Clemente II
Suidger (è questo il suo nome di battesimo) apparteneva a una famiglia dell'alta nobiltà sassone; nacque dal matrimonio di Konrad Morsleben von Horneburg con Amulrad, una sorella dell'arcivescovo di Magdeburgo Walthard (morto nel 1012). Suo fratello minore Konrad, canonico della collegiata di S. Maurizio a Magdeburgo, secondo l'annalista Saxo (in M.G.H., Scriptores, VI, a cura di G.H. Pertz, 1844, p. 685), sarebbe stato patriarca di Aquileia, ma il suo nome manca nell'elenco locale dei vescovi. È molto probabile dunque, come ha supposto G. Schwartz (Die Besetzung der Bistümer Reichsitalien 951-1122, Leipzig-Berlin 1913, p. 36), che egli sia stato scambiato con altra persona. Suidger cominciò la carriera ecclesiastica come canonico del duomo di Halberstadt, diventando in seguito cappellano dell'arcivescovo Hermann II di Amburgo-Brema (1032-1035), che in precedenza era stato preposito del duomo di Halberstadt. Fece parte della cappella di corte probabilmente già al tempo di Corrado II, sicuramente sotto Enrico III, di cui godeva la piena fiducia. Il re infatti, dopo la morte nel 1039 di Eberhard, primo vescovo di Bamberga, lo destinò a succedergli nella cattedra vescovile, con tutta probabilità l'8 settembre 1040, festa della natività di Maria. Fu consacrato dall'arcivescovo di Magonza, Bardo, domenica 28 dicembre 1040, alla vigilia della consacrazione della chiesa di S. Maria Überwasser a Mimigardevorde (Münster i. W.) alla presenza di personaggi illustri, tra i quali lo stesso re Enrico III. Solo ora, in questa sua nuova sfera d'attività, egli assume per noi connotati più precisi.
A Bamberga, la sua "sponsa dulcissima" (Regesta Pontificum Romanorum, nr. 4149), per tutta la vita lo legò un rapporto di particolare devozione. Il 13 novembre 1045 il duca di Baviera donò alla Chiesa di Bamberga, in cambio di 20 talenti d'oro provenienti dal tesoro della stessa Chiesa, due delle sue tenute allodiali nel Taubergau. Sicuramente ancora prima della sua elevazione al pontificato, Suidger fondò e dotò, con il consenso di Enrico III, il monastero benedettino di Theres sul Meno, che dedicò ai santi martiri Stefano e Vito. Il futuro papa non compare nella storia dell'Impero prima del 1046, quando Enrico III discese in Italia. Il 25 ottobre di quell'anno partecipò al sinodo di Pavia, convocato dal re al suo arrivo in Italia per discutere questioni riguardanti la riforma della Chiesa, che condannò ufficialmente la simonia. Sempre al seguito del re, Suidger si recò attraverso Piacenza, dove nel novembre furono condotte trattative con Gregorio VI, a Lucca e a Sutri. Il sinodo ivi celebrato il 20 dicembre dichiarò deposto papa Silvestro III e indusse, o piuttosto costrinse, Gregorio VI ad abdicare. Il caso di Benedetto IX, che non si era presentato a Sutri, fu trattato invece a Roma, dove il re fece il suo ingresso il 23 dicembre. Il sinodo ivi convocato il successivo 24 dicembre decretò la deposizione di Benedetto IX, benché questi avesse già rinunciato al pontificato nel maggio dell'anno precedente. Questa condanna ufficiale aveva un obiettivo ben preciso: scoraggiare i conti di Tuscolo, che da più di trent'anni detenevano il controllo sul papato, ad avanzare nuove pretese sul trono pontificio. Il 24 dicembre il sinodo elesse papa Suidger, che era uomo di fiducia di Enrico III, particolarmente favorito anche dall'abate Odilone di Cluny, dopo che l'arcivescovo Adalberto di Amburgo-Brema aveva rinunciato alla propria candidatura. Secondo la tradizione cassinese, l'elezione avvenne canonicamente e unanimemente, dato che nessun candidato romano si era presentato. Con la scelta del nome Clemente il nuovo papa espresse chiaramente il suo programma di riforma, ricollegandosi al primo Clemente che era stato uno degli esponenti più significativi della Chiesa primitiva. Il giorno seguente, 25 dicembre, C. procedette all'incoronazione imperiale di Enrico III e di sua moglie Agnese di Poitou. Il presunto privilegio di investitura che C. avrebbe rilasciato a favore di Enrico III nello stesso giorno (ibid., nr. *4131) è invece una invenzione successiva.
