Clima
La variabilità del c., con un'evoluzione rapida, ha cominciato a essere percepita alla fine del 20° sec., inizialmente dai ricercatori specializzati, mediante l'analisi dei dati, e successivamente da tutta la popolazione. In tal senso hanno svolto un ruolo importante i mezzi d'informazione che hanno mostrato, in ogni parte del mondo, il sempre più frequente verificarsi di fenomeni meteorologici fino ad allora ritenuti rari o eccezionali, superando la percezione individuale del c. come una proprietà caratteristica dei luoghi e del tempo astronomico, con le stagioni e i mesi. Ci troviamo così dinnanzi a una fenomenologia del c. in evoluzione, più veloce di quanto si fosse osservato sino al recente passato quando le variazioni climatiche erano osservate soltanto dagli studiosi e riferite a epoche remote come le ere glaciali. Il cambiamento climatico, una volta divenuto percepibile anche dal senso comune, ha destato sempre maggior interesse e causato preoccupazione per le conseguenze che si possono avere sull'ambiente e, quindi, sulle condizioni di vita delle specie animali e vegetali.
Il c. è il prodotto di un complesso sistema chimico-fisico-dinamico, il sistema climatico, parte del più ampio sistema costituito dalla Terra, nella sua interezza, che a sua volta è inserito nel più vasto sistema solare, anch'esso in continua evoluzione. Il Sole, fonte primaria dell'energia della Terra, è infatti uno dei principali fattori che determinano il c. del pianeta. Nel corso del tempo, sono state fornite molte definizioni del c., in funzione di una varietà di grandezze (temperatura, umidità, precipitazioni, intensità dei venti ecc.) con cui si manifestano e si descrivono gli eventi meteorologici quotidiani in un luogo determinato. La continua evoluzione della definizione di c. testimonia le difficoltà di individuare una trattazione soddisfacente, rigorosa e universalmente accettata del suo stato e delle sue mutazioni. Nell'esaminare le varie definizioni si nota come ognuna di esse presenti in maniera nuova il c. quale punto di partenza per descrivere e interpretare gli studi e i progressi delle conoscenze sul tema. È opportuno osservare inoltre che nel passato alla base di ogni definizione si è postulato, in modo più o meno esplicito, il fatto che il c. vari passando attraverso stati diversi che hanno la caratteristica di essere stabili al loro interno o quantomeno lentamente variabili. Ciò con la conferma delle indagini sul passato remoto della Terra in cui si evidenziava che le variazioni climatiche erano avvenute bruscamente, in termini dei tempi geologici. La definizione tecnica teorica più rigorosa caratterizza il c. come la funzione di distribuzione delle probabilità delle situazioni meteorologiche che si attuano, in una regione geograficamente omogenea, nel corso del tempo astronomico, dell'anno, delle stagioni, dei mesi e, più in generale, delle epoche. Questa definizione però, pur con il suo rigore, non è utilizzabile direttamente in quanto le conoscenze fisiche non si hanno a priori, e dunque è stato necessario adottarne una pratica.
L'OMM (Organizzazione Meteorologica Mondiale, WMO, World Meteorological Organization), agenzia delle Nazioni Unite specializzata in questo settore, definisce operativamente il c. come lo stato medio delle variabili fisiche atmosferiche calcolato su un periodo di tempo (anno, mese) per un'area geografica definita. Se il c. rimanesse costante, durante il periodo di tempo di raccolta delle osservazioni, questa definizione a posteriori condurrebbe ai risultati della definizione teorica. Non ci si deve comunque limitare allo studio delle sole condizioni medie, ma è necessario estendere le ricerche ai valori estremi e soprattutto alla variabilità delle grandezze caratteristiche. L'OMM prescrive la raccolta dei dati meteorologici a fini climatici per periodi di trenta anni disgiunti: il c. di riferimento attuale è dato dai valori raccolti dal 1961 al 1990. Tale periodo è però ormai lontano dal presente, per cui il confronto con i dati del tempo quotidiano fanno sembrare eccezionali situazioni che appartengono a un c. diverso da quello definito dal trentennio di osservazioni tuttora in uso. Il dibattito scientifico internazionale ha portato gli esperti a impiegare un nuovo trentennio che va dal 1970 al 2000, più vicino al presente ma sovrapposto al precedente per due terzi e quindi anche questo potrebbe generare aspettative erronee sulla frequenza propria degli eventi e dunque sulla loro classificazione.
