e che identifica il progresso con la competizione intesa come legge naturale, di cui assicurare il dispiegamento temperandola con il minor numero possibile di regole. A questo risponde il rifiuto del discorso politico che caratterizza la storia del cinema di Hollywood e di cui è prova recente il citato film di Eastwood (sulla guerra in ῾Irāq). Un rifiuto che riguarda la critica politica delle forme sociali attuate dal capitalismo e non certo la presenza, che in questo cinema è costante, di un discorso politico implicito volto alla propaganda del capitalismo attraverso tecniche indirette di persuasione.
Il sistema hollywoodiano, che si estende oltre i suoi storici confini californiani e investe altre cinematografie, soprattutto di tradizione anglosassone, prosegue su questa strada la sua storia, come mostra un altro esempio recente: la neozelandese trilogia fantasy dello Hobbit, e in particolare l’ultimo episodio, The battle of the five armies (La battaglia delle cinque armate), uscito nel 2014 per la regia di Peter Jackson, dove la narrazione cede il campo al modello costituito dai videogame bellici.
E non è un caso che i video propagandistici dell’IS messi in rete abbiano come modello il film di guerra hollywoodiano e lo stereotipo massificante di molto fantasy di successo.
Il modello del videogame. – I film fantasy degli ultimi vent’anni si ispirano frequentemente ai giochi di ruolo di massa moltiplicatisi sul web, e la forma del 3D, normalmente praticata per quei film (non di rado unitamente al motion capture, v. cinema: Tecnologia digitale), rinvia anch’essa alla costruzione di una realtà virtuale credibile e interattiva.
Il primo tentativo di una riproduzione fedele della realtà lo aveva realizzato la Lucas film nel 1986 con Habitat, un mondo virtuale in grafica bidimensionale. E nel 1997 era uscito il primo gioco di ruolo di massa in rete, Ultima online, della Origin system.
Nel 2003 la società Linden lab ha realizzato Second life, un mondo virtuale in 3D per adulti, che offre un gioco interattivo i cui partecipanti creano propri ‘avatar’ e li fanno interagire in un mondo parallelo dotato di una propria moneta acquistabile tramite scambi con quella della vita reale, e al cui interno possono realizzare i loro desideri: acquistare beni di ogni genere, avere un determinato aspetto fisico, dedicarsi alle attività preferite, costruire oggetti, diventare membri di una comunità, dialogare con gli altri partecipanti.
Parallelamente, nel 2004 è nato World of warcraft, il gioco di ruolo di massa più popolare al mondo, che ha raggiunto presto i dieci milioni di utenti.
Second life subisce da qualche anno la concorrenza di Google lively, il mondo virtuale in 3D di Google, lanciato su piattaforma Windows; e la Linden lab, il cui interesse economico consiste nel trattenere una parte del denaro speso dai partecipanti nelle loro innumerevoli transazioni, è stata costretta ad ampliare la propria offerta in una dimensione più tradizionale, e cioè integrandola con quelle più correnti del web a 2D: la musica e i video.
Nel 2003 sono nati anche i mondi virtuali per bambini, con Habbo, Gaia online e Neopets, che hanno raggiunto milioni di utenti in pochi anni, e su questo mercato si muovono i grandi marchi, a cominciare da quelli cinematografici Disney e Warner Bros., per proseguire con Lego, Hasbro, Mattel.
Altri esempi di questi siti, che appaiono come un incrocio tra un centro commerciale e un gioco di ruolo di massa molto semplificato, sul modello di Habitat, sono Stardoll e Club Penguin.
E proprio sulla figura dell’avatar è impostato il film tuttora campione d’incassi nell’intera storia del cinema: Avatar (2009) di James Cameron, realizzato in 3D e in 3D IMAX. Il film, che ha vinto tre premi Oscar nel 2010, può essere considerato una metafora del videogame di massa, della relazione che si instaura tra l’essere umano e il suo doppio virtuale, e del rapporto tra virtual reality (VR) e vita reale, dove la VR è presentata come un altro mondo, fuori delle logiche del mercato liberista del nostro pianeta, un luogo del sogno e della riconciliazione con la natura e con la vita, in accordo con le odierne istanze ambientaliste ed ecologiste.
