CLASSICISMO
Il fenomeno del c. nell'arte medievale è una vicenda articolata e ricca di sfaccettature, che si snoda non solo all'insegna dell'alternanza fra sopravvivenze, recuperi, copie e imitazioni dell'Antico (v.), ma anche e soprattutto - per gli aspetti più determinanti - nell'ambito di una più intima e sofferta dialettica tra i modelli della tradizione classica e la ricerca di un nuovo 'classico' specificamente medievale, "un ordine logico capace di spiegare e misurare, non già il passato, ma il vivo presente" (Romanini, 1984, p. 674).La questione è estremamente complessa già in quanto le diverse categorie in cui può essere ordinato il c. medievale appaiono definibili solo con ampi margini di ambiguità, dovuti sia alle carenze nella ricostruzione dei contesti, che rendono spesso puramente ipotetica l'individuazione dei presupposti delle scelte artistiche, sia alla stessa polivalenza del concetto di stile classico in storia dell'arte. Per quanto riguarda questo secondo punto, il nodo centrale è costituito dal fatto che nella teoria dell'arte è considerato come stile classico quello fiorito in Grecia nei secc. 5° e 4° a.C. e di conseguenza, come espressione di c. più o meno pieno, tutte le sue riprese, globali o parziali; sulla scorta della esemplare vicenda dell'arte greca antica, è stata definita età classica anche la fase culminante della vita di uno stile, il suo momento di maggior padronanza e felicità espressiva (Focillon, 1943). Benché tali sistemi ciclici, come del resto altri tentativi di schematizzazione dei corsi stilistici, si siano rivelati inadeguati a spiegare l'evoluzione delle forme artistiche e siano oggi per lo più obsoleti (Shapiro, 1953), resta comunque il fatto che sotto il comune denominatore di c. possono essere compresi tanto fenomeni di ripresa dell'arte antica non esclusivamente del periodo classico - che si rivelano nella scelta di una concezione formale organica e plastica o nell'adozione di un determinato repertorio di motivi decorativi e schemi iconografici o, naturalmente, in entrambe queste cose e in altre - quanto manifestazioni artistiche, senza evidenti caratteri retrospettivi, in cui appare raggiunto un perfetto equilibrio dei mezzi formali ed espressivi. Questi due fenomeni, tuttavia, seppur distinguibili nei presupposti, appaiono spesso nella realtà della prassi artistica medievale profondamente interdipendenti e possono coesistere in un ristretto ambito.Un'altra distinzione di primaria importanza, in parte connessa a quanto detto prima, è quella, non sempre facilmente effettuabile, tra pulsioni eterodirette e introdirette nel verificarsi di un mutamento di stile (Kitzinger, 1967). Considerando, nel manifestarsi di una nuova corrente stilistica, il grado di consapevolezza, il rapporto con gli stili preesistenti e il ruolo dei committenti, tale distinzione - che non si applica solo a fatti relativi al c., ma che assume in quest'ambito particolare significato dato il carattere perenne e universale dei modelli antichi e classici - cerca di individuare l'ordine di fenomeni a cui attribuire la ragione di determinate scelte. Nel campo in questione dunque i mutamenti eterodiretti, cioè fortemente condizionati dai committenti, vanno considerati generalmente come revival o, in caso di manifestazioni di ampio respiro, come rinascenze (v.), mentre le innovazioni introdirette, dovute cioè ad autonome scelte degli artefici, sono quelle che, qualora le si riesca a riconoscere e ad afferrare pienamente, possono far luce sui diversi modi in cui l'Antichità grecoromana contribuì, al di fuori di programmi culturali globali o intenti celebrativi, alla genesi di nuove forme stilistiche più o meno a loro volta classiche.Nella moderna storiografia la concezione di una fine dell'arte antica, seguita da una serie di rinascite parziali culminanti nel definitivo recupero di forme e contenuti del passato classico operato dal Rinascimento, è stata da tempo superata in favore di una visione di continuità che registra la diffusa trasmissione inerziale della koinè figurativa ellenistico-romana dall'Antichità al Medioevo (Settis, 1982; 1986, p. 440ss.). In questa trama ininterrotta di conservazione e riuso del patrimonio antico, i numerosi episodi da accogliere in una storia del c. medievale non si situano, per le ragioni sopra elencate, lungo una linea che tracci progressivi gradi di consapevolezza o fedeltà verso un modello classico inteso come normativo: essi vanno pertanto indagati di volta in volta in base ai diversi agenti delle scelte stilistiche e ai mutevoli presupposti di un panorama artistico estremamente differenziato culturalmente e politicamente.Benché nei fregi dell'arco di Costantino a Roma (315) venga riproposto in un monumento di grande spicco quello stile caratterizzato dal rifiuto della tradizione classica che aveva trovato spazio in ambito ufficiale con l'arte della Tetrarchia (Kitzinger, 1977, p. 7ss.), è proprio nell'arte di epoca costantiniana che si registra il riavvicinamento alla tradizione classica, apparsa offuscata nel corso del 3° secolo. Tale riavvicinamento si manifesta da un lato con il pieno ripristino dello spirito classico in diversi ambiti della produzione artistica, di cui resta testimonianza per es. nei brani di soffitto dipinto del palazzo imperiale di Treviri (315-325; Treviri, Bischöfliches Dom- und Diözesanmus.), dall'altro nell'uso, per i nuovi edifici monumentali del culto cristiano, non tanto di tipologie edilizie tardoimperiali, quanto soprattutto del repertorio architettonico-scultoreo degli ordini classici, piegato con disinvoltura ad articolare uno spazio religioso del tutto diverso rispetto a quello del tempio pagano (Onians, 1988, p. 59ss.). Quest'ultimo punto è di primaria importanza perché investe all'origine il nucleo problematico centrale del c. medievale, vale a dire il rapporto del nuovo credo cristiano con il patrimonio artistico di eredità pagana. Si tratta ovviamente di una problematica ad ampio raggio, che non si presta a soluzioni univoche, ma che sembra autorizzare, allo stato attuale degli studi, alcune considerazioni generali. Data la pluralità delle sue componenti culturali, il cristianesimo espresse verso le rappresentazioni artistiche atteggiamenti diversi - da un lato indifferenza, rifiuto e condanna, dall'altro accettazione e apprezzamento (Tatarkiewicz, 1979) - che nel corso del Medioevo hanno alternato fasi di coesistenza pacifica a momenti di confronto dialettico, ma anche di aperta ostilità (v. Iconoclastia). Nel caso di accettazione, non sembra che vi sia stata nella prima arte cristiana una mirata scelta di forme anticlassiche in quanto ritenute più consone a esprimere la