città
La sede principale della vita associata
La città non è solo un luogo fisico costituito da edifici e strade: è un punto di raccordo di numerose e complesse funzioni politiche ed economiche, sociali e culturali. Da quando è nata, migliaia di anni fa, come forma di insediamento stabile, la città ha assunto varie fisionomie e funzioni. Nelle diverse civiltà ed epoche storiche, si è presentata con caratteristiche e ruoli molto diversi: sede dell'autorità politica e religiosa, comunità autogovernata, luogo di scambi commerciali, centro della vita culturale, immenso agglomerato di edifici e popolazione
La comparsa della città, avvenuta circa 5.000 anni fa, costituisce una tappa fondamentale nell'evoluzione della civiltà umana: per segnalare il salto di qualità determinatosi si parla spesso di 'rivoluzione urbana'. Rispetto all'agglomerato di case costituito dal villaggio, la città comporta la riunione e l'integrazione in un'area delimitata di una serie di funzioni ‒ residenziali, militari, politiche, religiose, economiche ‒ in precedenza sparse e disorganizzate. La cinta delle mura diventa il segno tangibile della delimitazione e della concentrazione spaziale associate alla forma di vita urbana.
Il passaggio dal villaggio alla città però non è improvviso come l'espressione 'rivoluzione urbana' potrebbe far pensare, ma è l'esito di una serie di importanti sviluppi: il perfezionamento dell'agricoltura e dell'allevamento che garantisce una eccedenza della produzione, la specializzazione delle attività produttive e lo sviluppo dell'artigianato e del commercio, la comparsa della proprietà privata e la differenziazione sociale all'interno della comunità del villaggio, la nascita di un potere centralizzato di tipo politico o religioso. Entro il 2500 a.C., nelle grandi civiltà urbane sorte in Mesopotamia, in Egitto e nel bacino mediterraneo i luoghi tipici della città sono ormai presenti, in forme più o meno complete: la cinta muraria, la strada, il mercato, il recinto del tempio, gli uffici amministrativi, le botteghe degli artigiani.
Le città mesopotamiche si concentrano in tre regioni: a sud Ur, Eridu Uruk, Lagash, risalenti al 5° millennio, a partire dal 3800 verranno trasformate dai Sumeri in vere e proprie città-Stato; nella regione centrale Kish, Akkad e Babilonia sono le principali città edificate dagli Accadi e dai Babilonesi; Ninive, Assur, Kalash, a nord, sono tra i più importanti centri urbani degli Assiri. La tipica città sumera è un disordinato ammasso di abitazioni in fango, paglia e canne, attraversato da poche strade tortuose e racchiuso da mura di cinta dotate di torrioni difensivi. Il vero centro della città è il tempio, di dimensioni imponenti, che concentra funzioni religiose, politiche e amministrative. Gradatamente le funzioni sacrali saranno distinte da quelle politiche. La separazione tra il palazzo e gli edifici religiosi diventa definitiva a Babilonia, città annoverata tra le sette meraviglie del mondo.
In Egitto, la città è distribuita liberamente su un vasto territorio senza mura di cinta, in quanto non ci sono pericoli esterni. Il deserto e le montagne fungono da mura, i templi e le tombe dei faraoni assumono il ruolo di cittadelle fortificate. Nei piccoli modelli in legno trovati nelle tombe vediamo tutte le istituzioni specializzate della civiltà urbana: dalle botteghe ai templi ai palazzi. La città, aperta e più dispersa rispetto a quella mesopotamica, è fondamentalmente un centro cerimoniale, comprendente il palazzo, il tempio e il santuario. A Creta, l'isola che all'inizio del 2° millennio dominerà l'Egeo, la capitale Cnosso ripropone lo schema della città sumera: il centro è costituito dal palazzo ‒ sede politica, economica, religiosa e amministrativa ‒ chiuso da una cinta muraria attorno alla quale si sviluppa l'abitato, con case addossate le une alle altre.