Poiché il c. si percepisce attraverso il tempo meteorologico è necessario riflettere sulla polisemia presente nelle lingue neolatine tra tempo cronologico e tempo meteorologico. Entrambe le locuzioni esprimono il susseguirsi dei fenomeni, la prima di quelli storici, l'altra di quelli atmosferici. Il tempo meteorologico è dato dall'insieme dei fenomeni aerofisici che si osservano in un dato luogo a ogni istante del tempo cronologico: esso è l'aspettativa del tempo meteorologico nel fluire del tempo cronologico. Il c. racchiude in sé l'insieme dei diversi tipi di tempo meteorologico, ciascuno con la propria probabilità di attuarsi, quali si osservano in luoghi e istanti definiti. Ciascuno dei tipi di tempo è atteso con la sua probabilità di verificarsi. Si parlerà correttamente di tempo eccezionale non per definirne l'intensità della fenomenologia, ma piuttosto la rarità che esso ha di manifestarsi nel luogo durante il periodo di tempo astronomico in cui esso si osserva.
Un modello analogico del legame esistente tra tempo e c. si può realizzare con un'urna contenente palline di vari colori. A ogni colore si associ un tipo di tempo, per es., piovoso, arido, tempestoso ecc.: il tempo meteorologico quotidiano corrisponde al colore di ogni pallina che si estragga dall'urna. Il risultato di ogni estrazione dipende da quante palline di ciascun colore sono contenute nell'urna. Compiendo un gran numero di estrazioni si risale statisticamente al numero di palline di ciascun colore e quindi alla probabilità di estrarre successivamente ognuno dei colori. Poiché il c. è la probabilità che si osservi un tipo di tempo, l'urna è un buon modello, perché ogni estrazione presenta gli eventi con la loro probabilità, ignota a priori ma conoscibile a posteriori. Il problema della determinazione della composizione dell'urna, ossia del c. nel modello, diviene insolubile se il numero di palline per ognuno dei colori cambia a ogni estrazione. Questo è quanto si osserva del c. degli ultimi anni: la frequenza di fenomeni atmosferici stimata secondo le precedenti statistiche cambia continuamente. Fenomeni considerati rari si manifestano con sempre maggior frequenza, rendendo veritieri luoghi comuni quale quello 'non esistono più le stagioni di mezzo'.
In realtà una funzione costante nel tempo non può descrivere il c. neanche per brevi periodi: la variabilità delle condizioni meteorologiche, su scala annuale, è indicativa anche dell'evoluzione climatica. Il ripetersi con sempre maggiore frequenza di fenomeni atmosferici estremi è interpretato come segno di variabilità climatica, anche se ciò sembra in contrasto con le definizioni, sia di natura teorica sia soprattutto di natura pratica, sin qui adottate. In tal senso si dilata la distanza tra c. e tempo meteorologico, il quale descrive le singole condizioni atmosferiche che si susseguono nel tempo cronologico. Per quanto lunghe siano le serie di dati raccolti, il numero e la frequenza degli eventi meteorologici osservati sono sempre troppo pochi perché si possa asserire con certezza di aver determinato la funzione di distribuzione dei fenomeni meteorologici possibili e quindi il c. stesso. Se si esaminano i planisferi su cui siano indicate le aree geografiche dove si sono osservati, nel corso di ogni anno, fenomeni meteorologici rari o comunque intensi, immediatamente si percepisce quanto il c. sia variabile in modo molto irregolare e ancor oggi imprevedibile. L'indicazione della frequenza nelle espressioni sul tempo meteorologico non sempre è significativa degli eventi se osservati da un punto di vista fisico sperimentale. Sarebbe più corretto usare espressioni per definire il tempo che abbiano il carattere fenomenologico per evidenziare gli effetti, per es., catastrofico, devastante, piuttosto che statistico, come l'abusato termine eccezionale, in quanto sono gli effetti del tempo che hanno interesse e non la loro presunta rarità, specie quando la distribuzione di frequenza dei vari tipi di eventi meteorologici non è nota a priori, né stimabile significativamente a posteriori per mancanza di una casistica adeguata a calcolare statistiche attendibili.