spiritualità della nuova religione (Trilling, 1987, p. 472). Monumenti e raffigurazioni delle divinità pagane venivano condannati dagli autori cristiani come opere di idolatria, ma tale condanna, che del resto non ebbe sempre riscontro nella pratica, non comportò un'iniziale prevenzione verso le concezioni formali incarnate in gran parte di queste opere d'arte. A questo proposito va ricordato che una delle fonti principali dell'estetica cristiana, il libro veterotestamentario della Sapienza, già conteneva una notevole componente greca, di cui è espressione emblematica il versetto "Ma tu hai tutto disposto con misura, calcolo e peso" (Sap. 11,20): una formula, ripresa incessantemente dagli autori cristiani in diversi contesti (Curtius, 1978⁹, p. 493), che ben si accorda con una norma artistica di stampo classico basata sulle proporzioni armoniche tra le parti.Due opere della seconda metà del sec. 4° testimoniano, con impostazioni diverse, del libero uso delle forme classiche in ambito cristiano. Da un lato, nel sarcofago del prefetto di Roma Giunio Basso (m. nel 359; Roma, Tesoro di S. Pietro), appare giunto a compimento il processo di recupero della tradizione grecoromana svoltosi nei precedenti decenni nel campo della scultura funeraria (Kitzinger, 1977, p. 26): le consuete scene del Vecchio e del Nuovo Testamento, infatti, vi appaiono non solo disposte all'interno di un doppio ordine di colonnati classicheggianti, ma anche eseguite con forme morbide e levigate. Su un altro versante, il cofanetto nuziale della dama cristiana Proiecta (Londra, British Mus.), trovato insieme ad altre argenterie sull'Esquilino a Roma e databile tra la metà e la fine del sec. 4° (Milano capitale, 1990, p. 81), è invece decorato con soggetti del tutto profani, la toilette di Venere e scene di nozze, eseguiti secondo moduli classici; esso attesta quindi il perdurare del gusto verso un repertorio iconografico e formale di eredità antica da parte dei ceti elevati, anche se convertiti, così come la continua dimestichezza degli argentieri con tale produzione. Un forte impulso al mantenimento della tradizione fu dato in quegli anni, tuttavia, dalla reazione pagana promossa da alcuni membri dell'aristocrazia senatoriale romana. Opera emblematica di tale reazione è la c.d. patera di Parabiago (Milano, Civ. Mus. Archeologico), piatto d'argento con la raffigurazione del trionfo di Cibele e Attis, in cui l'adesione a modelli, verosimilmente di età adrianeo-antonina, è tale da aver ostacolato in passato la datazione alla seconda metà del sec. 4°, che è quella oggi generalmente accettata sulla base di considerazioni d'ordine sia stilistico sia iconografico (Musso, 1983). La reazione pagana tuttavia non si espresse solo con il c. filologico, quasi aggressivo (Kitzinger, 1977, p. 35), del piatto di Parabiago; nella lanx di Corbridge (Alnwick, Castle), grande piatto d'argento rettangolare databile alla seconda metà del sec. 4°, un consesso di divinità olimpiche in un giardino mostra pose e motivi classicheggianti realizzati in una maniera che più di una volta sacrifica proporzioni e anatomia in favore di un elegante fluire di grafismi lineari. Si tratta di un adattamento dei modelli a un nuovo gusto antiplastico da cui risulta un prodotto coerente, senz'altro imbevuto di c., sebbene esangue. Ancora diverso è il caso del dittico dei Simmaci e dei Nicomaci (diviso tra Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny, e Londra, Vict. and Alb. Mus.), altra opera chiave dell'arte dell'aristocrazia pagana, databile alla fine del 4° secolo. Su ciascuna delle due valve eburnee del dittico la raffigurazione di una sacerdotessa in atto di celebrare un rito accoppia forme anatomiche possenti e non prive di qualche incertezza a una resa accademica di panneggi e particolari accessori tratti da modelli grecoromani. È questo uno degli esempi più evidenti di c. eterodiretto (Kitzinger, 1967; 1977, p. 34), in cui l'artefice non riesce a rifondere nella sua esperienza lo stile imposto dal committente. La questione assume un ulteriore interesse per il fatto che alla stessa bottega del dittico appena citato si possono attribuire altri avori - il dittico di Probiano (Berlino, Staatsbibl.), l'Ascensione di Monaco (Monaco, Bayer. Nationalmus.) e l'avorio Trivulzio con le Pie donne al sepolcro (Milano, Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Antica) - tutti databili tra la fine del sec. 4° e gli inizi del 5° (Kinney, 1981), che, sempre nell'ambito di un pronunciato c., presentano altre due varianti stilistiche, la più efficace delle quali è senza dubbio quella dei due intagli di soggetto cristiano in cui elementi di provenienza diversa trovano un accordo solenne e delicato.Se per le argenterie e gli avori fin qui elencati, e per molti altri includibili nella temperie classicistica del periodo (Age of Spirituality, 1979; Toynbee, Painter, 1986), esiste un certo accordo sulla cronologia, del tutto aperta è ancora la questione dei centri di produzione. Il gruppo degli avori raggruppabili intorno al dittico dei Simmaci e dei Nicomaci e alcuni degli argenti citati (in primo luogo il piatto di Parabiago e il tesoro dell'Esquilino) sono gli unici pezzi che, sebbene non del tutto all'unanimità, hanno ottenuto, per ragioni di stile e di committenza, un'attribuzione relativamente stabile a officine romane. Per il resto, data l'assenza di dati oggettivi, regna l'incertezza (Melucco Vaccaro, 1993) e negli studi recenti è anche stata messa in dubbio la visione tradizionale che opponeva a un Occidente percorso da fremiti nostalgici un Oriente padrone di un'ininterrotta tradizione classica, testimoniata per es., nel contesto in questione, dalla capsella di Salonicco (Salonicco, Archaeological Mus.), reliquiario paleocristiano in argento con sbalzi eseguiti in un soave stile ellenistico (Panaghiotidi, Grabar, 1975). Poiché tali oggetti di lusso si rivolgevano a un pubblico aristocratico che aveva la medesima identità culturale nelle diverse parti dell'impero, così come comune era la tradizione ereditata dalle botteghe, e date anche l'esiguità e la casualità dei ritrovamenti, si tende oggi infatti a negare il postulato di una dicotomia stilistica tra Oriente e Occidente per una visione più duttile e articolata dell'interazione tra politiche culturali, correnti stilistiche e pratiche di bottega (Musso, 1983, p. 97; Baratte, 1992).All'ambiente della corte costantinopolitana di Teodosio I (379-395), comunque, è riferibile con sicurezza un gruppo di opere, tra cui la base dell'obelisco dell'ippodromo (ca. 390; Istanbul, Atmeydanı) o il missorium di Teodosio (388; Madrid, Real Acad. Historia), in cui si esprime il meno