In confronto alle metropoli orientali la città greca, che acquista la sua forma definitiva intorno al 5° secolo, è piccola e povera, ma diventa il tipo ideale di vita sociale regolata da leggi. Legata al territorio circostante, gestita da una collettività che si governa come uno Stato indipendente, la pòlis è esaltata nella Grecia classica come forma naturale e perfetta della comunità umana. Anche nella pòlis le costruzioni sacre hanno un posto privilegiato e sono collocate nell'acropoli, la parte alta della città, ma all'interno di uno spazio urbano concepito per soddisfare esigenze politiche e culturali complesse, come dimostra la presenza di importanti infrastrutture collettive: la piazza o agorà per il mercato e le riunioni dei cittadini; l'edificio adibito alle riunioni del Consiglio cittadino, o buleutèrion; il teatro; e infine il ginnasio, una palestra dove i giovani si esercitavano nella ginnastica e venivano educati alla musica, alla letteratura e alla filosofia. Non si può definire città, affermava lo scrittore greco Pausania, un luogo che non ha edifici amministrativi, né ginnasi, né un teatro, né un acquedotto.
Una delle condizioni essenziali dell'equilibrio della pòlis erano le sue dimensioni ridotte. Quando la popolazione cresceva oltre un certo limite, si fondava una colonia. In seguito, le misure delle città-Stato tradizionali vennero definitivamente superate con le capitali ellenistiche ‒ Alessandria, Antiochia, Pergamo ‒ dove prevale il carattere monumentale: strade larghe 5 o 6 m, imponenti edifici pubblici, monumenti grandiosi come il famoso Colosso di Rodi, un'altra delle sette meraviglie del mondo.
La città era la forma più perfetta della convivenza umana anche per i Romani, che la identificavano con la civiltà stessa: la parola civilitas deriva infatti da civitas ("città"). I Romani furono infaticabili costruttori di città, che disseminarono in tutto il territorio del loro vasto Impero. Anche se per gli aristocratici la 'vita vera' era solo a Roma, le città della provincia erano senza dubbio molto più vivibili della metropoli, che era sporca, caotica, congestionata al punto che Giulio Cesare dovette vietare ai veicoli a ruote il centro della città nelle ore diurne. A Roma non tutte le strade erano lastricate, mentre a Pompei i pedoni avevano addirittura a disposizione marciapiedi sopraelevati.
Il geografo greco Strabone osservava che quando i Romani costruivano una città si preoccupavano soprattutto di pavimentare le strade, di rifornirle d'acqua e di costruire fogne. Tutte le città fondate dai Romani avevano lo stesso impianto a scacchiera, con due vie principali, il cardine e il decumano, che si intersecavano al centro. Il passaggio di un centro abitato al rango di città era segnato dalla costruzione di mura e di un certo numero di infrastrutture pubbliche.
Il cuore della vita sociale della città romana era il foro: erede dell'agorà, più che una piazza il foro finì per diventare un intero quartiere dalla pianta complessa. Nell'area del foro sorgeva la basilica, destinata alle assemblee e all'amministrazione della giustizia, ma anche sede del mercato. Tra le grandi infrastrutture pubbliche, oltre ai teatri e agli anfiteatri, la creazione più originale dei Romani furono le terme: luoghi di vita sociale e mondana attrezzati come le più sofisticate beauty farms dei nostri giorni.
La caduta dell'Impero Romano d'Occidente (476 d.C.) e le invasioni barbariche segnarono nel mondo occidentale una decadenza inarrestabile delle città, che furono distrutte o abbandonate.
Solo nel mondo islamico la vita economica e politica restò fondata su una rete di centri urbani situati agli snodi delle vie commerciali terrestri e marittime. Alcune di queste città raggiungevano dimensioni vastissime: Il Cairo e Cordova contavano varie centinaia di migliaia di abitanti; Baghdad, splendida capitale dell'Impero abbaside, arrivava forse al milione prima di essere conquistata dai Mongoli nel 13° secolo.
La ripresa demografica e agricola che si verificò tra il 10° e l'11° secolo favorì in Europa una rinascita delle città: nacquero nuovi centri urbani, quelli preesistenti si ampliarono e si ripopolarono. Dopo il Mille, in molte città si dovettero sostituire le antiche cinte murarie con altre più larghe: per esempio Firenze, all'inizio del Trecento, aveva dovuto allargare tre volte la cerchia delle sue mura per ospitare una popolazione aumentata di otto volte.