I cambiamenti climatici avvenuti nel passato, di cui le ricerche hanno mostrato gli effetti, interessarono sia i singoli ecosistemi sia l'intera biosfera. Da ciò discende la necessità di conoscere il c., i suoi principi, la sua evoluzione, le cause del suo cambiamento e l'eventuale possibilità di limitarne l'entità delle variazioni mitigandone così gli effetti sull'ambiente. La società postindustriale soltanto alla fine del secondo millennio ha riconosciuto la grande importanza del c. quale fattore ambientale di primaria importanza. Gli studi sul c. hanno così ricevuto un grandissimo impulso. Le conoscenze sul c. si sono estese sul passato sino a giungere alle origini del pianeta stesso; le scale di tempo della variabilità del c. vanno dai decenni sino ai milioni di anni, con ampiezze di variazioni della temperatura media dell'atmosfera globale riconducibili dalle frazioni di grado sino alla decina di gradi centigradi. Il c. è il frutto dell'interazione tra quasi tutte le componenti della Terra vista come sistema complesso, e il sistema climatico - come già accennato - è un sottosistema parte integrante del sistema Terra. Partecipano al c. l'atmosfera, in primis, l'idrosfera con le sue componenti dall'oceano globale alla criosfera e la biosfera vegetale e animale con la sua azione, sempre più determinante relativamente alla specie umana. Il c. globale è connesso con i processi chimici, biologici e in genere geologici, per cui ogni significativa variazione di ciascuno di questi può determinare variazioni climatiche tali da alterare profondamente gli ecosistemi. La successione di tali eventi nel corso delle ere geologiche si è resa sempre più evidente.
Le analisi chimiche della composizione dei ghiacci, effettuate nelle profondità dell'Antartide, mostrano che i cambiamenti del c. sono avvenuti senza soluzione di continuità nel corso dell'ultimo milione di anni con diverse modalità, sia lentamente sia rapidamente. Il c. è caratterizzato da un ampio insieme di variabili meteorologiche: le più comuni sono temperatura dell'aria, precipitazioni, pressione atmosferica, vento, durata del soleggiamento, e così via. Si possono poi includere altri elementi quali umidità, nuvolosità, venti estremi, temporali, tempeste e anche caratteristiche del suolo (vegetazione, aridità, deserto). Per poter percepire sinteticamente eventuali cambiamenti del c. è stato indispensabile, però, trovare un parametro semplice ed efficace. L'indicatore del c. del pianeta considerato più significativo e comprensibile anche attraverso i media è la temperatura dell'aria rilevata a circa 2 m dal suolo, all'ombra, in luogo ventilato e sovrastante un prato erboso. Le temperature così misurate in ogni parte del globo sono confrontabili e danno una misura locale ma parziale del c. del luogo in cui sono rilevate. Il loro valore medio calcolato su tutte le misure effettuate in ogni parte del globo per un periodo di tempo sufficientemente lungo, quale, per es., è l'anno solare, costituisce invece un indicatore del c. della Terra significativo, comprensibile ed efficace. Le analisi delle temperature così calcolate o parimenti derivate indirettamente da altre misurazioni hanno permesso di ricostruire la serie storica degli ultimi 150 anni circa. La temperatura media dell'atmosfera del nostro pianeta è connessa con l'equilibrio esistente tra la radiazione che giunge dal Sole e quella riemessa dalla Terra verso lo spazio siderale. Sulla Luna, dove non è presente l'atmosfera, la temperatura media non ha senso in quanto la differenza tra il giorno e la notte è di centinaia di gradi centigradi. La presenza dell'atmosfera crea l'effetto serra, ossia quell'effetto per cui le variazioni di temperatura tra giorno e notte e tra estate e inverno sono tali da aver consentito la vita da milioni di anni. Ciò che appare evidente è che la temperatura media globale va aumentando con un ritmo che si è accelerato da quando la società umana mondiale produce energia attraverso la combustione di prodotti di origine organica, principalmente carbone e idrocarburi.