sfuggente tra i movimenti classicistici della fine del sec. 4°, noto appunto come rinascenza teodosiana (Kitzinger, 1977, p. 31ss.). Lungi dall'essere meramente retrospettivo, il c. teodosiano propone un ideale di raffinatezza del tutto originale, in cui componenti stilistiche diverse riescono a fondersi secondo direttive generali di equilibrio compositivo e morbidezza ed eleganza del modellato. Indubbiamente questa nuova formulazione fu il risultato dei gusti e della politica culturale della corte teodosiana; resta da chiedersi se manifestazioni affini emerse in altre aree siano da considerarsi un'emanazione dell'arte costantinopolitana o piuttosto frutti autonomi di analoghe premesse: l'interrogativo riguarda in primo luogo alcune opere milanesi della fine del secolo (Il Millennio Ambrosiano, 1987).A riprova della sostanziale inestricabilità dell'intreccio di correnti stilistiche in questo momento storico va infine menzionato il c.d. dittico di Stilicone (Monza, Mus. del Duomo), una realizzazione di alto livello qualitativo e rappresentativo di cui non è stato possibile determinare con sicurezza né la cronologia, né il luogo di produzione (Kiilerich, Torp, 1989). Quest'avorio, in cui, secondo una parte degli studiosi, sarebbe rappresentato Stilicone, il generale vandalo al servizio di Onorio, con la moglie Serena e il figlio Eucherio, è un esempio di particolare interesse: esso infatti rivela nei panneggi così come nell'impostazione delle figure e dell'intero gruppo - forse esemplato su antiche immagini di Marte e Venere - un attento studio del classico, ma risulta in definitiva, per le proporzioni allungate, l'astrattezza della cornice architettonica e l'assenza di ogni compiacimento anticheggiante, una raffigurazione inedita in cui i modelli appaiono trasfigurati da una volontà formale fortemente radicata nell'attualità.Carattere retrospettivo e programmatico ebbe invece il processo di romanizzazione della Chiesa avviatosi nella sede del papato a partire dall'elezione di Damaso, avvenuta nel 366 (Krautheimer, 1980, trad. it. p. 55ss.). Con S. Paolo f.l.m. (384-392), il mosaico absidale di S. Pudenziana (402-417), S. Sabina (422-432), S. Maria Maggiore (432-440), S. Stefano Rotondo (468-483), per citare solo alcuni tra gli esempi maggiori, la Chiesa di Roma si appropriò di tutto l'apparato monumentale e decorativo della tradizione classica in modo tale che esso divenne da questo momento, per il mondo latino, un segno di riferimento principalmente politico-religioso. Per realizzare questo imponente programma costruttivo, in cui predomina lo schema basilicale, fu utilizzato, in posizioni di rilievo, molto materiale di spoglio scelto con grande accuratezza (per es. nel colonnato di S. Sabina). Il materiale creato appositamente si dovette uniformare stilisticamente ai pezzi antichi reimpiegati e ciò determinò all'origine quella tendenza conservatrice e imitativa che costituisce uno dei tratti ricorrenti del rapporto con il passato delle maestranze romane nel corso del Medioevo.Anche nelle regioni orientali gli edifici legati agli ambienti della corte continuarono a valersi della decorazione architettonica tradizionale; ma questa subì un mutamento di stile in senso antinaturalistico da cui risultarono nuove creazioni di grande efficacia e comunque fortemente connotate in senso classicistico, anche se questa strada avrebbe condotto infine alla completa disgregazione delle forme originarie. Tra i vari esempi si possono menzionare: i frammenti del propylaeum di Santa Sofia (404-415) e i capitelli di S. Giovanni di Studios a Istanbul (ca. 450); i capitelli dell'Acheiropoietos a Salonicco (ca. 450-470) e la decorazione architettonica del monastero di Qal῾at Sim῾ān in Siria (ca. 480-490; Krautheimer, 1965, trad. it. p. 111ss.; Kitzinger, 1977, p. 76).Nel complesso, tuttavia, il sec. 5° mostra una flessione dello spirito classico, evidente sia nella perdita di organicità delle forme e dei sistemi ornamentali sia nell'affastellarsi di elementi accessori all'interno delle raffigurazioni (Kitzinger, 1977, p. 45ss.). Non mancano tuttavia testimonianze del persistere del gusto per le formulazioni della tradizione antica, per lo più inserite in nuovi contesti: a questo proposito vanno ricordati la lunetta a mosaico con il Buon Pastore nel mausoleo di Galla Placidia a Ravenna (424-450), scena pastorale di grazia ellenistica, e i diafani scenari architettonici del mosaico della cupola di S. Giorgio a Salonicco (di datazione controversa, probabilmente della metà del sec. 5° ca.). Da segnalare inoltre è la trasmissione di convenzioni pittoriche di matrice ellenistica attraverso codici di lusso le cui miniature riproducono modelli anteriori di epoche diverse, quali per es. il Virgilio vaticano (Roma, BAV, Vat. lat. 3225), eseguito presumibilmente a Roma agli inizi del sec. 5° (Age of Spirituality, 1979, nr. 203), e l'Iliade ambrosiana (Milano, Bibl. Ambrosiana, F.205 inf.), attribuita ad Alessandria d'Egitto e databile tra la metà del sec. 5° e gli inizi del 6° (Bianchi Bandinelli, 1973). Attraverso i manoscritti inoltre si conservò anche un raffinato sistema di cornici decorative di origine classica, come testimonia per es. il Dioscoride di Vienna, eseguito a Costantinopoli intorno al 512 (Vienna, Öst. Nat. Bibl., Med. gr. 1, c. 7v).Con i secc. 6° e 7° le componenti classiche riemergono a più livelli con rinnovato vigore. Nel vasellame d'argento, di produzione generalmente costantinopolitana, si assiste a un ritorno a forme e tematiche classiche, secondo una formula semplificata, nota come Byzantinische Antike, frutto dell'automatico ripetersi di un repertorio di bottega (Toynbee, Painter, 1986; Trilling, 1989, p. 29ss.). Nel folto gruppo di queste opere si distingue, per l'intonazione quasi filosofica, un piatto con un pastore seduto (San Pietroburgo, Ermitage), datato dai marchi sul metallo al regno di Giustiniano (527-565). Anche tra gli intagli in avorio si trovano raffigurazioni di soggetto mitologico, di cui è esempio notevole un'applique con la figura di Arianna (Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny), con morbide membra elegantemente drappeggiate, databile agli inizi del sec. 6° ed eseguita secondo alcuni in Egitto, secondo altri a Costantinopoli (Caillet, 1986). Sempre nell'ambito delle manifatture suntuarie, lo stesso gusto classicistico contraddistingue anche opere di contenuto cristiano, tra cui sono da menzionare in primo luogo i piatti d'argento con Storie della vita di Davide (613-629; New York, Metropolitan Mus. of Art), dai caratteri classici tanto elaborati e insistiti da far supporre (Kitzinger, 1977, p. 110ss.) una precisa volontà retrospettiva