Espressione di questo risveglio urbano fu il Comune medievale. Qui gli edifici pubblici simboleggiavano la presenza di vari poteri indipendenti e contrapposti: la cattedrale, il palazzo vescovile, il palazzo comunale, le sedi delle corporazioni mercantili, i conventi. Tutti questi edifici erano concentrati in uno spazio ridotto, per cui dovevano svilupparsi in verticale: torri, guglie e campanili sovrastavano il tessuto urbano. Le strade ‒ un dedalo aggrovigliato di viuzze tortuose ‒ avevano un ruolo del tutto speciale nelle città medievali. Non si trattava di semplici disimpegni ricavati dagli spazi tra le case; assieme alle piazze, le strade costituivano uno spazio pubblico dotato di molteplici funzioni: il passaggio, la sosta, il commercio, le riunioni, le cerimonie.
Con il passaggio dal Comune alla Signoria nell'Italia centrosettentrionale furono allestite le nuove capitali principesche: Urbino, Ferrara, Mantova; quelle più antiche, come Firenze, Milano, Napoli, furono parzialmente riadattate alle nuove funzioni di sedi del potere centrale. Le monarchie nazionali che si formarono in Età moderna dapprima non furono legate a una città in particolare, e le corti continuarono a spostarsi in vari centri o in castelli isolati. In seguito però re e papi scelsero una capitale stabile ‒ Madrid, Parigi, Londra, Vienna, Roma ‒ e ne promossero lo sviluppo.
Tra il 15° e il 17° secolo, a seguito delle grandi scoperte geografiche, il modello urbano europeo sarà esportato nel Nuovo Mondo, soprattutto nell'America Centrale. Verranno create grandi città sulle rovine di quelle preesistenti, come Tenochtitlán, la capitale azteca, e Cuzco, la capitale degli Inca; altre saranno edificate ex novo, seguendo il modello elementare di una griglia di isolati uniformi.
Un brusco cambiamento nella storia della città è costituito dalla rivoluzione industriale, che diede avvio all'urbanesimo, cioè all'espansione delle città e alla concentrazione della popolazione nei centri urbani. Dalla fine del Settecento l'aumento della popolazione urbana interessa soprattutto le città più grandi e quelle delle regioni industriali dove il carbone, la siderurgia, le attività legate alle costruzioni e ai lavori pubblici attirano manodopera: la regione mineraria inglese, i bacini carboniferi della Francia settentrionale e del Belgio, quello della Ruhr in Germania e i porti marittimi. Oltre ai centri industriali di nuova formazione, tutte le grandi capitali statali, soprattutto nell'Europa del Nord, grazie anche alla presenza delle grandi banche e delle borse, conoscono un notevole incremento della popolazione.
Arrivati all'Ottocento, le città di molte centinaia di migliaia di abitanti si moltiplicano in Europa e negli Stati Uniti. Londra e Parigi nel 1853, New York nel 1875, Vienna nel 1870 superano la soglia del milione di abitanti. La crescita urbana procede a un ritmo esponenziale: nel 1800 solo il 3% della popolazione mondiale viveva nelle città, nel 1950 il 27%, all'inizio del terzo millennio oltre il 50%.
Verso la metà del Novecento appare un fenomeno nuovo: la città perde il suo carattere di unità compatta e delimitata, per quanto gigantesca, e dilaga nel territorio circostante annullando i confini tra città e campagna, centro e periferia. La grande città a elevata densità e a tessuto urbanistico compatto si trasforma in un insediamento diffuso, in una 'regione metropolitana' in cui risiedono milioni di persone. L'area urbana si estende per svariati chilometri integrando spazi intermedi: aree di servizio, depositi, autostrade, centri commerciali, aeroporti. Queste regioni metropolitane sono dominate di solito da un 'polo' in cui si concentrano le funzioni direzionali e i servizi più avanzati.