Nonostante l'opposizione della nobiltà e del clero romano e la critica di altri riformatori che non si fece attendere, l'elezione di C. dev'essere considerata un pieno successo di Enrico III nella politica ecclesiastica; con essa ebbe inizio l'epoca dei papi della riforma - in un primo momento tutti tedeschi - che sostituivano quelli usciti dalla nobiltà romana. Già ai primi di gennaio 1047 C. presiedette a Roma un primo concilio per discutere la riforma della Chiesa. Il decreto contro i simoniaci, per la verità abbastanza cauto per non suscitare subito reazio-ni violente, che C. promulgò nel corso di questo sinodo, è ricordato ancora nel 1052 da Pier Damiani, al tempo cioè di Leone IX (Liber gratissimus 37, a cura di L. von Heinemann, in M.G.H., Libelli de lite imperatorum et pontificum saec. XI et XII conscripti, I, a cura di E. Dümmler-L. von Heinemann-F. Thaner, 1891, p. 70). Allo stesso sinodo risale anche un rescritto pontificio che confermava all'arcivescovo Umfredo di Ravenna il privilegio, contestatogli dall'arcivescovo di Milano e dal patriarca di Aquileia, di occupare il posto d'onore alla destra del papa in assenza dell'imperatore "secundum antiquae constitutionis auctoritatem" (Regesta Pontificum Romanorum, nr. 4141). La riforma, avviata a Roma sotto la guida dell'imperatore, aprì anche le porte alla diffusione delle idee maturate nell'ambito della Chiesa di Ravenna. Ma proprio il loro rappresentante più eminente, Pier Damiani, criticò l'operato di C.; secondo il parere dell'austero asceta il papa non agì con la necessaria energia (Epistolarum libri octo I, nr. 3, in P.L., CXLIV, coll. 207 s.).
Nel gennaio 1047 C. lasciò Roma per accompagnare Enrico III nell'Italia meridionale. L'imperatore intendeva riaffermare la propria autorità sia a Benevento, dove si era andata delineando una decisa opposizione al potere imperiale, sia nei territori che erano stati occupati dai Normanni oltre i confini del Ducato di Salerno, feudo imperiale, del quale i Normanni erano formalmente vassalli. Dal canto suo C. sembra aver voluto sostenere con la propria autorità la politica imperiale e nello stesso tempo imporre i nuovi indirizzi di riforma del clero sulle terre meridionali che riconoscevano la signoria di Enrico III. Dopo essere passati per Montecassino, il papa e l'imperatore si fermarono a Capua: qui Enrico III cercò di dare ordine alla confusa situazione politica meridionale, ricevendo dai capi normanni, Rainolfo e Drogone, l'omaggio feudale per tutte le loro terre e imponendo al duca di Salerno, Guaimario, di restituire la città e il territorio di Capua all'antico conte, Pandolfo III. Passarono, quindi, a Salerno: qui C. esaminò e approvò l'elezione dell'arcivescovo Giovanni, riconoscendola non viziata da simonia (Regesta Pontificum Romanorum, nr. 4143). Infine si avvicinarono a Benevento. La città rifiutò di aprire le porte all'imperatore, il quale la cinse d'assedio, mentre C. le lanciava la scomunica. Benevento resistette; l'imperatore abbandonò l'assedio, assegnando la città ai Normanni, e mosse verso il Nord.
Tra le bolle di C., non molto numerose, vanno ricordate quelle a favore di Cluny (sull'incontro del papa con il vecchio abate Odilone riferisce in modo poco esatto Jotsaldus, Vita Odilonis I, 14, in P.L., CXLII, col. 909B; ma cfr. l'edizione più accurata in "Neues Archiv", 15, 1890, pp. 119 ss.), Fulda (ma la bolla registrata dai Regesta Pontificum Romanorum al nr. *4144 è falsa), Amburgo-Brema e Bamberga. L'amore devoto e costante di C. per la sua diocesi è espresso meglio che altrove in questa bolla del 24 settembre 1047, che riconferma i possedimenti della Chiesa di Bamberga (ibid., nr. 4149, anche in J. von Pflugck-Harttung, Acta, nr. 103).
Il pontificato di C. non durò neanche un anno e questo periodo così breve non permise al papa di riformare radicalmente la Chiesa. Il 1046-1047 segnò, comunque, una prima affermazione della riforma. Si sono avanzate molte ipotesi sulla repentina morte che colse C. il 9 ottobre 1047 nel monastero di S. Tommaso sull'Aposella presso Pesaro, mentre si stava recando nella Marca d'Ancona e in Romagna. In una donazione a favore di questo monastero, del 24 settembre 1047, C. stesso aveva parlato di "valido corporis languore" (Regesta Pontificum Romanorum, nr. 4148). Pare che proprio lì, in quel monastero, lo abbia colto la malattia mortale, probabilmente la malaria. Sono prive di fondamento le voci che parlano di avvelenamento.
La tradizione alterata dalla successiva lotta delle fazioni "non può rivendicare credibilità e le si darebbe più conto di quanto merita effettivamente giudicandola provata dall'esame scientifico" (K. Hauck, Zum Tode Papst Clemens II., p. 268). Quando infatti nel 1942, durante la seconda guerra mondiale, fu aperto il sarcofago di C. nel duomo di Bamberga per mettere in salvo il suo contenuto, i suoi resti furono sottoposti a un esame chimico-tossicologico. Le analisi dettero indizi a favore di un avvelenamento subcronico da piombo, cosa del resto facilmente spiegabile con l'uso diffuso di vasellame di piombo in quei tempi. Dai brandelli di seta trovati nella tomba si riuscirono a ricostruire i paramenti pontificali di C.: una preziosità storica. Il sepolcro di C., edificato nel duomo di Bamberga nel primo stile gotico del sec. XIII, è un monumento eminente per la storia della Chiesa d'Oltralpe. Tuttavia l'iscrizione sepolcrale, rifatta tra il 1632 e il 1663, sbaglia nell'indicazione della famiglia, del luogo e del giorno della morte di Clemente II.
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