dei committenti legata al programma di regno dell'imperatore Eraclio. Sempre a officine costantinopolitane, ma della prima metà del sec. 6°, è assegnato un avorio con un arcangelo (Londra, British Mus.) in cui le forme classiche sono abilmente utilizzate per rendere la figura quasi immateriale e la decorazione architettonica fantastica ma equilibrata, in un insieme in cui si fondono solennità e leggerezza (Age of Spirituality, 1979, nr. 481). Un'opera come questa, in cui peraltro non vi è segno di ostentazione, rivela il persistere di una tradizione classica del tutto viva. Ben diverso appare per es. un dittico con Cristo e la Vergine (Berlino, Mus. für spätantike und byzantinische Kunst) che, benché anch'esso aulico prodotto costantinopolitano, databile alla metà del sec. 6°, di alta qualità e indubbia aura classica, tradisce l'interazione di diverse componenti (Effenberger, Severin, 1992, nr. 53).Un'altra importante tendenza che si coglie agli inizi del sec. 6° è quella verso una figuratività essenziale, basata su esemplari rapporti proporzionali. Questa tendenza, già forse ravvisabile nella raffinata decorazione dei dittici consolari di Giustiniano (521; Milano, Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Antica; New York, Metropolitan Mus. of Art; Parigi, BN, Cab. Méd.), si dispiega con grande varietà di soluzioni nelle lastre di recinzione di Santa Sofia a Costantinopoli, ancora in opera nella chiesa (Barsanti, Guiglia Guidobaldi, 1992, p. 137, n. 87). Lo stesso spirito di queste lastre, che, con il loro nitido repertorio geometrico, si diffusero in breve anche al di fuori della capitale bizantina (per es. a Roma in S. Clemente e a Parenzo nella basilica eufrasiana) sia come prodotti di esportazione sia come repliche locali, sembra animare un manufatto di tutt'altro ambito, la patena di Gourdon (Parigi, BN, Cab. Méd.), opera di oreficeria alveolata germanica databile alla prima metà del 6° secolo. L'impressione che l'economia distributiva classica, evidente in questo piatto liturgico, non sia dovuta a un semplice processo imitativo, bensì costituisca una vitale nuova soluzione (Romanini, 1975, p. 790; 1984, p. 674ss.), viene confermata dall'esame del calice corrispondente (Parigi, BN, Cab. Méd.), in cui anse di immediata ascendenza pontica si uniscono felicemente a un antico kántharos.Lo stesso misurato accostamento di elementi di diversa origine, con una netta predilezione per gli schemi geometrizzanti, si ritrova in opere degli anni successivi: per es. nella coperta di evangeliario di Teodolinda (ca. 600; Monza, Mus. del Duomo), in cui si tende oggi a riconoscere con valide ragioni un prodotto dell'arte di corte longobarda, piuttosto che un dono del papa Gregorio Magno alla regina, come a lungo si è sostenuto (Frazer, 1988, p. 24ss.; Elbern, 1992, p. 396ss.); o in una serie di epigrafi funerarie di ambiente longobardo, quali in primo luogo la lapide di Aldo (seconda metà sec. 7°; Milano, Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Antica) - dal calibrato impianto compositivo di sapore classico e voluti accenti latini (Romanini, 1984, p. 672; 1988, p. 220) - e i più tardi esempi, della prima metà del sec. 8°, delle lastre di Senatore (Pavia, Civ. Mus.) e di S. Cumiano (Bobbio, Mus. dell'Abbazia di S. Colombano). Anche nella plastica architettonica di epoca liutprandea (712-744) si ritrova un intimo confronto con i modelli aulici, risolventesi in autonome formulazioni di grande forza sintetica. Ne sono esempi il capitello su colonnina un tempo appartenente alla chiesa pavese di S. Giovanni in Borgo (Pavia, Civ. Mus.) o quelli provenienti dalla reggia di Corteolona reimpiegati a Santa Cristina e Bissone, presso Pavia (Romanini, 1988, p. 218ss.; 1991, p. 18ss.; 1992): opere che si esprimono in un linguaggio classico inedito, ben consapevole "del suo tempo altro e dei suoi propri diversi strumenti" (Romanini, 1991, p. 20).Di segno opposto è un altro fenomeno, ritenuto dai più di irradiazione costantinopolitana, che si rivela a partire dal sec. 6°: quello della pittura ellenizzante, un fenomeno rientrante nel più ampio quadro dell''ellenismo perenne', chiave interpretativa dell'intero svolgimento dell'arte bizantina (Kitzinger, 1981, p. 659). Non del tutto chiaramente definibile nella sua genesi, anche a causa delle distruzioni operate durante la crisi iconoclasta, la pittura ellenizzante - che si esprime con densi impasti di colore intrisi di luce e morbidi trapassi di piani invigoriti da ombre profonde, secondo la più schietta tradizione ellenistica - fu un fattore determinante non solo per le sorti dell'arte bizantina. Le sue relativamente frequenti apparizioni in Occidente, a partire dall'Annunciazione sulla parete palinsesto di S. Maria Antiqua a Roma (565-578), non sono riconducibili a priori sotto tutti gli aspetti a un'unica fonte, anche se la ricostruzione di diversi possibili percorsi resta assai problematica, come mostra il caso, in ogni senso emblematico, a partire dalla qualità in assoluto eccezionale, degli affreschi di Castelseprio (v.), tuttora, a poco meno di cinquant'anni dal ritrovamento, oggetto di dispute non solo circoscritte a questioni cronologiche. Del resto non priva di problematicità si presenta la questione dell'arte ellenizzante anche sul versante bizantino; fermo restando il suo carattere di costante, ne sfuggono infatti ancora a una precisa definizione non solo, come già accennato, gli esordi, ma anche parte degli sviluppi fino al termine della crisi iconoclasta (Kitzinger, 1977; Trilling, 1989; Kitzinger, 1992). Esemplare in proposito è la controversa vicenda critica dell'icona sinaitica a encausto con S. Pietro (S. Caterina sul monte Sinai), opera di straordinaria intensità emotiva e raffinatezza tecnica, a cui di recente si è aggiunta una nuova ipotesi in direzione romana (Andaloro, 1987, p. 262).L'inafferrabile apparire e sparire di questa vena ellenistica nel corso del Medioevo può in parte spiegarsi con un altro fenomeno - particolarmente evidente nell'arte bizantina tra il sec. 6° e il 7°, ma presente anche altrove - costituito dall'impiego simultaneo di stili diversi "allo scopo - evidentemente deliberato - di esprimere differenti ordini di esseri o differenti livelli di realtà" (Kitzinger, 1992, p. 197). In base a questo fenomeno la morbida e libera maniera pittorica di eredità ellenistica, veicolo tradizionale dell'arte profana del genere mitologico, si mantenne in vita in quanto si ritrovò associata a particolari categorie iconografiche - per es. gli angeli, le personificazioni o i soggetti veterotestamentari - secondo processi non facilmente decifrabili a causa della dicotomia dello stesso stile