Questa urbanizzazione su larghissima scala trova espressione anche nelle cosiddette conurbazioni, veri e propri sistemi di città che si succedono spesso senza soluzioni di continuità per centinaia di chilometri, come quella della Ruhr in Germania, o quella che va da Boston a Washington sulla costa nordorientale degli Stati Uniti.
Le grandi città dei paesi sottosviluppati o arretrati, anche quando raggiungono dimensioni mastodontiche come Città di Messico e San Paolo, conservano un impianto di tipo tradizionale: una struttura urbanistica centralizzata che si espande a macchia d'olio senza articolarsi in una pluralità integrata di insediamenti.
Le metropoli del Terzo Mondo si sono estese soprattutto grazie ai flussi migratori dalle campagne e dai centri minori . Una parte esigua della popolazione vive in quartieri residenziali di lusso, mentre la massa affolla le periferie degradate formate da quartieri improvvisati ‒ favelas, bidonvilles ‒ sorti in modo spontaneo e disordinato e privi dei servizi più essenziali.
A partire dagli anni Settanta in quasi tutti i paesi avanzati la crescita urbana ha avuto un improvviso rallentamento. Grazie alla possibilità di spostamenti rapidissimi e alle innovazioni tecnologiche delle comunicazioni in rete, che annullano le distanze, le grandi metropoli e le città in generale perdono il loro ruolo di centri materiali e funzionali. L'accentramento e la concentrazione lasciano il posto al decentramento e alla dispersione delle strutture produttive, residenziali e commerciali su un territorio più ampio di quello urbano.
Come conseguenza di questa tendenza alla contro-urbanizzazione, si diffondono gli insediamenti residenziali in aree classificate in passato come rurali: raggiungibili in tempi brevi dalla città, rispetto alla grande città hanno numerosi vantaggi, tra cui minore inquinamento, costo della vita meno elevato, presenza di aree verdi. Congestionata, caotica, elefantiaca, la città comincia a essere disertata da molti cittadini, pur continuando a esercitare un potente richiamo.
La globalizzazione economica ha innescato un processo di decentramento e di dispersione delle attività produttive, basate oggi in larga misura sugli scambi di informazione e sulle transazioni finanziarie. Nello stesso tempo però si è verificato un accentramento delle funzioni strategiche di decisione, controllo, gestione e coordinamento delle operazioni transnazionali di mercati e imprese in un ristretto gruppo di luoghi nevralgici che assumono il ruolo di 'città globali'.
Tali sono oggi New York, Tokyo, Londra, Parigi, Francoforte, Los Angeles, Amsterdam, Zurigo: queste sono diventate le città più importanti del pianeta non per le loro dimensioni, ma perché concentrano le risorse e le capacità necessarie al coordinamento dei servizi richiesti da una economia interconnessa a livello mondiale.
La città di Gerico, presso il Mar Morto, e Catal-Hüyük, nei pressi di Ankara, risalenti a circa 6.000 anni fa, detengono il primato di città più antiche del mondo. Protette da cinte murarie, centri del culto e del potere amministrativo, questi nuclei abitati non sono più semplici villaggi, ma presentano già alcune delle caratteristiche essenziali della città.
Nel Quattrocento l'umanista e architetto Leon Battista Alberti così elogiava la tipica strada a serpentina delle città medievali: "Nel cuore della città, sarà più bello non avere strade dritte, ma serpeggianti in varie direzioni, avanti e indietro come il corso di un fiume. Così infatti, apparendo assai più lunghe, accentueranno l'impressione di grandiosità della città [...]; questo serpeggiare delle strade permetterà al passante di scoprire a ogni passo una nuova struttura [...]. In una città piccola sarà salutare e gradevole avere da ogni casa una vista così aperta, semplicemente a uno svoltare di strada".
Le città nei primi anni dell'Islam si caratterizzavano per la presenza delle moschee, dove si svolgevano non solo funzioni religiose, ma anche civili, come l'insegnamento e l'amministrazione della giustizia. Accanto alla moschea nel 10° secolo si sviluppa la madrasa: specie di università religiosa; importante anche l'edificio dei bagni pubblici (hammam). Elemento tipico era il mercato - chiamato suq in arabo, bazar in persiano - formato da decine di minuscole botteghe.