Esempio di dialettizzazione dei messaggi veicolati dal sistema hollywoodiano, Avatar presenta tuttavia molte scene modellate sul videogame di guerra, un genere che si è sviluppato sul web in forme estreme e che risponde alla missione di creare nel pubblico assuefazione alla violenza e all’omicidio, trasferiti, l’uno e l’altra, dal mondo reale alla finzione. In modo analogo a quanto accade nei cacciabombardieri statunitensi che hanno operato in Kosovo e delle cui gesta abbiamo potuto vedere le immagini nei nostri apparecchi televisivi. E, più ancora, in modo analogo a quanto accade nell’uso che il Pentagono fa dei droni, come denuncia il film di Andrew Niccol Good kill (2014), un’opera almeno parzialmente in controtendenza rispetto agli usuali film di guerra hollywoodiani, che mostra come la vita di donne e bambini del Medio Oriente venga decisa da funzionari della CIA, che ordinano ai militari di una base di Las Vegas il lancio di missili ad personam dai droni che operano a migliaia di chilometri di distanza dagli Stati Uniti.
Non è difficile scorgere nei videogame di guerra il mezzo per l’assuefazione del pubblico a queste logiche, e nel film di guerra la narrazione a-politica che queste logiche rende naturali.
La realtà imita il cinema e il web. – Interattività e sconfinamenti tra finzione e realtà caratterizzano gli ARG (Alternate Reality Games), giochi che non chiedono allo spettatore un’immersione nello schermo come accade nei mondi virtuali, ma piuttosto di cooperare come protagonista, conservando la sua vera identità, a una vasta narrazione interattiva che mette in gioco anche gli spazi della vita reale. Un esempio è costituito dall’ARG lanciato da Warner Bros e 42Entertainment in occasione dell’uscita dell’ultimo Batman, The dark knight (2008; Il cavaliere oscuro).
Per quindici mesi i partecipanti hanno giocato a rintracciare i numerosissimi indizi dislocati su siti web, segreterie telefoniche, SMS, ma anche negli spazi fisici e in eventi della vita reale, che permettessero loro di ricostruire la trama che collega i capitoli della saga di Gotham City.
Questi sconfinamenti tra finzione e realtà, in cui il web e il cinema appaiono perfettamente sintonici, sono testimoniati anche dai numerosissimi appuntamenti, procurati in molti Paesi del mondo dagli operatori commerciali o anche semplicemente da gruppi di giovani amici, per incontri in cui si esibiscono le maschere e i costumi derivati dai film fantasy, fantascientifici e di guerra, che i partecipanti indossano dopo averli acquistati o confezionati con cura essi stessi (cosplay).
Sul piano istituzionale, sono da ricordare le fiere dedicate al fumetto, all’animazione, ai giochi di ruolo, ai videogiochi, all’immaginario fantasy e fantascientifico che si sono affermate con successo nel mondo e di cui sono esempi il Comiket (da Comic Market) di Tōkyō, la Lucca Comics & Games (le due principali al mondo) e la romana Romics (da Roma Comics), gigantesche mostre mercato la cui pubblicità punta anche sulle sfilate dei cosplays e sulla presenza di ospiti e di spettacoli.
La distribuzione di film in rete. – L’offerta di film via Internet è in crescita costante. Sono in corso di espansione i database on-line di cinema: come l’italiano Mymovies, del gruppo editoriale L’Espresso, che è il più consultato dagli italiani e che offre anche la visione in streaming legale di film su determinati appuntamenti, in sale virtuali a numero chiuso cui è possibile iscriversi per ogni singola visione; lo statunitense Vimeo (anagramma di movie), sito di rete sociale video (di proprietà dell’azienda IAC/InterActiveCorp, che ha sede a New York e raccoglie più di sessanta marchi), usato anche da cineasti e videoartisti, come, per es., Zapruder filmmakersgroup e Quentin Dupiex, sito che consente la pubblicazione solo di opere create dall’utente (con esclusione dei video commerciali, dei videogiochi e della pornografia); o come quelli consultabili su YouTube (di proprietà di Google) e su Amazon, o a partire da Wired, e da una quantità di blog e di social network. Attiva nel campo dello streaming on demand (a pagamento), la società statunitense Netflix ha recentemente avviato la produzione di serie originali, come la fortunata House of cards.