ellenistico, che si presta tanto all'accentuazione del reale quanto alla resa dell'immateriale.Se nel complesso degli svolgimenti dell'arte bizantina si può riconoscere, in primo luogo sulla scorta degli studi di Kitzinger (1977; 1981), una bipolarità di fondo tra la componente classico-ellenistica e quella 'astratta', più complessa appare la situazione per l'Occidente: fatto che non sorprende data la maggiore diversificazione culturale di quest'ultimo. Alcuni monumenti, tra la fine del sec. 7° e l'8°, possono fornire un quadro sommario in proposito. Le testimonianze d'arte merovingia conservate nella cripta dell'abbazia di Jouarre (Gaule mérovingienne, 1988), oltre a documentare sia il persistere di forme tardoromane - frutto di un ininterrotto tramando nelle regioni della Gallia - sia l'accoglimento di influssi copti, offrono anche uno squisito esempio di c. nella decorazione a conchiglie del cenotafio della badessa Teodechilde (Romanini, 1975, p. 791). Una viva vena ellenistica emerge invece a tratti in alcune realizzazioni dell'arte anglosassone, quali la croce monumentale nella chiesa di Ruthwell (Mac Lean, 1992) o la croce di Rupertus, in rame dorato (Salisburgo, Dommus.), con guizzanti figure di animali entro tralci (The Making of England, 1991, p. 170ss.). In Italia, infine, vanno ricordati tre edifici su cui si è a lungo discusso: S. Salvatore a Brescia (v.), il tempietto longobardo di Cividale (v.) e il tempietto sul Clitunno presso Trevi (Perugia), in cui al sorprendente revival classicistico architettonico e scultoreo (Emerik, 1985) si affiancano brani pittorici con angeli di puro carattere ellenizzante (Andaloro, 1985).È dunque in un panorama notevolmente variegato che si trovarono a operare gli intellettuali riuniti alla corte di Carlo Magno per promuovere la rinascita carolingia, ampio e articolato movimento dalla fisionomia ancora per certi versi da precisare (v. Carolingia, Arte). Indubbiamente al programma politico e culturale della renovatio Romani imperii istituito da Carlo Magno corrispose la ricerca di adeguati modelli in campo artistico, che vennero scelti in diversi ambiti e riprodotti con vari gradi di perizia e di fedeltà, come testimoniano in primo luogo le transenne e le porte bronzee della Cappella Palatina di Aquisgrana, eretta tra il 790 e l'805 (Braunfels, 1976; Mende, 1983; Wamers, 1983). Il deliberato recupero del mondo classico tuttavia avvenne sulla base di nuove e pressanti esigenze espressive, dando luogo a molteplici dialettiche: nella Torhalle di Lorsch (774-790) per es. la struttura e la decorazione architettoniche, entrambe di desunzione classica, subirono processi di elaborazione diversi, e mentre la prima appare risolta in schemi lineari, la seconda risulta giustapposta e inserita in un contesto estraneo (D'Onofrio, 1983, p. 57ss.). Tale giustapposizione di elementi, che non pregiudica comunque la validità del risultato, benché più evidente nelle realizzazioni architettoniche, si ritrova anche in altre espressioni artistiche, per es. nelle miniature di alcuni dei manoscritti della scuola di corte di Carlo Magno, tra cui si possono citare i ritratti degli evangelisti dei vangeli di Saint-Riquier (Abbeville, Bibl. Mun., 4). Questo stato di fatto si può meglio comprendere alla luce del particolare rapporto utilitario che la renovatio carolingia ebbe con l'Antichità, dalla quale si mirava a ottenere, anche grazie a una nuova corretta indagine filologica, una serie di norme che servissero a individuare i migliori criteri per l'ordinamento dell'impero (Elbern, 1989, p. 56). Ma dato che si trattava di un impero cristiano era chiaro che non si poteva trarre dal mondo antico la soluzione di tutti i problemi. La profonda consapevolezza che ebbe la cultura carolingia della propria diversa eredità cristiana, pur nel suo massiccio rapportarsi all'Antico, si può cogliere in un componimento di Teodulfo di Orléans (Contra iudices, vv. 179-210; MGH. Poëtae, I, 2, 1881, pp. 493-517: 498-499) dove viene descritto un vaso antico decorato con scene del mito di Ercole: tale brano poetico, generalmente ritenuto una testimonianza dell'apprezzamento da parte dell'autore di forme e contenuti dell'arte pagana, si rivela a un'attenta rilettura piuttosto una condanna sulla scia agostiniana della brutalità dell'eroe (Nees, 1987).Su un altro versante la cultura artistica carolingia si confrontò anche con la corrente ellenistica. Se in immagini come gli evangelisti dei Vangeli dell'Incoronazione (fine sec. 8°; Vienna, Schatzkammer), nobili figure su sfondi aerei, si tende a riconoscere l'opera di maestri greci, nelle successive realizzazioni della scuola di Reims - quali per es. il Salterio di Utrecht (primo trentennio sec. 9°; Utrecht, Bibl. der Rijksuniv., 32), l'Evangeliario di Ebbone (primo quarto sec. 9°; Epernay, Bibl. mun., 1) o i c.d. vangeli di Incmaro (prima metà sec. 9°; Reims, Bibl. Mun., 7) - i modelli ellenistici vennero reinterpretati in senso dinamico e lineare nella creazione di un nuovo stile denso di sviluppi, che rapidamente fu adottato anche in altri settori della produzione artistica, come testimoniano avori e opere di oreficeria dell'epoca di Carlo il Calvo (843-877). Nella placca eburnea con la Crocifissione reimpiegata nella rilegatura del Libro delle Pericopi di Enrico II (1007-1012; Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4452), ma eseguita per un evangeliario della scuola di corte di Carlo il Calvo intorno all'870, le intense figurette di ascendenza remsese si accompagnano a uno sfoggio di riferimenti antichizzanti, come le personificazioni di Oceano, Gea e Roma e le quadrighe del Sole e della Luna, dando luogo a un insieme di grande effetto ma sostanzialmente disomogeneo. Forse per reazione a questa sorta di eccesso figurativo, nei manoscritti franco-sassoni o franco-insulari - gruppo risalente all'ultimo quarto del sec. 9° formato dalla Seconda Bibbia di Carlo il Calvo (Parigi, BN, lat. 2) e da altri codici affini, come i c.d. vangeli di Francesco II (Parigi, BN, lat. 257) - venne reintrodotta una decorazione aniconica di tipo insulare, sottoposta però a un processo di classicizzazione modulato sulle limpide forme delle capitali romane (Guilmain, 1967).Nel periodo seguente, mentre nell'arte bizantina il c. trionfava con la rinascenza macedone (Kitzinger, 1981), in Occidente continuarono a intrecciarsi esperienze diverse. Per quanto riguarda le elaborazioni in campo classicistico, bisogna rivolgersi in primo luogo alla grande arte imperiale dell'epoca di Ottone III (983-1002), alla cui genesi contribuì peraltro il contatto con la corte macedone grazie al matrimonio fra Ottone II e la bizantina Teofane. Mentre