L'effetto serra, che ha consentito sin qui la vita, si accentua modificando l'equilibrio tra lche proviene dal Sole e quella che la Terra perde verso lo spazio. Se si raggiungesse un equilibrio con temperatura media della Terra diversa da quella attuale si andrebbe incontro a un cambiamento di c. con conseguenze notevoli su tutti gli ecosistemi e in alcune zone del pianeta le condizioni di vita per uomini, piante e animali potrebbero divenire critiche sia nella direzione del freddo sia del caldo e della desertificazione. Poiché il prodotto principale della combustione è l'anidride carbonica, gas a effetto serra, dall'ultimo decennio del 20° sec. sono in corso azioni di cooperazione internazionale volte a ridurre le emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera e quindi a cercare di mitigare l'ormai evidente variazione del c. in senso di un aumento della temperatura media dell'atmosfera del pianeta. Nel 1988 l'ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) ha costituito un gruppo di esperti, l'Intergovernmental Panel on Climatic Change (IPCC), con il compito di studiare l'evoluzione a breve termine del c. e di suggerire strategie per mitigarne gli effetti. L'IPCC ha prodotto vari rapporti sul tema, il terzo nel 2001 e il quarto è atteso per il 2007, in cui ha sottolineato la necessità di ridurre le emissioni di gas a effetto serra quale migliore strategia di protezione per l'intero ecosistema terrestre. L'ONU ha successivamente promosso azioni di diritto internazionale per rendere efficaci le considerazioni degli scienziati, si è così giunti alla sigla di un protocollo promulgato a Kyoto in Giappone e sottoscritto nel 2005 anche dai Paesi più industrializzati e quindi energeticamente inquinanti nel senso dei gas a effetto serra. Alla fine del 2005 con la conferenza di Montréal, Canada, l'impegno preso a Kyoto è stato prolungato almeno sino al 2012. Tutte le azioni intraprese cercano di riprodurre uno status quo ambientale in senso planetario in quanto le conoscenze che si hanno sui meccanismi di evoluzione del c. sono ancora molto imprecise.
Lo studio del c. è molto diverso dalle analisi finalizzate alle previsioni del tempo. La distinzione è di fondamentale importanza; infatti, per prevedere il tempo atmosferico, un fenomeno limitato nello spazio e nel tempo, si studiano le variazioni della temperatura, della pressione e dell'umidità, i venti, la nuvolosità e le precipitazioni, ossia tutti quei fattori che sono influenzati soprattutto da fenomeni atmosferici. Nel breve termine, i fattori che determinano il tempo atmosferico dipendono dalle condizioni al contorno dell'atmosfera quindi da un'immagine istantanea della superficie terrestre e degli oceani. Al contrario, alla determinazione del c. contribuiscono altri fattori, oltre all'atmosfera: gli oceani, le masse ghiacciate, la biosfera e la radiazione solare; dunque, tre componenti terrestri e una extraterrestre. Tali fattori si evolvono: molto schematicamente, l'atmosfera assorbe e diffonde parte della radiazione solare incidente, mentre frena l'uscita della radiazione infrarossa emessa dalla Terra, provocando in tal modo un 'effetto cuscinetto' molto delicato, se si pensa che uno degli agenti della trappola infrarossa - l'anidride carbonica - è in continuo aumento a causa delle attività umane. Gli oceani sono la sorgente primaria di vapore acqueo, e quindi di nuvolosità, nonché importanti distributori di calore fra le regioni che ne sono povere e quelle che ne sono ricche (rispettivamente, quelle alle alte latitudini e quelle equatoriali) dell'intero globo. Tali scambi avvengono tramite gigantesche correnti che si snodano instancabilmente