Allo streaming legale, che può essere on demand oppure live (sia gratuito per un numero limitato di titoli, sia a pagamento), si affiancano forme di download (scaricamento) spesso illegali, praticate da un ampio numero di utenti che possono vedere al computer film di recentissima uscita, italiani e stranieri. In alcuni casi il fenomeno, in quanto utile for ma di pubblicità, viene incoraggiato dalle case di distribuzione, che normalmente favoriscono lo streaming legale di film appena usciti in sala. Lo streaming illegale, anch’esso in espansione, è molto spesso affidato all’iniziativa dei singoli utenti, che mettono in rete film di cui sono venuti in possesso. È questo il caso di Megaupload, sito web di streaming sequestrato nel 2012 dal Dipartimento di giustizia statunitense per violazione del copyright. La chiusura del sito ha provocato un’immediata reazione da parte dei pirati informatici (hackers) dell’organizzazione Anonymous che, all’indomani del provvedimento, hanno bloccato l’accesso ai siti web di diverse istituzioni e società americane.
Il diffondersi di schermi televisivi di notevoli dimensioni e capaci di trasmettere in 3D è sintonico con la futura distribuzione dei numerosi film, in particolare fantasy e per bambini, che da qualche anno la grande industria ha cominciato a produrre e che spesso veicolano messaggi ambientalisti ed ecologisti mostrando di considerare lo spazio riservato all’infanzia come un orizzonte futuribile sostanzialmente ottimistico (anche se problematizzato, talvolta fortemente, come accade nei migliori di questi prodotti: per es., il premio Oscar 2009 Wall-E, 2008, diretto da Andrew Stanton, produzione Pixar animation studios).
Questa sintonia è un’ulteriore conferma del ventaglio di innovazioni cui dà impulso la digitalizzazione: in direzione tecnica (4K, 8K, 3D, motion capture, effetti speciali e videogame) e di mercato (omogeneità tecnica tra prodotto e distribuzione, che permette tra l’altro la visione su cellulare).
Dal video domestico alle nuove forme fra intrattenimento e condivisione on-line. – Accanto ai video realizzati e messi in rete dai singoli utenti, la nuova spettacolarità audiovisiva sul web vede la nascita di spettacoli di nuova professionalità, realizzati da équipes creative e tecniche con protocolli operativi che esaltano spesso una certa disinvoltura giovanilistica e che sono infrequenti nel cinema e nella televisione tradizionali.
In particolare, si moltiplicano le web series, serie di episodi di fiction della durata di pochi minuti e destinati alla web TV. Alcune di esse sono finanziate mediante il crowdfunding, raccolta preventiva di fondi tra gli stessi spettatori, e tutte puntano a essere sponsorizzate dai siti che le accolgono, in considerazione dell’ascolto ottenuto dalle prime puntate, che garantisce a questi siti, come più in generale ai siti amatoriali e non profit, il ritorno economico attraverso la pubblicità (banner).
Nate alla fine del secolo scorso, le web series sono diventate un fenomeno di rilievo con la nascita di YouTube alla metà del primo decennio del 21° secolo. Il genere è oggi praticato da un ampio numero di singoli utenti e gruppi, ma interessa anche i tradizionali luoghi di produzione dello spettacolo, soprattutto negli Stati Uniti, dove la Sony, la Disney, la Twentieth Century Fox hanno dato vita a propri siti e linee produttive con un ampio numero di prodotti.
A esse si aggiungono ABC, CBS e NBC, e, in Francia, Arte. Dal 2008 esiste l’International Academy of web television, che assegna ogni anno gli Streamy awards ai migliori prodotti del genere.
Le web series, in particolare quelle realizzate al di fuori della produzione tradizionale, prevedono l’interattività nei modi sia della valutazione da parte del pubblico, sia di suggerimenti e di un’attiva partecipazione degli utenti alla progettazione degli episodi successivi della serie. Esse costituiscono così un’attuazione della figura del prosumer (Toffler 1980), fusione di producer e consumer, che è significativa sia dell’attuale livello tecnico del campo mediatico, caratterizzato dai cosiddetti self-media (Internet, cellulare, DVD, satellitare, realtà virtuale), sia dalla bipolarizzazione economicista cui l’universo della comunicazione e dello spettacolo di massa è portato a ridursi dai poteri economici che determinano il suo mercato. Il consumo di web series, attivo soprattutto tra i giovani, avviene normalmente sui dispositivi mobili: cellulare, tablet, smartphone.