un episodio come quello della colonna bronzea istoriata (Hildesheim, cattedrale), fatta realizzare dal vescovo di Hildesheim, Bernoardo (993-1022), costituisce un richiamo all'Antico di tipo esteriore, a Treviri, durante l'episcopato di Egberto (977-993), si operò un profondo ripensamento della tradizione classica. Un'opera come l'altare di Egberto (Treviri, Domschatz), reliquiario del sandalo dell'apostolo Andrea, indica l'estrema articolazione del rapporto che l'élite intellettuale d'Occidente aveva allora con il proprio passato. L'uso delle spoglie - qui non classiche, bensì germaniche - e degli elementi all'antica, come i leoni dei sostegni e la transenna a squame, vi si accompagna al senso naturalistico, nella raffigurazione del piede, e al gusto per le campiture libere, in una pluralità di rimandi di profondo significato politico e religioso (Westermann-Angerhausen, 1987). Un acuto studio dell'Antico, condotto sia su opere carolinge sia direttamente su modelli tardoantichi, è evidente anche nella produzione miniata del Maestro del Registrum Gregorii, anch'egli attivo a Treviri negli anni di Egberto. Lo studio arrivò non solo all'inserimento di nuovi motivi classicheggianti di grande fortuna come il capitello a teste (Westermann-Angerhausen, 1983), per es. nelle tavole dei canoni dell'evangeliario della Sainte-Chapelle (Parigi, BN, lat. 8851, cc. 9r e 10r), ma anche e soprattutto alla creazione di un nuovo stile di classica compostezza ed eleganza, attento ai valori plastici e atmosferici (Mütherich, 1978, p. 127). Nella seguente produzione dello scriptorium dell'abbazia della Reichenau, sul lago di Costanza, lo spirito classico non appare più così dominante. Nella pagina incipit del vangelo di Luca nell'Evangeliario di Ottone III (fine sec. 10°; Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4453, c. 140r) la bicromia porpora e avorio e il fregio a monocromo risultano subordinati agli altri elementi della composizione; nelle miniature del Libro delle Pericopi di Enrico II (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4452) alcuni degli elementi della scuola di Treviri riappaiono in un contesto surreale.Sempre intorno all'anno Mille, i primi accenni di un grande sviluppo futuro si colgono nella regione della Mosa, a Liegi, dove, all'epoca del vescovo Notgero (972-1008), vennero realizzati intagli in avorio in cui lo stile carolingio di Reims fu riformulato con nuova consistenza plastica.Anche a Roma, verosimilmente sulla spinta della politica culturale ottoniana, prese le mosse dalla fine del sec. 10° una ripresa antichizzante che avrebbe dato grandi frutti nei secoli seguenti. A partire dagli affreschi di S. Maria in Pallara (973-999), od. S. Sebastiano al Palatino, o dal puteale di S. Bartolomeo all'Isola (non unanimemente assegnato alla fine del sec. 10°), tale processo si svolse in crescendo con una serie di grandi imprese - per es. gli affreschi della chiesa inferiore di S. Clemente, con Storie di s. Clemente e s. Alessio (fine sec. 11°), le pitture murali di S. Maria in Cosmedin (1123), la costruzione di S. Maria in Trastevere (1120-1143) e il mosaico absidale di S. Clemente (ca. 1130) - in cui al revival paleocristiano, più o meno direttamente legato a istanze di politica ecclesiastica, si unirono sia il gusto per lo sfoggio archeologico, a volte di estrema finezza, sia episodi di rimmedesimazione nello spirito classico, come la tomba di Alfano in S. Maria in Cosmedin (ca. 1123; Krautheimer, 1980, trad. it. p. 205ss.; Kitzinger, 1982; Poeschke, 1988; Gandolfo, 1989).Dalla metà del sec. 11°, del resto, in tutto il mondo occidentale si manifestò quel grande rinnovamento nel rapporto con l'Antichità noto come rinascenza o protorinascimento del 12° secolo. Questo movimento, frutto dell'incontro di molteplici fattori (Ladner, 1982), ebbe naturalmente innumerevoli riscontri in campo artistico. Copie, spogli, imitazioni, stili antichizzanti vi si alternano e accavallano creando un intreccio in cui non sempre è agevole individuare i diversi presupposti. Allo spirito della riforma, a opera del vescovo cluniacense Gerardo, poi papa Nicola II (1058-1061), per es. si può attendibilmente riferire la rinascita dell'architettura antica e paleocristiana a Firenze - testimoniata in primo luogo dal battistero (1059-1150; Kitzinger, 1982; Horn, 1982) -, ma la questione diviene più complessa per quanto riguarda l'Italia meridionale, dal cui multiforme fermento classicistico difficilmente si riescono a enucleare delle indiscutibili chiavi di lettura (Kitzinger, 1982; Glass, 1991). Estremamente articolati nei riferimenti e nella dialettica interna appaiono anche casi, come quelli di Pisa, Modena, con la grande scultura di Wiligelmo (v.), o Venezia, in cui l'esibizione dell'Antico assume una funzione determinante nell'incremento della coscienza civica (Greenhalg, 1984; Settis, 1986; Knauer, 1987; Micalizzi, 1989). Grande varietà di atteggiamenti verso i modelli, a loro volta disomogenei, e inoltre totale disinvoltura nell'accostamento fra elementi diversi si riscontrano nell'arte romanica francese, in primo luogo in Provenza, ma anche in Borgogna e in Linguadoca (Sauerländer, 1982; Durliat, 1990; Vergnolle, 1990).Il proliferare di relazioni con l'Antico non portò tuttavia in campo artistico a fenomeni di vero e proprio c.; gli interessi primari degli artisti erano evidentemente diretti altrove, nonostante all'epoca si fosse ben coscienti del valore formale dell'arte classica, come attesta per es. un passo dell'autobiografia dell'abate francese Gilberto di Nogent (1053-1124) in cui si loda la giustezza nelle proporzioni delle membra di un idolo pagano, benché esso sia, come affermato dall'apostolo Paolo, cosa di nessun valore (De vita sua; PL, CLVI, coll. 837-962: 840). Prescindendo dal problema, per molti versi da ridefinire, di quanto abbiano pesato su questa rinascita dell'arte antica le pulsioni eterodirette (Kitzinger, 1982; Gandolfo, 1989), si può ritenere ancora valida l'osservazione, formulata inizialmente da Panofsky (1960, trad. it. p. 78ss.; si veda anche Kitzinger, 1982, p. 669), che si trattò di un c. superficiale, in cui i modelli vennero scelti e interpretati in modo o troppo emotivo e indipendente o troppo freddo e pedissequo.Esulano da questo quadro alcune opere prodotte nella regione mosana - in primo luogo il fonte battesimale in bronzo (Liegi, Saint-Barthélemy), eseguito, secondo una tarda cronaca, da Renier de Huy per Notre-Dame-aux-Fonts a Liegi al tempo dell'abate Hellinus (1107-1118), e la testa-reliquiario di S. Alessandro (Bruxelles, Mus. Royaux d'Art et d'Histoire) fatta realizzare nel 1145 dall'abate Vibaldo nella vicina abbazia