sia attraverso gli oceani sia attraverso i flussi atmosferici. Le regioni coperte di ghiaccio assorbono meno calore rispetto alle regioni più scure (un corpo nero è un perfetto assorbitore di calore, un corpo bianco l'opposto) e influenzano così l'albedo, o riflettività del pianeta. Per es., l'albedo di una foresta (assai scura) è molto bassa (0,08), mentre quella della neve fresca è dieci volte maggiore (0,8); più grandi sono le estensioni ghiacciate, maggiore è la radiazione che esse riflettono (quando c'è neve fresca, fa infatti più freddo). Infine, la biosfera - forse la componente più difficile da quantificare in tutto lo scenario climatologico - può agire in modi svariati, per es. sottraendo anidride carbonica all'atmosfera attraverso la vegetazione, o aumentando l'azione fotosintetica del fitoplancton marino che, riducendo la carica di anidride carbonica dell'atmosfera, influenza l'effetto serra e quindi il clima.
La complessità del problema insieme alla disponibilità di modelli di simulazione mediante calcolatori elettronici ha permesso di affrontare il c. e la sua evoluzione con nuovi mezzi. Il sistema climatico viene scomposto nelle sue parti già menzionate (atmosfera, oceani, radiazione solare e terrestre) e per ciascuna delle componenti viene sviluppato un modello di simulazione fatto evolvere nel tempo mediante il calcolatore. Attraverso le mutue interazioni tra le parti del sistema si segue l'evoluzione del c. complessivamente. I risultati non sono ancora tali da poter usare i modelli climatici al pari di quelli meteorologici ma sono incoraggianti. Un risultato molto importante è stato quello di esaminare, pur con i limiti d'incertezza del caso, le variazioni della temperatura globale che si avrebbe con gli incrementi dell'immissione in atmosfera dell'anidride carbonica ai ritmi attuali. Queste simulazioni hanno innescato il processo politico internazionale che ha portato prima alla stesura e poi alla ratifica del protocollo di Kyoto e più in generale alle attività delle Nazioni Unite volte a combattere la desertificazione e la probabile riduzione di capacità produttiva alimentare delle regioni povere del mondo. La via per la mitigazione degli effetti del cambiamento del c. in corso, indicata da tutti gli organismi scientifici, tecnici e politici è quella della sostituzione, nella produzione di energia, delle fonti basate sui combustibili fossili con le energie rinnovabili. Il presupposto è che tali energie, alimentate direttamente e indirettamente dalla radiazione solare, sottraggano energia all'atmosfera e agli oceani e, quindi, mantengano l'equilibrio termodinamico del sistema Terra all'interno dei valori che hanno permesso lo sviluppo dell'uomo e delle sue civiltà. L'energia solare potrebbe essere utilizzata direttamente attraverso la conversione in energia elettrica nelle zone desertiche contribuendo a equilibrare il gradiente termico oggi presente. L'energia eolica, derivata anch'essa ma indirettamente da quella solare, dovrebbe essere sfruttata, come in parte già avviene, nelle regioni alle alte latitudini dove i venti sono costantemente intensi. La ben nota energia idroelettrica infine è un ulteriore derivato della radiazione solare attraverso il ciclo di evaporazione e precipitazione delle acque. L'impatto sul c. dell'impiego delle energie rinnovabili anche in forma massiccia sarà minimo se non nullo.
bibliografia
Intergovernmental Panel on Climatic Change, Third assessment report: climate change 2001. Synthesis report, Geneva 2001; Encyclopedia of atmospheric science, ed. by J. Holton, J. Pyle, J. Curry, London 2003; World Meteorological Organization, Our future climate, Geneva 2003.