Il cinema e il futuro socialmente e culturalmente progressivo del web. – Oltre a queste funzioni, la rete ne presenta un’altra fondamentale, ossia quella che all’inizio indicavamo come ricerca di vie di sviluppo relativamente autonome, alternative rispetto al puro mercato liberista. Questa funzione, tendenzialmente sottratta alle logiche dei poteri economici che guidano la globalizzazione dei mercati, trova i suoi attori in una molteplicità di soggetti che dialogano in rete sui più diversi argomenti, dando vita talvolta a vere e proprie comunità on-line. Alcuni di questi siti hanno acquistato un valore politico rilevante, trasformandosi in movimenti d’opinione organizzati ed economicamente strutturati (per es., il blog del comico Beppe Grillo che è arrivato a configurarsi come un partito politico, non solo sul web).
Ma la maggior parte conserva l’input originario, qualificandosi per l’apertura e una relativa indipendenza. Questi siti, che spesso utilizzano la piattaforma Facebook, creata nel 2004 (dal 2011 permette anche videochiamate sul modello Skype), sono praticati, tra gli altri, da un considerevole numero di cineasti sperimentali e di videoartisti, che vi postano i loro prodotti o le relative clip di presentazione. Una pratica, questa del video sharing o condivisione video, che avviene anche tramite siti e piattaforme che hanno un altissimo numero di utenti e su cui si caricano decine di migliaia di video ogni giorno. Ne sono esempio, oltre a quelli già ricordati: Google Video, MySpace, Dailymotion, Kaltura.
In questa vastissima rete è possibile trovare prodotti filmici censurati nei rispettivi Paesi d’origine, nonché film e video che si occupano di soggetti poco attraenti per le case cinematografiche tradizionali e che tuttavia hanno un loro pubblico fidelizzato, come documentari e video di sensibilizzazione su temi di carattere ecologista e ambientalista. Un esempio di particolare rilevanza è costituito dalla censura di cui è stato fatto oggetto il problema del surriscaldamento terrestre e del conseguente cambiamento climatico, che da anni viene per lo più taciuto a livello istituzionale. Il documentario An inconvenient truth (Una scomoda verità) di Davis Guggenheim, con Al Gore, uscito nel 2006 (e oggi visibile in streaming) ha come argomento proprio l’urgenza di una regolamentazione planetaria dei consumi di energia; ed è con molto ritardo rispetto a quella denuncia, e al movimento di opinione creato anche grazie alla rete, che nel novembre del 2014 l’ONU ha finalmente pubblicato un suo rapporto sull’argomento, in cui segnala il «rischio di un impatto irreversibile» del cambiamento climatico sul pianeta.
Altri temi scomodi sono la giustizia sociale e il superamento delle disuguaglianze che in forma ormai insostenibile si sono moltiplicate nell’economia globale del nuovo millennio (Piketty 2013).
A queste forme di scambio comunicativo ed emozionale, alla loro capacità di costruire consenso su questioni di rilevanza planetaria complessivamente censurate dal sistema capitalistico neoliberista, è affidata in non piccola misura la soluzione di problemi vitali del nostro pianeta.
Bibliografia: A. Toffler, The third wave, London 1980; N. Chomsky, E.S. Herman, Manufacturing consent, New York 1988 (trad. it. Milano 1998); P. Lévy, L’intelligence collective. Pour une anthropologie du cyberspace, Paris 1994 (trad. it. Milano 1996); D. De Kerckhove, Connected intelligence. The arrival of the web society, Toronto 1997; J.D. Bolter, R. Grusin, Remediation. Understanding new media, Cambridge (Mass.) 1999 (trad. it. Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, Milano 2002); J. Rifkin, The age of access. The new culture of hypercapitalism, New York 2000 (trad. it. L’era dell’accesso. La rivoluzione della new economy, Milano 2000); T. Piketty, Le capital au XXIe siècle, Paris 2013 (trad. it. Milano 2014); F. Rampini, Rete padrona, Milano 2014.