di Stavelot - in cui si manifestano con chiarezza i caratteri di un ideale classico dello stile, che tuttavia non appaiono desunti da modelli antichi, bensì piuttosto dalla tradizione carolingio-ottoniana (Avril, Barral i Altet, Gaborit Chopin, 1982; Sauerländer, 1982, p. 681ss.). Questa prima produzione mosana pertanto, che esprime ancora nel corso del secolo immagini di assoluta perfezione, come i due medaglioni a smalto con angeli della perduta pala di S. Remaclo (1145-1158; Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Kunstgewerbemus.; Francoforte sul Meno, Mus. für Kunsthandwerk) e l'armilla con la Risurrezione, sempre a smalto (1175-1180; Parigi, Louvre), parte di una coppia forse donata da Federico Barbarossa al principe Andrea Bogoljubskij (Avril, Barral i Altet, Gaborit Chopin, 1982, trad. it. p. 308), sarebbe dunque da considerare più come un'estrema fase del c. aulico dei secoli precedenti che non come un avamposto della grande stagione gotica del c. avviatasi nell'inoltrato sec. 12° nelle regioni settentrionali d'Europa, benché ne costituisca senza dubbio una delle fonti (Grodecki, 1980; Sauerländer, 1982, p. 682).Tratto fondamentale di questo nuovo c., intrinseco secondo la terminologia di Panofsky (1960, trad. it. p. 78ss.), è un diverso rapporto con l'arte antica, mirante da un lato a captarne il codice essenziale di un ideale classico di nobiltà e serenità e dall'altro a sfruttarla come serbatoio di forme riproducenti fedelmente le apparenze naturali ai fini di una propria intenzionalità mimetica (Sauerländer, 1982). Si è ritenuto in passato che questa nuova oscillazione in senso classico, che cominciò a manifestarsi gradualmente con un addolcimento dei panneggi e una ripresa di organicità già nel sec. 12°, sia stata determinata da un rinnovato influsso bizantino di ampie proporzioni, ma in seguito si è potuto constatare che in questo periodo l'analogia di alcuni processi stilistici tra Oriente e Occidente non è attribuibile tanto a un influsso del primo sul secondo quanto piuttosto a un parallelismo negli svolgimenti (Demus, 1970; Kitzinger, 1976). Ciò non toglie che la possibilità di studiare lo stile classico fosse offerta in Europa essenzialmente da modelli bizantini; non si trattava però di opere recenti quanto verosimilmente di oggetti suntuari dei secc. 4°-7°, come quelli menzionati in precedenza, che, da sempre inviati come doni, giunsero poi in gran numero in Occidente con le crociate. Solo in tal modo si spiega la qualità ellenica di alcune delle maggiori creazioni di questi anni (Kitzinger, 1976).Secondo Panofsky (1960), il c. che si manifestò nell'arte delle regioni settentrionali romanizzate ma non romane (valle della Mosa, Renania, Ile-de-France, Champagne, Fiandre e Inghilterra meridionale) - vale a dire il protoumanesimo che si distingue dal c. di superficie del protorinascimento mediterraneo - può essere considerato per buona parte come frutto del rinnovamento del sapere che ebbe luogo nel sec. 12° principalmente a opera di centri di cultura situati appunto in quelle regioni. Tale punto di vista, certo non da rifiutare radicalmente, è tuttavia difficilmente documentabile con fatti concreti (Sauerländer, 1982). In alcuni casi si può comunque cogliere la volontà di applicare in campo figurativo le regole auree della cultura classica (Niehr, 1989), in primo luogo quelle della 'misura' e convenevolezza tra le parti che rendono un'opera simplex et unum come voleva Orazio (Ars poet., 23), anche se non si può stabilire quanto tale atteggiamento sia interno alla prassi artistica. Per quanto riguarda quest'ultima, sulla scorta della esemplare vicenda stilistica dell'orafo mosano Nicola di Verdun, personalità chiave del neoclassico 'stile 1200' (Kitzinger, 1976, p. 372ss.; Grodecki, 1980; Claussen, 1985), si riscontra un uso polivalente dei modelli teso a trarne, come già accennato, principi compositivi e forme naturalistiche per così dire già pronte, pur non escludendo la citazione. Quest'ultima non costituisce tuttavia un punto di arrivo ma solo un momento della ricerca espressiva, come mostra la grande scultura francese della prima metà del sec. 13°, in cui allo straordinario gruppo fidiaco della Visitazione del portale centrale della cattedrale di Reims (1220-1225) si affiancano altre vette di carattere non così manifestamente antichizzante: per es. le figure del transetto nord della cattedrale di Chartres (1215 ca.) o gli apostoli della Sainte-Chapelle (1243-1248; Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny).Anche al di fuori dell'area indicata l'inizio del sec. 13° segna una svolta nel rapporto con l'eredità antica. Ciò appare evidente per es. nell'opera dei marmorari romani, che, con il portico del duomo di Civita Castellana (1210) e le imprese romane del chiostro di S. Giovanni in Laterano, del braccio nord di quello di S. Paolo f.l.m. e del portico di S. Lorenzo f.l.m., tra il secondo e il quarto decennio del secolo reinterpretarono l'Antico con nuova sicurezza e libertà, accogliendo anche stimoli dal mondo transalpino (Claussen, 1980; 1989; Bassan, 1988; Voss, 1990).Questione quanto mai controversa è poi quella del c. nell'arte dell'Italia meridionale durante il regno di Federico II (1220-1250), in cui coesistettero indipendentemente, ma spesso si sovrapposero, fenomeni di matrice diversa tanto da rendere improbabile qualsiasi tentativo di lettura univoca (Romanini, 1980; Gnudi, 1980; Cadei, 1988; Bologna, 1989). Senza dubbio la celebrazione del potere imperiale - che peraltro si rivolgeva anche ad altre fonti di provenienza orientale - stimolò un versante del c. federiciano, ma lo stesso monumento simbolo dell'affermazione di tale potere, la porta fortificata della città di Capua (1234-1239), oggi allo stato di rudere ma ricostruibile grazie a disegni (le sculture superstiti sono conservate a Capua, Mus. Prov. Campano), rivela la combinazione di codici interpretativi e tendenze stilistiche diversi senza che ciò comprometta comunque la coerenza dell'opera (Cordaro, 1974-1976; Cadei, 1988, p. 418). Analoga diversità di modelli e di moduli espressivi caratterizza la serie degli oltremodo discussi ritratti dell'imperatore svevo (Buschhausen, 1978), che comprende, tra gli altri, il busto ritrovato a Barletta dal modellato morbido e dall'intensa carica emotiva (1230-1250; Barletta, Mus. Civ.), così come la testa di Lanuvio, solenne e pervasa di grafismi lineari (Roma, Deutsches Archäologisches Inst.). Se tuttavia nell'ambito della scultura monumentale appare prevalente una tendenza alla modernizzazione del rapporto con l'Antico di matrice oltramontana - che si esplica non solo nelle dirette filiazioni riscontrabili in buona parte della scultura pugliese del quinto decennio del Duecento (Aceto, 1990, p. 63ss.) e in primo luogo nei capitelli di Troia (Troia, cattedrale; New York, Metropolitan Mus. of Art, The Cloisters), ma anche nella riconversione in un linguaggio gotico della locale tradizione classicheggiante -, un atteggiamento più retrospettivo e antiquariale caratterizzò invece la produzione di monete e cammei. In tali generi, già riportati in auge in Sicilia dai precedenti dominatori normanni (Breckenridge, 1976; Giuliano, 1980), vennero realizzate opere palesemente all'antica dal punto di vista formale e spesso, per quanto riguarda i cammei, anche da quello del contenuto, benché non mancassero importanti realizzazioni di soggetto cristiano, come un cammeo che fece parte della collezione di Lorenzo il Magnifico, dove è raffigurata l'arca di Noè (Londra, British Mus.). Di segno totalmente opposto è un altro fattore che profondamente operò nel mondo federiciano, vale a dire il contatto con le rivoluzionanti novità dell'arte cistercense (v. Cistercensi), i cui esiti si rivelano, in tema di c., per es. nel portale di Castel del Monte (ca. metà sec. 13°), non solo per l'inserzione di elementi del Gotico borgognone nella struttura classicheggiante dell'insieme, ma anche nella resa limpidamente geometrica e disincarnata della stessa struttura.I diversi atteggiamenti di analogo referente classico presenti nel mondo federiciano confluirono, nell'opera dello scultore architetto di provenienza pugliese Nicola Pisano (seconda metà sec. 13°), in una sintesi a cui contribuirono anche altri fattori (Gnudi, 1980; Cristiani Testi, 1987, p. 85ss.), come la ripresa di elementi dell'arte di Nicola di Verdun che appare nel pulpito del battistero di Pisa (1260) - prima opera nota del maestro -, ben più evidente rispetto alla produzione d'età federiciana in Italia meridionale, e un rinnovato diretto studio dei modelli condotto sulle raccolte pisane di antichità romane. Tale complessa stratificazione di esperienze risulta unificata da una celebrazione commossa dell'Antico, a cui contribuirono tanto il rinnovamento in campo religioso di quegli anni - che svelava il lato umanamente poetico delle vicende bibliche - quanto lo spirito di autoaffermazione cittadina che, in modo particolare a Pisa, da tempo aveva individuato nell'esaltazione della romanità il proprio privilegiato canale espressivo (Settis, 1986).Non fu tuttavia questa fitta trama di riferimenti in senso classico, che del resto risulta già allentata nella produzione successiva di Nicola Pisano - in cui peraltro ha un ruolo notevole l'opera degli allievi e della bottega -, a determinare i grandi esiti artistici che si ebbero in Italia centrale negli ultimi decenni del Duecento. Ancora una volta le vie del c. si divisero per operare autonomamente all'interno di esperienze diverse ma in reciproco scambio dialettico. Per es. nel campo della pittura, mezzo espressivo emblematico dei 'primi lumi' dell'arte italiana, in Jacopo Torriti, Pietro Cavallini, Duccio, Cimabue, numerose e di diversa natura sono le componenti classicistiche, formali e iconografiche, desunte sia da un rinnovato contatto con l'arte bizantina della rinascenza paleologa (Kitzinger, 1976; 1981; Romanini, 1982), sia dalla cultura figurativa gotica, sia dalla tradizione paleocristiana e antiquaria romana, sia infine dallo studio diretto dell'Antico; esse appaiono però sempre strumentali a esigenze espressive di pungente attualità, tanto in materia di stili e di poetiche quanto nel campo delle ideologie culturali (Romanini, 1984). Personalità chiave di tale uso moderno della tradizione si può considerare Arnolfo di Cambio (1240/1245-1302/1310), architetto, scultore e anche pittore se gli si attribuiscono gli affreschi con le Storie di Isacco nella basilica superiore di S. Francesco ad Assisi (Romanini, 1987). Tutta l'opera di Arnolfo - allievo di Nicola Pisano ma formatosi anche probabilmente in un cantiere-scuola cistercense dell'Italia meridionale - è percorsa da un'acuta riflessione sull'Antico che in campo architettonico si esprime nella tensione verso una sorta di 'superamento hegeliano' dell'eredità classica, culminante nell'inserzione di una galleria architravata, di inequivocabile riferimento all'Antico, nel progetto, per altri versi di assoluta modernità, della facciata della cattedrale fiorentina di S. Maria del Fiore (1294-1296), mentre nel campo della statuaria dà luogo a una serie di libere - e in certa misura estraniate - variazioni sul tema, sempre comunque subordinate a una visione complessiva di pura natura spaziale (Romanini, 1987, p. 12). Altrettanto complesso è il rapporto con l'Antico nell'arte di Giotto, profondamente segnata agli inizi dalla lezione arnolfiana (Romanini, 1987). Gli elementi classicheggianti di tradizione romano-cosmatesca o la solenne serenità delle figure, propria alla statuaria del c. gotico francese, che si ritrovano come costanti nella produzione giottesca, non esauriscono di certo il quadro dell'eredità classica in Giotto. Quest'ultima ebbe altresì un ruolo importante nell'elaborazione plastica e morbidamente naturalistica dello stile del maestro e nello stesso organico e unitario concetto di visione che esclude poi ogni insistito accento antichizzante.Se l'opinione di Panofsky (1960, trad. it. p. 128) in merito al fatto che il Tardo Medioevo avesse completamente dissolto ogni eredità classica è stata a ragione contestata richiamando l'attenzione sul progredire dello studio dell'Antico per es. nell'ambiente fiorentino (Fiderer Moskowitz, 1983), non si può comunque negare che dopo le grandi esperienze a cavallo tra Duecento e Trecento il c. perse quel ruolo di potente catalizzatore che aveva avuto durante tutto il corso del Medioevo. Il traboccare del gusto naturalistico e di quello per la raffinata stilizzazione di stampo cortese, così come il riferimento all'arte gotica rayonnante, in quanto nuovo classico, nell'area francese (Sauerländer, 1983), sono tutti fattori che, insieme ad altri, contribuirono all'indebolimento del potere suggestivo del canone formale grecoromano (Cavallaro, 1988). Attraverso numerosi rivoli, comunque, l'interesse per l'Antico perdurò e si affinò e da esso tra l'altro si trassero materiali idonei alle complesse costruzioni allegoriche, di carattere politico-religioso, di cui è ricca l'arte del Trecento (Himmelmann, 1985). È in questo panorama di continuità frammentata che iniziò a prendere corpo la codificazione di alcune figure dell'arte classica, per es. la Venere pudica, che tanta parte ebbe nell'arte del Rinascimento (Tolomeo Speranza, 1988).
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